Il "Generale" Crocco

Una Meraviglia nel Parco del Cilento

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PARCO DEL CILENTO

 

 

Carmine Crocco Donatelli, dai suoi uomini veniva chiamato "Generale", mai nome fu più appropriato. Crocco infatti oltre ad essere un "Capipopolo" carismatico e capace di sollevare le masse, era anche un ottimo stratega militare. All'opposto degli altri capi che soventemente, all'arrivo delle truppe regolari piemontesi, disperdevano la loro banda egli molte volte accettava anche il conflitto in aperta campagna riuscendo sempre a trovare il luogo più favorevole per difendersi. Usava tattiche proprie delle milizie più esperte come tagliare i collegamenti telegrafici o far saltare ponti per bloccare le arterie stradali. Con grande signorilità ed autorità riuscì ad imporsi alla sua gente, composta, in maggior parte, da persone semplici, testarde e molto violente. La sua banda composta all'inizio da pochi uomini nel tempo riuscì ad arrivare alla forza di oltre mille componenti, tanto che dovette dividerla in varie bande più piccole dislocate in luoghi opportuni in modo da poterle riunire velocemente quando veniva il momento di attaccare. Le sue escursioni toccarono tutta la Basilicata, ma anche la Puglia (dove in molte operazioni collaborò con Pasquale "Sergente" Romano) e la Campania, occupò tantissimi villaggi, ma anche comuni di una certa importanza come Melfi, quando trovava resistenza attaccava a viva forza devastando, distruggendo ed incendiando. Quando occupava i villaggi lui si insediava nel palazzo o casa più signorile che c'era e faceva sfogare la rabbia della sua truppa con saccheggi e violenze sugli oppositori, preoccupandosi di far rispettare le famiglie dei loro compagni d'armi e solo verso la sera pensava a riordinare l'orda ubriaca e soddisfatta. Qualche paese, talvolta, lo accoglieva a suon di fanfara, con i preti che aprivano le chiese portando la statua della Madonna del Carmine sul portale in suo onore (il Crocco, nonostante tutto ed a suo modo era molto fedele). Quando la Guardia Nazionale, dopo l'entrata in vigore della Legge Pica, concentrò i suoi sforzi e la maggior parte della truppa nel meridione per sconfiggere il brigantaggio, con l'aiuto del Vaticano e dei Borbone si rifugiò nello Stato Pontificio, dove dopo l'invasione venne catturato. Fu processato e condannato a morte dalla Corte d'Assise di Potenza e ritenuto colpevole per i seguenti reati:

67 omicidi, 7 tentati omicidi, 12 rapine a mano armata, 20 estorsioni, 15 incendi di case ed altri reati minori.

La condanna a morte, fu in seguito, commutata a lavori forzati a vita. In carcere, con l'aiuto di un giornalista dell'epoca, scrisse un libro, interessantissimo, di memorie. Morì il 28/12/1905 all'età di 75 anni nel carcere di Portolongone.