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Il panorama italiano

Anche in Italia, la crisi dei periodici scientifici si presenta con le caratteristiche sopra descritte, di cui i fenomeni più gravi sono la cessione gratuita del copyright e la spirale dei prezzi, tuttavia con qualche problema aggiunto. Si intende in particolare il problema della scarsa diffusione (e quindi impatto) nazionale ed internazionale della produzione scientifica italiana. Ciò è causato da un insieme di fattori analizzati nei seguenti paragrafi.

Finanziamento pubblico dell’editoria privata

L’editoria scientifica in Italia è caratterizzata da numerose e piccole case editrici, che tradizionalmente hanno ricevuto e ricevono finanziamenti pubblici per la loro produzione; fatto che, come conseguenze negative, ha portato sia alla produzione di quello che si chiama “vanity press”, cioè pubblicazioni concorsuali o di occasione, pubblicate senza adeguati controlli di qualità, sia alla mancanza di investimenti per l’innovazione tecnologica di queste imprese. Un’ulteriore conseguenza di ciò è l’eccessiva frammentazione delle testate scientifiche anche nello stesso, a volte ristretto, settore disciplinare: ciascun istituto di ricerca cerca di avere la propria testata di periodico o la propria collana. In ogni caso, gli autori (e le istituzioni di ricerca finanziatrici) concedono di norma gratuitamente il copyright all’editore. La conseguenza di questa rinuncia, spesso automatica e poco meditata, è molto grave.


Scarsa innovazione tecnologica dell’editoria scientifica italiana

In Italia non sono molti gli editori che hanno intrapreso la diffusione di periodici elettronici. Il fenomeno è facilmente spiegabile con le piccole dimensioni che caratterizzano gli editori italiani ed i grandi investimenti di cui c’è bisogno per predisporre un servizio di accesso in linea alle pubblicazioni elettroniche. Insieme ai pochi editori pionieri in queste attività innovative, come ad esempio Casalini Digital e Laterza, sta nascendo l’esperienza di University Press o di singoli Istituti di ricerca che mettono in rete la produzione scientifica dell’Università o del Dipartimento.


Mancata identificazione nei cataloghi e nelle banche dati bibliografiche dei periodici scientifici italiani

Mancano o sono carenti sistemi di indicizzazione della produzione scientifica italiana. Molti ricercatori, in alcune discipline, cercano di ovviare a questo problema, pubblicando in inglese ed in prestigiose riviste straniere. Viene a mancare l’interesse alla diffusione delle pubblicazioni da parte degli editori; infatti queste pubblicazioni finanziate completamente dal denaro pubblico, restano a lungo nei depositi degli editori e nei magazzini delle istituzioni pubbliche. Gli editori si limitano ad inviare copie delle pubblicazioni per recensioni (non sempre) ma non si preoccupano di mandarne copia alle banche dati. Le pubblicazioni scientifiche non vengono neppure depositate in biblioteca: ad esempio un’indagine effettuata nell’Università di Firenze, ha dimostrato che solo il 50% delle riviste scientifiche prodotte nell’Università è identificabile con gli strumenti bibliografici, solo il 10% è contenuto nei cataloghi delle biblioteche universitarie fiorentine.

Scaffale di una biblioteca nella sezione periodici


Le fallacie dell’Impact factor

Copiando modelli stranieri, anche in Italia si è cominciato a valutare la produzione scientifica dei ricercatori sulla base dell’Impact factor, l’indicatore di impatto basato sulla banca dati della ISI. Gli indicatori quantitativi, già approssimativi per i periodici scientifici stranieri, diventano inesistenti per i periodici italiani. La valutazione di qualità è sicuramente essenziale per un sistema così frammentato come quello italiano, in cui per altro sono state tenute in disparte le biblioteche che di solito hanno il ruolo di filtro di qualità. La qualità deve tuttavia soprattutto essere fondata sulla peer review di comitati scientifici di esperti, scevri da clientelismi o lobby di scuole.



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