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L’AVO PIU’ ANTICO:  CARLO

 

Allo stato attuale delle ricerche effettuate nell’archivio parrocchiale di Camporgiano il Pellegrinetti più antico che è stato possibile individuare è Carlo, nato nel 1698 e morto nel 1754 a soli 56 anni. Nei registri si trova l’atto di morte ma non quello di nascita e c’è l’annotazione “proveniente da Gragnanella”. Egli, quindi, era probabilmente nato a Gragnanella e, poi, si era trasferito a Camporgiano nel podere de La Casetta. Anche i suoi tre figli: Francesco nato nel 1735, Petrus nato nel 1746 e Lauretia nata nel 1754 risultano morti ma non nati a Camporgiano. Ciò può farci ipotizzare che il trasferimento a Camporgiano sia avvenuto dopo il 1746 (nascita di Petrus). Ma non si capisce come mai non risulta nata a Camporgiano Lauretia, nata nel 1754, alcuni mesi dopo la morte del padre che sappiamo morto a Camporgiano. Un’ipotesi attendibile potrebbe essere questa: La moglie, rimasta vedova, si trovò nel nuovo paese, nel podere probabilmente non ancora sistemato a dovere, sola e senza parenti, con un figlio di diciannove anni, uno di otto e in attesa della terza figlia. Di conseguenza avrà trovato conveniente ritornare a Gragnanella ove avrà avuto dei parenti, almeno per il parto. Così si spiegherebbe la nascita di Laurezia avvenuta non a Camporgiano ma, probabilmente, a Gragnanella. 

 

FRANCESCO

Francesco era il primo figlio di Carlo. Come abbiamo detto aveva solo 19 anni alla morte del padre e dovette trovarsi in una ben difficile situazione. Non risulta, infatti, che a Camporgiano fossero presenti altri parenti (forse qualcuno sarà capitato occasionalmente a dare una mano). Ed in famiglia, oltre alla madre, c’era il fratellino di 8 anni e la sorellina non ancora nata. Non abbiamo notizie precise sullo stato del podere, ma da racconti tramandati nella nostra famiglia si presume che il podere fosse costituito quasi tutto da pascoli che andavano “scassati” per trasformarli in terreni seminativi. Si racconta anche che la moglie di Carlo, la prima volta che fece il suo ingresso nella nuova proprietà, si mise a piangere vedendo le tristi condizioni della casa, che era ancora coperta a paglia. Sulla soglia era incisa una data del XV secolo.

 Certo è che Francesco deve avere lavorato duramente per mettere ordine nel podere e renderlo produttivo. Lo si può dedurre anche dal fatto che piuttosto tardi fu in grado di formarsi una famiglia propria. La sua prima figlia, infatti, nacque nel 1774, quando Francesco aveva già 39 anni. Le cose, però, dovevano essersi messe bene nel podere, che era ora in grado di nutrire ben otto figli. Francesco visse ben 88 anni e morì soltanto nel 1823. Il fratello di Francesco, Petrus, non si era sposato ed era morto all’età di 40 anni.

 

JACOPO

Jacopo era il maschio più giovane dei due figli maschi di Francesco. Ma, per una ragione che non sappiamo fu lui che si sposò invece del fratello maggiore. Era ormai consolidata tradizione che uno solo era il figlio maschio che doveva garantire la discendenza mantenendo unito il patrimonio. Le femmine che si sposavano venivano liquidate, evidentemente, con una dote.

 Jacopo doveva aver consolidato la situazione economica dell’azienda. Sposò, infatti, Nunziata Guasparini, di buona famiglia camporgianese. Ebbe sei figli di cui tre maschi e tre femmine. Naturalmente uno solo si sposò, Cesare, ma Giuseppe rimase in famiglia. Di lui si dice che amasse molto la lettura e che si fosse procurato una piccola biblioteca. Il che fa pensare a una certa disponibilità economica. Si dice anche che, avendogli un incendio distrutto la biblioteca, ne morisse di crepacuore. Anche Jacopo ebbe vita lunga: 85 anni.

 

CESARE

Cesare visse 78 anni ed ebbe otto figli di cui tre maschi. Uno, però, morì bambino. Gli altri due, Carlo e Jacopo, nella loro giovinezza lavorarono duro nella loro terra. Ma pare che il padre Cesare fosse un buontempone che passava molto tempo con gli amici e lavorava poco. Così i due figli suddetti non erano contenti della loro vita. E, poiché a quel tempo la gente del paese aveva cominciato ad emigrare, anche loro vollero tentare l’avventura e, prima Jacopo poi Carlo abbandonarono il podere che decadde notevolmente, essendo rimasto alle cure delle donne e, fin che visse, del padre Cesare ormai vecchio. Ma la cosa più rivoluzionaria fu che i due fratelli non accettarono la logica della tradizione e vollero sposarsi entrambi, rompendo, così, l’unità del patrimonio.

 

CARLO E JACOPO

Ancora al tempo di Cesare le condizioni della famiglia dovevano essere discrete, poiché, addirittura, una delle figlie, Matilde, sorella di Carlo e Jacopo, fu fatta studiare e si diplomò maestra elementare. E un’altra, Cleta, sposò un farmacista.

 Intanto, vivendo ancora Cesare (che morirà nel 1897), l’unità del podere venne mantenuta. Ma Carlo, che nel frattempo si era sposato con una maestra e nel 1885 aveva avuto il primo figlio, di fatto non si occupava più del podere, e anche Jacopo, emigrato in Francia, perseguiva ormai altri obiettivi. In tali condizioni, alla morte di Cesare il podere fu diviso in sei parti (due degli otto fratelli erano morti bambini). Infatti anche le sorelle ebbero una quota del podere. Di fatto, però, esso mantenne una certa unità, perché due delle sorelle, Lucrezia e Nunziata, non si erano sposate ed erano rimaste a vivere sul podere che continuarono a coltivare. E anche i figli di Carlo con la loro mamma, dopo aver risieduto altrove dove essa insegnava, ora vivevano a La Casetta. Jacopo, finchè era all’estero, probabilmente lasciò che le sorelle godessero dei frutti del podere (che, comunque, si fecero scarsi a causa della carenza di forza lavoro). E lo stesso dovettero fare le due sorelle sposate.

 In seguito, però, Jacopo, che a Marsiglia aveva sposato una donna di Carrara (una frazione), rientrò in Italia, ebbe una parte della casa e del podere e impiantò una piccola fabbrica di sapone. Ma Carlo, che con le sue campagne di lavoro all’estero doveva avere qualche disponibilità di denaro, riacquistò le parti delle sorelle sposate e ricostituì una unità poderale abbastanza  consistente. E, probabilmente, cercò di riportarla all’antica produttività. Ma nel 1901, dopo la nascita dell’ottavo figlio, sua moglie morì di parto. Ovviamente questo comportò la perdita dello stipendio da maestra, per cui le condizioni economiche ebbero un brusco peggioramento. Il podere non era sufficiente a far vivere lui, le due sorelle e gli otto figli. Rimaneva la strada dell’emigrazione. E nei primi anni del nuovo secolo emigreranno con lui anche i figli più grandi: Beniamino, Giorgio e Corrado. Essi emigrarono in Francia, a Marsiglia. Beniamino si fermerà qui mentre Carlo, con Giorgio e Corrado, tenteranno l’avventura americana. Nel 1905 varcarono l’Atlantico e arrivarono a Chicago. Carlo rientrerà e ripartirà più volte, ma i due figli non rivedranno più l’Italia. Negli anni successivi emigreranno insieme al padre o da soli anche altri figli: Guido in Germania, Azelio e Cesare in Francia (Cesare, poi, anche in America) e, negli anni venti, Nello negli Stati Uniti. Quest’ultimo non rientrerà più in Italia. Ormai nessuno dei figli contava più sul podere come fonte di sostentamento anche se alcuni di loro, Settimo, Azelio, Nello, e anche Cesare, rientrato da Chicago, vissero alla Casetta fino alla prima guerra mondiale e anche un po’ oltre. Poi ognuno prese la sua strada e si occupò altrove. Intanto Carlo, dopo un’ennesima campagna di lavoro all’estero, nel 1920 fu in grado di costruire una nuova casa e, rimasto ormai solo con le due sorelle, rimise in efficienza il podere e, nel 1925, si sposò in seconde nozze con una levatrice di Camporgiano, Erina Accorsini. Essa, però, morì dopo poco e Carlo, affidato il podere a un colono mezzadro, visse solo (anche le due sorelle erano morte nel frattempo) a La Casetta fino quasi al termine dei suoi giorni. (solo gli ultimi mesi dopo la tragica morte del figlio Beniamino, li visse a Minucciano in casa del figlio Settimo). Intanto anche Jacopo, che aveva avuto due figlie, si era costruito una piccola casa sul suo terreno e qui visse col reddito del suo piccolo appezzamento, prima con tutta la sua famiglia, poi, partite le figlie, con la moglie Genoveffa e, infine, da solo.

 

I  FIGLI DI CARLO

Le due figlie di Jacopo, la prima delle quali ha lavorato tutta la vita come impiegata presso la Società Metallurgica Italiana a Fornaci di Barga, mentre la seconda era emigrata negli Stati Uniti, si erano sposate ma non avevano avuto figli. Per cui Jacopo non lascia discendenza.

 I figli di Carlo, invece, ad eccezione di Guido che morì in guerra, si sposarono tutti e lasciarono numerosa discendenza. Sei di loro avevano combattuto durante la prima guerra mondiale. Giorgio, che aveva ormai acquisito la cittadinanza americana, combattè nell’esercito degli Stati Uniti, Beniamino rientrò dalla Francia e combattè nell’esercito italiano. Guido, rientrato dalla Germania, idem. E così Nello, Azelio e Settimo (un “ragazzo” del 1899). Ne rimasero fuori soltanto Cesare, perché troppo giovane, e Corrado, che rimase a Chicago.

 Al termine della guerra Giorgio rientrò in America ove presto emigrerà anche Nello con la moglie Gemma. Beniamino rientrerà a Marsiglia e la vita di tutti loro si svolgerà per sempre lontana dall’Italia. In Italia rimasero soltanto Azelio, che si impiegò come guardiano del carcere mandamentale di Camporgiano (e fu l’unico rimasto a Camporgiano), Settimo, che si impiegò nel Comune di Minucciano e Cesare che aprì un commercio a Monzone, comune di Fivizzano (ove si era sposata la zia Matilde) e, poi, si impiegò nell’organizzazione sindacale fascista.

 

LE GENERAZIONI AMERICANE

I tre fratelli che erano in America, a Chicago e cioè Giorgio, Corrado e Nello non rientrarono più in Italia. Giorgio, almeno per un certo tempo, faceva l’assicuratore. Corrado commerciava e Nello faceva il cuoco. Con i fratelli rimasti in Italia mantennero sempre rapporti epistolari abbastanza regolari finchè furono in vita. Tali rapporti, anzi, si fecero più frequenti e regolari dopo il secondo conflitto mondiale. Alla loro morte, però, tali rapporti si fecero difficili. Finchè fu in vita li mantenne Gemma, la vedova di Nello, dopo di che si interruppero.

 Ci fu un tentativo di rapporto fra Isolina, la figlia di Corrado e Guido figlio di Cesare, che scriveva in inglese. Ma fu prima della guerra e la guerra li aveva interrotti.

 Negli anni ottanta, però, vennero in Italia prima la Maria figlia di Nello col marito e Isolina pure col suo uomo, poi Bianca col marito. Esse furono ospiti di Mario (ma si fermarono solo un giorno) e, poiché parlavano, specie Bianca, un buon italiano, fu piacevole conversare con loro. Maria e Isolina andarono a trovare anche Cesare e Guido a Massa e Mirella a Livorno.

 Da allora fra Mario e Bianca si instaurò un rapporto epistolare regolare. Bianca scriveva in inglese e Mario rispondeva in italiano. E anche con Maria ci fu scambio di lettere. Poi anche Bianca è morta e il rapporto si è interrotto.

 Ed ecco che nel 2001 Mario riceve una lettera da Dawn Hall, che sarebbe la pronipote di Corrado che gli preannuncia una visita. Visita che c’è stata ed è stata molto affettuosa. Ora c’è scambio di messaggi via internet.

 E un altro contatto inaspettato ha avuto Mario: John Mearns, figlio di Isolina, si è messo in contatto per avere notizie dei Pellegrinetti d’Italia per ricostruire l’albero genealogico ( tree family) della famiglia. Cosa che ha fatto con la collaborazione, appunto, di Mario che, così, ha potuto avere notizie precise sui parenti d’America. I viventi della seconda generazione sono ormai soltanto: Maria (che, però, è morta il 21.11.2003) e Anna figlie di Nello. Sono morti, infatti, entrambi i figli di Giorgio, le due figlie di Corrado e Bianca figlia di Nello. Vive la loro numerosa discendenza, ormai del tutto americanizzata.

 

LE GENERAZIONI FRANCESI

 Coi Pellegrinetti di Francia ci sono stati sempre scarsi contatti. Beniamino, che credo fosse un operaio specializzato (elettricista o qualcosa del genere) ebbe tre figli maschi coi quali non ci sono mai stati grandi contatti.

 Nel 1938, però, Beniamino era venuto in Italia per ritrovare il padre e aveva portato con se il figlio più piccolo, Roberto. Suo padre Carlo viveva da solo alla Casetta e aveva la cattiva abitudine di tenere in casa il fucile carico. Fatalità volle che Roberto, giocando col fucile, facesse partire un colpo che colpì il padre alla gola uccidendolo. Sia Carlo che Roberto rimasero fortemente scioccati dalla sciagura che, fra l’altro, avvenne la sera tardi. Per cui Carlo fu portato a Minucciano dal figlio Settimo e Roberto, in attesa che la madre venisse a riprenderlo dalla Francia, fu portato a Monzone da Cesare e qui visse per quasi un mese. Un ulteriore contatto con Roberto ci fu in occasione di una sua visita a Camporgiano negli anni sessanta, ospite di Mario. E anche una di lui figlia fece visita a Mario col marito in quegli anni. Infine Mario e gli altri cugini di Camporgiano conobbero il primo figlio di Beniamino (ora defunto) Carlo, venuto in occasione della morte di Azelio, avvenuta nel 1978.

 

LE GENERAZIONI ITALIANE

In Italia, come già detto, erano rimasti tre dei figli di Carlo: Azelio, Settimo e Cesare. Settimo morì nel 1944, ucciso dai partigiani perché segretario del Fascio Repubblicano di Minucciano. Azelio è morto, come sopra detto, nel 1978 e Cesare nel 1983. I due figli di Azelio sono morti entrambi. Il primo era Leone. Era claudicante per aver avuto la poliomielite e lavorava come fabbro. Sposato, aveva avuto una sola figlia. E’ morto per un tumore alla vescica.  Il secondo, Giovanni detto Giannetto, aveva studiato in seminario ma, poi, ne era uscito e aveva fatto il corso allievi sottufficiali nei carabinieri. In tempo di guerra fu deportato in Germania ma rientrò a fine guerra e riprese la sua carriera. Purtroppo combattendo il bandito Giuliano in Sicilia rimase ferito a una gamba. Claudicante per i postumi della ferita, dovette lasciare l’arma dei carabinieri e venne assunto come vigile urbano nel comune di Camporgiano. Dopo poco che aveva raggiunto la pensione, moriva per un tumore ai polmoni.  Sono, invece, ancora viventi le due figlie di Settimo, Anna e Mirella. Entrambe sono maestre elementari ora in pensione. Anna, che ha sposato un uomo di Vallata, in provincia di Avellino, dove ha vissuto per lunghi anni, ora vive a Livorno col marito. Ha un figlio sposato. Mirella, che ha sposato un ferroviere, ha vissuto per lunghi anni a Livorno, poi è rientrata in Garfagnana dove si sono sposate le due figlie, Ora vive a Villetta nel Comune di San Romano.

Anche i due figli di Cesare, in questo febbraio del 2002 vivono ancora. Guido ha vissuto i primi anni a Monzone dove suo padre abitava e lavorava. Ha studiato nel collegio di Soliera prima e al Liceo Classico di La Spezia poi. In tempo di guerra fu richiamato e fece il corso allievi ufficiali. Appena nominato sottotenente, l’8 settembre 1943, fu catturato dai tedeschi e portato prima in Polonia poi in Germania. Qui aderì alla Repubblica Sociale Italiana, fu addestrato e rientrò in Italia con la Divisione “San Marco”. Successivamente passò alla Divisione “Italia” e con questa rimase fino al termine del conflitto. Laureatosi in lettere e filosofia nel 1948, ha insegnato prima nel collegio di Soliera, poi alle Magistrali di Massa, quindi al Liceo Scientifico e, infine, al Liceo Classico, sempre di Massa. Ha pubblicato molti libri scolastici di latino e molte opere storiche. Ora vive a Monzone con la moglie Lisetta. La figlia Marzia, invece, sposata con una radiotecnico, continua a vivere a Massa. E’ laureata in lettere, ma lavora come impiegata all’Ufficio Tecnico Erariale. Ha due figli studenti: Marco e Giorgio.

 Dai figli maschi di Azelio, però, sono nate soltanto figlie femmina (Un figlio di Giovanni, Roberto, è morto bambino), Settimo aveva solo figlie femmina e, dei due figli maschi di Cesare, Guido ha solo una figlia femmina e Mario due femmine e un solo maschio. Quest’ultimo, Fabrizio, ha a sua volta un figlio maschio, Jacopo, che è l’unico maschio dell’ultima generazione dei Pellegrinetti viventi in Italia.

 

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