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 .: LA CIMA DELLA LAURASCA (2193 m)

Si tratta di un'escursione di media lunghezza e non troppo difficile, se escludiamo il fatto che alcuni tratti sono piuttosto ripidi! Ma nessuna difficoltà particolare (a parte il fatto che ogni tanto può capitare di perdersi per strada il sentiero su cui si sta camminando).

Tempo di percorrenza: circa 2:30/3 ore (partendo da Fondo li Gabbi).

Come arrivarci: si prende l'autostrada in direzione Gravellona Toce, la si percorre tutta finchè si esce nei pressi di Domodossola per seguire le indicazioni verso la Val Vigezzo; da qui si prosegue sulla statale fino ad arrivare a S. Maria Maggiore prima e poi a Malesco. A Malesco seguiamo le indicazioni (facilmente visibili) per la Val Loana e dopo qualche minuto di salita per una strada un po' tortuosa incontriamo, dove la strada (percorribile in auto) praticamente finisce, Fondo li Gabbi, il punto di partenza dell'escursione. Qui ci sono due parcheggi dove è possibile lasciare l'auto, uno un po' più piccolo sulla sinistra e uno più grosso sulla destra, proprio sulle rive del fiume (torrente Loana) e prima del ponte che lo attrevrsa.
Il nostro amico Bens ci indica dove dovremo arrivare (a dire il vero il suo dito indice è un po' sfasato rispetto alla Laurasca, ma ricordate quella storiella Zen che dice "cerca di guardare la Luna, non il dito che la indica"?).
Mentre attraversiamo il fiume, strani piccoli elfi locali ci attraversano la strada salutandoci con scherno: "Tornate indietro! Non sapete cosa vi aspetta!".
Ma noi indomiti proseguiamo, camminando di buon passo e rallegrandoci per la bella passeggiata in mezzo ai prati in una fresca mattina di luglio. Ma ben presto ci accorgiamo che i folletti avevano ragione: da dove siamo partiti la Laurasca appare lontana e irraggiungibile! Non ci è molto chiaro come faremo a raggiungerla! Ma ben presto ce ne rendiamo conto: il primo tratto di strada altro non è che una immensa scalinata di pietra, con migliaia di gradoni posti da giganti impietosi. Il pezzo di strada forse più faticoso (è meglio fermarsi ogni tanto a riprendere fiato e lasciar riposare un poco le nostre povere ginocchia!).
L'unica consolazione lungo il tragitto è la più o meno fitta vegetazione, che almeno ci dona un poco di ombra.
Camminando a testa bassa, senza neanche accorgercene (dopo un paio d'ore di pausa per divorare 12 tavolette di cioccolato) arriviamo all'Alpe Cortenuovo (1792 m), dove ci facciamo indicare la strada da un piccolo pastorello locale. Il sentiero (che prosegue dietro le baite) migliora e abbiamo il tempo di fermarci a fare una foto: il volto del vero uomo di montagna e, dietro di lui, la nostra meta!
Dopo poco siamo all'Alpe Scaredi (con la sua baita a 1841 m) da dove possiamo ammirare la Val Grande, il Monte Rosa e tutto quello che gli sta intorno, compresa una strana divinità locale che, al di sopra dei monti, regge la volta celeste in una quieta imperturbabilità e un montagnino locale, che pubblicizza un suo imbevibile torcibudella, prodotto di contrabbando in barba a tutte le leggi locali.
A questo punto iniziano le comiche. Convinti di essere ormai arrivati e che in tutto l'universo esista un unico sentiero, ampio e facilmente seguibile, che porta alla Laurasca, riempiamo un attimo le nostre borracce (un'ottima cosa è che lungo il tragitto si trovano parecchie fonti) e poi ripartiamo. Illusi. Seguiamo per un poco un sentierino che presto svanisce nel nulla, tra i radi fili d'erba e le cacchine di capra. Occorre quindi stare attenti quando si riprende la via subito dopo l'Alpe Scaredi: c'è un sentiero ben segnalato che prosegue in verticale dritto verso la cima della Laurasca (ed è quello che occorre seguire. Appena lo si imbocca poi è difficile sbagliare). Noi invece giriamo verso sinistra (verso la Val Canobbina) e presto ci perdiamo tra prati e pozze d'acqua stagnante, vagando a spanne per riprendere la strada giusta.
Ma come ben sanno i pellegrini di tutto il mondo, la bellezza del viaggiare non è nel raggiungere la meta, ma nel modo in cui lo si fa; quindi il tempo impiegato a ritrovare il sentiero ci serve ad apprezzare ancor meglio la bellezza del luogo e delle tante pozze e laghetti che lo popolano e a farci capire che non siamo piloti di Formula 1, ma liberi e spensierati girovaghi del mondo! E questo, se non ci rende migliori, almeno ci dà una buona scusa per non dire che ci eravamo persi! E' comunque andando a spanne che si arriva sulla cima del mondo!
Se invece si riesce a seguire il sentiero normale, si va per un po' dritti in direzione della cima, fino a che si incontra un altro sentiero che taglia in perpendicolare quello che stiamo seguendo: il sentiero Bove. Qui su di un grosso masso trovate, scritte con la vernice, le indicazioni per la Val Canobbina.
Fate attenzione: appena qui sopra, quasi invisibile e segnalato in giallo-rosso, trovate l'inizio del ripido sentiero (più che un sentiero un mucchio di sfasciumi di pietra) che porta in vetta (attenzione: se andate verso destra vi dirigete verso la Bocchetta di Scaredi e la Bocchetta di Campo).
Il sentiero è ripido e sdruciolevole, ma tutto ciò che ci circonda merita davvero la fatica! Senza neanche accorgercene, quindi, raggiungiamo la vetta, dove firmiamo orgogliosi il libro di vetta (dietro di me il Lago Maggiore).
Sulla destra, lontani, ma non troppo, si intravvedono il rifugio alla Bocchetta di Campo e il Pedum, il simbolo del selvaggio e del diverso della Val Grande.
Là sotto, lontano, Fondo li Gabbi, la Val Grande e, davanti a noi, maestosi, lo Zeda e la Marona.
Abbiamo anche il tempo di sentirci il re del mondo!
Giunge infine il triste momento della discesa. Questo però non ci impedisce, prima del rientro finale, di goderci un poco uno dei tanti laghetti che ci circondano!