Film-documento di Raitre "Il Papa del sorriso"

 

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Albino Luciani

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PICCOLA GRANDE STORIA

 

 

 

 

 

 

 

Raitre "La grande storia"

 

Il documentario su Giovanni Paolo I, Albino Luciani, trasmesso recentemente dalla Rai, ha suscitato consensi, ma anche critiche. Pubblichiamo il commento di due "vecchi" collaboratori de L'Azione che hanno ambedue avuto modo di essere stati vicini ad Albino Luciani nel periodo del suo ministero episcopale a Vittorio Veneto. Condividiamo la loro valutazione critica per la carenza del documentario nella parte riguardante la nostra diocesi. Siamo convinti che certe sorprese che il suo brevissimo pontificato ha suscitato nascano da alcune caratteristiche della sua personalità che sono maturate proprio a Vittorio Veneto. Appoggiamo poi l'invito perché qualcuno, che sa e può, intraprenda quest'opera di doveroso completamento della figura del nostro amato Giovanni Paolo I.

 

(da L'Azione del 18 settembre 2005)

 

 

LA SOLITA DELUSIONE PER GLI ANNI "NOSTRI"

di Aldo Toffoli (già sindaco di Vittorio Veneto)

 

Il documentario su papa Luciani trasmesso su Raitre lunedì 5 settembre ha ottenuto il consenso della critica e, penso, anche dei telespettatori. Per fare un paio di esempi: il critico del Corriere della Sera (del 7 settembre) lo definisce "una densa pagina di tivù", mentre quello dell'Espresso (numero 35 del 15 settembre) parla addirittura di "Un piccolo, ma non tanto piccolo, capolavoro, televisivo e non solo televisivo".
Non sono un esperto della materia ma, nel mio piccolo, mi sento di condividere i due autorevoli giudizi, almeno sull'opera televisiva in sé, considerata nel suo complesso.
Devo aggiungere però che, nel seguire il documentario, ho anche provato delusione. Vorrei dire: la "solita" delusione, quella che provano tutti coloro che, in diocesi, hanno conosciuto il vescovo Luciani e lo hanno seguito nei suoi anni vittoriesi, quando leggono le sue biografie, soprattutto nelle sintesi giornalistiche ma non solo in quelle, e non trovano in esse (quando lo trovano) se non un breve cenno superficiale al suo episcopato vittoriese. E va anche detto che, nel documentario di cui parliamo, questa parte è la meno riuscita, non solo per la sua incompletezza dal punto di vista biografico, ma anche per il rilievo sproporzionato che in essa si dà (nonché la rappresentazione reticente e confusa) ai due noti "scandali" che procurarono non poche sofferenze al vescovo Luciani, ma che comunque, nell'economia generale della sua "presenza" tra noi, costituiscono due episodi del tutto marginali. Il rischio fortissimo, parlando solo di essi e pressoché niente del resto, è di capire poco, per non dire nulla, di Albino Luciani vescovo di Vittorio Veneto e del mirabile percorso di pensiero e di anima che in quegli anni per noi indimenticabili egli maturò, alla luce - è proprio il caso di dirlo - del Concilio, che egli visse con un entusiasmo letteralmente contagioso.
Ma la delusione, caro Direttore, si accompagna a un rammarico, che è anche - pro quota - un po' senso di colpa: perché l'ombra da cui viene avvolta la storia di monsignor Luciani vescovo di Vittorio Veneto è anche, e forse soprattutto, dovuta al fatto che fin qui nessuno tra noi - ente, associazione, gruppo, singolo - ha mai pensato di compilarla, magari anche solo a cominciare dalla raccolta delle innumerevoli testimonianze ancora reperibili in terra di San Tiziano.

 

LA FORZA DELLA SEMPLICITA'

di Fiore Piovesana (già giornalista del settimanale diocesano L'Azione)

 

Ho avuto il privilegio di avere papa Luciani, allora nostro vescovo, come "celebrante" del mio matrimonio nel settembre del 1966 e di seguire con emozione ed entusiasmo, da giovane cattolico impegnato nelle istituzioni diocesane, la sua prodigiosa semina pastorale fra le nostre comunità cristiane.
Il pregevole film-documento (Il Papa del sorriso), che Raitre ha proposto sulla figura e il ruolo di questo "prete bellunese" divenuto Giovanni Paolo I come per incanto e al di là di ogni pronostico della vigilia, merita un paio di rilievi che nulla tolgono alla bravura e correttezza giornalistica degli autori del servizio.
1- Lo spazio riservato dalla trasmissione alle tre fasi del cammino biografico e pastorale di Albino Luciani verso il soglio pontificio (prete nel bellunese, vescovo di Vittorio Veneto e patriarca di Venezia) mi sembra penalizzi in modo evidente proprio il periodo episcopale nella nostra diocesi. Non mi riferisco tanto ad una questione di "tempo-trasmissione" dedicato a questa fase, quanto piuttosto ad un'analisi limitata e talora superficiale dei segni socio-pastorali che papa Luciani ha lasciato su questo territorio e ai cambiamenti di mentalità ecclesiale che la sua personalità dolce e determinata ha saputo favorire gestendo con maestria e senza clamori il messaggio travolgente del Concilio. Citare l'episodio vagamente guareschiano di Montaner ("il cappellano è nostro, guai a chi ce lo tocca") quale esempio di come l'allora monsignor Luciani difendesse l'ortodossia canonica e l'autorità dell'Episcopus sulla comunità, mi è sembrato riduttivo e certamente non rivelatore di quanto quest'uomo di Chiesa e di Dio sapesse interpretare e calare nelle realtà concrete le "gioie e le speranze" che la stagione conciliare stava suscitando in quegli anni. Al suo ingresso a Vittorio Veneto, a metà degli anni Sessanta, monsignor L uciani si trovò a dover traghettare, seguendo il vento conciliare che soffiava provvidenziale, una Chiesa locale sottoposta, negli stessi anni, a profonde mutazioni sociali, culturali e politiche: si pensi all'industrializzazione galoppante di aree quali il Coneglianese e il Quartier del Piave, con perdita graduale dei connotati rurali di abitudini, mentalità e culture locali, al bisogno di "ruolo attivo" da parte di un laicato cattolico che in quegli anni richiedeva spazi più significativi di presenza ecclesiale che andassero oltre la gestione delle tradizionali attività parrocchiali e, sul terreno più squisitamente politico, al dibattito aperto, nel mondo cattolico, dalla alleanza, a partire dal 1963, fra il partito cattolico della Democrazia cristiana e il Partito socialista che contribuiva a spingere verso esperienze "socialmente coraggiose" un sindacalismo a ispirazione cristiana che gestiva le spinte e le richieste del mondo del lavoro in forte tensione e talora in fibrillazione.
Il vescovo Luciani riuscì, con il suo stile, la sua catechesi e la sua didattica a tratti disarmanti nella loro profonda semplicità, a far emergere una Chiesa viva, capace di metabolizzare i cambiamenti senza cercare il conflitto e in grado di far crescere e progredire non tanto singole esperienze "socialmente ed ecclesialmente dirompenti" come in altre realtà del Paese bensì l'intero popolo di Dio delle comunità cristiane affidate alla sua cura pastorale.
Mi sembrava questo il terreno privilegiato sul quale gli autori del servizio avrebbero potuto scavare e indagare per far capire quanto questo autentico interprete dello spirito conciliare abbia plasmato un'intera comunità.
Non è casuale che alle persone a lui più vicine e nel corso di incontri con responsabili della pastorale e della comunicazione diocesana, il vescovo Luciani fo sse solito ripetere: «Io sono un convertito dal Concilio». La grandezza ecclesiale di quest'uomo va capita, a mio modesto avviso, solo se interpretata rileggendo i testi conciliari più significativi, dalla Populorum Progressio alla Gaudium et Spes.
2 - Le immagini relative alla fase veneziana del patriarca Luciani appaiono puntuali ed efficaci nel rilevare il rigore e l'inflessibilità nel contrastare qualsiasi coinvolgimento della Chiesa in operazioni finanziarie più o meno trasparenti e in manovre con poteri forti ed occulti. Si ricava invece un'impressione distorta della posizione di Luciani nei confronti del mondo del lavoro, in particolare quello di fabbrica, e nei confronti di chi, all'interno della Chiesa, sia prete che laico, si "comprometteva" in tentativi, giusti o discutibili che fossero, di capire e condividere le reali condizioni di lavoro degli operai le quali, in quegli anni, non erano sempre in sintonia né con la dottrina sociale della Chiesa né, soprattutto, con le più recenti esortazioni conciliari.
Pur senza indulgere in proclami e prese di posizione eclatanti, monsignor Luciani, nella fase vittoriese del suo ministero episcopale, ispirò i suoi interventi e orientò la pastorale del mondo del lavoro (si leggano in proposito i numerosi documenti di quegli anni) secondo criteri di apertura, comprensione e rigore dottrinale. Vale a dire: la preferenza della Chiesa va sempre e comunque verso chi è povero, senza potere, sofferente e si batte per elevare la dignità dell'uomo; la Chiesa deve mettere gli uomini e la loro crescita totale prima del profitto; le esperienze "ideologicamente discutibili" o "canonicamente non facilmente compatibili" che laici e preti decidono di fare, vanno seguite con attenzione ed eventualmente corrette con comprensione e carità non bollate con anatemi.
Senza scomodare categorie abusate di progressismo e conservatorismo, mi sembra ancora una volta che la rigorosità conciliare del vescovo Luciani abbia trovato la sua espressione più efficace e genuina durante il suo episcopato nella nostra diocesi. Avrei voluto che il servizio di Raitre avesse dedicato un approfondimento specifico a questo aspetto.
Un'analisi attenta dei documenti di quegli anni e delle eventuali testimonianze ancora disponibili potrebbero svelare ulteriori aspetti sulla grandezza conciliare di questo "umile vescovo" il cui ricordo ancor oggi ci stimola e commuove.

 

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La fiction Rai "Papa Luciani, il sorriso di Dio"

con Neri Marcorè nella parte di Albino Luciani

 

UN SORRISO CORAGGIOSO HA LASCIATO IL SEGNO

(Francesco Dal Mas su L'Azione del 29 ottobre 2006)

 

 

"La nostra fede è gioia" ha detto Papa Luciani appena eletto. L'hanno sentito dal teleschermo, nei giorni scorsi, circa 9 milioni di italiani. "Dio è madre", ha pure azzardato; senza la sua "maternità" e la sua "misericordia" la vita sarebbe più pesante. Non dimentichiamolo quando ci chiediamo - come ho sentito fare tanti giornalisti, e non solo, al Convegno ecclesiale di Verona, durante la visita di Benedetto XVI - se i cattolici italiani sono più 'teodem' o 'teocon'. O quando, sempre a Verona, si è interpretato l'intervento di Ratzinger, specie nella parte relativa al rapporto tra fede e ragione, rivolto più ad una élite di intellettuali che al popolo di Dio.

Le fede è davvero popolare. La fiction televisiva, "Papa Luciani, il sorriso di Dio", comunque la si legga (qualche eccesso d'enfatizzazione non è mancato, neppure qualche lacuna o, peggio, distorsione storica), ha dimostrato che basta appunto anche un sorriso per parlare al cuore della gente, al credente come al non credente. Il sorriso, però, non fine a se stesso, ma come strumento per comunicare un messaggio. La convinzione, ad esempio, raccolta dal padre (socialista) e dalla madre e che Luciani ha ripetutamente manifestato: stare sempre dalla parte dei poveri e non defraudare della giusta mercede i lavoratori. Altro che schierarsi con i 'tecon' o con i 'teodem'.

Luciani ci ha insegnato dagli schermi televisivi che anzitutto bisogna coltivare una fede profonda e che questa va testimoniata (piuttosto che proclamata) con coraggio, abbandonandosi a Dio piuttosto che alle convenienze politiche o culturali di turno, e cercando d'interpretare il nuovo che avanza. Luciani s'era lasciato convertire dal Concilio, non dai "fogli" che pure anche allora esistevano. Ed è un vero peccato che la fiction abbia trascurato la stagione di Vittorio Veneto in cui l'allora vescovo con autentico entusiasmo si faceva traduttore ed interprete di quanto veniva maturando a Roma. Comprendiamo la delusione di tanti perché, ancora una volta, il Luciani di Vittorio Veneto è stato dimenticato.

Però la miniserie televisiva, considerata nel suo sviluppo complessivo, certifica - nonostante siano trascorsi 28 anni da quei 33 giorni di pontificato - che Luciani non è stato una meteora e che davvero è entrato nel cuore di molti come un... santo. Un uomo dalla santità popolare, quotidiana, niente affatto costruita di episodi eroici, anzi talvolta attraversata da contraddizioni e comportamenti poco edificanti (Montaner è uno di questi, a mio avviso), ma comunque segnata costantemente dalla ricerca di fare la volontà di Dio. Proprio per questo mons. Vincenzo Savio, da vescovo di Belluno-Feltre, ha voluto aprire il processo di beatificazione che nella fase diocesana si è conclusa nel mese di novembre appena trascorso.