DIGIUNO:BIOCHIMICA DEL DIGIUNO

TRATTO DAL LIBRO “IL DIGIUNO TERAPEUTICO” di SEBASTIANO MAGNANO

STORIA DEL DIGIUNO –FISIOLOGIA DEL DIGIUNO – BIOCHIMICA DEL DIGIUNO

PSICOLOGIA DEL DIGIUNO -IL DIGIUNO DI GRUPPO

 

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DIGIUNO:                                                                                         

BIOCHIMICA

ADATTAMENTO DEL CERVELLO AL METABOLISMO DEI CORPI CHETONICI   

 

Le riserve del corpo umano sono veramente notevoli: circa 565.000 kJ (1Kcal=4,184 KJ) sotto forma di grassi, localizzati  in maggior parte nel tessuto adiposo; 100.000 kJ sotto forma di proteine mobilizzabili, localizzate principalmente nei muscoli; 6700 kJ di energia sotto forma di glicogeno (questa fonte di glucosio viene esaurita in appena poche ore). Queste riserve sono sufficienti per consentire una sopravvivenza di vari mesi. Tuttavia la loro utilizzazione può apparire problematica e suscitare alcune difficoltà alla comprensione se si ragiona in base ai normali processi fisiologici e non si tengono nella dovuta considerazione le modificazioni e gli adattamenti fisiologici che si verificano durante l’inanizione: vediamo allora  di comprendere come sia possibile la lunga durata del digiuno.

Le riserve proteiche sono preziose. La riserva più pronta a cedere aminoacidi è costituita dalle proteine muscolari. Il loro consumo, superata una soglia di disponibilità, entro la quale i muscoli si comportano da vere e proprie riserve e non risentono in alcun modo della perdita proteica ma acquistano anzi slancio ed elasticità, ha l'effetto indesiderabile di indebolire il soggetto che digiuna. Inoltre le riserve proteiche non sono così grandi come quelle del tessuto adiposo ( che sono più del quintuplo rispetto a quelle protidiche ) e il corpo deve quindi cercare di risparmiarle per assicurarsi una lunga sopravvivenza al digiuno. Ciononostante nel corso dei primi 2-3 giorni di digiuno la proteolisi continua intensa, più o meno come nei giorni precedenti al digiuno, o può addirittura aumentare il primo giorno, come indica la perdita di azoto urinario. E dal momento che non viene introdotto azoto con la dieta questo vuol dire che c'è una notevole degradazione proteica senza compenso.

Soltanto in piccola parte questo consumo proteico muscolare serve a fornire aminoacidi per la sintesi di proteine indispensabili (proteine enzimatiche, proteiche di tessuti vitali quale il sistema nervoso ecc.) La maggior parte degli aminoacidi rilasciati dai muscoli è infatti utilizzata per sintetizzare glucosio attraverso la gluconeogenesi: il corpo  inizialmente cerca infatti di porre rimedio alla scarsità di riserve di glicogeno, che vengono rapidamente consumate, sintetizzando il glucosio a partire dalle proteine. Questo avviene perché, mentre la maggior parte degli organi è in grado di utilizzare diverse fonti di carbonio (grassi, zuccheri, aminoacidi derivati dalle proteine), il cervello e il sistema nervoso centrale richiedono invece glucosio come unica o prevalente fonte di carbonio (ciò è vero anche per alcuni altri organi come la midollare del rene, i testicoli e gli eritrociti.)

Il fabbisogno di glucosio del cervello umano è enorme: circa 120 grammi  al giorno (che possono ridursi, ma non scendere sotto i 100 grammi) mentre 40 grammi sono richiesti da altri organi: circa 160 grammi di glucosio al giorno  sono quindi necessari per il corpo intero.

La quantità di glucosio che può essere ottenuta in qualsiasi momento a partire dalle riserve corporee di glicogeno ( fegato e muscoli) è di circa 190 grammi, e la quantità totale di glucosio nei fluidi corporei è pari a circa 20 grammi. Di conseguenza le riserve immediatamente disponibili di glucosio rappresentano all'incirca poco più del fabbisogno giornaliero.

Durante i periodi di digiuno che durano più di un giorno il glucosio deve dunque essere sintetizzato a partire da altre sostanze che si comportano da precursori. Il corpo quindi   sintetizza prontamente glucosio dalle proteine e a questo scopo vengono utilizzate soprattutto le proteine dello stesso fegato e dei muscoli: gli aminoacidi che si liberano dalle proteine muscolari passano nel sangue per poter essere utilizzati dal fegato e dalla corteccia renale per la sintesi del glucosio.

George F. Cahill Jr. dell'Elliott P. Joslin Resarch Laboratory della Diabetes Foundation ha dimostrato che tra gli aminoacidi che forniscono il substrato per la sintesi del glucosio da parte del fegato, il più importante è l'alanina. Oltre all’alanina molti altri aminoacidi possono essere utilizzati per la gluconeogenesi e vengono chiamati per questo gluconeogenici. (Solo gli aminoacidi lisina e leucina non formano durante il loro catabolismo precursori del glucosio, e contribuiscono invece fortemente alla formazione dei corpi chetonici: sono quindi aminoacidi chetogenici).

A questo punto siamo in grado di comprendere una delle principali perplessità di fronte ai lunghi digiuni: se la decomposizione delle proteine continuasse con la velocità iniziale, i muscoli scheletrici e le altre fonti di proteine si esaurirebbero rapidamente ed il corpo non potrebbe sopravvivere a lungo.

Facciamo alcuni calcoli approssimativi ma abbastanza indicativi: il cervello richiede un rifornimento di energia equivalente ad almeno 100 grammi di glucosio ed il corpo, pur diminuendo  la sintesi  di glucosio iniziale (160 grammi circa in un uomo di 65 kg) non può scendere sotto questi 100 gr di glucosio senza danneggiare il cervello. Ebbene, anche la sintesi del glucosio corrispondente  a questo fabbisogno sotto il quale non si può scendere esaurirebbe rapidamente le fonti proteiche. Infatti, per la sintesi del glucosio con la neoglucogenesi, il corpo solo in piccola parte utilizza i grassi (trigliceridi), che mettono a disposizione come precursori il glicerolo e solo alcuni acidi grassi, quelli a numero dispari di atomi di carbonio: questa via è quindi limitata e può fornire circa 16 grammi di glucosio al giorno. Ne deriva che  le proteine dovranno contribuire per  90 grammi circa. Dal momento che per produrre 90 grammi di glucosio il corpo dovrebbe decomporre 155 grammi di proteine muscolari,(da un grammo di proteine possiamo infatti ottenere circa 0,6 grammi di glucosio) questo fatto implicherebbe una perdita giornaliera di azoto di circa 25 grammi(infatti il rapporto proteine-azoto è di 6,25). Poiché il contenuto di azoto del corpo di un adulto ammonta a circa 1000 grammi, e  una perdita superiore del 50% di questa quantità è letale, si dovrebbe concludere che l’uomo a digiuno non possa sopravvivere per più di tre settimane.

E così hanno concluso, sulla scorta di simili calcoli, alcuni fisiologici privi di esperienze dirette: conclusione frettolosa, smentita da numerosi e recenti studi, oltre che dalle numerosissime osservazioni dei cultori del digiuno: i digiunoterapeuti hanno  osservato numerose volte che l'uomo può digiunare per periodi assai più lunghi di tre settimane, non solo  rimanendo in condizioni fisiologiche  ma ottenendo  miglioramenti delle condizioni di salute.

Ed ecco la spiegazione del fenomeno. Il corpo comincia presto a diminuire le sue perdite proteiche e a mano a mano che il digiuno continua una parte sempre maggiore della perdite organiche è imputabile al consumo di grasso corporeo, con un corrispondente risparmio delle vitali riserve di proteine. Se all'inizio del digiuno un uomo medio tenderà a sintetizzare dalle proteine  almeno 90 grammi di glucosio, con un consumo di almeno 155 grammi di proteine, dopo i primi 2-3 giorni questo consumo diminuirà rapidamente, fino a ridursi a 10 grammi (o anche meno) dopo 3-4 settimane, con una produzione minima di glucosio dalle proteine: in media non supera i 5-6 grammi. (Il corpo non può infatti fare completamente a meno del glucosio, perché la maggior parte dei tessuti ne ha bisogno per rifornire il ciclo dell'acido tricarbossilico.)

Un organismo a digiuno pertanto dopo 3-4 settimane tende a raggiungere il consumo basale di proteine, quel consumo cioè sotto il quale l’organismo non può scendere, a causa dell’inevitabile consumo  di materia  vivente che il metabolismo comunque comporta. A riguardo, i dati forniti dai vari ricercatori differiscono molto, pur confermando tutti il progressivo risparmio proteico. Nonostante la discordanza dei dati possiamo affermare  che, in un soggetto con caratteristiche medie,  è prevedibile che il consumo proteico sia ridotto, dopo 3 settimane di digiuno, di 10 volte e anche più.

A questo punto rimane da capire un fatto fondamentale: come è possibile una decomposizione giornaliera di proteine   così bassa  quando, secondo i calcoli riportati, ne necessiterebbe una quantità più di 10 volte maggiore per produrre il glucosio necessario a coprire il solo fabbisogno energetico del cervello? Come si procura il cervello il resto dell’energia necessaria?

Il fatto si spiega con un fenomeno di straordinaria importanza: molto presto, entro la prima settimana del digiuno, nel cervello avviene una commutazione biochimica e le cellule cerebrali cominciano ad utilizzare  come fonte energetica i corpi chetonici,  sostituendoli al glucosio. Quindi  si può ridurre enormemente  la demolizione proteica per produrre glucosio. Fu Cahill  che scoprì che il deficit di glucosio era compensato da una fonte sostitutiva di energia, derivata dai grassi: i corpi chetonici, appunto. Il sangue dei soggetti digiuni mostra infatti un aumento dei corpi chetonici: acido acetacetico e i suoi derivati, acetone e acido beta-idrossibutirrico, ed il cervello si adatta a questi substrati energetici. Ricercatori dell'università di Oxford hanno in seguito dimostrato che il cervello è dotato del meccanismo enzimatico necessario per utilizzare i corpi chetonici.

La condizione detta chetosi, cioè accumulo di chetoni nel sangue e loro presenza nelle urine e nell'aria espirata (acetone), è praticamente sempre presente durante un digiuno che si prolunghi per qualche giorno ed è sempre stata paventata come condizione patologica: uno dei fatti addotti per dimostrare gli effetti dannosi del digiuno è proprio la presenza della chetonemia, la quale è associata, in circostanze diverse, a fenomeni patologici (acetone dei bambini, diabete scompensato) e comporta la tendenza alla acidosi metabolica.

Però nel digiuno la chetonemia non è un fatto patologico ma un  adattamento biochimico fondamentale assicurare una lunga sopravvivenza.

Quando, dopo pochi giorni di digiuno, i corpi chetonici (in particolare l'acido-beta-idrossibutirrico) raggiungono nel sangue la concentrazione sufficiente, viene infatti attivato nel cervello il meccanismo biochimico dei chetoni, in seguito al quale quasi tutte le necessità energetiche del corpo saranno sostenute dai grassi, da cui i corpi chetonici derivano: e così il consumo proteico comincerà ad abbassarsi fino a diventare poco più alto del ricambio di base.

L'adattamento al metabolismo dei corpi chetonici determina non solo risparmio sulle proteine muscolari e di altre riserve, che non sono più demolite per sintetizzare zucchero per il cervello, ma anche  risparmio sul consumo di proteine enzimatiche.

Il metabolismo degli zuccheri è infatti dispendioso, comporta l'intervento di molti enzimi e quindi il loro consumo, che deve essere compensato dall'organismo; il metabolismo dei corpi chetonici è invece un metabolismo "in regime di austerità", perché richiede l'intervento di pochi enzimi e quindi scarso consumo di proteine enzimatiche.

Questa importante modificazione biochimica scatta, come abbiamo detto, quando i corpi chetonici raggiungono una certa soglia: da questo momento verranno metabolizzati e grazie al consumo manterranno in modo stabile o quasi il loro dosaggio, che non raggiungerà mai livelli patologici, come può succedere invece nel diabete. Non si avrà modificazione della acidità del sangue e nemmeno si è mai dimostrata, durante i digiuni prolungati, deplezione della riserva alcalina del sangue. Probabilmente questo è dovuto da una parte all’eliminazione di urine acide, che rimuovono gli accumuli acidi dal corpo, dall’altra alla capacità dell’organismo di reintegrare le sue riserve alcaline trattenendo secondo le sue esigenze gli alcali dei tessuti che vanno incontro ad autolisi.

L’adattamento del cervello al metabolismo dei chetoni è indotto, attraverso l’azione di alcuni ormoni, dai centri regolatori a livello ipotalamico e permette di prolungare i digiuni ben oltre le tre settimane che sarebbero invece un limite insuperabile qualora il cervello continuasse a richiedere glucosio.

La commutazione biochimica del cervello all'utilizzazione dei corpi chetonici non spiega soltanto la possibile lunga durata del digiuno, ma contribuisce a chiarire altri fenomeni. Può infatti considerarsi il substrato organico dei profondi cambiamenti mentali e psicologici associati al digiuno e inoltre permetterci di spiegare come a volte una dieta inadeguata possa determinare squilibri più rapidamente  di un digiuno assoluto (che, come abbiamo visto, ha una lunga fase fisiologica prima di sfociare nella fase patologica) e determinare fatti morbosi che non insorgono durante il digiuno.

Ad es. durante un digiuno completo non si ha formazione di edemi che invece si formano con frequenza in seguito a diete carenti di proteine. L'edema è determinato da un abbassamento delle proteine plasmatiche  che causa un abbassamento della pressione osmotica del sangue e una fuoriuscita di acqua verso gli spazi interstizali dei tessuti.

Durante il digiuno si ha inizialmente un consumo rapido delle proteine plasmatiche, compensato dall’utilizzazione degli aminoacidi delle proteine muscolari che, come abbiamo visto, rapidamente si liberano dalle riserve dei muscoli nei primi 2-3 giorni di digiuno: questi aminoacidi servono non solo a formare glucosio ma anche a non fare abbassare le proteine plasmatiche, sostituendo con nuove sintesi  quelle consumate. In un secondo tempo, con l’instaurassi del metabolismo chetonico, si ha un notevole risparmio di proteine enzimatiche e la quantità di proteine nel sangue può essere mantenuto con una certa facilità dalle riserve proteiche muscolari, epatiche ecc. Quindi durante il digiuno non si formano in genere né edemi precoci né tardivi. Gli edemi da fame possono invece presentarsi facilmente nella alimentazione deficiente di proteine ma non di zuccheri: e questo può avvenire sia quando le carenze sono di breve durata, sia quando sono croniche, con meccanismi verosimilmente differenti. Gli edemi precoci, da carenza proteica acuta in presenza di quantità sufficienti di zucchero,  sono probabilmente dovuti al fatto che non si ha l'iniziale  messa in circolo di aminoacidi dalle proteine dei muscoli per la formazione di glucosio (che non si abbassa nel sangue perché sufficiente nella dieta). In altre parole la mobilizzazione delle riserve proteiche è rapida in caso di digiuno assoluto per il potenziale  abbassamento del glucosio nel sangue in seguito al consumo rapido della riserva di zuccheri: per non permettere l’abbassamento della glicemia (che comporterebbe, se prolungato, danni cerebrali, coma e morte) le  proteine delle riserve muscolari liberano rapidamente nel sangue aminoacidi che  possono così essere utilizzati per mantenere entro valori fisiologici la glicemia, ma anche per sintetizzare le proteine plasmatiche consumate. Questo non avviene in caso di dieta carente di proteine ma sufficiente in zuccheri, perché la glicemia non tende ad abbassarsi: non si ha quindi la rapida mobilizzazione delle riserve proteiche, con pronto compenso del consumo di proteine plasmatiche, e questo comporta un abbassamento delle proteine del plasma con diminuzione della pressione osmotica,  conseguente fuoriuscita di acqua dai vasi verso il liquido interstiziale e formazione di edemi. L'edema precoce nella deficienza proteica acuta avviene soprattutto nei bambini, come ad es. nel Kwashiorkor: i bambini sono più esposti per il metabolismo più attivo e labile.

La formazione di edemi tardivi in condizione di deficienza proteica prolungata associata a sufficiente quantità di zucchero ha una spiegazione diversa da quella dell’edema precoce: in questo caso non scatta la commutazione del cervello ai corpi chetonici (perché il glucosio è sufficiente per le necessità cerebrali) e permane il metabolismo del glucosio, dispendioso per il consumo di molti enzimi, e quindi di molte  proteine che ne sono costituenti fondamentali. Esse sono prontamente sostituite da quelle plasmatiche, a loro volta rimpiazzate dalle riserve muscolari, ma  si avrà un abbassamento del valore delle proteine plasmatiche ed edema in seguito al rapido venir meno delle riserve. L’edema tardivo è dovuto anche al fatto che le carenze enzimatiche, che si instaurano in queste circostanze, quando cioè le riserve proteiche cominciano a scarseggiare, causano alterazioni metaboliche, danni ai capillari e modificazioni della loro permeabilità. Le carenze enzimatiche determinano inoltre gravi squilibri  di tutti i tessuti, perdita dell’integrità dell’intero organismo e morte.

Un regime privo o fortemente carente di proteine, ma con sufficienti zuccheri, comporta quindi una perdita  di proteine enzimatiche più forte di quella determinata dal digiuno assoluto, un esaurimento più rapido delle riserve e  una precoce insorgenza di fenomeni patologici.

Possiamo concludere dicendo che durante il digiuno non si ha formazione di edemi precoci per la pronta mobilizzazione delle riserve proteiche, indotta dal rapido esaurimento delle riserve di zuccheri; non si ha nemmeno formazione di edemi tardivi per la commutazione del cervello al metabolismo dei corpi chetonici.

Due osservazioni:

1)Formazione di corpi chetonici: proprio il fenomeni più paventato è realtà  necessario perché  si possa digiunare a lungo in condizioni fisiologiche.

2)Il corpo è in grado di affrontare  meglio lunghi digiuni che non   diete fortemente carenti o squilibrate

La commutazione ai corpi chetonici nel digiuno dunque è uno dei fenomeni più importanti. Infatti:

1) Riduce notevolmente la neoglucogenesi e di conseguenza la demolizione proteica.

2) Rende i grassi l'unica forte energetica per tutti i tessuti: in definitiva anche il sistema nervoso, quando comincia ad utilizzare i corpi chetonici, viene alimentato dai grassi e i grassi sono la maggiore riserva ed hanno il massimo rendimento( infatti un grammo di grassi fornisce 9,3 calorie, le proteine 4,4 e gli zuccheri 4,1.)

3) semplifica il metabolismo che, dal punto di vista  del fabbisogno energetico, si riduce a quello dei grassi: questo oltre al maggior rendimento comporta un risparmio di enzimi ( quindi anche di proteine, costituenti degli enzimi) nonché di vitamine e di oligoelementi che intervengono nell’azione degli enzimi.

In definitiva la commutazione chetonica permette una lunga sopravvivenza in condizioni di equilibrio fisiologico, senza edemi o altri segni di carenza, perché semplifica il metabolismo energetico, riducendolo a quello dei grassi: la riserva maggiore, con la resa massima e il minor consumo enzimatico, vitaminico e di oligoelementi.

 

 

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