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Cittŕ Continua
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Dal Blog di Lele Rozza dell’urbanistica 26 June, 2008 – 1:48 pm
ho letto con grande piacere questo libro di Gianni Biondillo. Potenza del marketing e complice un divertente titolo l’ho visto in libreria e l’ho acquistato. Una sorpresa dopo l’altra Diro’ che la prima parte, piu’ specificatamente legata alla storia dell’architettura mi e’ sembrata un po ridondante e quasi inutile, ma evidentemente stava parlando a qualcuno, qualcuno che, a differenza di me, poteva capire citazioni e valutazioni sugli architetti. Straordinaria invece tutta la parte su Milano (la maggior parte del libro). Una Milano a partire dalle periferie, con un accento sulla mitica Quarto Oggiaro, luogo che per molti anni ha rappresentato (pare proprio a torto) il luogo pericoloso dela Milano da bere. Apprezzo molto la visione laica di Gianni Biondillo, preparato architetto, che decide di fare il divulgatore di cose di uomini. Rilettore dell’architettura come parte integrante dello sviluppo sociale e culturale del paese, fine, e severo al tempo stesso, fustigatore di tromboni e sedicenti artisti. Come spesso accade mi e’ piaciuto rivedere Milano con degli altri occhi, a tratti piu’ competenti, a tratti addirittura feroci. Alcuni passi sonostraordinari: “Milano si pavoneggia delle sue eccellenze - la Scala, la moda, il design - ma nella realta’ sono eccellenze da esportazione. Non hanno alcuna ricaduta evidente nella citta’ di tutti i giorni. Nella citta’ di tutti noi.” E a proposito di parchi: “E qui altro che realta’ virtuale: siamo nella mistica delle intenzioni! A Milano si sa, il verde e’ una perdita di tempo. E di denaro. La citta’ dentro i confini amministrativi (non quella reale, smisurata, ben oltre tutta la provincia) copre un area relativamente piccola e densamente costruita. Mancano vere e proprie piazze a Milano, sentite come tali, se si esclude quella del Duomo. Il verde urbano, i parchi, i luoghi di incontro insomma, scarseggiano e sono sempre trattati come spazi residuali, poco valorizzati. Siamo in una citta’ dove perdere tempo, fermarsi, non ha letteralmente senso” E infine: “La verita’ e’ che le fabbriche sono ormai tutte dismesse, il panettone lo procucono a Verona, la nebbia in citta’ e’ scomparsa da 30 anni e il Duomo e’ sempre impacchettato e non lo vede nessuno” Ora, certamente non facciamo di tutta un’erba un fascio, e quindi non si semplifica da nessuna parte, pero’ rileggere Milano con gli occhi di chi avrebbe voglia che i palazzoni diventassero luoghi vivi e non brutture da dimenticare, di chi considera la periferia un luogo propulsivo e costruttivo perche’ punto di approdo e di partenza del meticciato che sta vivificando la nostra societa’, credo sia una occasione da non perdere. Biondillo ricorda con estrema lucidita’ che un tempo l’immigrazione venne gestita come un problema pubblico e quindi in chiave di welfare, dalla nascita delle case popolari, alla possibilita’ di alzare di un piano le abitazioni, ma in un ottica di gestione reale di un problema reale non e’ banale. Soprattutto perche’ oggi i nuovi immigrati invece non esistono. Compaiono la mattina quando devono produrre e scompaiono alla fine della loro attivita’ al servizio della crescita dei nostri territori. Si chiama politica dell’inesistenza, inesistenza che,m naturalmente sfocia in disaffezione per il territorio e marginalita’ sociale. Meno telecamere e piu’ servizi forse avrebbero un impatto un po’ piu’ realistico sulle questioni della sicurezza… ma tant’e’ “C’e’ nell’intera societa’ italiana una vera e propria erosione dello spazio pubblico, dei luoghi collettivi pubblici. Ormai sempre di piu’ la socialita’ si esprime in spazi collettivi privati. Dagli spazi ludici per l’infanzia a i parchi a tema, alle discoteche… Gli spazi pubblici collettivi sono sempre piu’ abbandonati, privi di senso, sempre piu’, loro per davvero, non-luoghi” … “E’ la citta’ chiusa, che ha come obiettivo non la sicurezza delle persone, ,a quella delle proprieta’, che non vuole una integrazione urbana, ma una esclusivita’ sociale (che si autoesclude e percio’ esclude da se’ gli altri) che mi fa paura” Una paura che condivido; un modo un po’ troppo cialtrone e leghista di affrontare un problema che realissimo non trova sbocchi civili da troppo tempo Lo stile e’ particolarmente piacevole, il linguaggio colloquiale e diretto, le tesi poco ridondanti e molto centrate. Insomma darei un voto alto e un bel complimento al nostro architetto/scrittore. E ovviamente un invito a procurarsi il libro. |