POESIE DI TRILUSSA

EL LEONE RICONOSCENTE - LE BESTIE E ER CRUMIRO - CARITÁ CRISTIANA - LA GRATITUDINE - LA SPADA E ER CORTELLO - ER TESTAMENTO D'UN ARBERO - L'INCONTENTABBILITÁ - FELICITÁ - LA POESIA - AVARIZZIA - INVIDIA - ACCIDIA - IRA - LUSSURIA - L'INDOVINA DE LE CARTE - DISPIACERI AMOROSI - LA DIPROMAZIA - ER CECO - L'EROE AR CAFFÈ - LISETTA C'OR SIGNORINO - LE BESTIE E ER CRUMIRO- ER PRINCIPE RIVOLUZZIONARIO PARLA AR CAMERIERE - LA SINCERITÀ NE LI COMIZZI - LA POLITICA - LA LIBBERTÀ - L'UGUAGLIANZA - LA FRATELLANZA - LA VERITÀ - LA STATISTICA

 

EL LEONE RICONOSCENTE

Ner deserto dell'Africa, un Leone che j'era entrato un ago drento ar piede, chiamò un Tenente pe' l'operazzione. -- Bravo! -- je disse doppo -- Io t'aringrazzio: vedrai che te sarò riconoscente d'avemme libberato da 'sto strazzio; qual'è er pensiere tuo? d'esse promosso? Embè, s'io posso te darò 'na mano...-- E in quela notte istessa mantenne la promessa più mejo d'un cristiano; ritornò dar Tenente e disse: -- Amico, la promozzione è certa, e te lo dico perché me so' magnato er Capitano.

IL LEONE RICONOSCENTE

Nel deserto africano, un Leone al quale era entrata una spina in un piede, chiamò un Tenente per l'operazione. -- Bravo! -- gli disse dopo -- Io ti ringrazio: vedrai che ti sarò riconoscente per avermi liberato da questo strazio; qual'è il tuo cruccio? di essere promosso? Ebbene, se posso ti darò una mano...-- E quella notte stessa mantenne la promessa meglio di un uomo; tornò dal Tenente e disse: -- Amico, la promozione è certa, e te lo dico perché mi son mangiato il Capitano.

 

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LE BESTIE E ER CRUMIRO

Una volta un Cavallo strucchione c'ogni tanto cascava pe' strada scioperò pe' costringe er Padrone a passaje più fieno e più biada: ma er Padrone s'accorse der tiro e pensò de pijasse un crumiro. Chiamò er Mulo, ma er Mulo rispose: -- Me dispiace, ma propio nun posso: se Dio guardi je faccio 'ste cose li cavalli me sarteno addosso...-- Er Padrone, pe' mette un riparo, Fu costretto a ricorre ar Somaro. -- Nun pò sta' che tradisca un compagno -- dice er Ciuccio -- so' amico der Mulo -- e pur'io, come lui, se nun magno tiro carci, m'impunto e rinculo... Come vòi che nun sia solidale Si ciavemo l'istesso ideale? Chiama l'Omo, e sta' certo che quello fa er crumiro co' vera passione Per un sòrdo se venne er fratello, Pe' du' sòrdi va dietro ar padrone, finché un giorno tradisce e rinnega er fratello, er padrone e la Lega.

 

 

LE BESTIE E IL CRUMIRO

Una volta un vecchio cavallo che ogni tanto cadeva per strada scioperò per costringere il Padrone a concedergli più fieno e più biada: ma il Padrone s'accorse del tiro e pensò di prendersi un crumiro. Chiamò il Mulo, ma il Mulo rispose: -- Mi dispiace, ma proprio non posso: se faccio queste cose, Dio ci scampi, i cavalli mi saltano addosso...-- Il Padrone, per metter riparo, fu costretto a ricorrere al Somaro. -- È impossibile che tradisca un compagno:-- disse l'Asino -- sono amico del Mulo, e anch'io, come lui, se non mangio tiro calci, m'impunto e rinculo... Come vuoi che non sia solidale Se abbiamo lo stesso ideale? Chiama l'Uomo, certo che quello fa il crumiro con vera passione: per un soldo si vende il fratello, per due soldi va dietro al padrone, finché un giorno tradisce e rinnega il fratello, il padrone e la Lega.

 

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CARITA' CRISTIANA

Er Chirichetto d'una sacrestia sfasciò l'ombrello su la groppa a un gatto pe' castigallo d'una porcheria. -- Che fai? - je strillò er Prete ner vedello -- Ce vò un coraccio nero come er tuo pe' menaje in quer modo... Poverello!... -- Che? -- fece er Chirichetto -- er gatto è suo? -- Er Prete disse: -- No... ma è mio l'ombrello!-

CARITA' CRISTIANA

Il Chierichetto di una sacrestia ruppe l'ombrello sulla schiena ad un gatto per castigarlo di una porcheria. -- Che fai? -- gli strillò il Prete nel vederlo -- Ci vuole un cuore malvagio come il tuo per batterlo in quel modo... Poverello!... -- Cosa? -- disse il Chierichetto -- il gatto è suo? Il Prete disse -- No... ma è mio l'ombrello!

 

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LA GRATITUDINE

Mentre magnavo un pollo, er Cane e er Gatto pareva ch'aspettassero la mossa dell'ossa che cascaveno ner piatto. E io, da bon padrone, facevo la porzione, a ognuno la metà: un po' per uno, senza particolarità. Appena er piatto mio restò pulito er Gatto se squajò. Dico: -- E che fai? -- Eh, -- dice -- me ne vado, capirai, ho visto ch'hai finito... -- Er Cane invece me sartava al collo riconoscente come li cristiani e me leccava come un francobbollo. -- Oh! Bravo! -- dissi -- Armeno tu rimani! -- Lui me rispose: -- Si, perché domani magnerai certamente un antro pollo!

LA GRATITUDINE

Mentre mangiavo un pollo, il Cane e il Gatto sembrava che aspettassero il movimento delle ossa che cadevano nel piatto. E io, da buon padrone, facevo la porzione, a ognuno la metà: un po' per uno, senza parzialità. Appena il mio piatto retò pulito, il gatto si defilò. Dico: -- E cosa fai? -- -- Eh, -- dice -- me ne vado, capirai, ho visto che hai finito... -- Il Cane invece mi saltava al collo riconoscente come gli uomini e mi leccava come un francobollo. -- Oh! Bene! -- dissi -- Almeno tu rimani! -- Lui mi rispose: -- Si, perché domani mangerai certamente un altro pollo!

 

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LA SPADA E ER CORTELLO

Un vecchio Cortello diceva a la Spada: -- Ferisco e sbudello la gente de strada, e er sangue che caccio da quele ferite diventa un fattaccio, diventa 'na lite...-- Rispose la Spada: -- Io puro sbudello, ma faccio 'ste cose sortanto in duello, e quanno la lama l'addopra er signore la lite se chiama partita d'onore!

LA SPADA E IL COLTELLO

Un vecchio coltello diceva alla Spada: -- Ferisco e sbudello la gente di strada, e il sangue che verso da quelle ferite diventa un fattaccio, diventa una lite...-- Rispose la Spada: -- Io pure sbudello, ma faccio queste cose soltanto in duello, e quando la lama la usa il signore la lite si chiama partita d'onore!

 

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ER TESTAMENTO D'UN ARBERO

Un Arbero d'un bosco chiamò l'ucelli e fece testamento: -- Lascio li fiori ar mare, lascio le foje ar vento, li frutti ar sole e poi tutti li semi a voi. A voi, poveri ucelli, perché me cantavate le canzone ne la bella staggione. E vojo che li stecchi, quanno saranno secchi, fàccino er foco pe' li poverelli. Però v'avviso che sur tronco mio c'è un ramo che dev'esse ricordato a la bontà dell'ommini e de Dio. Perché quer ramo, semprice e modesto, fu forte e generoso: e lo provò er giorno che sostenne un omo onesto quanno ce s'impiccò.

IL TESTAMENTO DI UN ALBERO

Un Albero di un bosco chiamò gli uccelli e fece testamento: -- Lascio i fiori al mare, lascio le foglie al vento, i frutti al sole e poi tutti i semi a voi. A voi, poveri uccelli, perché mi cantavate le canzoni nella bella stagione. E voglio che gli sterpi, quando saranno secchi, facciano il fuoco per i poverelli. Però vi avviso che sul mio tronco c'è un ramo che dev'essere ricordato alla bontà degli uomini e di Dio. Perché quel ramo, semplice e modesto, fu forte e generoso: e lo provò il giorno che sostenne un uomo onesto quando ci si impiccò.

 

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L'INCONTENTABBILITA'

Iddio pijò la fanga dar pantano, formò un pupazzo e je soffiò sur viso. Er pupazzo se mosse a l'improviso e venne fòra subbito er cristiano ch'aperse l'occhi e se trovò ner monno com'uno che se sveja da un gran sonno. -- Quello che vedi è tuo -- je disse Iddio -- e lo potrai sfruttà come te pare: te do tutta la Terra e tutt'er Mare, meno ch'er Celo, perché quello è mio... -- Peccato! -- disse Adamo -- È tanto bello... Perché nun m'arigali puro quello?

L'INCONTENTABILITA'

Dio prese il fango dal pantano modellò un pupazzo e gli soffiò sul viso. Il pupazzo si mosse all'improvviso e venne fuori subito l'uomo che aprì gli occhi e si trovò nel mondo come uno che si svegli da un gran sonno. -- Quello che vedi è tuo -- gli disse Dio -- e lo potrai sfruttare come ti pare: ti do tutta la Terra e tutto il Mare, meno che il Cielo, perché quello è mio... -- Peccato! -- disse Adamo -- È tanto bello... Perché non mi regali anche quello?

 

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FELICITA'

C'è un'ape che se posa su un bottone de rosa: lo succhia e se ne va... Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.

FELICITA'

C'è un'ape che si posa su un bocciolo di rosa: lo succhia e se ne va... Tutto sommato, la felicità è una piccola cosa.

 

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LA POESIA

Appena se ne va l'urtima stella e diventa più pallida la luna c'è un Merlo che me becca una per una tutte le rose de la finestrella: s'agguatta fra li rami de la pianta, sgrulla la guazza, s'arinfresca e canta. L'antra matina scesi giù dar letto co' l'idea de vedello da vicino, e er Merlo furbo che capì el latino spalancò l'ale e se n'annò sur tetto. -- Scemo! -- je dissi -- Nun t'acchiappo mica...-- E je buttai du' pezzi de mollica. -- Nun è -- rispose er Merlo -- che nun ciabbia fiducia in te, ché invece me ne fido: lo so che nu m'infili in uno spido, lo so che nun me chiudi in una gabbia: ma sei poeta, e la paura mia è che me schiaffi in una poesia. È un pezzo che ce scocci co' li trilli! Per te, l'ucelli, fanno solo questo: chiucchiù, ciccì, pipì... Te pare onesto de facce fa la parte d'imbecilli senza capì nemmanco una parola de quello che ce sorte da la gola? Nove vorte su dieci er cinguettio che te consola e t'arillegra er core nun è pe' gnente er canto de l'amore o l'inno ar sole, o la preghiera a Dio: ma solamente la soddisfazzione d'avè fatto una bona diggestione.

LA POESIA

Appena se ne va l'ultima stella e diventa più pallida la luna c'è un Merlo che mi becca ad una ad una tutte le rose della finestrella: si nasconde fra i rami della pianta, scrolla la rugiada, si rinfresca e canta. L'altra mattina scesi dal letto con l'idea di vederlo da vicino, e il Merlo furbo che intuì la mia intenzione spalancò le ali e se ne andò sul tetto. -- Scemo! -- gli dissi -- Non ti acchiappo mica...-- E gli buttai due pezzi di mollica. -- Non è -- rispose il Merlo -- che non abbia fiducia in te, perché invece mi fido: lo so che non mi infili ad uno spiedo, lo so che non mi chiudi in una gabbia: ma sei poeta, e la paura mia è che mi metta in una poesia. È un pezzo che ci annoî con i trilli! Per te, gli ucelli, fanno solo questo: chiucchiù, ciccì, pipì... Ti sembra onesto di farci far la parte d'imbecilli senza capire nemmeno una parola di quello che ci esce dalla gola? Nove volte su dieci il cinguettio che ti consola e ti rallegra il cuore non è affatto il canto dell'amore o l'inno al sole, o la preghiera a Dio: ma solamente la soddisfazione d'aver fatto una buona digestione.

 

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AVARIZZIA

Ho conosciuto un vecchio ricco, ma avaro: avaro a un punto tale che guarda li quatrini ne lo specchio pe' vede raddoppiato er capitale. Allora dice: -- Quelli li do via perché ce faccio la beneficenza; ma questi me li tengo pe' prudenza... -- E li ripone ne la scrivania.

AVARIZIA

Ho conosciuto un vecchio ricco, ma avaro: avaro a un punto tale che guarda i soldi nello specchio per veder raddoppiato il capitale. Allora dice: -- Quelli li do via perché ci faccio la beneficenza; ma questi me li tengo per prudenza... -- E li ripone nella scrivania.

 

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IRA

Lidia, ch'è nevrastenica, è capace che quanno liticamo per un gnente se dà li pugni in testa, espressamente perché lo sa che questo me dispiace. Io je dico: -- Sta' bona, amore mio, che sennò te fai male, core santo... -- Ma lei però fa peggio, infino a tanto che quarcheduno je ne do pur'io.

IRA

Lidia, che è nevrastenica, quando litighiamo per un nonnulla è capace di darsi i pugni in testa, apposta perché lo sa che questo mi dispiace. Io le dico: -- Stai buona, amore mio, altrimenti ti fai male, cuore santo... -- Ma lei però fa peggio, fino a quando non glie ne do qualcuno pure io.

 

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INVIDIA

Su li stessi scalini de la chiesa c'è uno sciancato co' la bussoletta e una vecchia co' la mano stesa. Ogni minuto lo sciancato dice: -- Moveteve a pietà d'un infelice che so' tre giorni che nun ha magnato... -- E la vecchia barbotta: -- Esaggerato!

INVIDIA

Sugli stessi scalini della chiesa c'è uno storpio con la bussoletta e una vecchia con la mano stesa. Ogni minuto lo sciancato dice: -- Muovetevi a pietà d'un infelice che son tre giorni che non ha mangiato... -- E la vecchia borbotta: -- Esagerato!

 

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ACCIDIA

In un giardino, un vagabonno dorme accucciato per terra, arinnicchiato, che manco se distingueno le forme. Passa una guardia: -- Alò! -- dice -- Cammina! -- Quello se smucchia e j'arisponne: -- Bravo! -- Me sveji propio a tempo! M'insognavo che stavo a lavorà ne l'officina!

ACCIDIA

In un giardino, un vagabondo dorme accucciato per terra, rannicchiato, che nemmeno se ne distingue la forma. Passa una guardia: -- Andiamo! -- dice -- Cammina! -- Quello si ricompone e gli risponde: -- Bravo! -- Mi svegli proprio a tempo! Sognavo che stavo lavorando nell'officina!

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IRA

Lidia, ch'è nevrastenica, è capace
che quanno liticamo per un gnente
se dà li pugni in testa, espressamente
perché lo sa che questo me dispiace.

Io je dico: - Sta' bona, amore mio,
che sennò te fai male, core santo... -
Ma lei però fa peggio, infino a tanto
che quarcheduno je ne do pur'io.

 

IRA

Lidia, che è nevrastenica,
quando litighiamo per un nonnulla
è capace di darsi i pugni in testa, apposta
perché lo sa che questo mi dispiace.

Io le dico: - Stai buona, amore mio,
altrimenti ti fai male, cuore santo... -
Ma lei però fa peggio, fino a quando
non glie ne dò qualcuno pure io.

 

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LUSSURIA

La Venere, coperta da una pianta
che je serve da ombrello quanno piove,
è tutta quanta ignuda: tutta quanta
liscia, pulita, lucida. ...Però,

a un certo punto, nun ve dico dove,
c'è scritto: "Checco Nocchia d'anni ottanta,
Roma, sei Maggio novecentonove...."
Che voleva er sor Checco? Nun lo so...

 

Lussuria

La Venere, coperta da una pianta
che le serve da ombrello quando piove,
è tutta nuda: tutta quanta
liscia, pulita, lucida. ...Però,

a un certo punto, non vi dico dove,
c'è scritto: "Checco Nocchia d'anni ottanta,
Roma, sei Maggio novecentonove...."
Cosa voleva il signor Checco? Non lo so...

 

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L'INDOVINA DE LE CARTE


-- Pe' fà le carte quanto t'ho da dà?
-- Cinque lire. -- Ecco qui; bada però
che m'hai da dì la pura verità...
-- Nun dubbitate che ve la dirò.

Voi ciavete un amico che ve vò
imbrojà ne l'affari. -- Nun po' stà
perché l'affari adesso nu' li fo.
-- Vostra moje v'inganna. -- Ma va' là!

So' vedovo dar tempo der cuccù!
-- V'arimmojate. -- E levete de qui!
Ce so' cascato e nun ce casco più!

-- Vedo sur fante un certo nun so che...
Ve so state arubbate... -- Oh questo sì:
le cinque lire che t'ho dato a te.

 


LA CARTOMANTE


-- Per fare le carte quanto chiedi?
-- Cinque lire. -- Ecco qui; bada però
che mi devi dire la pura verità...
-- Non dubitate, ve la dirò.

Voi avete un amico che vi vuole
imbrogliare negli affari. -- È impossibile
perché affari adesso non ne faccio.
-- Vostra moglie vi inganna. -- Ma va' là!

Sono vedovo da tempo immemorabile!
-- Vi riammogliate. -- E togliti di qui!
Ci son cascato e non ci casco più!

Vedo sul fante un certo non so che...
Vi sono state rubate... -- Oh questo sì:
la cinque lire che ho dato a te.

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Dispiaceri amorosi

Lei, quanno lui je disse: - Sai? te pianto... -
s'intese gelà er sangue ne le vene.
Povera fija! fece tante scene,
poi se buttò sul letto e sbottò un pianto.

- Ah! - diceva - je vojo troppo bene!
Io che j'avrebbe dato tutto quanto!
Ma c'ho fatto che devo soffrì tanto?
No, nun posso arisiste a tante pene!

O lui o gnisuno!... - E lì, tutto in un botto,
scense dar letto e, matta dar dolore,
corse a la loggia e se buttò de sotto.

Cascò de peso, longa, in mezzo ar vicolo...
E mò s'è innammorata der dottore
perché l'ha messa fòri de pericolo!

Dispiaceri amorosi

Quando lui le di#006600sse - Sai? Ti lascio...-
lei sentì il sangue gelarsi nelle vene.
Povera figlia! Fece tante scene,
poi si gettò sul letto e scoppiò a piangere.

- Ah! - diceva - gli voglio troppo bene!
Io che gli avrei dato tutto quanto!
Ma cosa ho fatto per soffrire tanto?
No, non posso resistere a così grandi pene!

O lui o nessuno!... - E lì, all'improvviso,
scese dal letto e, pazza di dolore,
corse alla loggia e si lanciò di sotto.

Cadde di peso, lunga, in mezzo al vicolo...
E adesso s'è innamorata del dottore
perché l'ha messa fuori pericolo!

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LA DIPROMAZIA

Naturarmente, la Dipromazzia
è una cosa che serve a la nazzione
pe' conservà le bone relazione,
co' quarche imbrojo e quarche furberia.

Se dice dipromatico pe' via
che frega co' 'na certa educazzione,
cercanno de nasconne l'opinione
dietro un giochetto de fisionomia.

Presempio, s'io te dico chiaramente
ch'ho incontrato tu' moje con un tale,
sarò sincero sì, ma so' imprudente.

S'invece dico: - Abbada co' chi pratica...
Tu resti co' le corna tale e quale
ma te l'avviso in forma dipromatica.

 

LA DIPLOMAZIA

Naturalmente, la diplomazia
è una cosa che serve alla nazione
per conservare le buone relazioni,
con qualche imbroglio e qualche furberia.

Si dice diplomatico per via
che inganna con una certa educazione,
cercando di nasconder le opinioni
dietro un gioco di apparenza.

Per esempio, se io ti dico chiaramente
che ho incontrato tua moglie con un tale,
sarò sincero sì, ma sono imprudente.

Se invece dico: - Attento a chi frequenta...
Tu resti con le corna tale e quale
ma te l'avviso in forma diplomatica.

 

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ER CECO

- I -

Su l'archetto ar cantone de la piazza,
ar posto der lampione che c'è adesso,
ce stava un Cristo e un Angelo de gesso
che reggeva un lumino in una tazza.

Più c'era un quadro, indove una regazza
veniva libberata da un'ossesso:
ricordo d'un miracolo successo,
sbiadito da la pioggia e da la guazza.

Ma una bella matina er propietario
levò l'archetto e tutto quer che c'era,
pe' dallo a Spizzichino l'antiquario.

Er Cristo agnede in Francia, e l'Angeletto
lo prese una signora forestiera
che ce guarnì la cammera da letto.

Il cieco

- I -

Sull'archetto all'angolo della piazza,
al posto del lampione che vi è adesso,
c'era un Cristo e un Angelo di gesso
che reggeva un lumino in una tazza.

Inoltre c'era un quadro, dove una ragazza
veniva liberata da un'ossesso:
ricordo d'un miracolo accaduto,
sbiadito dalla pioggia e dall'umidità.

Ma una bella mattina il proprietario
tolse l'archetto e tutto quel che c'era,
per darlo a Spizzichino l'antiquario.

Il Cristo andò in Francia, e l'Angioletto
lo prese una signora forestiera
che vi guarnì la camera da letto.

- II -

E adesso l'Angeletto fa er gaudente
in una bella cammeretta rosa,
sculetta e ride nella stessa posa
coll'ale aperte, spensieratamente.

Nun vede più la gente bisognosa
che je passava avanti anticamente,
dar vecchio stroppio ar povero pezzente
che je chiedeva sempre quarche cosa!

Nemmanco j'aritorna a la memoria
quer ceco c'ogni giorno, a la stess'ora,
je recitava la giaculatoria:

nemmeno quello! L'Angeletto antico
adesso regge er lume a la signora
e assiste a certe cose che nun dico!

- II -

E adesso l'Angioletto fa il gaudente
in una bella cameretta rosa,
si atteggia e ride nella stessa posa
con l'ali aperte, spensieratamente.

Non vede più la gente bisognosa
che gli passava davanti anticamente,
dal vecchio storpio al povero pezzente
che gli chiedeva sempre qualche cosa!

Nemmeno gli torna alla memoria
quel cieco che ogni giorno, alla stessa ora,
gli recitava la giaculatoria:

nemmeno quello! L'Angioletto antico
adesso regge il lume alla signora
e assiste a certe cose che non dico!

- III -

Er ceco camminava accosto ar muro
pe' nun pijà de petto a le persone,
cercanno co' la punta der bastone
ch'er passo fusse libbero e sicuro.

Nun ce vedeva, poveraccio, eppuro,
quanno sentiva de svortà er cantone
ciancicava la solita orazzione
coll'occhi smorti in quell'archetto scuro.

Perchè, s'aricordava, da cratura
la madre je diceva: - Lì c'è un Cristo,
preghelo sempre e nun avè paura...

E lui, ne li momenti de bisogno,
lo rivedeva, senza avello visto,
come una cosa che riluce in sogno...

- III -

Il cieco camminava rasente al muro
per non urtare contro le persone,
cercando con la punta del bastone
che il passo fosse libero e sicuro.

Non ci vedeva, poveraccio, eppure,
quando avvertiva di voltare l'angolo
borbottava la solita orazione
con gli occhi spenti in quell'archetto buio.

Perchè, si ricordava, da bambino
la madre gli diceva: - Lì c'è un Cristo,
pregalo sempre e non aver paura...

E lui, nei momenti di bisogno,
lo rivedeva, senza averlo visto,
come una cosa che riluce in sogno...

- IV -

Da cinque mesi, ar posto der lumino
che s'accenneva pe' l'avemmaria,
cianno schiaffato un lume d'osteria
cor trasparente che c'è scritto: Vino.

Ma er ceco crede sempre che ce sia
er Cristo, l'Angeletto e l'artarino,
e ner passà se ferma, fa un inchino,
recita un paternostro e rivà via...

L'ostessa, che spessissimo ce ride,
je vorebbe avvisà che nun c'è gnente,
ma quanno è ar dunque nun se sa decide.

- In fonno, - pensa - quann'un omo prega
Iddio lo pò sentì direttamente
senza guardà la mostra de bottega.

 

- IV -

Da cinque mesi, al posto del lumino
che s'accendeva per l'Ave Maria,
vi hanno messo un lume d'osteria
dove sul trasparente è scritto: Vino.

Ma il cieco crede sempre che vi sia
il Cristo, l'Angioletto e l'altarino,
e nel passare si ferma, fa un inchino,
recita un Pater Nostrum e rivà via...

L'ostessa, che spessissimo ci ride,
gli vorrebbe avvisare che non c'è niente,
ma quanno è al dunque non si sa decidere.

- In fondo, - pensa - quando un uomo prega
Iddio lo può udire direttamente
senza badare agli aspetti esteriori.

 

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L'EROE AR CAFFÈ

È stato ar fronte, sì, ma cór pensiero,
però te dà le spiegazzioni esatte
de le battaje che nun ha mai fatte,
come ce fusse stato per davero.

Avressi da vedé come combatte
ne le trincee d'Aragno! Che gueriero!
Tre sere fa , pe' prenne er Montenero,
ha rovesciato er cuccomo del latte!

Cór su' sistema de combattimento
trova ch'è tutto facile: va a Pola,
entra a Trieste e te bombarda Trento.

Spiana li monti, sfonna, spara, ammazza...
- Per me - barbotta - c'è una strada sola...
E intigne li biscotti ne la tazza.

t

L'eroe ar caffè

È stato al fronte, sì, ma col pensiero,
però ti dà le spiegazioni esatte
delle battaglie che non ha mai fatte,
come vi fosse stato per davvero.

Dovresti vedere come combatte
nelle trincee d'Aragno 1 ! Che guerriero!
Tre sere fa , per prendere il Montenero,
ha rovesciato il bricco del latte!

Col suo sistema di combattimento
trova ch'è tutto facile: va a Pola,
entra a Trieste e ti bombarda Trento.

Spiana i monti, sfonda, spara, ammazza...
- Per me - borbotta - c'è una strada sola...
E intinge i biscotti nella tazza.

t

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LISETTA C'OR SIGNORINO

Su, me faccia stirà la biancheria,
dia confidenza a chi je pare e piace:
nun me faccia inquietà, me lassi in pace:
la pianti, signorino, vada via...

Che straccio de vassallo, mamma mia!
No, levi quela mano, me dispiace,
se no lo scotto, abbadi so capace...
Dio, che forza che cià! Gesummaria!

Un bacio?.. È matto! No, che chiamo gente:
me lo vò da' pe' forza o per amore!
Eh! je l'ha fatta! Quanto è propotente!

Però... te n'è costata de fatica!
Dimme la verità, co' le signore
'sta resistenza nu' la trovi mica!

 

Lisetta col signorino

Su, mi faccia stirare la biancheria,
dia confidenza a chi le pare e piace:
non mi faccia adirare, mi lasci in pace:
la finisca, signorino, vada via...

Che gran birbante, mamma mia.
No, tolga quella mano, mi dispiace,
altrimenti la brucio, badi che ne sono capace...
Dio, che forza ha! Gesù e Maria!

Un bacio?.. È matto! No, o chiamo gente:
me lo vuole dare per amore o per forza!
Eh! Ce l'ha fatta! Quanto è prepotente!

Però... Te n'è costata di fatica!
Dimmi la verità, con le signore
Questa resistenza non la incontri mica!

 

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LE BESTIE E ER CRUMIRO

Una volta un Cavallo strucchione
c'ogni tanto cascava pe' strada
scioperò pe' costringe er Padrone
a passaje più fieno e più biada:
ma er Padrone s'accorse der tiro
e pensò de pijasse un crumiro.

Chiamò er Mulo, ma er Mulo rispose:
- Me dispiace, ma propio nun posso:
se Dio guardi je faccio 'ste cose
li cavalli me sarteno addosso...-
Er Padrone, pe' mette un riparo,
Fu costretto a ricorre ar Somaro.

- Nun pò sta' che tradisca un compagno -
dice er Ciuccio - so' amico der Mulo -
e pur'io, come lui, se nun magno
tiro carci, m'impunto e rinculo...
Come vòi che nun sia solidale
Si ciavemo l'istesso ideale?

Chiama l'Omo, e sta' certo che quello
fa er crumiro co' vera passione
Per un sòrdo se venne er fratello,
Pe' du' sòrdi va dietro ar padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
er fratello, er padrone e la Lega.

Le bestie e il crumiro

Una volta un vecchio cavallo
che ogni tanto cadeva per strada
scioperò per costringere il Padrone
a concedergli più fieno e più biada:
ma il Padrone s'accorse del tiro
e pensò di prendersi un crumiro.

Chiamò il Mulo, ma il Mulo rispose:
- Mi dispiace, ma proprio non posso:
se faccio queste cose, Dio ci scampi,
i cavalli mi saltano addosso...-
Il Padrone, per metter riparo,
fu costretto a ricorrere al Somaro.

- È impossibile che tradisca un compagno:-
disse l'Asino - sono amico del Mulo,
e anch'io, come lui, se non mangio
tiro calci, m'impunto e rinculo...
Come vuoi che non sia solidale
Se abbiamo lo stesso ideale?

Chiama l'Uomo, certo che quello
fa il crumiro con vera passione:
per un soldo si vende il fratello,
per due soldi va dietro al padrone,
finché un giorno tradisce e rinnega
il fratello, il padrone e la Lega.

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ER PRINCIPE RIVOLUZZIONARIO
PARLA AR CAMMERIERE

Quanno fa li discorsi, ciacconsento,
è rivoluzzionario e te l'ammetto:
ma quanno che nun parla cambia aspetto,
diventa de tutt'antro sentimento.

È a casa che succede er cambiamento:
povero me, se manco de rispetto!
o se ner daje un fojo nu' lo metto
come vò lui, ner gabbarè d'argento!

T'abbasti questo: quando va in campagna
a fa' le conferenze ner comizzio
la moje sua la chiama: la compagna.

La compagna? Benissimo: ma allora
perché co' le persone de servizzio
la seguita a chiamà: la mia signora?

 

Il principe rivoluzionario
parla il cameriere

Quando tiene i discorsi, è vero,
è rivoluzionario, lo ammetto:
ma quando non parla cambia aspetto,
diventa di tutt'altro umore.

È a casa che avviene il cambiamento:
povero me, se manco di rispetto!
o se nel dargli un foglio non lo metto
come vuole lui, nel vassoio d'argento!

Ti basti questo: quando va in campagna
a tenere le conferenze nei comizi
sua moglie la chiama: la compagna.

La compagna? Benissimo: ma allora
perché con le persone di servizio
continua a chiamarla: la mia signora?

 

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LA SINCERITÀ NE LI COMIZZI

Er deputato, a dilla fra de noi,
ar comizzio ciagnede contro voja,
tanto ch'a me me disse: - Oh Dio che noja!-,
Me lo disse: è verissimo, ma poi

sai come principiò? Dice: -È con gioja
che vengo, o cittadini in mezzo a voi,
per onorà li martiri e l'eroi,
vittime der pontefice e der boja!-

E, lì, rimise fòra l'ideali,
li schiavi, li tiranni, le catene,
li re, li preti, l'anticlericali...

Eppoi parlò de li principî sui:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ce rideva puro lui!

 

La sincerità nei comizi

Il deputato, per dirla fra di noi,
al comizio andò contro voglia,
tanto che mi disse: - Oh Dio che noia!-,
Me lo disse: è verissimo, ma poi

sai come cominciò? Disse: -È con gioia
che vengo, o cittadini in mezzo a voi,
per onorare i martiri e gli eroi,
vittime del pontefice e del boia!-

E, lì, ritirò fuori gli ideali,
gli schiavi, i tiranni, le catene,
i re, i preti, gli anticlericali...

E poi parlò dei principî suoi:
e allora pianse: pianse così bene
che quasi ci rideva pure lui!

 

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LA POLITICA

Ner modo de pensà c'è un gran divario:
mi' padre è democratico cristiano,
e, siccome è impiegato ar Vaticano,
tutte le sere recita er rosario;

de tre fratelli, Giggi ch'er più anziano
è socialista rivoluzzionario;
io invece so' monarchico, ar contrario
de Ludovico ch'è repubbricano.

Prima de cena liticamo spesso
pe' via de 'sti principî benedetti:
chi vò qua, chi vò là... Pare un congresso !

Famo l'ira de Dio ! Ma appena mamma
ce dice che so' cotti li spaghetti
semo tutti d'accordo ner programma.

 

La politica

C'è una gran varietà di opinioni:
mio padre è democratico cristiano,
e poiché è impiegato al Vaticano,
tutte le sere recita il rosario;

di tre fratelli, Luigi il più anziano
è socialista rivoluzionario;
io invece sono monarchico, al contrario
di Ludovico, che è repubblicano.

Prima di cena litighiamo spesso
per via di questi benedetti principî:
chi vuole qua, chi vuole là... Sembra un congresso !

Facciamo il finimondo ! Ma appena mamma
ci dice che sono cotti gli spaghetti
siamo tutti d'accordo nel programma.

 

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LA LIBBERTÀ

La Libbertà, sicura e persuasa
d'esse' stata capita veramente,
una matina se n'uscì da casa:
ma se trovò con un fottìo de gente
maligna, dispettosa e ficcanasa
che j'impedì d'annà' libberamente.

E tutti je chiedeveno: - Che fai? -
E tutti je chiedeveno: - Chi sei?
Esci sola? a quest'ora? e come mai?...
- Io so' la Libbertà! - rispose lei -
Per esse' vostra ciò sudato assai,
e mò che je l'ho fatta spererei...

- Dunque potemo fa' quer che ce pare... -
fece allora un ometto: e ner di' questo
volle attastalla in un particolare...
Però la Libbertà che vidde er gesto
scappò strillanno: - Ancora nun è affare,
se vede che so' uscita troppo presto!

La libertà

La libertà, sicura e persuasa
d'essere stata capita veramente,
una mattina se ne uscì di casa:
ma si trovò con un sacco di gente
maligna, dispettosa e ficcanaso
che le impedì di andare liberamente.

E tutti le chiedevano: - Cosa fai? -
E tutti le chiedevano: - Chi sei?
Esci sola? a quest'ora? e come mai?...
- Io sono la Libertà! - rispose lei -
Per essere vostra ho sudato tanto,
e adesso che ce l'ho fatta spererei...

- Dunque possiamo fare quel che ci pare... -
fece allora un ometto: e nel dir questo
volle toccarla in un particolare...
Però la Libertà che vide il gesto
scappò strillando: - Ancora non è momento,
si vede che sono uscita troppo presto!

 

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L'UGUAGLIANZA

Fissato ne l'idea de l'uguajanza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai su la montagna
bisogna che abbolimo ‘sta distanza:
perchè nun è nè giusto nè civile
ch'io stia fra la monnezza d'un cortile,
ma sarebbe più commodo e più bello
de vive' ner medesimo livello. -

L'Aquila je rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
volemo fa' amicizzia? So' disposta:
ma nun pretenne' che m'abbassi io.
Se te senti la forza necessaria
spalanca l'ale e viettene per aria:
se nun t'abbasta l'anima de fallo
io seguito a fa' l'Aquila e tu er Gallo.

- Che superbia che cià! Chi sarà mai!
- disse er Gallo seccato de la cosa -
Lei nun se vô abbassà'! Brutt'ambizziosa!
L'ommini, in questo qui, so' mejo assai.
Conosco, infatti, un nobbile romano
che a casa se dà l'aria d'un sovrano:
ma se je serve la democrazzia
lassa er palazzo e corre all'osteria.

 

L'uguaglianza

Fissato con l'idea dell'uguaglianza
un Gallo scrisse all'Aquila: - Compagna,
siccome te ne stai sulla montagna
bisogna che abolimo questa distanza:
perchè non è è giusto nè civile
ch'io stia fra la schifezza d'un cortile,
ma sarebbe più comodo e più bello
vivere allo stesso livello. -

L'Aquila gli rispose: - Caro mio,
accetto volentieri la proposta:
vogliamo fare amicizia? Son disposta:
ma non pretendere che m'abbassi io.
Se ti senti la forza necessaria
spalanca le ali e vieni per aria:
se non hai il coraggio di farlo
io continuo a fare l'Aquila e tu il Gallo.

- Che superbia che hai! Chi sarà mai!
- disse il Gallo seccato della cosa -
Lei non si vuole abbassare! Brutt'ambiziosa!
Gli uomini, in questo, sono molto meglio.
Conosco, infatti, un nobile romano
che a casa si dà l'aria d'un sovrano:
ma se gli serve la democrazia
lascia il palazzo e corre all'osteria.

 

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LA FRATELLANZA

Un certo amico mio conserva un callo
riposto in un astuccio de velluto
sotto una scatoletta de cristallo.
- E che robb'è? - je chiesi una matina. -
Dice: - È un ricordo! - Dico: - Ma te pare
che sia un affare da tenè' in vetrina?
Se fusse robba mia
la frullerebbe via!... -

Lui me rispose subbito: - Ar contrario!
‘Sto callo rappresenta l'ideale
d'un programma sociale-umanitario
d'un omo che insegnò per cinquant'anni
la vera fratellanza universale!

Era un brav'omo, credi. Un vero specchio:
bono, sincero, onesto... Se chiamava
Pasquale Chissenè. Povero vecchio!
Passava l'ore e l'ore
davanti ar tavolino der caffè
pe' fa' la propaganda de l'amore...
Povero Chissenè!
Qual'era er sogno suo? Quello de vede'
l'ommini abbraccicati fra de loro
uniti ne la pace e ner lavoro,
immassimati ne la stessa fede...
Ma pe' convince' er popolo sovrano
de quello che diceva, ogni tantino
dava un cazzotto in mezzo ar tavolino...
finchè je venne er callo ne la mano.
Ecco perchè lo tengo! Ecco perchè
quanno sento parlà' de fratellanza
ripenso ar callo e sento in lontananza
una voce che dice: Chissenè...

La fratellanza

Un amico mio conserva un callo
riposto in un astuccio di velluto
sotto una scatoletta di cristallo.
- E che roba è? - gli chiesi una mattina. -
Dice: - È un ricordo! - Dico: - Ma ti pare
che sia un coso da tenere in vetrina?
Se fosse roba mia
sparirebbe via!... -

Lui mi rispose subito: - Al contrario!
Questo callo rappresenta l'ideale
d'un programma sociale-umanitario
d'un uomo che insegnò per cinquant'anni
la vera fratellanza universale!

Era un brav'uomo, credimi. Un vero specchio:
buono, sincero, onesto... Se chiamava
Pasquale Chissenè. Povero vecchio!
Passava l'ore e l'ore
davanti al tavolino del caffè
per fare la propaganda dell'amore...
Povero Chissenè!
Qual'era il suo sogno? Quello di vedere
gli uomini abbraccicati fra di loro
uniti nella pace e nel lavoro,
immedesimati nella stessa fede...
Ma per convincere il popolo sovrano
di quello che diceva, ogni tanto
dava un cazzotto in mezzo al tavolino...
finchè gli venne il callo nella mano.
Ecco perchè lo tengo! Ecco perchè
quando sento parlare della fratellanza
ripenso al callo e sento in lontananza
una voce che dice: Chissenè...

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LA VERITÀ

La Verità che stava in fonno ar pozzo
Una vorta strillò: - Correte, gente,
Chè l'acqua m'è arivata ar gargarozzo! -
La folla corse subbito
Co' le corde e le scale: ma un Pretozzo
Trovò ch'era un affare sconveniente.
- Prima de falla uscì - dice - bisogna
Che je mettemo quarche cosa addosso
Perchè senza camicia è ‘na vergogna!
Coprimola un po' tutti: io, come prete,
Je posso dà' er treppizzi, ar resto poi
Ce penserete voi...

- M'assoccio volentieri a la proposta
- Disse un Ministro ch'approvò l'idea. -
Pe' conto mio je cedo la livrea
Che Dio lo sa l'inchini che me costa;
Ma ormai solo la giacca
È l'abbito ch'attacca. -

Bastò la mossa; ognuno,
Chi più chi meno, je buttò una cosa
Pe' vedè' de coprilla un po' per uno;
E er pozzo in un baleno se riempì:
Da la camicia bianca d'una sposa
A la corvatta rossa d'un tribbuno,
Da un fracche aristocratico a un cheppì.

Passata ‘na mezz'ora,
La Verità, che s'era già vestita,
S'arrampicò a la corda e sortì fôra:
Sortì fôra e cantò: - Fior de cicuta,
Ner modo che m'avete combinata
Purtroppo nun sarò riconosciuta!

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LA STATISTICA

Sai che d'è la statistica? È na' cosa
che serve pe fà un conto in generale
de la gente che nasce, che sta male,
che more, che va in carcere e che spósa.

Ma pè me la statistica curiosa
è dove c'entra la percentuale,
pè via che, lì,la media è sempre eguale
puro co' la persona bisognosa.

Me spiego: da li conti che se fanno
seconno le statistiche d'adesso
risurta che te tocca un pollo all'anno:

e, se nun entra nelle spese tue,
t'entra ne la statistica lo stesso
perch'è c'è un antro che ne magna due.

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