Commemorazione della battaglia del Gottero
Il giorno 19 gennaio la nostra scuola è stata invitata alla commemorazione della battaglia del Gottero insieme alla 5° elementare di Sesta Godano e la 3° media di Varese e alla presenza di molte autorità civili e militari, tra cui la dirigente scolastica, il sindaco e il comandante dei carabinieri. Erano stati inoltre invitati i partigiani.La nostra scuola ha partecipato con degli interventi preparati tre classi.
Ha esordito la classe terza che ha presentato una riflessione storica sull'importante episodio della Battaglia del Gottero nel contesto della Resistenza spezzina; è stata poi declamata la una poesia del poeta partigiano Serbantini che riproduciamo:
QUESTO ABBIAMO FATTO
per la vecchiaia o i malanni su questo monte ci faremo portare a dorso di mulo. Batterà il cuore, con l'ansia della prima azione tentata quasi senz'armi, al riconoscere nell'aria pulita le foglie che allora ci salvarono, le cime e i paesi familiari con i distaccamenti usciti più forti nonostante Alexander dei rastrellamenti invernali. E se, risuonando il nostro nome partigiano, una mano ci stringerà scura di fatica, la vedremo in ogni casa contadina spartire con noi la minestra, indicarci la strada o il nemico, una rude carezza passare sul collo del mulo tornato all'alba nel paese distrutto scappando ai predoni fascisti |
Il vento scuoterà le fronde come bandiere e i volti riappariranno giovani volti dalle ferite segnati e più dalla consapevolezza di Beppe, Cialacche, Berto, Pinan e dagli altri che dissero: "Solo mi dispiace di non poterci essere alla battaglia". Eppure con loro scendemmo bloccate le strade al nemico, e già con il loro nome si chiamavano nelle fabbriche nelle strade i fratelli insorti a migliaia con l'arma in pugno. soprattutto a loro il generale tedesco si arrese quel venticinque d'aprile. Se dunque più dei malanni o della morte ci pesa l'ipocrisia dominante, oh non temete: questo abbiamo fatto e questo resterà luminoso come il sole sulle foglie del monte. |
Gli alunni di 2° hanno recitato alcune poesie di Aldo Farina, introdotte da un pensiero dello stesso autore, un poeta partigiano che partecipò direttamente agli eventi e che tra l'altro era presente. Le prime due poesie erano dedicate a Piero Borrotzu, il carabiniere sardo che sacrificò la sua vita per la libertà e a cui è intitolato il nostro istituto; l'ultima è la testimonianza della battaglia del 20 gennaio 1945.
"TENENTE PIERO"
Ho tanta fede nella nostra battaglia che mi scoppiano le tempie, ma tu non credi perchè siamo in pochi, siamo traditi, gettati nella notte.
Aspetterei mill'anni la voce che giunge dai silenzi a rompere l'oscurità. |
PARLAVA
Parlava e noi sentivamo l'inflessibile accento penetrare dentro con l'ardore del sole che scioglie le nevi.
Parlava di reggimenti distrutti, di Patria sacra, di odio di infamia, di coraggio di ignavia, di immancabile "dunque" che crogiola tutti al "domani" per vivere liberi e giusti. |
BALLATA DI GENNAIO
Notte di gennaio più fonda del silenzio che serra la gola dei caduti riversi sulla neve, non sei ancora trascorsa e già ritorni uguale fredda nemica come nera lastra di ghiaccio
Notte di gennaio della nostra gioventù ancora in armi sulle montagne a fianco ai morti che attendono l'alba
Notte di gennaio bianca infinita non ancora trascorsa.
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Ecco l'intervento preparato dagli alunni della classe 1° sul tema:
PARLARE
A SCUOLA DI RESISTENZA
Abbiamo
letto un passo di poche righe tratto da “I sommersi e i salvati” di
Primo Levi in cui lo scrittore, narrando le proprie vicende autobiografiche,
sottolinea il nesso strettissimo tra l’orrore di cui è stato protagonista nei
campi di sterminio e la mancanza di educazione, addirittura la diseducazione,
imposta da una scuola completamente asservita al regime nazista.
Scrive
Levi a questo proposito:
“Ci
viene chiesto dai giovani, tanto più spesso e tanto più insistentemente quanto
più quel tempo si allontana, chi erano, di che stoffa erano fatti i nostri
“aguzzini”. Il termine allude ai nostri ex custodi, alle SS, e a mio parere
è improprio: fa pensare a individui distorti, nati male, sadici, affetti da un
vizio d’origine. Invece erano fatti della nostra stessa stoffa, erano esseri
umani medi, mediamente intelligenti, mediamente malvagi: salvo eccezioni, non
erano mostri, avevano il nostro viso, ma erano stati educati male. Erano, in
massima parte, gregari e funzionari rozzi e diligenti: alcuni fanaticamente
convinti del verbo nazista, molti indifferenti, o paurosi di punizioni, o
desiderosi di fare carriera, o troppo indifferenti. Tutti avevano subito la
terrificante diseducazione fornita ed imposta dalla scuola quale era stata
voluta da Hitler e dai suoi collaboratori”.
Primo Levi, I sommersi e i salvati.
Perché
questa diseducazione non ci conduca a perpetuare gli errori del passato, perché
la scuola allontani da noi il male dell’indifferenza e promuova, invece, la
reciproca accettazione ed il rispetto delle identità diverse, vogliamo
ribadire, in questa circostanza, che la memoria è necessaria: non dobbiamo e
non vogliamo dimenticare. E la memoria non può finire: almeno nel nostro
desiderio, è infinita.
Celebrare
la Resistenza è doveroso poiché significa ricordare che ha vinto la sola parte
che poteva consentire anche agli sconfitti di partecipare dei vantaggi
dell’ordine politico scaturito dalla vittoria; ma la sola celebrazione sarebbe
limitativa e contribuirebbe a cancellarne il ricordo. Dobbiamo, piuttosto,
ricordare che la pienezza della nostra identità non è data dal solo perpetuare
le tragedie del passato, ma consiste nel rendere quel passato fruttuoso per il
nostro presente; è necessario, cioè, che impariamo, grazie al contributo
fondamentale di chi è stato protagonista di quegli avvenimenti, a vivere il
passato non semplicemente come un magazzino di ricordi, ma come una dimensione
dinamica in cui noi passiamo continuamente da ciò che è stato a ciò che sarà.
E solo grazie al racconto diretto di chi ha partecipato alle lotte partigiane
noi potremo sottrarre la Resistenza a quella dimensione metafisica e metastorica
che rischia di farcela sentire distante e non più attuale: potremo, cioè,
valutarne le motivazioni psicologiche, le scelte ideologiche su un piano umano
che tocca e coinvolge storie personali e famigliari, memorie ed interpretazioni
della storia in generale.
Abbiamo
capito che parlare a scuola della Resistenza è possibile e, anzi, doveroso,
perché si renda quel ricordo vivo, operante, in grado di promuovere, oltre alla
conoscenza storica, il senso di identità e di appartenenza, e si dia la
possibilità a noi, che non c’eravamo, di sapere che solo grazie alla lotta
partigiana l’Italia ha riconquistato la libertà e lo ha fatto grazie
all’impegno attivo di una esigua minoranza; lo ha fatto attraverso una lotta
che ha rifiutato la retorica della guerra, lo ha fatto grazie ad una guerriglia
densa di imboscate e rastrellamenti, di fughe affannose e di riusciti colpi di
mano.
Ascoltare il racconto di chi può trasmetterci la faticosa quotidianità di quella lotta è sicuramente il modo migliore di ricordare perché ci consente di vedere l’aspetto più alto e dignitoso della nostra identità nazionale.