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Salvatore De Luca
- Ribaltamento della formula di Clausewitz : concetto di “nemico qualunque”
Estratto della proposizione XIV del cap. 13 (7000 av. Cristo, apparato di
cattura) del volume Mille plateaux di F. Guattari e G. Deleuze, 1980. Delle 14 proposizioni che compongono la lunghissima trattazione dei due
grandi concatenamenti “macchina da guerra” e “apparato di Stato”,
l’ultima sembra mettere un punto fermo alla antica/recente querelle
innestatasi sull’assunto della guerra come “prosecuzione della politica”
di von Clausewitz, a partire dal quale non pochi si sono dilettati
nell’eseguire, come un semplice gioco di prestigio, lo scambio di parole. Proposizione XIV: Assiomatica e situazione attuale “La politica non è certo una scienza apodittica. Essa procede per
sperimentazione, brancolamento, iniezione, ritirata, avanzate,
indietreggiamenti. I fattori di decisione e previsione sono limitati. Sarebbe
un’assurdità supporre un sovragoverno mondiale che deciderebbe in ultima
istanza. Non si arriva neppure a prevedere l’aumento di una massa monetaria.
Nello stesso modo, gli Stati sono intaccati da ogni specie di coefficienti
d’incertezza e di imprevedibilità. Galbraith, Francois Chatelet, enucleano il
concetto di errori decisivi e costanti che fanno la gloria degli uomini di Stato
quanto le loro rare valutazioni riuscite. E’ dunque una ragione in più per
avvicinare politica e assiomatica. Perchè un’assiomatica in scienza non è
per nulla una potenza trascendentale, autonoma e decisoria, che si opporrebbe
alla sperimentazione e all’intuizione. Da una parte, essa ha brancolamenti,
sperimentazioni, modi di intuizione, che le sono propri. Essendo indipendenti
gli uni dagli altri, agli assiomi si possono aggiungere nuovi assiomi, e fino a
che punto (sistema saturo)? A questo punto gli autori compongono una serie di elementi di questo
funzionamento (aggiunta, sottrazione, saturazione, modelli, isomorfismo,
potenza, terzo incluso, minoranze, proposizioni indecidibili), ai quali
rimandiamo per eventuali approfondimenti. “4. La potenza. Supponiamo che l’assiomatica liberi necessariamente una
potenza superiore a quella che tratta, cioè a quella degli insiemi che le
servono da modello. E’ come una potenza del continuo, legata all’assiomatica
e che tuttavia la oltrepassa. Riconosciamo questa potenza immediatamente come
potenza di distruzione, di guerra, incarnata in complessi tecnologici militari,
industriali e finanziari, in continuità gli uni con gli altri. Da una parte, la
guerra segue evidentemente lo stesso movimento del capitalismo: proprio come il
capitale costante cresce proporzionalmente, la guerra diviene sempre più <
guerra di materiali > , in cui l’uomo non rappresenta nemmeno più un
capitale variabile d’assoggettamento, ma un puro elemento d’asservimento
macchinico. D’altra parte, e soprattutto, l’importanza crescente del
capitale costante nell’assiomatica fa in modo che il deprezzamento del
capitale esistente e la formazione di un nuovo capitale assumano un ritmo ed
un’ampiezza che passano necessariamente attraverso una macchina da guerra
incarnata ora nei complessi: questa partecipa attivamente alle ridistribuzioni
del mondo imposte dallo sfruttamento delle risorse marittime e planetarie. C’è
una < soglia > continua della potenza che accompagna ogni volta il
trasporto dei < limiti > dell’assiomatica; come se la potenza di guerra
venisse sempre a sovrasaturare la saturazione del sistema e la condizionasse. Ai
conflitti classici tra Stati del centro (e colonizzazione periferica) si sono
aggiunte o meglio sostituite due grandi linee conflittuali, tra l’Ovest e
l’Est, tra il Nord e il Sud, che si intersecano e ricoprono l’insieme. Ora
non solo l’armamento ad oltranza dell’Ovest e dell’Est lascia sussistere
interamente la realtà delle guerre locali e dà loro una nuova forza e nuove
poste in gioco; non solo esso fonda la possibilità NOTE:
Estratto della proposizione IX del cap. 12 (1227. Trattato di nomadologia: la macchina da guerra) del volume Mille plateaux di F. Guattari e G. Deleuze, 1980. Qui l’analisi si sviluppa per domande, dubbi, arretramenti, consolidamenti, acquisizioni momentanee e successive, per cui è necessario seguirne tutto il percorso, man mano sempre più stimolante e affascinante. Anzitutto tre questioni: “la battaglia è l’ < oggetto > della guerra? Ma anche: la guerra è l’ < oggetto > della macchina da guerra? E infine, in che misura la macchina da guerra è < oggetto > dell’ apparato di Stato? L’ambiguità dei primi due problemi deriva certamente dal termine oggetto, ma implica la loro dipendenza dal terzo. Tuttavia questi problemi devono essere considerati progressivamente, anche se si è costretti a moltiplicare i casi. La prima domanda, quella sulla battaglia, comporta infatti la distinzione immediata di due casi, quello in cui la battaglia è cercata, quello in cui è essenzialmente evitata dalla macchina da guerra. Questi due casi non coincidono affatto con offensiva e difensiva. Ma la guerra in senso stretto (secondo una concezione che culmina con Foch) sembra realmente aver per oggetto la battaglia, mentre la guerriglia si propone esplicitamente la non-battaglia. Tuttavia lo sviluppo della guerra in guerra di movimento e in guerra totale mette a sua volta in questione la nozione di battaglia, sia dal punto di vista dell’offensiva che della difensiva: la non-battaglia sembra poter esprimere la velocità di un attacco-lampo o la contro-velocità di una replica immediata (nota 97). Inversamente, dall’altra parte, lo sviluppo della guerriglia implica un momento e delle forme in cui la battaglia dev’essere effettivamente ricercata, in rapporto con < punti di appoggio > esterni e interni. Ed è vero che guerriglia e guerra non cessano di scambiarsi i loro metodi, in un senso non meno che nell’altro (ad esempio, si è insistito spesso sulle ispirazioni che la guerriglia su terra traeva dalla guerra marittima). Si può dunque dire soltanto che battaglia e non-battaglia sono il duplice oggetto della guerra, secondo un criterio che non coincide con l’offensiva e la difensiva e neppure con la guerra e la guerra di guerriglia”. Ci si chiederà allora “se la guerra stessa sia l’oggetto della macchina da guerra. Non è affatto scontato. In quanto la guerra (con o senza battaglia) si propone l’annientamento o la capitolazione delle forze nemiche, la macchina da guerra non ha necessariamente come oggetto la guerra (ad esempio, la razzia sarebbe un altro oggetto, più che una forma particolare di guerra). Ma, più in generale, abbiamo visto che la macchina da guerra è l’invenzione nomade, perché è nella sua essenza l’elemento costitutivo dello spazio liscio, dell’occupazione di questo spazio, dello spostamento in questo spazio e della composizione corrispondente degli uomini: è questo il suo solo e vero oggetto positivo (nomos). Far crescere il deserto, la steppa, tutto il contrario che spopolarli. Se la guerra ne deriva necessariamente, è perché la macchina da guerra si scontra con gli Stati e le città, come con le forze (di striatura) che si oppongono all’oggetto positivo: da quel momento, la macchina da guerra ha per nemico lo Stato, la città, il fenomeno statale e urbano e si assegna l’obiettivo di annientarli. E’ allora che diventa guerra: annientare le forze di Stato, distruggere la forma-Stato. L’avventura di Attila o di Gengis Khan mostra bene questa successione dell’oggetto positivo e dell’oggetto negativo”. Operato un rapido excursus attraverso Aristotele (la guerra accompagnerebbe o completerebbe la macchina da guerra), Derrida ( si parla di < supplemento >), Mosè (la macchina dei Giusti, già macchina da guerra, ma non ancora avente la guerra come oggetto) , infine Kant (il rapporto della guerra con la macchina da guerra è necessario e < sintetico > , e Yaveh ne effettua la sintesi), si giunge a una prima provvisoria conclusione : il problema della guerra si trova “a sua volta messo da parte e si subordina ai rapporti macchina da guerra-apparato di Stato. Non sono gli Stati a fare la guerra per primi: certo, la guerra non è un fenomeno che si ritrovi nell’universalità della Natura, in quanto violenza indifferenziata. Ma essa non è l’oggetto degli Stati, sarebbe piuttosto il contrario. Gli Stati più arcaici non sembrano nemmeno avere una macchina da guerra e vedremo che il loro dominio si fonda su altre istanze (che comportano, in compenso, polizia e carceri). Si può supporre che, fra le ragioni misteriose del brusco annientamento di Stati arcaici tuttavia potenti, vi sia precisamente l’intervento di una macchina da guerra estrinseca o nomade, che reagisce contro di essi e li distrugge. Ma lo Stato fa presto a capire. Uno dei problemi più grandi dal punto di vista della storia universale sarà: in che modo lo Stato si approprierà della macchina da guerra, cioè se ne costruirà una, conforme alla sua misura, al suo dominio e ai suoi fini ? E con quali rischi ? (Chiamiamo istituzione militare o esercito non certo la macchina da guerra stessa, ma la forma sotto la quale lo Stato se ne appropria). Per cogliere il carattere paradossale di una simile impresa, bisogna ricapitolare l’insieme dell’ipotesi : 1) la macchina da guerra è l’invenzione nomade che non ha nemmeno la guerra come oggetto primario, ma come obiettivo secondario, supplementare o sintetico, nel senso che si trova determinata a distruggere la forma-Stato o la forma-città con la quale si scontra; 2) quando lo Stato si appropria della macchina da guerra, quest’ultima cambia, evidentemente, natura e funzione, poiché viene allora diretta contro i nomadi e tutti i distruttori di Stati, oppure esprime relazioni fra Stati, in quanto uno Stato aspira semplicemente a distruggerne un altro o ad imporgli i propri obiettivi; 3) ma, precisamente quando lo Stato se ne appropria, la macchina da guerra tende a prendere la guerra come oggetto diretto e primario, come oggetto < analitico > (e la guerra tende a prendere come oggetto la battaglia). Simultaneamente, insomma, l’apparato di Stato si appropria della macchina da guerra, la macchina da guerra prende la guerra per oggetto e la guerra diviene subordinata ai fini dello Stato. La questione dell’appropriazione è storicamente così vasta che bisogna distinguere diverse specie di problemi. Il primo concerne la possibilità dell’operazione: precisamente perché ha la guerra soltanto come oggetto supplementare o sintetico, la macchina da guerra nomade incontrerà l’esitazione che le sarà fatale, mentre l’apparato di Stato potrà impossessarsi della guerra e ritorcere, dunque, la macchina da guerra contro i nomadi. L’esitazione del nomade è stata spesso presentata in modo leggendario: che fare delle terre conquistate e attraversate ? Restituirle al deserto, alla steppa, al grande pascolo, oppure lasciar sussistere un apparato di Stato capace di sfruttarle direttamente, a rischio di divenire a più o meno lunga scadenza, una semplice nuova dinastia di quest’apparato ? La scadenza è più o meno lunga, poiché ad esempio i Gengiskanidi han potuto resistere per molto tempo integrandosi parzialmente agli imperi conquistati, ma conservando anche tutto uno spazio liscio delle steppe cui erano subordinati i centri imperiali. Fu il loro genio, Pax mongolica. Resta il fatto che l’integrazione dei nomadi agli imperi conquistati è stata uno dei più potenti fattori dell’appropriazione della macchina da guerra da parte dell’apparato di Stato: l’inevitabile pericolo al quale i nomadi han dovuto soccombere. Ma c’è anche l’altro pericolo, quello che minaccia lo Stato quando si appropria della macchina da guerra (tutti gli Stati hanno sentito il peso di questo pericolo e i rischi che correvano con quest’appropriazione). Tamerlano ne sarebbe l’esempio estremo, non già il successore, ma l’esatto contrario di Gengis Khan: Tamerlano costruisce una prodigiosa macchina da guerra rivolta contro i nomadi, ma, proprio per questo, deve erigere un apparato di Stato tanto più pesante e improduttivo in quanto non esiste se non come la forza vuota d’appropriazione di questa macchina (nota 98). Ritorcere la macchina da guerra contro i nomadi può rappresentare per lo Stato un pericolo non inferiore a quello dei nomadi che dirigono la macchina da guerra contro gli Stati. Un secondo tipo di problemi riguarda le forme concrete con cui si compie l’appropriazione della macchina da guerra: mercenari o milizia territoriale? Esercito di mestiere o esercito di coscrizione? Corpi speciali o reclutamento nazionale? Non soltanto queste formule non si equivalgono, ma vi sono fra di esse tutti i miscugli possibili. La distinzione più pertinente o più generale potrebbe essere : c’è soltanto < incastamento > della macchina da guerra oppure < appropriazione > in senso stretto? La cattura della macchina da guerra da parte dell’apparato di Stato si è compiuta infatti secondo due vie, incastare una società di guerrieri (venuti dall’esterno o usciti dall’interno), o, al contrario, costituirla secondo regole corrispondenti all’intera società civile. E anche qui passaggio e transizione da una formula all’altra. Il terzo tipo di problemi riguarda infine gli strumenti dell’appropriazione. Da questo punto di vista, bisognerebbe considerare i diversi dati concernenti gli aspetti fondamentali dell’apparato di Stato: la territorialità, il lavoro o i lavori pubblici, la fiscalità. La costituzione di un’istituzione militare o di un esercito implica necessariamente una territorializzazione della macchina da guerra, ossia concessioni di terre, < coloniali > o interne, che possono assumere forme molto varie. Ma allora dei regimi fiscali determinano sia la natura dei servizi e delle imposte cui sono tenuti i beneficiari guerrieri sia soprattutto la natura dell’imposta civile alla quale, inversamente, la società o una sua frazione è sottomessa per il mantenimento dell’esercito. E, nello stesso tempo, l’impresa di Stato dei lavori pubblici deve riorganizzarsi in funzione di uno < sfruttamento razionale del territorio > in cui l’esercito svolge un ruolo determinante, non soltanto con le fortezze e le piazzaforti, ma con le comunicazioni strategiche, la struttura logistica, l’infrastruttura industriale, ecc. (ruolo e funzione dell’ Ingegnere in questa forma dell’appropriazione (nota 99). Ci si permetta di confrontare l’insieme di quest’ipotesi con la formula di Clausewitz: < la guerra è la continuazione delle relazioni politiche con altri mezzi >. E’ noto che questa formula è estratta da un insieme teorico e pratico, storico e trans-storico, i cui elementi sono legati fra loro: 1) c’è un puro concetto della guerra come guerra assoluta, incondizionata, Idea non data nell’esperienza (abbattere o < rovesciare > il nemico, che si suppone essere senza altra determinazione, senza considerazione politica, economica o sociale); 2) quel che è dato, sono le guerre reali in quanto sottomesse a fini di Stati, che sono < conduttori > più o meno buoni in rapporto alla guerra assoluta e in ogni modo ne condizionano la realizzazione nell’esperienza; 3) le guerre reali oscillano fra due poli, entrambi sottomessi alla politica di Stato: guerra d’annientamento che può andare sino alla guerra totale (secondo gli obiettivi su cui l’annientamento si dirige) e tende ad avvicinarsi al concetto incondizionato per ascesa agli estremi; guerra limitata, che non è < meno > guerra, ma opera una discesa più vicina alle condizioni limitative e può arrivare a una semplice < osservazione armata > (nota 100). In primo luogo, questa distinzione tra una guerra assoluta come Idea e delle guerre reali ci sembra di grande importanza, ma con la possibilità di un criterio diverso da quello di Clausewitz. L’idea pura non sarebbe quella di un’eliminazione astratta dell’avversario, ma quella di una macchina da guerra che appunto non ha la guerra come oggetto e che mantiene con la guerra soltanto un rapporto sintetico, potenziale o supplementare. Sicchè la macchina da guerra nomade non ci sembra, come in Clausewitz, un caso di guerra reale fra gli altri, ma al contrario il contenuto adeguato all’ Idea, l’invenzione dell’ Idea, con i suoi oggetti propri, spazio e composizione del nomos. Tuttavia, è veramente un’ Idea e bisogna conservare il concetto d’ Idea pura, benché questa macchina da guerra sia stata realizzata dai nomadi. Ma sono i nomadi piuttosto a restare un’astrazione, un’ Idea, qualcosa di reale e non attuale, per molte ragioni: in primo luogo perché, come abbiamo visto, i dati del nomadismo si mischiano di fatto con dati di migrazione, d’itineranza e di transumanza, che non offuscano la purezza del concetto, ma introducono oggetti sempre misti o combinazione di spazio e di composizione, che reagiscono già sulla macchina da guerra. In secondo luogo, anche nella purezza del suo concetto, la macchina da guerra nomade effettua necessariamente il suo rapporto sintetico con la guerra come supplemento, scoperto e sviluppato contro la forma-Stato che si tratta di distruggere. Ma, appunto, essa non effettua quest’oggetto supplementare o questo rapporto sintetico senza che lo Stato, da parte sua, non vi trovi l’occasione di appropriarsi della macchina da guerra e il mezzo per fare della guerra l’oggetto diretto di questa macchina rovesciata (per cui l’integrazione del nomade allo Stato è un vettore che attraversa il nomadismo fin dall’inizio, dal primo atto della guerra contro lo Stato). Il problema, dunque, non è tanto quello della realizzazione della guerra, quanto dell’appropriazione della macchina da guerra. E’ nello stesso tempo che l’apparato di Stato si appropria della macchina da guerra, la subordina a fini < politici > e le dà per oggetto diretto la guerra. Ed è una stessa tendenza storica che porta gli Stati ad evolversi da un triplice punto di vista: passare dalle figure di < incastamento > a forme di appropriazione in senso stretto, passare dalla guerra limitata alla guerra detta totale e trasformare il rapporto del fine e dell’oggetto. Ora, i fattori che fanno della guerra di Stato una guerra totale sono strettamente legati al capitalismo: si tratta dell’investimento del capitale costante in materiale, industria ed economia di guerra e dell’investimento del capitale variabile in popolazione fisica e morale (ad un tempo come popolazione che fa la guerra e che la subisce (nota 101)). Infatti, la guerra totale non è semplicemente una guerra d’annientamento, ma sorge quando l’annientamento prende come < centro > non più soltanto l’esercito nemico né lo Stato nemico, ma la popolazione intera e la sua economia. Che questo doppio investimento possa effettuarsi solamente nelle condizioni preliminari della guerra limitata, mostra il carattere irresistibile della tendenza capitalistica a sviluppare la guerra totale (nota 102). E’ dunque vero che la guerra totale resta subordinata a fini politici di Stato e realizza soltanto il massimo delle condizioni dell’appropriazione della macchina da guerra da parte dell’apparato di Stato. Ma è vero anche che, quando l’oggetto della macchina da guerra appropriata diviene guerra totale, a questo livello di un insieme di tutte le condizioni, l’oggetto e il fine entrano in nuovi rapporti che possono arrivare alla contraddizione. Di qui l’esitazione di Clausewitz quando mostra a volte che la guerra totale resta una guerra condizionata dal fine politico degli Stati e, altre volte, che essa tende a effettuare l’idea della guerra incondizionata. Infatti, lo scopo rimane essenzialmente politico e determinato come tale dallo Stato ma l’oggetto stesso è divenuto illimitato. Si direbbe che l’appropriazione si sia rovesciata, o meglio che gli Stati tendano a ricostituire un’immensa macchina da guerra di cui sono ormai soltanto le parti, opponibili o giustapposte. Questa macchina da guerra mondiale, che, in un certo senso, < torna ad uscire > dagli Stati, presenta due figure successive: dapprima quella del fascismo che fa della guerra un movimento illimitato che non ha più altro fine che se stesso; ma il fascismo è soltanto un abbozzo e la figura post-fascista è quella di una macchina da guerra che prende direttamente la pace per oggetto, come pace del Terrore o della Sopravvivenza. La macchina da guerra riforma uno spazio liscio che aspira adesso a controllare, a circondare tutta la terra. La guerra totale stessa è superata, verso una forma di pace ancor più terrificante. La macchina da guerra ha preso su di sé lo scopo, l’ordine mondiale, e gli Stati non sono più che oggetto o strumenti asserviti a questa nuova macchina. E’ qui che la formula di Clausewitz si rovescia effettivamente; perché, per poter dire che la politica è la prosecuzione della guerra con altri mezzi, non basta invertire le parole come se si potesse pronunciarle in un senso o nell’altro; bisogna seguire il movimento reale alla conclusione del quale gli Stati, dopo essersi appropriati di una macchina da guerra ed averla asservita ai loro fini, forniscono ancora una macchina da guerra che prende su di sé il fine, si appropria degli Stati e assume sempre più delle funzioni politiche (nota 103). La situazione attuale probabilmente è disperata. Abbiamo visto la macchina da guerra mondiale prendere proporzioni sempre più grandi, come in un racconto di fantascienza; l’abbiamo vista attribuirsi come obiettivo una pace forse ancor più terribile della morte fascista; l’abbiamo vista mantenere o suscitare le più terribili guerre locali come suoi propri elementi; l’abbiamo vista fissare un nuovo tipo di nemico, che non era più un altro Stato, e nemmeno un altro regime, ma < il nemico qualunque > ; l’abbiamo vista montare i suoi ingranaggi di controguerriglia, in modo tale che la si può sorprendere una volta, non due….. Tuttavia le condizioni stesse della macchina da guerra di Stato o di Mondo, ossia il capitale costante (risorse e materiale) e il capitale variabile umano, non cessano di ricreare delle possibilità di repliche inattese, d’iniziative impreviste che determinano macchine mutanti, minoritarie, popolari, rivoluzionarie. Lo conferma la definizione del Nemico qualsiasi…. < multiforme, manovriero e onnipresente…., d’ordine economico, sovversivo, politico, morale, ecc. > , l’indeterminabile Sabotatore materiale o Disertore umano dalle forme più diverse (nota 104)”. Avviandosi rapidamente alla conclusione , viene riassunto un po’ tutto il percorso finora seguito, ed i relativi nodi teorici che la materia ha progressivamente evidenziato. Naturalmente il rimando è ai due capitoli in questione (il 12 e il 13), perché si arrivi a comprendere e il senso e la terminologia adottata (e ogni termine ha un retroterra di costruzione analitica non indifferente), fino alla rigorosa intuizione del “ribaltamento” di cui sono stati qui presentati i risultati. “Abbiamo cercato di definire due poli della macchina da guerra: secondo il primo, essa prende la guerra come oggetto e forma una linea di distruzione prolungabile fino al limite dell’universo. Ora, sotto tutti gli aspetti che assume qui, guerra limitata, guerra totale, organizzazione mondiale, non rappresentano affatto l’essenza supposta della macchina da guerra, ma soltanto, qualunque sia la sua potenza, l’insieme delle condizioni in cui gli Stati si appropriano di questa macchina, salvo alla fine proiettarla come l’orizzonte del mondo o l’ordine dominante di cui gli Stati stessi non sono più che delle parti. L’altro polo ci sembrava essere quello dell’essenza, quando la macchina da guerra, con < quantità > infinitamente più piccole, ha per oggetto non la guerra, ma il tracciato di una linea di fuga creatrice, la composizione di uno spazio liscio e del movimento degli uomini in questo spazio. Secondo questo polo, la macchina da guerra incontra certamente la guerra, ma come suo oggetto sintetico e supplementare, diretto allora contro lo Stato e contro l’assiomatica mondiale espressa dagli Stati. Abbiamo creduto di trovare presso i nomadi questa invenzione della macchina da guerra. Era soltanto nella preoccupazione storica di mostrare che essa fu inventata come tale, anche se presentava fin dall’inizio tutto l’equivoco che la faceva venire a patti con l’altro polo e oscillare già verso di esso. Ma, conformemente all’essenza, non sono i nomadi ad averne il segreto: un movimento artistico, scientifico, < ideologico > , può essere una macchina da guerra potenziale, proprio in quanto traccia un piano di consistenza, una linea di fuga creatrice, uno spazio liscio di spostamento, in rapporto con un phylum. Non è il nomade a definire quest’insieme di caratteri, è quest’insieme a definire il nomade e, nello stesso tempo, l’essenza della macchina da guerra. La guerriglia, la guerra di minoranza, la guerra popolare e rivoluzionaria, sono conformi all’essenza perché prendono la guerra come un oggetto tanto più necessario in quanto è soltanto < supplementare > : non possono fare la guerra se non a condizione di creare nello stesso tempo qualcosa d’altro, al limite nuovi rapporti sociali non organici. C’è una gran differenza fra questi due poli, anche e soprattutto dal punto di vista della morte: la linea di fuga che crea, oppure che volge in linea di distruzione; il piano di consistenza che si costituisce, anche a pezzo a pezzo, oppure che volge in piano di organizzazione e di dominio. Che ci sia comunicazione fra le due linee o i due piani, che ciascuno si nutra dell’altro, attinga dall’altro, lo si può vedere costantemente: la peggior macchina da guerra mondiale ricostituisce uno spazio liscio, per circondare e recintare la terra. Ma la terra fa valere le sue potenze di deterritorializzazione, le sue linee di fuga, i suoi spazi lisci che vivono e si aprono il cammino per una nuova terra. Il problema non è quello delle quantità, ma quello del carattere incommensurabile delle quantità che si fanno fronte nei due tipi di macchine da guerra, secondo i due poli. Macchine da guerra si costituiscono contro gli apparati che si appropriano della macchina e che fanno della guerra il loro problema e il loro oggetto: esse fan valere delle connessioni, di fronte alla grande congiunzione degli apparati di cattura o di dominio”.
Gilles Deleuze et sa fille, rue de Bizerte, Paris, 1972 |