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FOCUS la ricerca di lavoro Sud, la nuova emigrazione Ogni anno 270 mila persone vanno al Nord Lavorano, ma le famiglie devono aiutarli Non c’è stato partito che in campagna elettorale non abbia promesso
il rilancio del Mezzogiorno e adesso perfino la Lega, con Roberto Calderoli,
dice che «la questione settentrionale non può essere risolta se non si
affronta la questione meridionale». È successo anche che Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato un
nuovo documento comune per il Sud. E, ovviamente, non sono mancati gli appelli
degli economisti ad affrontare l’annoso problema delle «due Italie». Ma
adesso, dopo il voto, chi si ricorderà di tutto questo? Le persone in carne e ossa, intanto, cercano in prima persona una
soluzione. Che spesso è la nuova migrazione da Sud a Nord. Che, ovvio, non è
più quella degli anni Cinquanta e Sessanta, dei contadini poveri e ignoranti
che con la valigia di cartone si trasferivano nel triangolo industriale per lavorare in fabbrica. Ma che, se è molto diversa qualitativamente,
tocca però le stesse vette numeriche di allora. Ogni anno, infatti, si spostano
dalle regioni meridionali verso quelle del Centro-Nord circa 270 mila persone:
120 mila in maniera permanente, 150 mila per uno o più mesi, dice l'istituto di
ricerca Svimez. Un dato vicino a quello dei primi anni Sessanta, quando a
trasferirsi al Nord erano 295 mila persone l’anno. Una città intera che si sposta Parlare di 270 mila uomini e donne che ogni anno vanno da Sud a Nord per
lavorare o per studiare significa immaginare una città come Caltanissetta che
si sposta tutta intera per trovare un futuro. Anche i contorni economici del
fenomeno sono profondamente diversi da quelli del dopoguerra. Allora le rimesse
degli emigranti generavano un flusso di risorse discendente, dalle regioni
settentrionali a quelle del Mezzogiorno: servivano a mantenere le mogli o i
genitori anziani rimasti al paese e magari a mandare avanti i lavori per costruire o ampliare la
casa. Oggi, al contrario, i soldi risalgono la Penisola, per sostenere gli
studenti meridionali nelle Università del Nord o i lavoratori precari che non
ce la fanno ad arrivare alla fine del mese, ma che tirano avanti con l’aiuto
delle famiglie d’origine (comprese le pensioni dei nonni) con l’obiettivo di
raggiungere poi il contratto a tempo indeterminato. Il trend consolidato Al ministero dello Sviluppo Economico, il viceministro Sergio D’Antoni
ha stimato con i suoi tecnici che si arriva a circa 10 miliardi di euro che per
tutti questi motivi (compreso il mancato sviluppo nel Sud) «emigrano» ogni
anno dal Mezzogiorno al Nord. Il che non è esattamente il massimo per un Paese
che dovrebbe ridurre le distanze tra le due Italie. Spiega Delio Miotti (Svimez)
che da tempo studia la nuova migrazione: «Negli ultimi anni si sta consolidando
un trend: più di 120 mila persone all’anno si spostano dal Sud nelle regioni
del Centro-Nord cambiando residenza. Sono in gran parte giovani, tra i 20 e i 45
anni, diplomati, ma uno su cinque è laureato. A questi bisogna aggiungere altri
150 mila che si trasferiscono al Nord come pendolari di lungo periodo, cioè per
almeno un mese. Sono studenti o lavoratori temporanei che non si possono
trasferire stabilmente perché non hanno un reddito sufficiente per mantenersi e
per portare la loro famiglia nelle regioni settentrionali, dove la vita è più
cara ». Ma se è così, perché questa emigrazione non fa più notizia? «Perché
chi emigra —risponde D’Antoni— non ha problemi d’integrazione con la
realtà del Nord: spesso è un giovane che usa Internet e parla inglese come i
suoi coetanei settentrionali. Non diventa quindi un caso sociale, come negli
anni Cinquanta. Quella di adesso è perciò un’emigrazione invisibile,
silenziosa ». Eppure ci sono comuni che lentamente si vanno svuotando delle
energie migliori. Quelli a più alto tasso migratorio (intorno all’8 per mille
annuo) sono in Calabria: Cirò, Petilia Policastro, Dinami, Rocca Imperiale. La
zona di Cirò, in provincia di Crotone, tra il ’91 e il 2006 ha visto un calo
di popolazione del 34% circa. I giovani studenti. Se ne vanno parecchi giovani
per studiare nelle Università del Centro- Nord: 151mila nell’anno accademico
2005-2006. Più di 36 mila sono partiti dalla Puglia, 25 mila dalla Calabria, 24
mila dalla Sicilia, 23 mila dalla Campania. Una parte di questi non torneranno
più indietro. L’agenzia governativa Italia Lavoro ha calcolato che a fronte
di 67 mila neo-laureati del Sud previsti in ingresso nel mercato del lavoro nel
2007, le imprese industriali e dei servizi del Mezzogiorno hanno espresso, nello
stesso anno, una domanda di laureati pari a 12.390 unità, il 16,4% del totale.
Anche se si sommano i neolaureati richiesti dalla pubblica amministrazione e dal
lavoro autonomo, si può stimare che circa la metà dei giovani che si laureano
nelle regioni meridionali è di troppo rispetto alla domanda locale. Nessuna
meraviglia, conclude quindi Italia Lavoro, se questi giovani cercano lavoro
altrove e se il 60% dei meridionali che si laurea al Nord, vi rimane anche dopo
la laurea. Per necessità, più che per scelta. Gli incentivi Ora non ci sarebbe niente di male se questo fenomeno fosse
indice di una società mobile, all’americana. Il fatto è che in Italia questo
movimento è a senso unico, con un progressivo impoverimento del Mezzogiorno.
Per combattere questo trend i vari governi hanno provato a incentivare
fiscalmente le assunzioni nel Sud. Nell’ultima Finanziaria è stato inserito
anche un bonus di 400 euro al mese per sei mesi per i neolaureati che svolgono
stage nelle imprese del Sud che, se poi li assumono, ricevono un contributo di 3
mila euro. Il meccanismo sta funzionando, afferma D’Antoni. Ma non è solo un
problema di incentivi. Paolo Sylos Labini, il grande economista morto nel 2005,
che amava il Mezzogiorno, ripeteva che la questione meridionale prima ancora che
economica è una questione civile. In altri termini, non è solo la domanda di
lavoro qualificato che deve aumentare, ma devono migliorare anche le condizioni
generali di vivibilità, dal funzionamento della pubblica amministrazione al
controllo del territorio da parte dello Stato contro la criminalità.
Altrimenti, in silenzio, i migliori se ne vanno. Enrico Marro |