Si
tratta di un'escursione di media lunghezza e non troppo difficile,
se escludiamo il fatto che alcuni tratti sono piuttosto ripidi!
Ma nessuna difficoltà particolare (a parte il fatto che ogni
tanto può capitare di perdersi per strada il sentiero su cui si
sta camminando).
Tempo di percorrenza: circa 2:30/3 ore (partendo da Fondo
li Gabbi).
Come arrivarci: si prende l'autostrada in direzione Gravellona
Toce, la si percorre tutta finchè si esce nei pressi di Domodossola
per seguire le indicazioni verso la Val Vigezzo; da qui si prosegue
sulla statale fino ad arrivare a S. Maria Maggiore prima e poi a
Malesco. A Malesco seguiamo le indicazioni (facilmente visibili)
per la Val Loana e dopo qualche minuto di salita per una strada
un po' tortuosa incontriamo, dove la strada (percorribile in auto)
praticamente finisce, Fondo li Gabbi, il punto di partenza dell'escursione.
Qui ci sono due parcheggi dove è possibile lasciare l'auto, uno
un po' più piccolo sulla sinistra e uno più grosso sulla destra,
proprio sulle rive del fiume (torrente Loana) e prima del ponte
che lo attrevrsa.
Il nostro amico Bens ci indica dove dovremo arrivare (a dire il
vero il suo dito indice è un po' sfasato rispetto alla Laurasca,
ma ricordate quella storiella Zen che dice "cerca di guardare la
Luna, non il dito che la indica"?).
Mentre attraversiamo il fiume, strani piccoli elfi locali ci attraversano
la strada salutandoci con scherno: "Tornate indietro! Non sapete
cosa vi aspetta!".
Ma noi indomiti proseguiamo, camminando di buon passo e rallegrandoci
per la bella passeggiata in mezzo ai prati in una fresca mattina
di luglio. Ma ben presto ci accorgiamo che i folletti avevano ragione:
da dove siamo partiti la Laurasca appare lontana e irraggiungibile!
Non ci è molto chiaro come faremo a raggiungerla! Ma ben presto
ce ne rendiamo conto: il primo tratto di strada altro non è che
una immensa scalinata di pietra, con migliaia di gradoni posti da
giganti impietosi. Il pezzo di strada forse più faticoso (è meglio
fermarsi ogni tanto a riprendere fiato e lasciar riposare un poco
le nostre povere ginocchia!).
L'unica consolazione lungo il tragitto è la più o meno fitta vegetazione,
che almeno ci dona un poco di ombra.
Camminando a testa bassa, senza neanche accorgercene (dopo un paio
d'ore di pausa per divorare 12 tavolette di cioccolato) arriviamo
all'Alpe Cortenuovo (1792 m),
dove ci facciamo indicare la strada da un piccolo pastorello locale.
Il sentiero (che prosegue dietro le baite) migliora e abbiamo il
tempo di fermarci a fare una foto: il volto del vero uomo di montagna
e, dietro di lui, la nostra meta!
Dopo poco siamo all'Alpe Scaredi (con la sua baita a 1841 m)
da dove possiamo ammirare la Val Grande, il Monte Rosa e tutto quello
che gli sta intorno, compresa una strana divinità locale che, al
di sopra dei monti, regge la volta celeste in una quieta imperturbabilità
e un montagnino locale, che pubblicizza un suo imbevibile torcibudella,
prodotto di contrabbando in barba a tutte le leggi locali.
A questo punto iniziano le comiche. Convinti di essere ormai arrivati
e che in tutto l'universo esista un unico sentiero, ampio e facilmente
seguibile, che porta alla Laurasca, riempiamo un attimo le nostre
borracce (un'ottima cosa è che lungo il tragitto si trovano parecchie
fonti) e poi ripartiamo. Illusi. Seguiamo per un poco un sentierino
che presto svanisce nel nulla, tra i radi fili d'erba e le cacchine
di capra. Occorre quindi stare attenti quando si riprende la via
subito dopo l'Alpe Scaredi: c'è un sentiero ben segnalato che prosegue
in verticale dritto verso la cima della Laurasca (ed è quello che
occorre seguire. Appena lo si imbocca poi è difficile sbagliare).
Noi invece giriamo verso sinistra (verso la Val Canobbina) e presto
ci perdiamo tra prati e pozze d'acqua stagnante, vagando a spanne
per riprendere la strada giusta.
Ma come ben sanno i pellegrini di tutto il mondo, la bellezza del
viaggiare non è nel raggiungere la meta, ma nel modo in cui lo si
fa; quindi il tempo impiegato a ritrovare il sentiero ci serve ad
apprezzare ancor meglio la bellezza del luogo
e delle tante pozze e laghetti che lo popolano
e a farci capire che non siamo piloti di Formula 1, ma liberi e
spensierati girovaghi del mondo! E questo, se non ci rende migliori,
almeno ci dà una buona scusa per non dire che ci eravamo persi!
E' comunque andando a spanne che si arriva sulla cima del mondo!
Se invece si riesce a seguire il sentiero normale, si va per un
po' dritti in direzione della cima, fino a che si incontra un altro
sentiero che taglia in perpendicolare quello che stiamo seguendo:
il sentiero Bove. Qui su di un grosso masso trovate, scritte con
la vernice, le indicazioni per la Val Canobbina.
Fate attenzione: appena qui sopra, quasi invisibile e segnalato
in giallo-rosso, trovate l'inizio del ripido sentiero (più che un
sentiero un mucchio di sfasciumi di pietra) che porta in vetta (attenzione:
se andate verso destra vi dirigete verso la Bocchetta di Scaredi
e la Bocchetta di Campo).
Il sentiero è ripido e sdruciolevole, ma tutto ciò che ci circonda
merita davvero la fatica! Senza neanche accorgercene, quindi, raggiungiamo
la vetta, dove firmiamo orgogliosi il libro di vetta
(dietro di me il Lago Maggiore).
Sulla destra, lontani, ma non troppo, si intravvedono il rifugio
alla Bocchetta di Campo e il Pedum, il simbolo del selvaggio e del
diverso della Val Grande.
Là sotto, lontano, Fondo li Gabbi,
la Val Grande
e, davanti a noi, maestosi, lo Zeda e la Marona.
Abbiamo anche il tempo di sentirci il re del mondo!
Giunge infine il triste momento della discesa. Questo però non ci
impedisce, prima del rientro finale, di goderci un poco uno dei
tanti laghetti che ci circondano!