Alessandro Iannuzzi

Questo pezzo non è una monografia, ma un augurio che uno dei suoi tanti tifosi fa ad Alessandro Iannuzzi - orgoglio di Prima Porta e Labaro - perché torni a riassaporare momenti di scatenata felicità come quella magica notte del 14-1-1996, che riportiamo nelle parole del giornalista del Corriere dello Sport Alberto Della Palma.

Andrea Pergolari

L'oro nei piedi. Zico nella testa
di ALBERTO DELLA PALMA

La faccia è proprio da bambino. «Certi momenti li puoi soltanto sognare, ma la vita è così bella che poi qualcuno ha anche la fortuna che questi pensieri, fatti di notte, diventano realtà. A me la fortuna ha dato una bella mano». Alessandro Iannuzzi, vent'anni, l'hanno visto proprio tutti, in diretta tivvù, segnare un gol come Zico, Baggio e Maradona. «Vi devo dire la verità? Non ho dormito. Anzi, ho dormito poco e letto molto. In un giorno solo il mio archivio s'è gonfiato, non mi aspettavo tante belle parole, non mi devo montare la testa, questo è solo l'inizio».

Ha salvato la Lazio in una delle notti più tristi della sua storia, una notte sprecata in una banale e nauseante corsa verso lo scudetto. Ne parlano ancora, alla Lazio, come se la squadra non avesse già deluso i più fedeli sostenitori e anche i suoi giovani protagonisti, emersi dalle fatiche zemaniane, vissute come piacevoli tormenti. «L'esperienza che sto facendo è molto importante, mi dispiace che la squadra non sia più in corsa nelle coppe, ma penso che non debba negarsi nessun traguardo». E' ingenuo e molto timido, Alessandro ha una faccia che piace, veste come uno dei Take That, il nero che va di moda, Robbie e Jason come idoli di un mondo senza pallone. «Ho dormito poco, ma non mi monto la testa. So che il difficile viene proprio ora» racconta pensando a quell'intenso abbraccio con Ivano, quindici anni, centravanti degli Allievi biancocelesti. «E' mio fratello, non tutti lo avevano capito. Sono volato verso la Nord, come in un sogno e me lo sono trovato davanti, che piangeva. L'ho consolato, era felice, in tribuna c'erano anche i genitori. Tutti noi, della famiglia Iannuzzi, pensavamo che avrei giocato, magari solo per un attimo e Zeman ci ha reso felici. Spero di averlo ripagato, in minima parte, per quello che ha fatto per me».

La palla all'incrocio,l'immagine di Baggio con il Pallone d'oro appesa nella sua stanza, le punizioni di Zico, 40.000 laziali in festa, tutto in un attimo, a vent'anni, passato e presente in una folle corsa. «Appena ho visto che la palla scavalcava la barriera, ho iniziato a volare verso la curva. Quando passa in quel modo, il gol è un fatto certo». Come accadde il 24 giugno, sempre all'Olimpico ma nella porta opposta: consegnò a Cragnotti l'unico scudetto della sua gestione, segnando una splendida punizione contro il Perugia. «Chissà, penso che il padrone mi riconosca, anche se da solo non ci ho mai parlato». La sua timidezza esplode quando deve raccontare i momenti più importanri della sua vita. «Provai altre sensazioni, dopo quel gol, anche se molto importanti. Non so quale mi abbia provocato le emozioni più intense, ma la rete di domenica notte è stata molto importante per la Lazio, perché altrimenti avremmo passato una brutta settimana».

Ha iniziato al Labaro, nel Jolly Roma, prima di passare alla Lazio, dove in otto anni ha raggiunto la serie A e lo scudetto dei giovani. Iannuzzi, Di Vaio e Nesta come simboli di un club che vorrebbe diventare l'Ajax italiano. La mamma di Alessandro si chiama Stefania e lavora al Policlinico come infermiera, ha un vecchio amore per la Roma e una recente passione per la Lazio, dove gioca anche l'altro figlio, Ivano, altro talento in crescita. Il padre si chiama Massimo, è il portiere del palazzo dove vive, a Prima Porta, nella zona Nord della città. «Portai Alessandro ad una leva, perché a otto anni aveva già una passione sfrenata per il calcio» raccontò la mamma qualche settimana fa. In famiglia si parlava spesso della Fiorentina, la grande passione del padre: suo fratello Nazzareno, infatti, cominciò con Merlo ma finì quasi subito la sua carriera, che non era quella giusta. Di Baggio, Alessandro ha un cassetto pieno di foto. «Le mie punizioni? Non voglio fare paragoni, ma certo che quelle di Zico erano fenomenali».

Baggio, nella vita di Alessandro, sarebbe riemerso qualche anno dopo. Lo paragonava all'ex fantasista viola Volfango Patriarca, talent scout a cui la Lazio dovrebbe fare un monumento. «Calciava le punizioni da Dio, lo chiamavo Baggino». Indossava la maglia numero otto, soltanto con Caso passò al mitico dieci, che oggi è sulle spalle dei più grandi fantasisti del mondo. «Credo di essere un attaccante, altrimenti non avrei segnato ventisette gol in un solo anno, con la Primavera». Di cui dieci su punizione, con il destro o il sinistro, a seconda della posizione. Iannuzzi, da bambino, si allenava tra gli alberi del suo cortile, mai si sarebbe immaginato la magica notte dell'Olimpico.

«Sapete cosa vi dico? Che nel momento in cui l'atbitro doveva decidere se dare il rigore o la punizione alla Lazio, ho pensato che non ci sarebbe stata alcuna differenza. Meglio una punizione di Iannuzzi che un rigore di Casiraghi, senza offesa». Lo racconta Mimmo Caso, ex allenatore di Alessandro, attuale consigliere-padre-amico-confidente. «Da quella posizione non perdona. Ha un talento tecnico straordinario, che deve gestire con la massima attenzione. Se riuscisse ad abbinare il carattere alla classe, diventerebbe davvero un grande. E' sulla strada buona, non deve pensare di essere in ritardo. Marini, che giocava con me nell'Inter, vinse un mondiale a trent'anni, quando pensava che oramai non sarebbe più emerso». Felice Pulici, responsabile del settore giovanile, scomoda persino Del Piero. «L'età è quella, ma le possibilità che questi due giovani hanno avuto sono state diverse. Ha bisogno di fiducia, ma su di lui punto ad occhi chiusi».

Lo volle tenere Zeman, imponendo alla società di non mandarlo a Vicenza, dove Guidolin lo avrebbe fatto giocare tutte le domeniche. «Per un giovane come lui è meglio crescere tra i campioni, basta un allenamento per fare un salto di qualità» ha raccontato il boemo, quando in Giappone paragonò Alessandro a Baggio. Quattro anni di contratto, 60 milioni netti a campionato, un procuratore - l'avvocato Canovi - che lo solleva da ogni pensiero e una nuova Cinquecento come simbolo di una vita senza sprechi. «Lo so, volevo andare via, ma il fatto che Zeman mi volesse mi ha spinto a restare. Ho imparato tantissimo da uomini come Boksic, Signori e Casiraghi. Non c'è proprio paragone. In prima squadra vivi una realtà completamente diversa, ogni colpo va pensato prima che il pallone arrivi, altrimenti non fai più in tempo a giocarlo. Sarebbe stato sciocco fare delle polemiche, mi sono messo a lavorare e ora mi sento in parte ripagato da questo gol, contro il Torino».

In campo non esprime la forza di Fuser o la prepotenza di Winter e nemmeno la rabbia di Chamot: ma in 45 minuti, divisi tra Parma e Torino, Iannuzzi ha costruito un assist (per Di Matteo), un gol, una geniale invenzione per Marcolin (sprecata al volo), un colpo di testa deviato all'ultimo istante da Caniato. Eppure dicono che il carattere sia proprio il suo punto debole: Alessandro ha un modo di muoversi assai grazioso, ma a volte sembra che il ragazzo si trascini. «E' più un atteggiamento che un difetto vero e proprio, questo è il mio modo di fare, ma vi garantisco che mi impegno sempre al massimo, non ho paura e tantomeno mi tiro indietro». Non si sente sprecato in un mondo che ancora non lo ha abbracciato del tutto. «Ho l'età di Del Piero ma non tutti possono avere la stessa carriera. Sono rimasto alla Lazio, chiuso da grandi campioni, ma credo che io possa emergere lo stesso. Molto dipenderà anche dagli stranieri, che possono sfruttare il caso-Bosman per invadere l'Italia».

La Lazio si è già costruita in casa i gol del Duemila. «Io e Di Vaio, lo so che vi riferite a noi, sarebbe troppo bello». Per loro Pulici non accetterebbe un assegno in bianco. «Rappresentano il nostro futuro e la continuità di un lavoro minuzioso». Alessandro avrebbe scalato qualche posizione se in estate Cragnotti avesse ceduto Signori. «Una vicenda che ho seguito poco, ma che si è conclusa nel modo migliore. Da tifoso e da giocatore, penso che la conferma di Beppe sia stata molto importante». Da oggi in poi, Zeman lo seguirà in ogni mossa: il boemo non desidera giovani che perdano la testa o che smarriscano il senso della loro vita per un gol importante ma che può diventare banale. «Non si preoccupi, Zeman, che non mi aspetto niente di diverso, magari solo qualche panchina. No, a Piacenza mancherà Casiraghi, ma non credo che il tridente della Lazio parta con Iannuzzi. O almeno, questa è una situazione che non ho ancora sognato»  

Back