CLAUDIO BALDASSARRI DEI FHOLKS.

 

 

 

 

 

Claudio Baldassarri (circa 1971)

 

Nel 2009 ho avuto la fortuna e l'onore di conoscere Claudio Baldassarri, ex chitarrista dei Fholks, il gruppo spalla romano che aprì i quattro concerti dei Floyd al Piper Club. Andare a casa sua ed intervistarlo è stato semplice, non ci ho pensato troppo, e sono contento di averlo fatto. Questo è il suo racconto.

 

  Intervista a Claudio Baldassarri (by MrPinky-Arber).

Roma, 14.08.2009

"...Appena arrivammo al Piper Club il pomeriggio del 18 aprile del 1968, come facevamo quasi tutti i giorni, entrammo in sala per sistemare e preparare la nostra strumentazione. A quei tempi eravamo sotto contratto con il Piper e suonavamo tutti i giorni per periodi di 10-15 giorni consecutivi, due spettacoli giornalieri, pomeriggio e sera, ed accompagnavamo le giornate suonando come gruppo spalla per gruppi famosi dell'epoca (ricordo i Coliseum, gli Small Faces, i Pretty Things...). Di solito non suonavamo più di 2-3 gruppi per spettacolo. Gli spettacoli a quei tempi erano due al giorno, uno che iniziava alle 1700-1800, l'altro alle 2100-2200, ogni gruppo suonava per circa 45 minuti, tranne il gruppo famoso, che rimaneva sul palco per 1 ora-1 ora e mezza. Al primo spettacolo pomeridiano potevano partecipare anche i minorenni, era aperto a tutti, mentre quello serale era per un pubblico solo adulto.

Entrati nella sala del Piper, ci siamo subito resi conto che qualcosa era cambiato rispetto alla disposizione solita del posto; di solito c'erano i tavolini e le sedie disposti per tutta la sala, quasi fin sotto i palchi, visto che principalmente al Piper si ballava durante le esibizioni dei gruppi, tutti ballavano e chiacchieravano, mentre si suonava. Questa volta, invece, i tavolini erano ammucchiati in fondo alla sala, dal lato opposto del palco, davanti al bar, e tutte le sedie erano disposte a formare delle file parallele, come in un cinema.

Poi, un'altra cosa che saltava subito all'occhio era che tutta la parte destra del lungo palco, quella dove stava il palchetto di destra, era coperta da un telo bianco, che copriva la parete del Piper con i disegni di Schifano. A noi ci venne subito in mente che avrebbero dovuto magari proiettare dei filmati prima o dopo lo spettacolo, visto che le sedie erano anche messe come in un cinema. In poche parole, non sapevamo nulla di quello che sarebbe successo in seguito o chi doveva esibirsi quel giorno. La locandina di quelle giornate l'ho rivista solo pochi mesi fa, ...un'emozione.

Una cosa che mi ricordo, ...come scordarla, fu la strumentazione in quel palco di destra. Ricordo degli amplificatori, una semplice batteria, credo con due grancasse, ma soprattutto quello che c'era di diverso erano le tastiere a sinistra e le casse. Noi all'epoca usavamo due amplificatori soli, uno per la batteria ed il basso, uno per la mia chitarra e la voce. Ma quelli erano un'altra cosa!

Le tastiere, poste all'inizio a sinistra guardando il palco, erano almeno due, un Hammond ed un Farfisa doppia tastiera (Combat Duo), erano qualcosa di nuovo per quell'epoca, in quanto la maggior parte dei gruppi beat dell'epoca avevano solo batteria-chiatarra-basso (come noi) e non prevedeva le tastiere. Invece, lì c'erano le tastiere, ...e che tastiere! Le casse, poi, erano diverse dalle solite: al Piper Club si usavano delle grosse casse da sala, sufficienti per tutte le occasioni, amplificate da Beppe Farnetti; qui, invece, erano strette e lunghe, erano le WEM, ed erano sollevate da terra, su un piedistallo di circa due metri. Ci spiegarono solo dopo che erano le casse del gruppo inglese che doveva suonare a fine spettacolo.

Andammo subito dal direttore artistico del Piper, per cercare di sapere cosa succedeva quel giorno. Lui ci disse che avrebbe suonato un gruppo inglese, ancora sconosciuto in Italia, i Pink Floyd, che facevano uno spettacolo tutto loro. Alla domanda del perchè del telone bianco, credendo che si sarebbero dovute proiettare dei filmati prima del concerto, e della strana disposizione delle sedie, ci rispose che loro avevano uno spettacolo di luci particolari, che chiamavano psichedeliche, mentre per le sedie ci disse che era stato previsto così per contratto, da loro stessi, loro si sarebbero rifiutati di suonare in mezzo a gente che ballava, come in una balera, e volevano che il pubblico fosse seduto ed ordinato. Crocetta li aveva visti a Londra pochi mesi prima e li aveva ingaggiati per il Piper, consapevole che sarebbe stato uno spettacolo diverso per il pubblico italiano. Aveva ragione!

Non ricordo quanti gruppi spalla suonarono quei pomeriggi e quelle sere, noi abbiamo suonato prima di tutti e quattro i concerti. Ricordo i Boom67, ...sì, c'erano, ma nessun altro. Non credo che tutti quei gruppi elencati sulla locandina potessero suonare in un'unica occasione, a quei tempi si facevano spettacoli due volte al giorno, ogni spettacolo durava in media tre, tre ore e mezza, il tutto iniziava alle 1700 ed alle 2100, e per cui non potevano suonare più di due gruppi spalla e la band principale, che rimaneva sul palco per un'ora, un'ora e mezza. Calcolando che tra uno spettacolo e l'altro c'era una pausa di almeno due ore per la cena, più le pause tra le singole esibizioni, non suonavano che un paio di gruppi spalla a volta, ...era impossibile che avessero suonato gli otto gruppi riportati sulla locandina. Del resto, all'epoca solo Thane Russell e Mike Liddell erano volti noti al Piper, ma non ricordo che c'erano in quei giorni; non ricordo chi fossero i Noise e gli Studio 6, e sicuramente non c'erano i Creation. Escludo sicuramente che ci fossero i Ragazzi della Via Gluck, che facevano parte del Clan di Celentano, non ricordo serate al Piper insieme a loro.

Una volta sistemati gli strumenti sul palco di sinistra, quello su cui dovevamo suonare, ci recammo con Ruggero (Ruggero Stefano, il nostro batterista) nella sala della regia di Beppe Farnetti (il tecnico delle luci del Piper), che stava sopra al bar, dalla parte opposta del palco. In quella saletta Beppe azionava le luci del Piper, che possedeva un suo impianto fisso e un paio di fari mobili, un impianto che per quei tempi era all'avanguardia e con il quale Beppe poteva fare diversi giochi di luce, famosi in tutta Roma. Ma quel giorno non sarebbe stato così. Infatti, a parte alcune poche luci fisse del palco, quel gruppo inglese aveva un suo spettacolo autonomo di luci. In mezzo alla vetrata che dava sulla sala, c'era un piccolo proiettore e vicino sul tavolino c'era tutta una serie di vetrini, come quelli del microscopio, ed una cassettina di boccette di inchiostro di china di vari colori. Uno dei tecnici, loro ne avevano due, ci spiegò, con l'aiuto di Beppe, che loro usavano quei vetrini nel loro spettacolo per creare un gioco di luci proiettate poi con quel proiettore, proprio con l'aiuto di quei vetrini, un qualcosa che sicuramente noi non avevamo mai visto sino a quel momento. Ma credo nessuno in Italia.

Mettevano una piccola goccia di inchiostro colorato tra due vetrini, che poi schiacciavano, ed un colore si combinava con gli altri, i vetrini venivano messi nel proiettore, i colori e la luce faceva si che si creassero una specie di bolle colorate, che, proiettate sul gruppo e sul fondo bianco del palco, creavano una esplosione di colori in movimento, un effetto psichedelico unico nel suo genere. Ecco spiegata la presenza dei teli bianchi sul palco dietro gli strumenti e l'amplificazione. Mi ricordo che l'idea era semplice, ma nello stesso tempo rivoluzionaria, cercammo di ricreare quell'effetto anche noi nei mesi successivi, perchè era una novità che senz'altro richiamava pubblico.

Prima del concerto, andai di nuovo vicino al palco dei Floyd, dove stavano altri due dei loro tecnici. Venimmo a sapere che loro erano a Roma con due furgoncini verdi Bedford, e con loro quattro c'erano altre quattro persone, i loro tecnici, che montavano e smontavamo tutte le attrezzature sonore (amplificazione, casse e strumenti) e luminose (l'impianto luci), e controllavano ogni cosa durante lo spettacolo. Ricordo che Waters aveva un basso Rickenbacker, mi pare un modello 4001S, mentre Gilmour aveva almeno una Fender. Avevano scaricato tutte le loro attrezzature quel pomeriggio, passando dal retro del Piper, l'entrata posteriore, dove si poteva accedere alla sala senza le scale, i pulmini erano stati parcheggiati in via Arno, una stradina laterale di via Tagliamento, e loro stavano ancora lavorando. Noi, come altri gruppi spalla, che eravamo a contratto per 10-15 giorni successivi, lasciavamo tutte le nostre attrezzature (amplificatori e strumenti) sempre nella sala, così ogni giorno non dovevamo far altro che accendere l'impianto, attaccare gli strumenti, provare 5 minuti e tutto era pronto per lo spettacolo, come il giorno precedente. Invece, la band principale della serata veniva con la propria strumentazione e attrezzatura, mentre tutti usavano le casse e l'impianto luci del Piper, azionato da Beppe Farnetti. Ricordo che solo in questo caso, i Pink Floyd usarono un proprio impianto casse autonomo e un loro impianto luci. E lo avremmo ricordato tutti...!

Un particolare curioso fu che, sopra l'amplificatore di Waters c'era un pacchetto di sigarette Dunnill, all'epoca era un tipo di sigarette inglesi che si potevano trovare in Italia, ma erano costose. Waters le avrebbe fumate a raffica...

Appena finito il nostro spettacolo, dopo un intervallo, toccò finalmente a questo gruppo allora sconosciuto. Mi ricordo che tutti noi eravamo seduti in prima fila e poche persone erano ai lati del palco. Comunque la sala era piena, comprese le balconate, ed appena si spensero le luci, partì il loro concerto, improvvisamente si fece silenzio, e così per tutta la loro esibizione. Proprio così... mentre la maggior parte dei gruppi di allora suonava sul palco del Piper, compresi noi, tutto il pubblico di solto ballava e comunque veniva al Piper per ballare e parlare seduti nei tavolini, disposti su tutta la sala. Stavolta, invece, tutti stavano in religioso silenzio ad ascoltare quei quattro perfetti sconosciuti che, ripeto ancora una volta, nessuno aveva mai visto, nè mai sentito.

Il volume era alto, quelle casse pompavano alla grande, ma i suoni erano nitidi, puliti. Il loro spettacolo era qualcosa di estremamente semplice, soprattutto dal punto di vista musicale, ma dava la netta sensazione di un qualcosa di geniale, di speciale, di unico, la loro musica, unita a quegli effetti di luci, fatti di mille bolle colorate che esplodevano nel palco dietro e su di loro, non ti dava un attimo di respiro, non c'erano pause, ...era una musica che ti faceva viaggiare, mi sentivo come in volo, la sensazione era quella, ti sentivi immerso in un mondo etereo, senza peso, e la mente viaggiava lontana, ...la psiche viaggiava..., forse per quello era chiamata "psichedelica".

La sensazione era netta, le note erano semplici, tutti e quattro i Floyd erano completamente a loro agio su quel palco e con quell'atmosfera, ogni tanto uno prevaleva sull'altro, c'erano dei momenti in cui le tastiere o la chitarra, oppure la batteria, potevano sopravvanzare gli altri strumenti, ...ma poi, in un sincronismo perfetto, si ritornava al sound corale, unico, quel sound che li avrebbe poi portati al successo. Forse proprio quella era la loro forza, ...anzi, è stata la loro forza, non c'era un leader durante lo spettacolo, erano tutti uguali, erano grandi, erano i Floyd... Mi ricordo che nessuno di noi osava parlare durane quei concerti, tanta era l'attenzione e la voglia di goderci quello spettacolo.

Non ricordo la scaletta dei quattro concerti, i Pink Floyd erano un gruppo per noi sconosciuto, sino a quel pomeriggio non sapevamo chi fossero e che musica facessero, e nemmeno nei giorni successivi potevamo contare sull'ascolto dei loro dischi: in Italia in quel periodo, lo seppi solo dopo, c'era solo il singolo di "See Emily Play" e difficilmente si trovavano i loro primi album, gli LP d'importazione erano introvabili nei negozi di Roma, e costavano parecchio. E neppure c'erano tutte le radio che oggi ci sono... In seguito, ascoltando negli anni a venire i loro pezzi, potevo ricordare sicuramente che avevano fatto "Astronomy Domine" e "Interstellar Overdrive", forse "Let there be more light" e sicuramente "Set the controls for the heart of the sun", che personalmente amo moltissimo, sono pezzi che mi sono rimasti in mente. Altro non ricordo, non ricordo nemmeno se le scalette erano uguali per tutti e quattro i concerti. Non ricordo nemmeno particolari sul loro abbigliamento. I miei pochi ricordi in tal senso si fermano alla floreale camicia di Waters, ai suoi pantaloni rossastri a campana. Ricordo anche che Mason indossò quasi sempre un ampio cappello scuro. E non ricordo telecamere o cineprese, o macchine fotografiche. Altro non ricordo...

Un ultimo episodio è indelebile nella mia mente. Riguarda la serata finale, quella del 19 aprile. Alla fine del loro ultimo concerto, poco dopo mezzanotte, il primo ad alzarsi fu Wright, che fece una specie di inchino, salutò il pubblico rispondendo all'ovazione di applausi, e se ne andò, passando davanti al palco. Poi fu la volta di Gilmour e poi infine di Waters, che uno dopo l'altro salutarono e abbandonarono il palco, mentre i loro tecnici iniziarono a smontare la loro strumentazione. Rimase il solo Mason, che quasi per gioco, iniziò a martellare sui piatti e sui tamburi della sua batteria, come se facesse un assolo. Il tutto mentre i tecnici smontavano anche la sua batteria. Dopo aver smontato i piatti e le grancasse, Mason, rimasto solo con i tamburi, finalmente posò le bacchette ridendo e, dopo aver ricevuto anche lui la sua razione di incessanti applausi, abbandonò il palco, sparendo nel retro.

Quello che indubbiamente rimase dopo quelle quattro esibizioni fu un qualcosa che non potevo immaginare prima e che mai dimenticherò, non era un semplice gruppo straniero sconosciuto, uno dei tanti che in quell'epoca si alternava sui palchi italiani, ma furono dei giorni che cambiarono la nostra vita musicale, il nostro modo di vedere la musica, era un tipo di musica così semplice, ma nello stesso tempo così diversa, che ci faceva viaggiare con la mente. Il tempo è passato e i ricordi si fanno più o meno deboli, ma credo che nessuno dei presenti in quei giorni potrà mai dimenticare le sensazioni provate, io non le ho dimenticate, e solo dopo qualche anno, nel 1971, fui sicuro che noi avevamo fatto parte, forse inconsapevolmente, della storia.""

© 2009 Stefano Tarquini

 

 

Questo è il racconto di Claudio Baldassarri, che conferma tanti aspetti di quelle giornate già ampiamente riportate nelle pagine precedenti, conferme importanti: dalla disposizione della sala, ai particolari sulla loro strumentazione, dai ricordi del loro abbigliamento all'incredibile impianto luci ed effetti, che rendevano i Pink Floyd unici nel suo genere. Ringrazio Claudio per averci dato i suoi ricordi e concesso questa intervista per questa ricerca e per tutte quelle che verranno dopo (purtroppo Claudio è venuto a mancare nel 2015 e, per cui, dedichiamo questa pagina alla sua memoria).

 

 

 I Fholks (1968)

  I Condors (Piper, 1965)

 

 

 

 

 

The End (???)