Le abitazioni.

Le abitazioni erano misere catepacchie bassissime in muratura, quasi sempre opera degli stessi proprietari, o capanne di rami secchi. Si adoperava la calce estratta in loco e cotta al sole, al posto dei mattoni che bisognava comprare altrove. Il trasporto veniva curato dalle donne, infatti trasportavano le pietre sulla nuca, o veniva fatto per mezzo delle toppe (grossi legni di faggio incavati trascinati lungo gli alberi dei boschi). Varcata la soglia di casa, ci si trovava davanti a un gazzabuglio di letti, casse, panche, sedie, legna d'ardere, attrezzi di lavoro, galline. In un angolo c'era il focolare , semplice rialzo di mattoni, con tutta la serie di tripodi e pentole appese alle pareti nere di fuliggine. In alto e in corrispondenza, un'apertura sul soffitto, che permetteva al fumo di filtrare attraverso le fessure del tetto. Graditi ospiti di queste misere abitazioni erano capre, pecore, galline e maiali. Possiamo immaginare le condizioni igieniche in cui si trovavano costretti a vivere,dormire, mangiare  a stretto contatto con gli animali.

 

 

 

L'alimentazione.

L'alimentazione difettava delle sostanze proteiche, e delle vitamine, quindi di frutta, verdura e legumi, per cui l'organismo presentava una maggiore vulnerabilità agli agenti patogeni. Il pane con la farina di granoturco mista a segale rappresentava l'alimento base, condito molto spesso con olio, olive salate, fichi secchi o formaggio. La pasta asciutta era considerata un lusso, da riservarsi solo per le feste memorabili, lusso che nemmeno tutti potevano permettersi. Scarsissimo era l'uso della carne, mentre gli energetici e i nervini come lo zucchero e il caffè erano uno sciupo di denaro. Elevato era invece il consumo del vino per i maschi, mentre le donne dovevano apparire astemie almeno fino al matrimonio. Modico l'uso dei salami, preparati in casa da chi allevava i maiali, potrebbe sembrare strano ma, questi prodotti venivano venduti per guadagnare qualche soldo. Rarissimi e riservati a qualche matrimonio i dolciumi, uno tipico erano le 'nacatole', preparati con farina, uova e zucchero. Un genere che non arrivava mai a Piminoro era il pesce fresco, mentre il riso non ha mai incontrato il gusto dei Piminoresi, infatti veniva usato come medicina oppure come alimento per gli animali. L'unico frutto prodotto erano le fragole, di tanto in tanto dei fruttivendoli girovaghi portavano gli scarti rimasti vendendoli a caro prezzo.

 

 

 

L'abbigliamento.

Le donne indossavano delle particolari camicie 'jippuni' che si stringevano in vita e si allargavano poi sui fianchi, delle larghissime gonne a pieghe. Per difendersi poi dai rigidi inverni, portavano una sorta di calza mancante di pianta, la 'pedalina', destinata a coprire solo le gambe e la parte superiore del piede, cui aderiva perchè terminava in punta con una specie di anello infilato all'alluce. In testa portavano invece uno strano fazzoletto, che si legava sotto il collo, la cosiddetta 'rizzola', sulle spalle avevano invece una pesante mantellina frangiata, chiamata 'carpituni'.  Gli uomini invece calzavano le 'calandrelle', facili da costruire, consistevano infatti di un pezzo di pelle di mucca di forma rettangolare cucita in punta e lasciata aperta al tallone, ai bordi superiori si inserivano delle striscie di pelle incrociate ripetutamente sulle gambe. Tra il nero della lana dei calzettoni, spiccava il bianco della camicia e alle ginocchia un tratto delle lunghe mutande che si inserivano dentro le calze fino alle caviglie. Sotto il petto portavano una larga cintura di cuoio, dove appendevano una pesante scure.

 

 

 

Il lavoro.

Le attività principali erano la pastorizia e l'agricoltura, successivamente i pastori e i contadini divennero anche carbonai, che oltre a preparare il carbone per il riscaldamento, ne preparavano uno speciale d'erica e castagno per i fabbri dei paesi limitrofi. Un'altra attività era rappresentata dall'estrazione della pietra nelle cave. Le donne non lavoravano certo meno degli uomini, infatti oltre ad occuparsi della casa e dei figli, andavano a recuperare la legna per il focolaio, raccoglievano le fragole , che vendevano poi alle signorili famiglie dei paesi vicini, e si portavano dietro anche i bambini. Le più fortunate andavano a raccogliere le olive per 500 lire al giorno. Tutte attività precarie, infatti il lavoro agricolo era in pericolo dalle intemperie, infatti il clima era molto rigido, con nevicate  e gelate frequenti per cui il raccolto andava perso, e interi mesi di lavoro venivano buttati via. L'attività nelle cave dipendeva dalle richieste di pietrisco e la raccolta delle olive dipendeva dall'annata e poi si era impegnati per 4-5 mesi all'anno.

 

 

 

La condizione della donna.

La donna meridionale e soprattutto quella dell'aspromonte, non pensava a crogiolarsi al sole, questa creatura fragile e delicata, nei trasporti dei pesi sulla nuca e in altre fatiche vili e disprezzate faceva concorrenza alle bestie da soma. Si comprende il perchè rappresentava la parte più ostinatamente retriva e ignorante di quella società. Rimasta analfabeta perchè sin da piccola dovette cominciare a fare da balia ai fratellini più piccoli, non andava oltre le prime classi delle elementari perchè la gelosia del padre non sopportava che la bambina frequentasse una classe mista. Ma il lavoro forse più duro veniva svolto dalle raccoglitrici di olive, nelle piovose e gelide mattine invernali, male equipaggiate ed addirittura scalze, scendevano a piedi dalla montagna mentre era ancora buio e vi ritornavano all'imbrunire, ripercorrendo 5-6 km in salita. Non era affatto una fatica lieve stare 8 ore con la schiena curva a testa in giù, con le mani sempre a contatto con la brina e l'acqua e le unghie rase fino all'orlo dal continuo sfregamento con il terreno e gli occhi arrossati per l'afflusso di sangue al cervello. Nonostante tutto avevano una forte personalità, per non sentire la fatica infatti cantavano delle allegre canzoncine per far passare il tempo. Un altro compito che spettava alla donna era procurare l'acqua necessaria per la famiglia, infatti nelle case non c'era ancora.

 

 

 

I matrimoni

Una volta il matrimonio veniva orchestrato dai genitori, la prima preoccupazione quando un bambino nasceva consisteva nel trovargli un compagno/a per la vita, e ancora peggio era quando il consorte veniva scelto lontano, si conosceva solamente qualche giorno prima delle nozze, per i più fortunati. Frequenti erano le delusioni, in quanto molto spesso si mentiva sull'età o sull'aspetto fisico del futuro sposo/a, ma  a quel punto nessuno dei due poteva più tirarsi indietro, era troppo tardi, si era costretti a vivere una vita nel sacrificio e nel silenzio. La mattina del matrimonio i parenti degli sposi giravano per le vie di tutto il paese per offrire come segno di augurio il rasolio. Il ricevimento veniva fatto con pochi commensali, per la mancanza di locali sufficienti per riceverli, infatti gli invitati venivano divisi, quelli dello sposo a casa dello sposo e viceversa, gli sposi pranzavano anche a casa dello sposo e al pomeriggio andavano a trovare il resto degli invitati. Per chiudere in bellezza, alla sera veniva improvvisata davanti la casa degli sposi una romantica serenata, che sconfinava poi fino al mattino percheè si finiva poi con un ballo tipicamente caratteristico, la 'tarantella'. Gli sposi poi, come voleva la tradizione, dovevano rimanere una settimana in casa senza uscire, trascorso il tempo di 'resclusione' , si usciva la domenica per recarsi a messa.