LETTERA "P" (AGGIORNATA AL
09/08/04)
- Paccija: pazzia; esser
fuori di sé, non comprendere; agire in modo inusuale.
- Paccijari: impazzire; uscir di senno; perdere il "ben
dell'intelletto"; pensare ed agire in maniera difforme dalla totalità
della gente.
- Sta paccijandu da matina a sira: sta facendo delle cose strane,
da mane a sera; è fuori di sé; non ragiona....spesso, tutto ciò, per
un...sogno, romantico sogno di gioventù: un amore!
- Mi paccija quantu voli: impazzisca quanto e quando vuole; faccia
come gli pare. Qualcuno è proprio irremovibile!
- Pacciu: pazzo, fuori di
sé. Un po' fanatico, esagerato, eccentrico.
- Cu ttia, cu saviu esti, pacciu ddiventa: stando vicino a te...chi è saggio diventa
pazzo. Non ti si capisce più!
- Sapi cchiù u pacciu 'ncasa sua ca u saviu 'ncasa d'atri: sa più il pazzo in casa sua che il saggio in
casa d'altri. Il pazzo (seppur pazzo!) conosce ben casa sua e sa come muoversi,
mentre il saggio...deve pure imparare a muoversi...a conoscere, a rendersi
conto.
C'era una famiglia.... (fino al
1950/55), che agiva e si comportava in maniera particolare, pur non sconfinando
oltre il lecito: era detta a famigghia di pacci. Cosi si diceva anche
di chi si comportava in maniera
particolare, eccentrica, disordinata.
- Non simu a famigghia di pacci: noi siamo savi, intelligenti,
attenti, doverosi, lavoratori...non come la famiglia....dei pazzi.
- Paddecu: (dal greco pidékos,
babbuino), rozzo, scimmiotto, tonto, stupido. Per molte generazioni, gli
appartenenti ad una famiglia, fisicamente bassi e piuttosto paffuti, erano
soprannominati paddechi.
- Paffiti: (dal greco péfto, cado):
rumore di cosa che cade e/o si rompe .
- Pagghia: paglia: di grano, d'orzo, di segale, di lenticchie.
(vedi anche la voce Pani).
Si usava anche per indicare cosa
leggerissima, quasi inconsistente e così come qualificativo per persone e cose
senza valore.
- Sti sicaretti parinu pagghia: son talmente leggere, queste
sigarette, da sembrar paglia.
- A pagghia sa' vola u ventu: le cose con poca sostanza ...le porta
via anche il venticello.
- Foch'i pagghia: fuoco di paglia.
- Attia, pagghia i jurmanu: paglia di segale...non della migliore!
- Om'i pagghia: uomo di
paglia.
- Pagghiazza! paglia molto lunga, ottima per costituire giacigli ma
inutile per l'alimentazione del bestiame. Si diceva anche di uno spilungone
debole di "spina dorsale".
- Pala: a) vanga, badile, pala di legno per il pane, per l'uso
connesso alla trebbia. b) il cladodio (foglia, in senso lato)
del fico d'india. Sinon. di stedda .
- Palandruni: uno spilungone nullafacente; con poca voglia.
- Palanchinu: paletto di ferro tondino di grosse dimensioni da
usare come leva; di solito verso una delle estremità portava delle tacche -
realizzate a caldo - che consentiva una buona presa.
- Palataru: il palato, la parte superiore della bocca. Dal latino palatum.
- Palatu: palato, gusto; sensibilità per i gusti.
- Palettu: paletto (di legno o metallico) che può essere infisso
nel terreno, può essere utilizzato come sostegno, come limite o punto di
riferimento.
- Misinu ggià i paletti: hanno già stabilito i confini, i termini, i
limiti, l'estensione.
- Palitta: paletta. Un arnese costruito dagli zingari: una lastra di
zinco con un lungo manico per prelevare
le braci, il fuoco.
- Palla: palla di gomma. Di
forma, colore e dimensioni le più svariate. Normalmente per ...giocare, ma
anche per altri usi. Alcune persone anziane hanno continuato a dir padda, usando il termine dialettale ma
la gioventù che ne conosceva usi e interessi ha finito per utilizzare il
termine italiano, appunto.
I giochi con la palla :
La palla di gomma: fortunato chi
la possedeva! Quella da biliardo era appena una nozione; la palla da tennis
...chi l'aveva visto era già abbastanza esperto. Con la palla, spesso prodotta
sul posto aggomitolando diversi pezzetti
di stoffa legandoli, poi, con una cordellina della stessa stoffa...dopo averle
dato una vaga forma sferica si potevano eseguire quasi, quasi tutti i giochi,
tranne quelli che richiedevano il "rimbalzo", e, quelli si evitavano!
o si rimandavano a momenti migliori, quando qualcuno era disposto a darci una
mano prestandoci il proprio...tesoro. La
si lanciava in aria di volta in volta sempre più in alto in modo da avere il
tempo per eseguire determinati movimenti naturalmente contando e spesso (almeno
le femminucce) cantando; la si lanciava tra giocatori con delle finte, delle
mossette veloci in modo da indurre in errore l'avversario; la si porgeva, tra
compagni della stessa squadra, con determinate movenze a ritmo di alcune
cantilene o scioglilingua, non sempre in dialetto! (per la verità spesso si
ripetevano ninna nanna, cantilene etc... proprio in lingua, per impararli
bene!) . La si immaginava colorata, grande, piccola.... con le naturali
conseguenze sia nel gioco sia nella scelta di appartenenza al gruppo. La palla
di stoffa, innocua, semplice,....quando si utilizzava come "pallone"
veniva chiamata faddu. Questo
termine, per la verità, è "un residuato bellico": è rimasto nel
linguaggio, con diritto di cittadinanza, dopo gli "sfollamenti"
conseguenti agli eventi bellici del 1940-45: in Paese, in quegli anni, erano
arrivate dalla Città (sfollati, si diceva all'epoca), molte famiglie o già
oriunde o anche soltanto parenti di parenti, amici di parenti etc...i ragazzi,
naturalmente avevano portato il loro linguaggio e alcuni termini hanno trovato
buona accoglienza .
- Paddazza: una persona piuttosto grassoccia e non tanto ben fatta;
un frutto non ancora maturo (specificamente un fico, non tenero); una palla da
gioco fatta di stoppie e pezzetti di stoffa; una palla di legno per il gioco
dei birilli.
- Pagamentu: pagamento. La particolare giornata nella quale
avvengono i pagamenti dei salari e delle pensioni.
- Pi mmia pagati: per me pagate. Un modo di dire, nel discorso, per
significare che il soggetto si defila, non s'interessa dell'argomento.
Studii (spitali, medicini) pagati: gli studi (gli ospedali, le medicine) a
pagamento. Ci si riferiva alle persone abbienti che avevano la possibilità di
pagare gli studi ai propri figli.
- Pagari: (secondo alcuni anche pajari) pagare.
- Pagatu: pagato. La fine
delle operazioni aritmetiche, l'uguale, i due trattini che si mettevano prima
del risultato.
- Palu: paletto, palo, dritto...e, talvolta con delle piccolissime
ramificazione, che, poi, venivano tagliate per adattarlo alla bisogna.
- Pariti nu palu i vigna: sembrate un palo da vigna, tutto liscio e
abbastanza alto.
- Esti nu palu i fascioli: è un palo per fagioli: tutto pieno di
ramificazioni.
- Fari u palu: far la guardia, stare attenti ed avvisare.
- Ndaviva setti pala: c'erano sette persone che facevano la
guardia, che lo proteggevano, gli davano avvisi.
- Palu i ferru: un grosso pezzo di ferro (almeno tre/quattro cm. di
diam.), che serve da leva e per fare buchi sia nel terreno indurito che nei
muri o pavimenti: di solito ha la testa vagamente arrotondata, per servire come
piccola incudine, e, la punta dall'altra parte.
- Pallunaru: chi le spara grosse; un venditore di palloncini
colorati.
- Palumbina: a) nome che
si dava a una vacca, a una capra, di colore bianco - grigiastro; b) pietra particolare, abbondante nel
circondario, bianca al taglio, molto dura pertanto manteneva la levigatura. Si
usava nelle costruzioni per realizzare molazze
da frantoio, per pavimentazioni ecc.
- P'amuri di.... per amor di,
purché, affinché .
- P'amuri i Ddiu ! Per
l'amor di Dio; per carità...!
- Pampogna - vedi appendice
"Contrade".
- Panarici: Rigonfiamento, talvolta purulento, delle dita, in
prossimità delle unghie. Talvolta
provocato dal tipo di lavoro: agricolo; non di rado, però, anche
dall'igiene personale il sapone pochi lo conoscevano e lo usavano.... Oggi è
molto difficile far comprendere l'uso
appropriato del termine. Dal latino panaricium.
- Panarici: sorta di
panierini, piccolissimi, fatti con foglie di palma bianche. Di solito di portavano appesi al
risvolto alto della giacca nei giorni tra
- Panaru: paniere, cesto di vimini, di vimini e canna tagliata, per
il trasporto o la raccolta di frutti e sementi e/o per altri similari
usi.Veniva prodotto da maestri cestai...ma in pratica in ogni famiglia ve
n’era uno che sapesse realizzarlo con materiali del posto. Spesso aveva
dimensioni e volume appropriati alle misure, tanto che non era raro dire:
- Nu panaru i mmenduli: un paniere di mandorle;
-
Nu panaru i fica sicchi: un
paniere di fichi secchi, ma sempre con l’intenzione di indicare una
quantità, variabile, comunque secondo il genere che conteneva. Si assumeva, per
buona norma che un paniere di qualsiasi genere dovesse avere il peso, lordo, di
circa sette Kg.
- Pigghia l’acqua cu panaru: assurdo! Il paniere non è un
contenitore per liquidi, quindi chi lo fa o da ad intendere di volerlo fare, è
un po' fuori di sé, vuol perdere tempo e sprecare fatica.
- Nd'havi nu panaru!: Ha un certo di dietro; ha una certa capacità
di ventre; ha una gran voglia di mangiare, ma anche di intascare tangenti.
- A cala panaru: una forma di contratto d'acquisto di grosse
quantità di agrumi; senza diritto, per l'acquirente, di selezione, scelta; così
come scende il paniere, pieno, cioè così come è stato raccolto. Via via il modo
di dir ha assunto il significato di "insieme disordinato e non di grande
qualità".
- A cala panaru, si dice ancora per voler dire "senza
senso", disordinato.
Chi tti pari chi ddicu cosi a ccala panaru ? Non crdere che dica
cose senza senso, confusionarie.
PANI
Premessa:
lungi dalle intenzioni di voler fare della
poesia romantica, oggi forse fuori moda.
L'argomento non si presta
facilmente alla sintesi senza rischiare di cadere nel prolisso; non si vorrebbe
dimenticare qualcosa di molto importante: se ne chiede venia se dovesse
accadere.
Sperando di riuscire a dare un'idea compiuta del sudore necessario, durante le varie
operazioni, per produrre il pane; si provvederà opportunamente ad
un'esposizione cronologica: dalla preparazione del terreno... al fragrante e
profumato pane.
Informazioni
Per tutti i lavori agricoli,
quando la forza non era sufficiente in famiglia, si ricorreva a chiamare jurnatari (operai giornalieri), potendo
scegliere, tra le offerte di forza lavoro, i più affidabili.
Il proprietario provvedeva anche
(di solito), per la colazione ed il pranzo e si diceva a mbarrata, in pratica a
pancia piena: il padrone dava di che saziarsi. Se il proprietario non aveva la
possibilità, si diceva a scarsa - evidentemente la paga giornaliera era
relativa alle due possibilità - allora ogni operaio portava con sé a schiabbucchedda ca spisa: la
salvietta legata ai quattro angoli con gli alimenti.
Se la campagna era molto lontana,
la padrona provvedeva tempestivamente a far trasportare le vettovaglie e
forniva colazione e pranzo caldo. Se, invece, la distanza non era esagerata,
una o due donne della squadra, la mattina di buon ora si presentavano
direttamente a casa del padrone per prelevare la colazione e, poi ritornavano a
prelevare il pranzo che, normalmente giungeva in campagna ancora caldo.
Colazione: pane e
companatici vari: salumi, formaggi, lardo, curcuci, insalate vare: intervallo circa
45 min.
Pranzo: normalmente
minestroni, non di rado tagliatelle con sugo o...ottime spaghettate, annaffiate
di buon vino: intervallo, circa due ore... per consentire una piccola siesta o,
per potersi rifare lo spirito... vedi Colore.
A) - La semente - la semina: (a simenza - a semina):
Nel periodo ottobre/novembre, a
seconda della quantità di pioggia, comincia un particolare periodo per
l'agricoltore: u sporu (la
semina).Dissodare il terreno con solchi stretti e profondi (a passatina du sporu); seminare il
concime chimico o naturale; suddividere
opportunamente il terreno: spuria
(pl. spurii), spazi di circa dieci metri, con solchi longitudinali, per tutta
la lunghezza: tanti al giorno, per vari giorni, secondo previsioni. Queste
suddivisioni servivano per un buon orientamento sia per la semina sia per la
vera aratura; davano la soddisfazione del già fatto, già lavorato, e...
indicavano gli intervalli per le pause. Sperando in qualche pioggerellina, nel
fra tempo.
1) A simenza: la
semente, scelta dalla propria produzione o comprata presso commercianti
specializzati.
Nei giorni precedenti veniva
trattata con antiparassitari:
virdirramu, verderame (acetato basico di rame, misto a zolfo) polvere
brunastra e dall'odore pungente e lacrimogeno; il trattamento avveniva a
piccole dosi di seme con l'aggiunta di piccole quantità d'acqua, l'acqua
consentiva alla polvere di aderire meglio ai chicchi e nello stesso tempo li
inumidiva agevolando, successivamente la germogliazione. Di buon ora, il
mattino: tanto meglio se c'era un po' d'umidità, u seminaturi (il seminatore: il maestro), dopo le intese
necessarie con il padrone - se presente
- riempiti i ddu cap'i bbertula, inizia la semina a spaglio, riempiendo tre quattro spurii, quante, si presume possano
esser coperte fino all'ora di colazione. Intanto si appaiano i buoi (vedi ratu), e si comincia ad arare con
solchi mediamente larghi e non molto profondi, tanto per coprire il seme di
10/12 cm di terra.
2) U ranu: (ma può anche essere orgiu: orzo; jurmanu: segale) nesci: spuntano piantine
molto delicate le quali, già nel periodo natalizio, hanno due
foglioline... ma forse nevica, ed è bene ! quindi s'arresta un po'.
Tra gennaio e febbraio, pioggia e
neve permettendo, le piantine hanno già 5/7 cm. e sono ben differenziate le
foglioline.
Provvidenziali piogge (almeno in
quei tempi!), aiutano a crescere ma induriscono anche la crosta della terra.
Arriva, quindi, un altro
particolare momento: il grano ha già quattro foglioline alternate e successive.
E' necessario provvedere a zappettarlo: è
ura da zzappudda; l'operazione si chiama zzappuliari.
I zzappuddi i zzappuliari (le zappette per la bisogna) erano di
particolare formato: la lama tagliata ad
U, in modo da formare due cornetti appiattiti e larghi. U zzappuliaturi (uomo/donna) che compie
quest'operazione, deve saper far cadere l'attrezzo nell' interspazio tra le piantine senza danneggiare il buon grano. Con
quest'operazione si provvedeva a rompere la crosta indurita dal freddo
dell'inverno consentendo una
buon'ossigenazione e, permettendo anche
alle successive piogge di filtrare meglio. Successivo momento di particolare
attenzione: il grano cresce, ma assieme crescono anche le erbette cattive infestanti accomunate sotto un nome
generico ggiogghiu (loglio, vorrebbe dire).
Bisogna quindi provvedere alla
pulizia: avimu a ffiddiari u ranu
(dobbiamo eliminare le erbette cattive).Operazione paziente e pesante! In
genere donne,: stannu ppuzzati da matina
a sira (stanno curvate in avanti e con le ginocchia piegate) e, provvedono,
ad una ad una, ad estirpare le erbe
cattive; ma frequentemente calpestano anche piantine buone: non fa niente, u ranu isa a crista, il grano ancora si
solleva, alza la cima e si riprende velocemente. Quest'operazione provoca anche
una certa ossigenazione del terreno. Le erbe cattive, quando ne vale la pena,
vengono insaccate e portate come foraggio: mintuti
ndo saccu ttaccatu da bbucca (sacco legato sulla parte aperta in un modo
particolare).
Intanto si è a marzo/aprile: i tepori della
primavera, le operazioni già descritte, provocavano un'accelerazione di
sviluppo notevole. Nel giro di qualche settimana spuntano le ultime foglie ed
appaiono le spighe. Se vi sono abbondanti piogge tra aprile e maggio, le
spighe, già quasi aperte, possono essere attaccate da un funghetto parassita
(oidio ?), di colore rossiccio che non consente ai chicchi di svilupparsi: u ranu u pigghiau a rrussa.
Il caldo dei mesi successivi maturerà la messe rendendola bionda oro,
pronta per la mietitura.
B) U metiri: (la mietitura): intorno a metà giugno: sole cocente.... sudore... ma
bisogna cominciare la mietitura. Il
grano è dorato, ha spighe ricche e pesanti, chinate... per ringraziare Iddio e
per dire all'uomo che è giunta l'ora!
1): Gli operai:
un capo "equipe", di solito il padrone, o una persona competente e di
fiducia.
- U capu tagghiu: chi dà il ritmo alle operazioni di mietitura;
- I metituri (mietitori): donne e uomini muniti di facigghiuni (falce... molto affilata e
seghettata:
- U manateddaru: un ragazzotto che raccoglie e raggruppa i manateddi (anche a manatedda) per la
formazione dei mascalara (vedi) e
quindi di regni (vedi regna).
- Cu ttacca i mascalara: chi lega i covoni;
- L'acqualoru(a): chi provvede ai rifornimenti idrici.
2)
Il ragazzo faceva il resto,
raggruppando in maniera che cu ttacca i mascalara trovasse pronta una
certa quantità; la legatura avveniva con gli stessi fili del grano, con un nodo
a spighe raggruppate.
3) Sistemazione in fasci (regni) e trasporto in prossimità dell'aia. Il trasporto avveniva a 'forza
d'uomo',mancando altre possibilità! Gli uomini, di solito arretu cascia (sulle spalle,
dietro la cassa toracica), le donne an
ntesta (sulla testa). Sfide e scommesse: chi riesce a trasportare il fascio
più grande, più pesante, senza pusari
(senza appoggiare il carico per un breve riposo).
4) preparazione della bica:
ntimognari: U ntimognaturi, il
maestro, il capo "equipe" sceglieva i covoni più robusti ed iniziava
a sistemarli in cerchio sempre con le
spighe verso l'interno), di grandezza
proporzionata alla quantità della messe.... quindi un secondo giro..
mancando di qualche unità, per dar la forma conica, e, spingendo verso
l'interno... fino in cima: na bbella
timogna i ranu! una bella bica, di solito coperta con fascine in cima al
cono.
Quello che resta del grano
mietuto rristuccia è un ottimo
pascolo per greggi ed armenti, ma prima vi passa u spicaloru, chi va a raccogliere le spighe cadute ai mietitori...
e, spesso, ne raccoglie abbastanza.
C) U pistari:( la trebbia): qualche giorno al sole ancora ed è
pronto per la trebbiatura.
La forza lavoro:
u
mastru; due o tre operai, una coppia di buoi e u figghiolu chi vota i vacchi
(il ragazzo che guida i buoi).
1) Preparazione dell'aia:
uno spiazzo rotondo di varie dimensioni, lastricato di pietrame largo e piatto con la circonferenza
protetta da lastroni verticali, infissi nel terreno e molto sporgenti. Vi
crescevano erbette; animali provocavano buchi; lo spazio tra le lastre si
allargava;... insomma bisognava provvedere alla sistemazione del pavimento e,
come? Mpiddamu l'aria: si preparava
una mescola di maddu e piddu (terra particolare, di
colore rosso che lega facilmente con acqua alla pula: piccolissime pagliuzze);
questa mescola si spandeva avendo cura di chiudere tutte le fessure e rendere
il pavimento... quasi uniforme. Quest'operazione si diceva anche bbujaccata, volgarizzando un analogo
termine francese.
In mancanza della terra rossa...
non era raro usare escrementi freschi vaccini: bbujna. Lasciata seccare, l'aia era pronta. Quindi si
jttava all'aria (si mintiva all'aria), si sistemava la messe per la
trebbiatura. Il primo giro covoni ancora legati (i mastri: i maestri),e, via via gli altri fino a capienza stimata.
Intanto si appaiavano i buoi aggiogandoli (vedi la voce ratu, per giogo ed accessori), legando, con una catena (in mancanza
con un fuscello di robusto giovane castagna, attorcigliato), una grossa lastra
di pietra (a petra i ll'aria). Si
facevano entrare i buoi appaiati indi si legava la pietra.
2) trebbiatura: il ragazzo che guida i buoi iniziava quindi,
allegro e soddisfatto di poter partecipare ... alla produzione, a fare una
serie indefinita di cerchi, invertendo di tanto in tanto il senso; riposava,
sostituito da un operaio o, da una ragazza, che, per l'occasione poteva
indossare i pantaloni: quelli del padre o del fratello maggiore.
Talvolta, felicissimi i ragazzi,
salivano sulla pietra per farsi trasportare durante l'interminabile girare dei
buoi; il fatto produceva due effetti: si provocava maggior peso sulla pietra,
quindi si trebbiava più facilmente e il ragazzo si divertiva.... senza
stancarsi troppo.
L'inversione si chiamava lavota e, per poterla effettuare era
necessaria una certa capacità.
Intanto gli operai, con
tridenti di legno, stavano sui bordi
spingendo verso il centro i fili di grano, con tridenti di legno..... Verso il centro perché possano esser messi
sotto la pietra.
Tridenti i lingu: per due motivi: la forcola di metallo buca il
pavimento e,.... poi, costa, mentre il legno è facile trovarlo nei boschi. Per
l'ora di colazione si era pronti a jttari
i mastri (rompere le legatura dei covoni esterni e metterli al centro,
sotto la pietra. Breve intervallo per colazione ( anche i buoi mangiano!), e,
così in giro giro tondo per ancora tre quattr'ore. All'ora di pranzo si poteva
dir pronta l'ariata ( la quantità
contenuta nell'aia) e quindi spajavinu i bboi, si mandano a riposo i
buoi, disappaiandoli.
Appena dopo pranzo di solito c'è un buon vento che consente
di cominciare a hjatari (pron. acca
aspirata e j tedesca) cioè liberare il grano dalla paglia. Il grano, si sa, ha
un peso specifico superiore a quello della paglia, quindi si tratta di smuovere
la paglia sollevandola di circa due metri ( buttandola proprio in aria!),il
vento sposta la paglia ed il grano cade dentro il recinto.
Man mano che il volume si riduce,
al centro dell'aia, in senso trasversale alla direzione del vento si forma un
cumulo allungato e vi lavorano anche quattro operai (hjataturi), affiancati a due a due ed alternati, con movimenti
coordinati, prelevando dal cumulo e buttando all'aria! Intanto al centro si
forma un bel cono di colore oro; ma sono necessarie altre operazioni, con
l'aiuto del vento: paliari, con una
pala di legno, con manico non molto lungo, si eseguono le stesse operazioni: ddrimuniari: (vedi ddrimuni), ulteriore pulizia delle ultime piccolissime pagliuzze (piddu), facendo passare il prodotto
attraverso un vaglio o crivello .
I venti:
- Bboria: vento freddo del Nord, in tutte le ore del giorno;
- Sciroccu: vento caldo del
sud, in tutte le ore del giorno;
- Livanti: vento di levante;
- Tramuntana: vento di ponente;
- Terrazzana: zefiro di
monte o di valle : nelle ore della mattinata e del tardo pomeriggio;
- Lipici: libeccio.
Il grano e la paglia sono pronti
per esser portati in magazzino: il grano messo nei sacchi e trasportato con
asini, muli...o, in mancanza, a forza d'uomo ( vedi.B-3), la paglia stipata
dentro grosse reti di cordicella (rrutuni),
mentre a pagghjazza, la paglia più grossolana in
grossi sacchi: bbutani (vedi). La
paglia molto grossa serviva soltanto per lettiere, mentre l'altra 10/15 cm di
lunghezza come foraggio.
Un po' di colore: Il lavoro dei campi è molto duro, bisogna, però,
farlo con molta allegria!
Di solito, per le operazioni descritte fin qui,
erano gruppi di diverse persone dei due sessi: mentre ci si avviava alla
campagna, di buon passo, a gruppo unico o un po'...alla spicciolata si cantava,
si raccontavano barzellette.... o le gesta di qualcuno; giunti sul posto,
spesso, si organizzavano sceneggiate a proposito della posizione durante il
lavoro; durante il breve intervallo colazione, e, quello più lungo per il
pranzo, c'era sempre la voglia e la forza di organizzare na bballata (na passata) cu nanna neddu (un giro di tarantella al ritmo del battito delle
mani e della "tiritera" cantata (vedi nanna neddu).
Durante la mietitura e/o quando
le messe era già tagliata si organizzavano scommesse sulla quantità e bontà del
prodotto: di solito il padrone faceva un simbolico presente a chi azzeccava la previsione....e, per i servizi
igienici? in giro nella campagna, all'aria aperta!
Nel linguaggio "di politesse" a proposito di un operaio che,
temporaneamente si assentava si era soliti dire: jiu arretu e troffi: ( è
andato dietro i cespugli).
D) Cirniri e jjri o mulinu: (ulteriore pulizia del grano e, andare
al molino per ridurlo a farina). Il frumento doveva ancora esser pulito da
pietruzze, oglio, orzo, segale... ed altri semi non desiderati; ndo crivu du ranu (nel crivello,
vaglio, per il grano), a quantità di 7/8Kg per volta si selezionava, muovendo
l'attrezzo con ritmi rotatori ed ondulatori. Quindi messo in sacchi a maglia molto stretta e senza sfilacciature,
bianchi, lo si inviava per la molitura. In periodi normali il tutto avveniva
nella stessa giornata; in piena stagione c'era da attendere il proprio
turno.(vedi mulinu). Qui, come
altrove, quando si aspetta il proprio turno, si dice: spittamu a vicenda.. attendiamo
il turno.
E) Fari u pani: (finalmente: fare il pane) La farina doveva essere
ancora selezionata con almeno due crivelli:
u crivu rossu e u crivu finu, il vaglio a rete più grossa, con il quale si
evidenziava ed eliminava la crusca, quello a rete più stretta selezionava una
farina di migliore qualità: hjuri,
il fiore!
1) facimu u livatu: la
sera precedente: preparazione della madia, del letto per il pane e del lievito.
- U livatu: (il lievito) ciascuno provvedeva a conservare di volta
in volta una quantità di pasta di pane già lievita, con il tempo inacidiva,
emanando odori non graditi, ma conservava il potere di lievitazione per diverso
tempo: veniva messo in un piatto fondo e protetto opportunamente. Al giorno
d'oggi tale quantità di pasta può esser congelata ed ha una durata notevole.
Lo scambio del lievito (livatu) era una particolare cortese
attenzione che si usava tra vicini di casa, tra parenti..... con questi
frequenti scambi, in effetti, il lievito veniva rinnovato quasi ogni settimana.
Con acqua caldo/tiepida, si
scioglie il lievito in una certa quantità di farina proporzionata al tutto.
Si lascia nella madia ben coperto...
fino all'indomani sarà ben gonfio; sulla superficie cominceranno a prodursi delle crepe. Di buon ora, molto di
buon'ora, almeno due (lavoro tipicamente femminile, ma spesso gradita la
presenza di qualche volenteroso e capace compagno), si ricomincia, sciogliendo
quella quantità di lievito in tutta la farina necessaria, con acqua calda;
nell'acqua vi scioglie il sale.
2) Minamu u pani: quando
l'acqua comincia ad assorbirsi è inizia la vera operazione di impastatura, quel
muovere la pasta velocemente, quel pestarla con i pugni, per renderla omogenea,
quel rivoltarla nella madia... è u
minari; è necessario anche aggiungere dell'altra acqua calda: l'acqua du criscenti, l'acqua della
crescenza, che viene assorbita dolcemente. Per ripulire la madia si usa a rrasola una specie di raschietto di
metallo. Il pane è pronto per essere
- Schianatu (vedi schianari)
ridotto nelle forme volute e messo a riposare nel letto per le lievitazione:
- Mintimu u pani o lettu: ben coperto....:lenzuola, coperte e letto...
servivano esclusivamente per il pane! Brevissima pausa e si comincia a
-
Jttari u furnu: si accendono
le fascine e la legna necessaria, per riscaldare il forno alla temperatura
voluta, un po' alla volta fino a quando a
maistra dice che va bene.
Si accende il forno (vedi Furnu), quando, secondo la maestra il
forno è già pronto si provvede all'operazione di pulizia della base con due
strumenti u tira bbrascia (leva
brace), un asse di tavola o anche di lamiera metallica, traverso, rispetto al
manico molto lungo, di circa 12/15 per 18/25 cm. con il quale si tirano verso
l'esterno tizzoni ancora ardenti, brace e un po' di cenere... che vengono messe
subito da parte e spente con abbondante acqua: è a carbunedda
(carbonella); e, u scupulu (scopino), un robusto panno legato in cima ad un lungo
manico, bagnato di frequente con il quale si levano le ultime ceneri. Quest'arnese, evidentemente, era sempre
sporco... e annerito.
Il tempo di lievitazione non è
sempre uguale, dipende dalla temperatura ed umidità dell'aria; talvolta è
necessario prendere un po' di tempo: stranghiari
(il verbo, vedi, ha proprio il significato di ritardare), una successiva
operazione rispetto alla precedente. Finalmente
- Mintimu u pani ndo furnu: (vedi furnu)
almeno tre quattro persone: son quasi le otto di mattina....e fra poco la figliolanza arriva!
Una persona pigghia u pani du lettu e u
menti nde tavuli e nde prastili una persona, con molta agilità, per non
rovinare le forme, prende il pane dal letto e lo sistema su degli assi di legno
- 20 x
NOTA: la buona massaia
prepara la pasta del pane a
panettu e ppoi i ncucchia... e poi i menti a pparu prepara il pane a
piccole forme che poi accoppia; ma prepara anche delle ciambelle (cudduri, cuddureddi). Appena tirato il pane dal forno: per
primi i bambini!, ognuno a so cudduredda (a ognuno la sua
ciambellina: ancora scotta, un po' d'olio, o, qualche altro companatico; anche
chi ha lavorato ssaggia u pani
prende un assaggino di quella fragranza....Ma occorre stranghiari i cudduri, ma occorre far cuocere ancora le ciambelle grandi, e, si rimettono in forno,
così, s'è necessario carchi pparu,
qualche forma a coppia. Finalmente liberato il forno si pensa a fari i biscotti (i panetti i pani cottu!): occorre riaccendere il forno, riscaldarlo
ancora per un bel po'... intanto si dividono le forme ottenendo i panetti.
Quando il forno è pronto bisogna
pulirlo (anche per la precedente infornata), usando ancora due strumenti : u tirabbrascia e u scupulu. U tirabbrascia:
leva brace, un pezzo di tavola 10/15 x 8/10 cm. inchiodato verticalmente e
trasversalmente alla cima di un lungo manico; le braci sulla porta del forno
vengono prese con un badile, messe da parte e subito spente: a carbunedda (la carbonella).U scupulu: robusto pesante panno, fuori
uso, legato con fil di ferro alla cima di un lungo manico, pulisce delle ultime
piccole braci e della cenere. Il forno è pronto per mettere il pane a
biscottare: mintimu u pani mi cottija. Si
chiude ben bene la porta e si lascia fino all'indomani.
Usanze: alle persone che hanno aiutato (di solito
parenti, amici, vicini di casa), si regala:
- Nu paru i pani e a cudduredda pi figghioli: una forma di pane caldo
e la ciambellina per i ragazzini; s'invia subito la forma di lievito a chi l'ha
prestato, con una forma di pane caldo, si
- Manda u pani a vicini, parenti secondo abitudini (ndi mandamu u pani:
per dire siamo talmente amici che ci scambiamo il pane caldo)e ai genitori:
- Tri ppara e pani e i cuddureddi
pi ffrati e ssoru, a cuddura randi pu patri: alcune paia di pane caldo le
ciambelline ai ragazzi e una grossa (e bella) ciambella al vecchio genitore: il
pane deve giungere ai destinatari ancora ben caldo, testimonia l'afflato umano,
il senso di rispetto, la generosità del donatore un omaggio a chi lo riceve;
alcuni usavano inviar del pane caldo anche al sacerdote!
- Pi ll'animi du priatoriu: (in suffragio delle anime del Purgatorio,
vedi priatoriu), oppure offrirlo ad
un occasionale passante... se, proprio chi viveva dell' altrui carità, non era
già pronto dietro l'angolo, in fiduciosa, ma
discreta attesa.
- Paniculu: mais, granturco, granone...Graminacea coltivata sia per
fusto e foglie (foraggio per le bestie), che per i semi dai quali si ottiene la
farina gialla: polenta ed inoltre sono utili come foraggio e mangime. Cresce
spesso molto alto e leggero, con foglie strette e lunghe, l'insieme da l'idea
di ordinato ed elegante. In cima alle pannocchie vi sono dei sottilissimi fili,
molto simili ai capelli, di color rossastro, per cui veniva attribuito come
soprannome a coloro che avevano capelli e colorito rossicci.
- paniculu, paniculeddu: Si usava anche, come secondo termine di
paragone, rispetto al grano nobile, per indicare qualità piuttosto scadente.
Dal latino paniculum.
- Panza: pancia, ventre,
epa.
- Omini i' panza: uomini,
uomini...capaci di tenere un segreto....e, di mangiare in abbondanza.
- Panza lenta: piuttosto
incline a far la spia....incapace di ....tenere...un segreto.
- Panza i lana: tipico
epiteto rivolto a chi ha il ventre prominente...ma flaccido, cadente, ma anche
a chi...mangia troppo, in tutti i sensi.
- Paparaggianni: letter.: organo sessuale femminile; come un
barbagianni. Nel discorso parlato è combinato con varie espressioni:
- Stati comu nu paparaggianni: state fermo, impalato, come un barbagianni .
- Quandu si movi, idda, pari nu paparaggianni: si muove, cammina
dondolandosi e atteggiandosi.
- Papariari: (dallo spagnolo papelonar,
pavoneggiarsi) pavoneggiarsi; atteggiarsi a...mettere in bella mostra; far
notare.
- Paparina: (dal greco paparouna,
papavero, o dal latino papaver )
papavero. Colore rosso acceso.
- Papatornu: lumaca; attributo per persone di intelligenza molto
corta.
- Papazzedda: a) (non
è il diminutivo di papazza!).I
bambini nascevano in casa, con l'aiuto della nonna, dell'ostetrica (cummari), raramente con l'intervento
del medico....e, in casa, ricevevano le necessarie cure. Ora, il bimbo appena
nato, piange...piange per dire al mondo che c'è, che è finalmente arrivato:
talvolta strilla per affermare la sua presenza. Questi gridi, queste strilla
venivano interpretate come pressante richiesta di alimento...e, quindi: una
pezzuola linda di bucato e un po' di zucchero, chiusa a mo' di fagottino e
avvicinata al labruzzo del bimbo...a
papazzedda! Si raggiungevano due obiettivi: il bimbo imparava a suggere e,
nello stesso tempo trovava un po' di
sazietà...in attesa che il colostro (pitrofulu), il latte materno diventasse pulito ed utile all'alimentazione,
talvolta anche qualche giorno di ....papazzedda.
- Chi nno mm'eri pigghiatu papazzedda!: un rimprovero, bestemmia:
che tu fossi morto prima del primo alimento, morto appena nato.....
- U sapiva i primu mi pigghiu a papazzedda: conoscevo, sapevo, da
prima ancora che mi alimentassi, sapevo, già, appena nato.
b) si può anche usare per indicare una capretta, vitella...senza
corna
- Papazzu: (a) animale domestico mancante delle corna: crapa, vacca papazza, toru, muntuni papazzu
(capra, vacca, toro montone).Le pecore allevate nella zona normalmente sono prive di corna, perciò non possono godere di questo appellativo. Per una animale, di
solito le corna sono un attributo della loro personalità, per cui chi ne
è privo è...un po' menomato. In questo senso l'aggettivo si usa per indicare
chi è privo di personalità (o, ne ha
limitata); ma anche per indicare chi, pur a conoscenza dei fatti, finge di non
sapere... si da per tonto.
Le corna, per alcune specie,
anche domestiche, sono indispensabili per la sopravvivenza: difesa/offesa,
predominio di branco.....
- Muntuni papazzu: montone senza corna. Si indicava una
persona...tradita dal coniuge...ma del fatto tutti facevano finta di non
sapere...
- Zzimbaru papazzu: maschio di capra (caprone) senza corna...vedi
sopra. Nel discorso figurato, parlando...di persona che non ha attributi sessuali adeguati ...alle
richieste del....partner o che non li usa opportunamente.
- Papellu: documento, atto giudiziario. Dal latino papellum.
- T'arriva 'mpapellu!: Te ne do una di quelle!
- Papiari: prendere atteggiamenti da cattedra; sentirsi e dar da
intendere di sentirsi simili al papa. Spesso atteggiamento da spaccone
arrogante.
- Papira: (o papara, papera)
papera, oca. Errore, sbaglio.
- Camina comu na papira: cammina come un'oca...., comprensibile,
no?!
- Eh ...cchi ssu papira com'a ttia?: eh ...che son papera come te?.
mica stupida!
- Ndavi tri jjaddini e cincu papiri: possiede tre galline e cinque
parere (oche). Quel che possiede si può facilmente quantificare...troppo poco!
- Papuzza: piccolo insetto, parassita di quasi tutti i legumi secchi;
animaletto, quand'anche non insetto, che s'incontra nell'ambiente contadino: di
qualsiasi genere, ma sempre piccolissimo. Si usava anche come soprannome per
indicare persona capace, attenta, un po’ maliziosa, che sa di tutto e di
tutti, ..ma che trasmette sempre a modo suo!
- Paraggiu: uguale, identico, coetaneo, pari, Contr. di sparaggiu. Dalla voce francese parage, uguagliamento. Si diceva anche
di una parte di terreno in pianura o in leggero pendio, ma, comunque, spianato.
- Nde paraggi : nelle vicinanze; press'a poco.
- Paranculu: paranco: congegno che per mezzo di ruote ed ingranaggi
e corde consente di sollevare pesi, molto
pesanti.
- Parastocchi: storie fantastiche, bugie.
- Paratedda: gioco con le nocciole. Per giocare, stabilite regole
ed eventuali coppie nonché distanza da un punto fermo (pedi), si sistemavano le nocciole: tre insieme ed una sopra (casteddu, quattro nocciole), una certa
quantità stabilita per ciascun giocatore (tri
castedda l'unu: tre gruppi da quattro nocciole ciascun per es.); si faceva
a sorte per l'inizio: i compagni erano sempre alterni(primo e terzo; secondo e
quarto). Si iniziava tirando u mbaddu,
di solito una pallina di piombo, spesso anche una grossa nocciola ben piena e
pesante, talvolta riempita di piombo fuso, attraverso un piccolo foro, poi
chiuso; alcune regole stabilivano che u
mbaddu non doveva toccare terra oltre una certa distanza dalla fila delle
nocciole; un accorto compagno faciva a
paratedda, a valle della fila si posizionava con i piedi aperti a talloni
riuniti, per trattenere le nocciole cadute in seguito al colpo; quindi si
segnava dove la pallina di piombo arrestava la corsa. E così di seguito. Se
restavano ancora casteddi parati,
cioè mucchietti interi, il primo giocatore , e di seguito gli altri se
necessario, aveva diritto di ribattere dal punto dove s'era fermata la propria
pallina Facile vincere, facilissimo litigare! Chi sbagliava iva sutta perdeva il turno, senz'
appello! Quel che sembra importante, però è che da un ingenuo gioco sia venuto
il significato di paratedda chi
aiuta, chi si adopera per proteggere.
- E vvui nci faciti a paratedda:
e voi lo aiutate, lo proteggete.
- Pariri: sembrare, apparire.
- Si pari a nivi?: si vede la neve....appena nevicato...un lieve
manto candido...si vede? A distanza, verso le montagne, su in alto...si vede?
- Chi vvi pari?: eh...che vi
sembra?, cosa ne pensate ?...
- Megghiu muriri ca malu pariri... (nella cultura, nel linguaggio e
nella mentalità di quelli di una volta!): Meglio morire che sembrare cattivo.
Non solo non esser cattivo, sembrare cattivo meglio morire!
- Cu bbellu voli pairri...gguai e peni av'a suffriri: chi vuole apparire bello, (sembrare,
mostrarsi) deve ...pagare uno scotto con sacrifici, attenzioni e, perché no!
anche sofferenze! per apparire! per dare ad intendere...
- Eh cchi tti pari ... chi ssimu tutt'i stessi?!: Eh cosa pensi,
cosa credi, come vedi....non siamo tutti uguali...io sono chi sono!...c'è
differenza, no?
- Parmara: palma, la pianta.
- Parmentu: Palmento, ambiente dove si pigiano le uve per ottenere il
mosto. Specificamente s'intendeva indicare un'ampia vasca nella quale si
pigiano le uve; in senso generale e completo s'indica tutto lo stabile e le
attrezzature necessarie alla produzione ed alla primissima fermentazione del
mosto.
Lo stabile: costruzione in
muratura e copertura, di solito, a due spioventi, di varia ampiezza, comunque non
meno di 30/50 metri quadri; ampiamente finestrato oltre che l'illuminazione
anche per consentire l'uscita dei gas di fermentazione. Grande porta d'accesso
e spazioso piazzale esterno.
Disposizione interna ed
attrezzature: disposizione su due
piani: a) rracinaru/i; b) torchiu; c) fundeddi.
- Rracinaru: (pl. rracinari),
gran vasca (il vero e proprio palmento), di solito in prossimità della finestra
e comunque accessibile dalla finestra, nella quale, direttamente dall'esterno,
si versano le ceste con l'uva;
- Torchiu: torchio a vite simile a quello del frantoio per le olive
(vedi trappitu), per questo motivo,
spesso il palmento trovava sistemazione adeguata all'interno del frantoio. Al
piano inferiore, ogni vasca (rracinaru)
aveva il proprio:
- Fundeddu: Per contenere le uve già pigiate era necessaria a forata (sorta di cilindro in doghe di
legno, distanziate di poco meno di un centimetro, rinforzato con fasce di
robusto metallo alle quali erano inchiodate le doghe) che veniva sistemata
sopra un gran piatto metallico (piattu)
sotto il torchio. La forata poteva
essere aperta.
Un certo numero d'asini e/o muli
trasportano l'uva dalla zona di raccolta (vedi anche la voce vindigna: vendemmia) al palmento; si
scarica nella piazzola antistante e, attraverso la finestra si passano le ceste
per esser svuotate ...presto, presto, senza perdere tempo! direttamente nella
vasca rracinaru, collegata
attraverso un foro/canale davanti al quale sta sempre una piccola cesta con uno
straccio di sacco, a trama larga, con funzione di filtro. L'uva viene
pigiata...con i piedi: gioia ed allegria di bimbi e ragazzotti, a piedi
nudi e calzoncini, che possono saltellare dentro u rracinaru, insieme agli adulti, responsabili, inzuppandosi,
sporcandosi di liquido appiccicoso, dolciastro e rossastro. Il liquido corre in
pendenza nel canale e, attraversando il filtro raggiunge u fundeddu. Il filtro temporaneo è proprio necessario perché il
mosto ( si può già chiamare così!), trasporta anche acini non schiacciati ed
altre impurità. Si va avanti per diverse ore... magari facendo a gara con ...
quelli della vasca accanto, sia per la quantità di ...saltelli... che per la
qualità delle patacche, sul viso, sui panni....E' l'unico momento dell'anno in
cui ...le mamme, concedono certe ..libertà! e, provvedono, spesso a fine
giornata, ad un'adeguata pulizia... con acqua e sapone. L'uva così pigiata
viene messa nella forata e, quindi
sotto torchio e pressata; l'insieme del torchio, forata e... mosto che cola in
un grande tino si dice konzu. La
pressione non dev'essere continua: lenta ed intervallata da pause; ad un certo
momento si smette di stringere e si apre la forata: una grandissima ricotta
colore rosso scuro, graspi e bucce d'acini a
linazza,o, linazzata che
dev'essere spatuliata, spezzata e
ricomposta (occupando, naturalmente, maggiore spazio), per essere di nuovo
torchiata; questa volta cola un liquido scuro... si sente un agre profumo, è
più denso, tinge i panni di rosso scuro, quasi nero. Finita la seconda
pressata, si lascia riposare qualche ora (intanto comincia a spumeggiare di
bollicine: la prima fermentazione), quindi il liquido du konzu si versa ndo
fundeddu, lasciando ancora riposare un pò e poi si raccoglie.
Quest'operazione è proprio
indispensabile: il mosto du konzu
conferisce un bel colore rosso scuro a causa della maggior quantità di tannino
presente e, contemporaneamente, apporta un certo sapore "asprigno";
colore e sapore si attenuano con la fermentazione e maturazione. Del tutto
molti usavano lasciar le uve pigiate con raspi e chicchi schiacciati...anche
per due o tre giorni...proprio per ottenere il colore rubino ed il sapore
asprigno del vino ...calabrese.
All'interno della forata, sopra il materiale da pressare
vengono sistemate delle tavole molto spesse e perfettamente rotonde ( di solito
due semicerchi, con un foro al centro, per il passaggio della vite )e dei
blocchi di legno a forma di parallelepipedo, sovrapposti ed alternati, con
alcuni spigoli smusati ed arrotondati, cosiddetti scanneddi. Talvolta, per errore o per impossibilità fisica, il
blocco della vite raggiunge il bordo della forata...quindi
arrestare subito la pressione, girare il saltarello,
riportare in alto il blocco vite ed aggiungere altre scanneddi. Sia le tavole di copertura che i scanneddi, devono essere opportunamente distanziati dalla
circonferenza della forata.
Per scendere ndo fundeddu, una scaletta in legno a pioli: il capo, scalzo e con
i pantaloni arrotolati sopra il ginocchio, nell'affondare per la prima volta
l'anfora di latta (lancedda, vedi
voce), dopo aver abbozzato un segno di Croce
con la stessa, comincia: "a
nnomu di Ddiu"... lancedda
una, due, tre....vintitrì, sarma (la
sarma è ventiquattro lanceddi, circa due ettolitri), quindi un
attimo di pausa ... forse una sigaretta...arrotolata... qualche breve commento
sul profumo, magari un assaggio!
Intanto il mosto viene svuotato nde bbumbuluni o ndall'utri (vedi voci) e, con il consueto mezzo di trasporto,
portato direttamente alle botti: in cantina.
Nel palmento, dunque, una vera
poesia di profumi, di "ribollir dei tini" ed " l'aspro odor dei vini" (mica
l'ha inventato!...l'ha semplicemente costatato, facendone poesia),
d'ammiccamenti tra operai e produttori, di chi compra e di chi vende...mosto, mentre, indifferente,
alle cose umane, esso comincia il suo lento processo di fermentazione,
producendo gas che possono (non è raro), provocare ...ubriacature e musica
simile ad un leggerissimo sfridolio...e, schiuma che sovrabbonda dai contenitori.
Le botti non vanno mai riempite: si lascia un certo vuoto che consente
l'eliminazione dei gas, ma di tanto in tanto... si rabboccano, perché,
qualcosa, assieme alla schiuma fuoriesce sempre. Almeno un mese di questa
musica ed ancora un mese d'assoluto riposo... quindi S.Martino, 11 novembre...
si va ad assaggiarlo! E' già vino, ma forse ha ancora bisogno di qualche tempo
di riposo, o, forse è necessaria una temperatura più rigida...perché si veda il
colore, la trasparenza... e se ne gusti il profumo ed il sapore... "qui potest capere... capiat!"
Nel periodo della pigiatura, le
buone nonne preparano varie mostarde...e producono u vinu cottu, facendo bollir del mosto (i fundeddu: prelevato nella vasca) fino a ridurlo a circa un
quarto: un liquido simile al miele, serve per aromatizzare e per dolcificare:
due-tre bottiglie, non di più; il padre o il nonno non consentirebbero di
sprecare più di dieci litri.....per leccornie, a loro interessa il vino,
vino: " sangue di Cristo", non ciò che occorre... alle mamme e alle
nonne per manicaretti! Allora, a tavola, si beveva vino!, quello, si diceva, fattu chi pedi, cioè pigiato con i
piedi: vino d'uva, genuino! Solo i bimbetti ancora poppanti venivano esclusi;
per gli altri, più grandicelli, in proporzione all'età ed al fisico.
Non a caso, un simpatico quadretto recita:
" A chi non beve vino, Dio neghi anche
l'acqua!"
NOTA: i pezzi unici più pesanti ed importanti da
trasportare erano, la vite del torchio, la traversa e le colonne; facile
immaginare che, mancando strade di comunicazioni, possibili ai mezzi
motorizzati, non si riusciva a trasportare quei quattro pezzi dai magazzini
alle campagne o nelle immediate vicinanze del paese, dove, di solito, venivano
fabbricati i palmenti...e, quindi? Ingegno, versatilità, inventiva ....Si
faceva sul posto, utilizzando risorse locali.
Si ricorda un sistema di
pressione,... anche se il ricordo è un pò sbiadito... dagli anni! In una grossa
pietra, scalpello e martello, si realizzava una vasca di circa 120 di diam. con
bordi alti 50-
Si ricorda anche nu rracinaru realizzato con pietre
tagliate ed esattamente giustapposte..murate
a calce ma, di tanto in tanto, per saldare le fessure si utilizzava un
impasto di farina....il cemento...oh!...il cemento!, costava troppo,
soprattutto per il trasporto dai magazzini di vendita al posto di
utilizzazione....e, poi... pochi muratori lo utilizzavano bene..., del tutto
alcuni manifestavano una certa repulsione al solo sentirlo: u cimentu!
Naturalmente per l'uso del
palmento si pagava u jussu in
natura: all'interno vi si trovavano delle grandi botti nelle quali era
versato...il tanto per cento! Spesso la forza lavoro era fornita dal
produttore: i familiari, gli amici, ma il proprietario del palmento lasciava
sempre un incaricato per dirigere tutte le operazioni. Tenuta presente la
brevità della campagna (15-20 gg.), dal 20 settembre- nel plenilunio - in poi,
soprattutto in considerazione della lentezza delle operazioni, il palmento..
lavorava ore .... su 24. Il resto
dell'anno, talvolta utilizzato come fienile, aveva funzioni di cantina: diverse
file di botti, su cavalletti di legno, l'una sull'altra , a castello.
- Parmicchiu: piccolo palmo della mano, cioè con il pollice chiuso .Misura che serviva per
essere aggiunta ad una data e notata in parmi
(vedi).
- Parmu: (plur. parmi)
palmo, un palmo: la lunghezza di una mano. Molto usato come misura! Mancavano i
mezzi e la cultura per avere per es. una misura metrica e si ricorreva alla
disponibilità naturale . Tanti palmi di una mano riportati su una canna (poi
detta metrica) uguale per tutto il paese, rappresentavano la misura
fondamentale per terreni edificabili, lunghezza
delle travi, ampiezza delle stanze etc. etc .
- Parpiari: toccare, tastare.
- Parra: la parlata, il linguaggio (dialettale) con tutte le
inflessioni ed i modi di dire. E' anche voce del verbo parrari, III pers. sing. del pres. ind. che vuol dir
"parla", dice, racconta.
- Non mmi spirdia a parra: non ho dimenticato la lingua, il modo di
esprimermi secondo il linguaggio che ho appreso.
- Nu parra...parra...: un gran parlare, un blà, blà su cose
interessanti o meno; una critica su modi d'essere, atteggiamenti...
- Parpaddiari: battere gli occhi; ammiccare.
- Non parpaddiari: non batter ciglio; accettare; non
temere…non aver paura.
- Parrantina: parlantina, grande capacità di tener banco parlando,
parlando…
- Parrari: parlare, dire, comunicare.
- Nci parrau talianu: gliene
ha dette di tutti i colori. Gli ha detto la verità!
- Nci parrau nda ricchji: lo
ha consigliato; gli ha detto delle corse di particolare interesse.
- Parrucchianu: parrocchiano, della stessa parrocchia. Si usava per
indicar persone - un pò ipocrite - che davano ad intendere di frequentar
- Parturiri: (si dice anche
sgravari), partorire, far figli. Anche partorire, nel senso, di giungere a
qualcosa, ottenere uno scopo; pensare e consolidare l'idea. Usato con molta
allegria... nel senso di partire, andare.
- Parturuta: (alcuni dicevano anche parturita) partorita da
poco; sia donna sia bestia sia ha messo al mondo, da poco, il figlio o la
figlia.
- Si vvo vidiri na fimmina ndo nfernu: ncinta di stati e parturuta i
mbernu: una donna soffre molto la gravidanza in estate ed il parto in
inverno.
- Paru: paio, coppia; uguale; ordinato.
- Sta' paru: stai fermo; stai attento; sii ordinato, secondo le
esigenze del momento.
- Non stai paru (al femm. Para)
uomo o donna che non rispetta le regole del saper vivere…che, insomma,
agisce in maniera contraria alla morale corrente. Per evitare l'uso di termini
"sconci" per un uomo o una donna che ha tradito il proprio legittimo
consorte si diceva: non stesi paru;
così anche di un giovane o di una giovane.
- Parusìa: (o, secondo alcuni, a-parusìa):
ha più significati; certamente alcuni sfuggono.
a) mancanza totale, o quasi, di qualcosa…della vita?
b) desiderio assoluto di qualcosa. In qualche modo è la rappresentazione evangelica di un desiderio eterno,
infinito.
- Fici martempu! e dassau a parusìa: dopo la
tmpesta…..è rimasto poco o nulla.
- Si parusìau: (esiste anche il verbo; vedi ) ha desiderato tanto.
- Parusìari: desiderare, sperare.
- Pasca:
- Cu dormi jorn’i Pasca su manginu i muscagghiuni: chi dorme il giorno della Pasqua rischia di
subire il fastidio dei moscerini...per tutta l’estate a venire .
- Pasca rrusata:
- Pascalazzu: un omone, molto buono; gran lavoratore, ma un pò
ingenuotto.
- Pascali: nome d’uomo (Pasquale) e aggettivo, relativo a
Pasqua. Noto soprattutto u gneddu
pascali: il regalo del fidanzato alla ragazza per Pasqua : una scultura
rappresentante un agnellino fatto di pasta di mandorle... Vedi Gneddu.
- Pascalina: nome di donna (Pasqualina) e cuculo, uccello - rapace -
notturno, detto anche chiù, per il
tipico canto ripetitivo: chiù....chiù....chiù.
- Pasciri: pascere, dar da mangiare a qualcuno. Di solito
s'imboccano i bambini molto piccoli, gli ammalati i ...molto vecchi, gli
incapaci anche animaletti.
- Pasciri u vermu: dar da mangiare al baco da seta. Consisteva nel
mettere sui cannicci, dove giaceva il baco, delle fronde di gelso tagliuzzate,
via via in varie dimensioni (vedi vermu).
- Pasciri i puddicini: imboccare (almeno la prima volta) i
pulcini....appena nati.
- Pascistivu u figghiolu?: avete dato da mangiare al piccolo?
- Nc'è cu non si pasci: c'è
qualcuno che non riesce a mangiare....non riesce a ..."tangentare".
- Pascuni: Pasquetta: il lunedì dopo Pasqua . In maniera specifica:
la scampagnata (oggi si usa dire "fuori porta") del lunedì dopo
Pasqua.
- Passanti: a) chi passa, in questo momento, il viandante. b) un "aggeggio" in legno o
metallo che serve per chiudere ed aprire...passando tra alcuni ganci...utilizzato
in senso orizzontale spesso detto semplicemente suricicchiu (piccolo, quasi fosse un topolino). c) il canale di scolo, naturale e/o
artificiale delle acque, piovane e/o di irrigazione. d) un viottolo, naturale. e)...la
vita... che corre, che passa...
- Passata: ciò che è è passato...da poco, da molto, che è dietro...Ma
assumeva anche molti significati secondo il luogo e del concetto:
a) i passati di zziti: (zziti: sposi, oggi) i matrimoni venivano allietati
(alcuni vogliono anche per ragioni di convenienza, a causa dei regali) da
moltissimi parenti ed amici, dalla musica (organettu
e tambureddu): organino e
tamburello; chitarra e mandulinu: chitarra e mandolino; ciarameddi e tripudinu: cornamuse e tripodino...) e ci si rifocillava
con dolci e liquori...fatti in casa. Il giro che si faceva tra gli ospiti era
appunto detto passata. Il primo
giro, per gli uni (sposi) e per gli altri (ospiti) ...veniva fatto dagli
sposini....lui reggeva la guantiera e lei offriva.....poi continuavano gli
amici , gli amici intimi di lui e di lei: fratelli, cugini. Avveniva...in tempi
di ristrettezze economiche....quando non era possibile offrire il pranzo o la cena....ma bisognava pure
offrir qualcosa.
- Nu matrimognu cu cincu passati: un matrimonio (importante) con cinque
giri...di dolci confetti e liquori.
b) passata: un giro....qualunque, ma un giro di danza,
tarantella, naturalmente!
- Nda facimu sta passata: facciamo questo ballo...insieme? Non era
facile ottenere...ma la richiesta era d'obbligo, in determinate occasioni.
- Mi piaci sta passata!: 1) mi va proprio a genio quel che state
facendo. 2) mi piace questo tipo di
musica. 3) sto ben con voi...ma solo
per questa volta.
c) All'atra passata: all'altro giro. La prossima volta. Al prossimo
passaggio.
d) Na passata a matina...na
passata a sira: una spalmata di
mattina ed una di sera....
- Doppu quattru passati....mi passau u duluri: dopo appena quattro volte...ho sentito i
benefici; dopo appena alcune volte ho avuto positivi risultati...è cessato il
dolore.
e) passata: volgarizzazione dall'italiano: passata di
pomodoro!
f) Passata (u): promossa (o)!
- Passiru: (pl.passiri) passero, uccelletto delle campagne. Ve
n'erano a moltitudini e spesso provocavano danni alle varie culture,
soprattutto al grano già maturo, in attesa di mietitura.
Tradizione: i ragazzini
non ancora in età scolare e gli altri dopo l'obbligo scolastico giornaliero
andavano a gruppi per le campagne facendo una gran baldoria per spaventare i
pericolosi stormi, portavano strumenti atti a far rumori strani e gridavano eeehhe!, eeehhe!... battendo su un
pezzo di latta, su una vecchia casseruola con mezzi di fortuna. La sera stanchi
ma felici per aver sprizzato tanta incontrollata energia ed aver collaborato al
buon andamento dell'azienda famiglia......una carezza, un sorriso dalla mamma, come giusta ...paga.
- Pàssolu: sottile filo
d'erba o legnetto tipo...stecchino. Dal greco passalion.
- Passulu (i): uva passa, uva sultanina, greca. Le
migliori uve della qualità cori i cani
con l'acino di forma ovoidale, venivano messe ad appassire al sole per molti
giorni; quindi, tolti i legnetti del grappolo, conservate in contenitori
coperti con teli di stoffa...per evitare che l'umidità restante le ammuffisse.
- Pasta: pasta: impasto di
acqua e farina (semola) lasciata seccare. Si faceva anche in casa utilizzando
delle presse particolari .
Ricordo: durante il periodo bellico è stato utilizzato il
bossolo di una cartuccia da cannone (circa
- Past'e saddizzu: carne tritata per le salsicce.
- Ti fazzu past'e saddizzu!: ti riduco in poltiglia.
- Pari past'e saddizzu: ... una poltiglia,....quasi
brodaglia....inutile...
- Pastiglia: qualsiasi medicinale propinato in pillole. Dallo
spagnolo pastilla.
- Pastranu: cappotto; il cappotto militare.
- Pataccuni: usato soprattutto per indicare gli uccellini ancora
implumi nel nido; non è raro l'uso per indicare un bel bambino, paffutello.
- Patahirri: (pron. acca aspirata) soprannome attribuito a persona
leggerina di mole e di volontà/capacità.
- Patata: patata, magnifico tubero del quale se ne fa una grande uso
per l'alimentazione umana e come foraggio. Alcune qualità: jancuzzi, mulingiani, rrosa, ungarisi. Messe a dimora gli spicchi
con germoglio appena abbozzato (occhiu)
ad ottobre o a marzo, in solchi
molto grossi, tre file su ogni lato; terreno diserbato, zappettato ed
irrigato...di tanto in tanto, secondo necessità. Alla raccolta: selezione ed
immediato immagazzinamento; il sole forte danneggia il prodotto, provocando la
trasformazione della solanina. Quando la superficie esterna assume un colore
verdino il prodotto non può essere usato per alimentazione o foraggio, si dice allora patati scrucifuli o scucifuli, che non cuociono. I
tuberi grossi per fritture, minestroni..., quelli piccolini per il bestiame:
per i maiali, di solito, si fanno bollire.
- Allura patati: quindi...niente; non si può far nulla.
- Pagghia pi' patati: se la semina delle patate doveva effettuarsi
in terreno molto sabbioso ed acquitrinoso, per evitare che l'eccessiva acqua
facesse marcire lo spicchio di tubero messo a dimora, si spianava il terreno e,
quindi alzando i solchi si metteva della paglia in maniera da consentire ai
germogli (occhi) di crescere senza
esser disturbati dall'acqua del terreno.
- Patata bbugghjuta: patata
bollita....bollente.
- Nci dissi ddu' patati...: gli ha (ho) raccontato...quattro frottole.
Saccu 'i patati: sacco di
patate....buono a nulla; soltanto massa fisica....e nient'altro.
- Patatola: patata dolce ( di solito si aggiunge: zzuccarigna: che contiene molto
zucchero, che da zucchero). Si dice di piccolo (a) dalle forme ben tornite, ma
aggraziate. Si dice di qualsiasi tubero capace di riprodursi......o di un
tubero dalle minuscole dimensioni.
- Patatornu: lumaca.
Scioglilingua puerile: patatornu celi celi, nesci i corna e
ppo’ i pedi: lumaca (per far rima
dei cieli) fai spuntar prima i cornetti e poi le zampette ...
- Patrastru: patrigno.
- Pattu: patto, contratto,
accordo irrevocabile.
Talvolta, da ragazzi, quando si
stabiliva un accordo tra squadre, per es. uno del gruppo veniva incaricato di
gridare pattu ! pattu! per far
capire "al mondo intero" che c'era l'accordo.
- A pattu chi nno viniti cchiù: a condizione, come impegno...che non vi
facciate più vedere.
- Spartimundi i patti: stabiliamo le regole...precise.
- Patti avanti...e amicizia longa: stabilite, prima le condizioni,...l'amicizia
dura di più: è vera!
- A patti e cundizioni: stabiliti patti e condizioni....di lavoro,
di contratto, di ...affetto...Una sorta di do
ut des: do tanto per riavere tanto.
- Paucciana: dicesi di donna dedita ad affari religiosi:
frequentatrice di riti religiosi. In effetti spesso ha il significato di
persona "bigotta" cioè falsamente religiosa ed ipocritamente attenta
ai suoi propri problemi; insomma che fa della religione un suo uso proprio. Di
solito non esiste al maschile.
- Pazzarellu: Gioco per
indicar chi comanda la distribuzione delle bibite (ved. giochi: carti)
- Pecuru 'mbé: il portar qualcosa a tracolla, sulle spalle,
poggiata su tutt'e due le teste degli omeri ed appesa verso il fondo schiena.
Si diceva così anche di un uomo che sapeva di essere…cornuto…e ne
rideva, non potendo far diversamente!
- Pecuru 'mbé: obbediente come un pecorone…che lecca le mani
del suo macellaio, mentre vien condotto al macello!
- Pecuruni: pecorone, stupido,
ignorantone.
- Pecurumortu: qualcuno dall'atteggiamento quasi cadente. Per
indicare un modo di trasportare qualcosa sulle spalle: a pecurumortu, cioè come un agnello ucciso, cadente, senz'anima.
- Pedaloru: la parte del fusto di albero o pianta che rimane
attaccata al terreno, quando viene tagliato l'albero o cade per varie cause;
talvolta lo si lascia perché può produrre nuovi germogli e rifarsi...Ma...quando si rifà.....non è più
originale, autentico...per cui pedaloru assume anche il significato di cosa rifatta, riadattata.
- Pedi: (sing. e plur.) piede, di persona, d'animale, di pianta e
d'albero; misura (molto antica, ma in uso) di lunghezza, per stoffe, terreni da
costruzione.
- Pedi i palumba - Pedi i passiru - pedi i pittara - pedi i sceccu:
attributi, soprannomi, ingiurie per persone il cui camminare imitava l'animale;
ma indicava anche il carattere e le capacità delle persone; per es. pedi i pittara si diceva di un
tale troppo bonaccione, o, stupido.
- Pedi, pedaloru : com'è a mamma veni u figghiolu: tal quale, mamma
e figlio!
- Peddi: pelle, corteccia, superficie....quella umana, degli
animali delle piante.
- Ndavi a peddi dura: ha la pelle dura, è forte, non vuol
cedere...morire.
- Peddi i sceccu: pelle
d'asino, caparbio, superbo, forte.
- Non capi nda so' peddi: non entra nella sua pelle...dalla
gioia...
- Faciti tuttu ca' peddi i ll'atri:
...con la pelle degli altri!...arrivista, egoista.
- U sceccu si vesti ca' peddi da vurpi: l'asino si veste con la
pelle della volpe. E' proprio inutile cambiare atteggiamento....soltanto la
pelle. L'asino resta stupido, ignorante...la volpe, attenta, intelligente,
furba!
- Pendula d'uva: vedi pindici. Questo termine, pendula, venia usato raramente, molto
raramente dalle giovani.....per i riferimenti che potrebbe avere con la
sessualità maschile.
- Percia: pertica. Di solito
una lunga canna o un bastone lungo ed affilato alla cui cima si operava un
taglio in modo da consentire le due punte di stringere il picciolo della frutta
tagliandolo per farla cadere....naturalmente...tra le mani.
- Perciari: (anche pirciari) [dal francese percer, bucare] bucare, forare, sbagliare.
- Pergula: impianto in legno per viti da vino e da tavola: In
genere: quattru puntiddi e quattru travetti (quattro sostegni
verticali e quattro travi orizzontali) con l'aggiunta d'altri travetti
orizzontali.
- Pergulatu: (o pergulitu):
impianto come la pergola ma di forma rettangolare e molto lungo.
- Ndaviti nu pergulitu! avete una buona pergola con buon'uva;
(rivolto, o parlando di una donna): avete un bel davanti. Avete un modo di
espandervi... facendovi notare.
- Petruddu: uovo di uccelletti, passeri, scriccioli...le altre
...erano uova, uova grandi..
- Petruliddi: pietruzze,
piccolissime e rotondeggianti .
Vedi anche l'appendice Giochi.
Gioco delle petruliddi. Ricordo che
qualche donna molto anziana usava dire anche pantaleci, alla greca, cioè cinque pietre. Dal greco pantelitha.
- Petrusinu (putrusinu,
pitrusinu): (dal greco petrosélion, prezzemolo)
pianticella erbacea aromatica e profumata, tipica della fascia
mediterranea: prezzemolo.
- Petrusinu 'gni minestra: prezzemolo in tutte le minestre; ma si
diceva anche per fare intendere che l'intrusione in tutti gli argomenti (e/o di
persone.... estranee) non era gradita, né opportuna.
- Pari petrusinu 'gni minestra: sembra prezzemolo in tutte le salse; conosce
tutto; sa tutto di tutti:...pettegola, civetta.
- Pettinissa: (classico, in napoletano), fermaglio a forma di
grande pettine arrotondato: si usava per fermare, soprattutto, u tuppu (lo chignon) delle signore. Un qualsiasi oggetto atto ad abbellire
...la fluente chioma delle giovani e signore.
- Petturali: pettorali, finimento della bardatura degli equini:
cinghia di cuoio che passa sullo sterno, sostenuta da un cavalletto (cavaddittu), unendo la parte anteriore
della soma, o sella (circh'i barda, nella
sella non esistono parti in legno), da una parte all'altra, attraversando lo
sterno, per consentire la stabilità della soma durante il trasporto. In senso molto figurato...si indica il
reggiseno di una donna e anche le sue capacità di ....esser fedele.
responsabile mamma e moglie.
- Na fimmina senza petturali: una donna....di poco conto...., molto
disponibile.
- Mentinci u petturali: stabilisci le regole; imponi una disciplina.
- Petturrussu: pettirosso, uccelletto delle campagne. C'era un
grande rispetto per quest'uccellino sia per il suo aspetto gentile ed elegante,
ma anche in virtù della tradizione, raccontata ancora dalle buone nonne
come favola secondo la quale il petto gli è diventato rosso per una macchia di
sangue che si è provocata avvicinandosi al Cristo in Croce, per togliere le
spine dalla Sua fronte.
- Pezza rrussa: soprannome attribuito ad una famiglia....un pò
rattoppata.
- Pezzulu: pezzetto di legno, resto del taglio con l'ascia;
scheggia di legno.
- Nu pezzulu: una cosa da
poco, da nulla.
- Pezzuleddu: scheggia di legno...ancora più sottile.
- Piattu - Piattinu: piatto, da portata, da secondo; piattino per
le tazzine da caffè. Regalo, presente, notizia.
- Mi purtaru nu bellu piattu: mi hanno comunicato una cattiva notizia; ma
può significare anche un bel regalo; un piatto da parete, dipinto, pregiato.
- Dassa mi tornu chi ttu dugnu eu u piattinu: appena torno te lo
faccio io un bel regalo, anche in senso positivo.
- Picarizza: arnese con la funzione d'imbuto pur non avendone la
forma. Il primo costruttore (inventore) ha ragionato a lungo! Serve per
trasferire il mosto dai recipienti di trasporto (di solito otri di capra) nelle
botti; impossibile l'uso dell'imbuto, pur grande e sagomato che sia, perché il
riflusso dell'aria e dei gas che si sprigionano provoca danni o, quanto meno,
ritarda l'operazione. Ha la forma di una piccola tinozza tronco - conica con le
doghe laterali, alterne, più lunghe verso la base ed arcuate in modo da
poggiare sulla botte (a forma di botte !) ed al centro un canale ad imbuto di
sezione adeguata che entra nel foro superiore della botte. Il mosto vi si versa
fin quasi al riempimento ed in modo costante: defluisce verso il basso con
estrema facilità perché i gas e l'aria di riflusso passano attraverso gli
interspazi laterali dell'imbuto e si disperdono al di sotto di tutto l'arnese.
La picarizza, normalmente,
apparteneva ai proprietari del palmento che la davano in uso temporaneo ai
clienti: faceva la spola tra un trasporto a carico ed un ritorno a vuoto.
- Piacendu: (voce del verbo piaciri).......gioco
di carte con consumazione di bevande. Di solito cinque giocatori; si danno
quattro carte e si può anche chiedere altre, il miglior piazzamento è
francu, cioè non partecipa al seguito del gioco, ha diritto di bere e non
paga. I restanti quattro giocano alcuni giri, stabiliti in anticipo, per
stabilire chi paga: chi perde paga! Possono esser due o al limite uno solo, se
viene stabilito prima che i due perdenti possano fare ulteriori giri. Quindi si
danno le carte per stabilire chi " comanda" sulle bevande .U patruni e u sutta: il padrone ed il
"vice": il punteggio più alto è padrone, il più basso e vice. Il
padrone ha pieni poteri, ma può anche offrire agli altri, sentito il parere del
vice.. cioè, esattamente piacendu,
se vi piace. "Vorrei dar da bere ad A, se vi piace" " non mi
piace"..."diamo piuttosto a C"..."non son d'accordo io
"...e così di seguito. Non era raro che la piacevole discussione
degenerasse...e talvolta ci scappasse anche qualche segnetto d'arma bianca...o,
in casi veramente eclatanti, qualche sparo con morto. Il gioco si pratica
ancora oggi, con varianti moderne,...ma senza animosità; ci si ritrova tra
amici e si fa una rimpatriata utilizzando termini e modi antichi, per potercisi
ridere sopra.
- Picciotteddu: piuttosto piccolo, non adatto alla misura...ma
appena più piccolo.
- Picciottu: piccolo; giovanotto (dai 14 ai 20, circa). Il termine
veniva usato, e, purtroppo usato tuttora in un certo ambiente malavitoso. Era
il giovane appena giunto che doveva dare prova delle sue capacità e della sua
assoluta subordinazione. Talvolta aveva dei compiti specifici: far rispettare
l'ordine imposto dal capo, esigere "le mazzette", impedire che altri,
di altre "cosche" avessero a primeggiare....In determinate occasioni
per evidenziare la posizione che aveva all'interno della cosca portava un gran
foulard (camuffu, vedi voce), rosso
violento, con vari disegni, ripiegato a triangolo ed appoggiato tra omeri e
spalle con uno o più nodi molto
appariscenti sul petto ed il rimanente triangolo sul dorso. Era u picciottu i jurnata: l'uomo d'ordine
per quel giorno per quella particolare circostanza.
- Picciriddu: (picciridduzzu),
piccolino....piccolin...issimo.
- Picciringolu: dito mignolo. Si diceva anche per qualcosa o qualcuno
molto piccolo. Non era raro che l'innamorata (non volendo svelare il nome del
suo lui), usasse questa definizione: u
me'piciringolu.
- Picciu: (dal greco pipizo, piagnisteo):
piagnisteo.
- Nci jttaru u picciu; nci ficinu u picciu....etc.: gli hanno fatto una fattura, una brutta magia .
E' perseguitato dalla cattiva
sorte .....non c'è speranza...!
- Picciulu: piccolo; non ancora cresciuto... o rimasto piccolo.
- Picciuni: piccione; piccolo colombo. S'intendeva, però, di
frequente, indicare gli organi sessuali femminili.
- Pichesci: sorta di
pastrano di gala. Dal tedesco Pekesche,
cappotto con colletto di pelliccia .
- Pici: pece. Si usava anche per indicare il colore nero, nero
pece.
- Picireca: pece greca: nera, nera, ancora più nera. Si usava per
indicare il colore nero e per dire di qualcosa di negativo.
Mannaja picireca: era un'imprecazione talvolta maligna e del tutto benevola.., ma insomma, sempre
un'imprecazione.
- Pidali: la parte più bassa del fusto; il caule di un'erbacea;....
(molto recente), il pedale della bicicletta o, altro attrezzo simile che,
consente di trasmettere la forza sviluppata con i piedi. Era anche grave
ingiuria e/o soprannome per chi non aveva volontà e capacità di lavoro.
- Pidda: recipiente di latta tondeggiante con manico e beccuccio
per prelevar l'olio dalla tinozza.(vedi voce trappitu).
- Piddicchia: pellicina; epidermide; cosa da nulla.
- Non pigghiati piddicchi: non cercate scuse; non appigliatevi a
cose da nulla.
- Piddu: pagliuzze: cascami di paglia, di fieno; polvere prodotta
dalle erbe secche. Dal greco pilos.
- Piditari: emettere aria, gas intestinali, dalle parti
basse,...... con frequente delizie nasali e musicali!
- Non piditati tantu!: non fate tanta baldoria inutilmente; non fate
chiasso; non fate rumori strani e sgradevoli.
- Piditu: peto, scorreggia. Emissione d'aria e di gas intestinali,
di frequente molto rumorosa e flautolente.
- Piditu i lupu: (dal francese pet de loup): un funghetto non
commestibile, allo stato di maturità pieno di gas puzzolenti. Secondo alcuni,
quando è ancora molto giovane, sapientemente trattato, può esser commestibile.
- Pidocchia: insetto, infestante anche per la specie umana....nelle
zone pelose del corpo (non solo in testa). n genere il maschile, nella forma di
piducchiuni per indicare uno furbo,
tenace, attento; e, nella forma piducchiusu
per indicare uno tirchio, avaro. L'infestazione, fastidiosissima per il
prurito che provocava, non sempre era originata da scarsità
igienica....talvolta la pediculosi
(così detta) si diffonde in maniera endemica soprattutto tra i ragazzi di età
scolare.....oggi ottimi insetticidi consentono di risolvere il problema, ma, in
altre epoche....si usava impastar strutto (di maiale) con zolfo e
cenere....comprensibili le conseguenze sugli organi olfattivi. Dal latino pediculus.
- Piffiru: piffero, strumento musicale di produzione artigianale:
produceva un suono tipico, come fosse un fischio
fesso; usato in bandelle locali, ma anche come solista sia per partiture
...artigianali che anche per musica di un certo livello. Si usava, nel
linguaggio figurato, per indicare gli organi sessuali sia maschili sia
femminili.
- Pigghia pigghia: tafferuglio, disordine, caos...
- gghia mia,....succidiu nu pigghia pigghia: figlia mia è successo
un pandemonio...che non ti dico...
- Ndo pigghia pigghia...iddu rrinisciu mi fuj: nel gran caos
(conseguente a) è riuscito a scappare.
- Eh cchi nc'è nu pigghia pigghia a matina!: eh... che veramente
c'è un bel pò di disordine ogni giorno?!
- Pigghiari: prendere, arraffare, appropriarsi.
- Ndo bbonu pigghiati... ndo malu stati attenti: prendete quel che
c'è di buono, ma state attenti a quanto potrebbe esser male!
Pigghiava!: espressione non traducibile direttamente; ci aiuterà
una parafrasi. Due persone anziane discorrono dell'avvenire dei figli. a)
i stu passu me figghiu rriva a gginirali: (se va di questo passo, nella
carriera militare, mio figlio, ha il tempo e la possibilità di giungere al
grado di generale); b) pigghiava! (senza dubbio; son
d'accordo; glielo auguro).
- Pignata: pentola di terra cotta, per la cottura degli alimenti.
Ricordo:
di forma cilindrica, di varie dimensioni, con manici, smaltata all'interno di
un colore marrone molto denso. Era il simbolo della buona massaia....anche se,
spesso, in maniera diretta poteva sembrare offensivo. Si usava lo stesso
termine per indicare: a) quantità
e/o capacità; b) abitudini
domestiche; c) un qualsiasi
recipiente.
- A jatta nci rrumpiu'a pignata: era facile; ma sta ad indicare che non c'è
voglia e capacità di fare una certa cosa.
- Mpristatimi a pignata: (in condizioni talmente misere da non aver
un recipiente per cuocere) prestatemi una pentola. Ma nel linguaggio figurato
significava ...proprio...non c'è nulla.
- Nda na pignata... miscita na sula cuchiara: (giusto così!), in
una pentola deve mescolar soltanto un cucchiaio (di legno) ....cioè, anche, uno
solo prende decisioni, ordina...comanda.
- I gguai da pignata i sapi sulu a cucchiara: tutto ciò che c'è dentro è noto soltanto...al
cucchiaio che mescola. Tutti i fatti "miei" li conosco soltanto...io.
- L'occhiu a missa e u cori a pignata: …e va bene! In Chiesa,
per
- Pignataru: chi fa le pentole e chi le vende. Le pentole... erano
di terra cotta. L'artigiano che sapeva lavorarla e cuocerla era tenuto in
grande considerazione perché, secondo detti biblici, il Creatore veniva
raffigurato come un Vasaio colui che sapeva creare dalla terra...
- U pignataru menti u manicu undi voli: chi fa le pentole, mette il
manico da quale parte vuole. Chi ha padronanza di una certa qualcosa può
organizzarla come meglio vuole.
- Pigni: le penitenze o gli impegni che dovevano per errori di
gioco da parte dei giovani e giovanissimi. Erano anche le "pignocche"
dei pini ...comunque una piccolissima cosa ma abbastanza significativa
- Pignu: pegno, impegno, dovere. Nei giochi di ragazzi e giovanetti
era un momento molto particolare: pagare le penitenze (vedi Capitolo Giochi).
- Pignulata: pignolata: dolce casereccio. Farina, zucchero,
strutto....a forma di cubetti non regolari...fritto nell 'olio di d'oliva e
miele.....il miele e lo zucchero raffreddando diventano croccanti. Si usava nei
periodi di Natale, carnevale, S.Giuseppe, Pasqua.
- Pila: denaro, soldi. Plurale di pilu.
- Senza pila non nsi canta missa: senza denaro non si fa niente,
non si dice nemmeno messa
- Pileri: soprannome, anche temporaneo attribuito a persona capace,
intelligente, svelta. Esistono anche delle contrade così chiamate, proprio il
loro valore.
- Pilusu: con molti peli;
anche ...mozzarella fatta in casa:
misulucu (vedi).
- Pettu pilusu e lingua senza pilu: petto velloso ma linguaggio
semplice chiaro...mai ipocrita.
- Pilu: pelo; tutto ciò che è peloso.
- A caccia i pilu: a) i cacciatori vanno a caccia i pilu: selvaggina
con pelliccia; dalle nostre parti, lepri, volpi. b) i giovani vannu a caccia
i pilu: vanno in cerca di.... compagnia da letto.
- Pilu ndo cori: aver coraggio, forza capacità....ma anche essere
senza pietà.
- Pilusciu: pelliccia .
Qualsiasi indumento piuttosto elegante o portato con eleganza .
- Pindina: (dal latino ad
pendinum) verso cui pende. Si diceva così, per es. dello spiovente di un
tetto, della parte bassa di una salita...
- E pindimi: una contrada, ma anche un modo per indicare una zona,
nelle varie contrade; in pendenza, ma ben coltivato: di solito a vigneti
terrazzati, ad oliveti o ad alberi da frutta.
- Pinnata: ricovero estivo esterno per gli animali domestici
durante le ore canicolari; originariamente soltanto per i maiali. In aperta
campagna, lontano da alberi o boschi (i quali naturalmente fornisco ombra) si
costruiva erigendo quattro stanti in legno abbastanza alti e coprendo la
superficie superiore con fascine, stoppie, ginestre, rametti frondosi...serviva
soltanto per fare un pò d'ombra!, ma nello stesso tempo per poter
......trovare, in un sol posto, lo stabbio, gli escrementi utili per la
concimazione del terreno. In senso lato significa abitazione, casa, luogo di
ricovero.
- Non ndaju casa...e, mancu pinnata: non possiedo una
casa...nemmeno un ricovero provvisorio
- Nda so' pinnata...ndav'umbra pi ttutti: nel suo ricovero c'è ombra per tutti. Una
persona di grande capacità, versatilità, solidale con chi ne ha bisogno,
altruista. Il modo di dire era usato anche da una certa ...società
mafioseggiante ed aveva gli stessi significati.
- Pinnularu: ciglio delle palpebre. Si usava anche per indicare
cosa da nulla, leggera e volatile...proprio come un ciglio. Era una specie di
sacchettino di stoffa di seta nel quale venivano conservate le varie specie di
plettro...da chitarra, da mandolino...i quali in dialetto si chiamavano “pinn' e chitarra .....pinn' e mandulinu.”
- Pinseri: (anche pinseru)
pensieri, preoccupazioni; attenzione particolare.
- Stati senza pinseri: (durmiti
cu qquattru cuscina) state senza pensiero; non ci pensate, dormite
tranquilli.
- Torna cu pinseri: torna presto; mettici un pò d'attenzione nel
tornare.
- Ndaju la testa china di pinseri: ho molte preoccupazioni.
- Pinsirusu: pensieroso, attento, preoccupato.
- Pinza: arnese del fabbro, dell'ebanista, dell'elettricista.... pinzicedda: piccola pinza: servono per
stringere, temporaneamente, qualcosa.
- Pinzetta: piccola pinza. La pinza del medico. .... di recente: la
pinzetta per levarsi le ciglia.
- Pipa: (dal greco pìpto, quietare)
far silenzio! Ordine inderogabile: Silenzio!
- Pipa: pipa per fumar tabacco; una forma di pipa.
- Pipa i terra cotta: pipa
di terra cotta (non esistono più!). Aveva il significato di specificazione di
classe sociale: un benestante poteva permettersi la pia di radica, che
costava....un poveraccio si accontentava di una pipa di terra cotta...spesso
prodotta in proprio. Tra quelle artigianali ve n'erano di varie dimensioni:
alcune anche ben lavorate con fregi e disegni.
- Pipa i rradica: pipa di
radica... vedi sopra
- Non tornu cchiù...e cchi mi spirdia a pipa?: non ci ritorno, non ho dimenticato la pipa.
Come se aver dimenticato la pipa....fosse aver lasciato una parte importante di
sé.
- Facitinci a pipa: fategli
una vaso a forma particolare, per decantare.
- Fatti na pipa: fatti
una....sega...
- Dammi na pipata: dammi un pò di tabacco...quanto basta per una
fumata. Prestami... (una qualunque cosa), quanto basta....non di più.
- Pipata: quanto basta per riempir la pipa. Spesso il termine viene
usato per indicare una piccola, ma sufficiente, quantità.
- Ssittativi ccà...ndi facimu ddu pipati: (una persona anziana che
ha tempo...che vuole un pò di compagnia): sedetevi qui, vicino a me...ci
facciamo due fumatine di pipa...e intanto passa un pò di tempo...
- Pipi: peperoni, ortaggio comune di varie forme e qualità.
Maturazione: fine estate, autunno.
- Pipi i rasta: peperoncino
piccante, piccante. Diverse qualità, moltissime forme e diverso tenore di bruciore (alcuni dicono anche: pipareddu, pipazzu, pipi forti, pipi bbruscenti,
pipiceddu.) Pipi i - rasta com'e cirasi: piccoli e rotondi come le ciliegie: i
più graditi. A ppunti i lapis: come
la punta di una matita. Com'e curnioli:
a forma di cornetto e, spesso vagamente a tortiglione.....Anche su questo
argomento, tra gli intenditori, frequenti dispute ed accese discussioni: sulla
bontà, qualità, produzione...conservazione.
Produzione: semini di
peperoncino rosso messi in vaso a fine gennaio; a dimora definitiva verso fine aprile:
solchi grossi: una piantina ogni 30/40 cm. da ambo i lati. Fioritura a fine
giugno; maturazione ( color verde a fine agosto); per il bel colore rosso intenso: fine settembre e...
fino a dicembre); raccolta secondo necessità e volontà.
Conservazione ed uso:
seccati al sole; sott'olio; sott'aceto; olio santo: peperoncini, di quelli veramente piccanti tagliati a pezzettini
e seccati solo per qualche giorno al sole (alcuni aggiungono un pò di sale, che
consente di asciugare rapidamente), quindi pezzetti e semini dentro un adeguato
recipiente con una foglia di alloro, qualche spicchio d'aglio intero e qualche
chiodino di garofano e molto olio d'oliva... rimestare dopo qualche settimana: a) alcuni, dopo una ventina di giorni,
portati fuori dal vaso, li filtrano in un colino metallico, stropicciandoli con
una forchetta, sicché nel vaso resterà soltanto l'olio santo di un bel colore giallo intenso rosato, quasi rosso, b)
altri, lasciano tutto nel vaso, ma c'è l'inconveniente che la pellicina diventa
ruvida e difficile da masticare....... si usa direttamente al piatto... con il
cucchiaio... o con la forchetta, dipende dal tenore di ... bruciore che si
vuole ottenere.
Altri modi di conservare: interi seccati al sole,
legati ad un filo di refe a mo' di corona, oppure dopo seccati, scottati appena
al forno (togliere prima il legnetto del picciolo!) e pestati in un mortaio di
legno (oggi si usa facilmente un macinacaffè elettrico), ma con molta
attenzione per non ridurre tutto in polvere...piccante.
Le utilizzazioni dipendono
dalle abitudini, dal gradiente, dai pasti che si vuole rendere più gradevoli...
ragazzini era facile na frappa i pani cottu cu ll'ogghiu e pipi i
rasta (la parte superiore di un biscotto secco, con olio e
peperoncino)..Oggi si usa molto la crema di peperoncino, fatta in casa. Questa pratica ed economica colazione
e/o merenda era gradita e diffusa quanto e più dell'attuale NUTELLA Forse non è bene usarlo
soltanto nel caffè, nel latte e nel vino.... per il resto va bene dovunque. Secondo
una corrente di pensiero di medici sia all'antica sia di quelli moderni, il
peperoncino è un ottimo stimolatore della circolazione, aiuta la digestione,
provocando maggior produzione di enzimi.....salvo il fastidio all'uscita. In alcune persone, infatti provoca prurito nel momento
del bisogno, che si elimina
facilmente e presto.
- Esti nu pipi!... ha un caratterino.....è un peperoncino....
- Ammenz'e pipi duci...ndavi pipi i rasta: tra i peperoni dolci...ci sono anche
peperoncini. Tra le cose (persona) buone, vi son anche quelle....cattive.
- Pipita: a) piccolissimo strumento musicale costruito con due
lamine di canna legate al centro in modo che una, almeno, possa vibrare. Si
metteva in bocca sollevando la lingua verso il palato e si soffiava in maniera
particolare ottenendo suoni delicati e vari; si praticava soprattutto una
modifica del tono della voce...addolcendola. Questa sorta di trombetta era
usata soprattutto dal maialinaru (vedi), durante le sua "camminate" per le campagne.
- Non sunati cu ssa pipita....chi mmi doli a testa: non suonate con
codesto strumento (dal suono non molto gradevole), perché ho mal di testa. Non
parlate in codesto modo, ....sbagliate tutto.
- Chi mmi vi pigghia a pipita masculina!: (oppure ...pipita masculina!) zitti, per
piacere!
Silenzio su quanto è accaduto! Vi
prendesse....il parlar continuo...la logorrea... Si aggiungeva il qualificativo
di masculina per rafforzare il significato....
b) tipico modo ( pijp pijp
pijp pijp) di gracchiar del pollame. Si credeva fosse una malattia, era,
invece, provocato da frantumi di becchime che non raggiungevano il gozzo e,
fermandosi nel retrobocca faringeo provocavano stimoli simili alla tosse e
sforzi delle bestiole per liberarsene, questi producevano dei particolari rumori, come suddetto.
Si pensava ad un fatto epidemico
perché era piuttosto frequente tra il pollame...ruspante.
-
Pipiti-popiti: per indicare
il suono di trombette realizzate da ragazzi, per gioco; gli strumenti
assumevano questo noma in conseguenza dei suoni (onomatopeici) che si riusciva
ad ottenere. Nel senso figurato si usa per indicare qualcuno o qualcosa che non
da affidamento...che è un giocattolo...che non ha....sostanza.
- Pipituni: upupa, volatile stazionante per lunghi periodi, noto
per avere una specie di cresta, sull'occipite, fatta di piume. Si usa anche
come soprannome e/o ingiuria rivolto a persona di limitate capacità
intellettive. tupidotto. Piccolo pon-pon. S'indicava anche un uccello notturno
che potrebbe esser l'upupa.
- Pira: pera, frutto. Se ne rammentano alcune qualità....ormai in
via d'estinzione:
Carravettini: (conosco soltanto il nome) -
milisticeddi: rotondette,
primizie, dolcissime.
Piruzza: piccolissime, primizie (maggio-giugno)
profumate; in campagna si mangiavano in un modo particolare, tenendole per il
piolo, dopo aver tolto con gli incisivi l'infiorescenza legnosa, direttamente a
gustarne l'aroma e la dolcezza.
Pira rosa: pere con una faccia colore rosa o rossiccio, (giugno luglio),
molto dolci e profumate (in qualche zona si chiamano pira i' S.Giuvanni, proprio per la loro maturazione, intorno alla
fine di giugno).
Pira purcini: molto carnose, lisce e quasi trasparenti, come l'alabastro
(luglio- agosto).
Pira spineddi: granulose e, acerbe molto sorbose
(settembre- ottobre); a lunga maturazione in canniccio, diventano ottime e
molto sugose; speciali per marmellate ed ottime bollite ancorché acerbe.
Pira butirri: (o butini)
(agosto) da raccogliere ancora acerbe a causa del violento processo di
maturazione, delicatissime, molto sugose.
Pira lisciandruni: (potrebbe esser d'Alessandro...Magno, a
causa della bontà del loro gusto), anche questa di conservazione e maturazione
a lungo periodo, quasi per tutto il periodo invernale. Questa specie era molto
diffusa, ben coltivata nei poggi e colline esposte al sole, ed il frutto doveva
esser trattato con particolari
attenzioni. La quantità consentiva ottimi commerci con
Purtroppo, oggi, solo pochissimi
esemplari resistono, soppiantate da specie più resistenti e di più facile
coltivazione.
Il nome attribuito all'albero ed
al frutto Lisciandruni potrebbe derivar dai luoghi di produzioni, di solito
colline, alti poggi tra spianate ad anfiteatro (vedi la voce Liandru , al cap. Contrade)
Ahju pira!: ho pere; ho tutto...ma non ho nulla...E’ un modo
di dire per qualcosa che c’è in abbondanza o che manca del tutto, secondo
la pronuncia e del contesto del discorso .
- Piracutte': ( semplicemente cuttei)
pere tagliate a fatte seccare al sole, quindi infornate: ottimo alimento sia
umano che come foraggio per l'elevata quantità di zuccheri.
- Na figura i piracuttei: una brutta figura.
- Pirainu: alberello di pero selvatico. Ve ne sono di due tipi,
entrambi, ahinoi, caratterizzati da grossi spini lunghi e pericolosi; uno
cresce, proprio ad albero e l'altro invece striscia sul terreno diventando
molto lungo. Si dice di persona dal carattere pungente e selvaggio.
Secondo la tradizione popolare
la corona di spini di Gesù è stata fatta proprio con spini di pirainu.
- Pirara: albero di pero. Ve n'erano di diversissime qualità forme,
sapore, periodi di produzione, quasi tutti, però, d'origine locale.
- Canusciu i pira di me' pirari: conosco i frutti del mio
giardino....conosco le...mie cose.
- Piraredda: a) piccolo albero di pero; b) si soleva indicar così il luogo (e quindi) il cimitero, proprio
perché è stato costruito in una zona, già coltivata a pereto.
- Ti sacciuu piraredda: ti conosco bene; so ben cosa sei capace di
....fare, in bene...ma soprattutto in male.
- Pirchì: perché.
- Pirchini: atteggiamento un po' snob del modo di parlare: perché.
Nel linguaggio corrente capita, a volte, di dover aggiungere l'eufonica, per
alcuni, invece, era un atteggiamento.
- Piriddu: (fino all'età di circa 15 anni... si doveva usare il
termine ligneddu, per l'evidente riferimento
al sesso....scandalosissimo) legnetto sagomato necessario per un gioco: lungo
circa 12-
- Pirinchiri: riempir di
notizie tendenziose; istigare, indurre a cattive azioni.
- Pirincutu: riempito, colmo...finito, sazio.
- Pirita: su alcuni stanti infissi nel terreno, circa 1,20 d'alt.
venivano poggiate delle assi trasverse e sopra dei cannicci (cannizzi) per poter stendere fichi,
pere, fichi d'india...a seccare al sole, prima di essere infornati. Si
costruiva annualmente di solito nelle zone di produzione e/o in vicinanza di
una forno a legna...in campagna.
- Piripicchiu: si diceva di un ragazzotto, piuttosto alto e magro,
ma che ne raccontava....
- Piroci: (secondo alcuni pitoci)
giocattolino; specie di dado con un peduncolo che gli consente di girare come
una trottola. Trottolina realizzata, di solito, con metà del legno di un
rocchetto ed un asse centrale, passante attraverso il buco del rocchetto ed abbastanza
lungo da consentire anche di essere avvolto da molte "spire" di filo
(spago), come la trottola (vedi rrumbula.)
Dal greco peiros.
- Pirrichinu: soprannome adattato a persona che cammina
dondolandosi.
- Piru ... piru: (dal greco pyròs,
frumento) richiamo della massaia per pulcini
e colombi si usa anche pio...pio In
genere si usa per indicar l'insieme dei pulcini di una chioccia ed anche il
loro mangime.
- Piruni: (dal greco peròne, legno
appuntito), pezzo di legno o anche d'altro materiale, appuntito e/o appiattito
da una sola parte in modo da poter essere usato come temporaneo sostegno,
chiusura di un buco....
- Pisacantaru: cervo volante. Il termine nasce dal fatto che questo
insetto ha una gran forza nelle zampette posteriori, forza capace di sostenere
pesi molte volte più grandi del suo, intero. I bambini giocavano, proprio, a
produrre gare di capacità, durata, peso trasportato etc... naturalmente dopo
aver catturato alcuni di questi innocenti insetti.
- Pisci: pesce, il pesce in generale: sia per alimentazione umana
che come occasione da diporto.
Per la verità non è che in Paese
vi fossero molte occasioni da diporto: la pesca. Un paese di cultura ed
interessi essenzialmente contadini non
aveva occasioni, né, probabilmente, spinte verso sport tipicamente marinari.
Il pesce alimentazione, è
un’altra cosa. Arrivava in paese per mezzo dei pisciari (rigattieri, venditori di pesce) i quali lo portavano,
secondo la quantità e qualità utilizzando il mezzo di trasporto
dell’epoca: l’asino, o, raramente il mulo. Normalmente si trattava
di pesce di piccole dimensioni : sardi,
lici, alacci, .... sistemato in diversi sacchi di juta, messi insieme nello
stesso contenitore (cufinedda),
giustamente equilibrando il carico. Arrivavano in paese attorno alle nove ed
iniziavano dalla parte bassa le grida: pisci friscu, lici pigghiati ora ora ,
alacci di stanotti.... che, poi, quanto fosse ora, ora era tutto da
discutere, tenendo presente che per il percorso da Melito si impiegavano almeno tre ore. Il pesce si
acquistava in denaro, ma più frequentemente a cambiu cu ‘ll’ogghiu
e chi ci guadagnava era sempre il pescivendolo, il quale sapeva già di questo
mercato ricco e portava il recipiente...per il denaro-olio. Ma la gente “partiva” molto presto per la
campagna e, non sempre tornava in tempo per comprare il “ pesce
fresco” ; rimediava incaricando
una vicina di casa, una parente, il vecchio padre, suocero.... ma normalmente
nel viaggio di andata, del rigattiere. Ma c’era anche chi, per ragioni di
equilibri economici il pesce lo comprava al ritorno...quando, cioè, ormai, non
era più fresco: circa tre ore dal mare e circa tre di offerta viaggiante in
paese...Il commerciante doveva vendere, doveva! anche ribassando notevolmente i
prezzi. Da ciò nacque il modo di dire:
quandu torna u pisciaru, cioè non più pesce fresco; cosa detta e
ridetta; persona attempata - modo eufemistico per dir di una donna: vecchia! e
, quindi anche l’epiteto per la persona.
Ricette per il pesce?:
normalmente fritto in olio d’oliva! Erano rarissime altre forme di
presentazione: tutto era in relazione alle qualità della merce. Ma il pesce di
valore, pregiato non trovava mercato,
raramente e soltanto qualcosa, su
ordinazione, per alcune famiglie o per ..i malati che avevano bisogno di alimentazione
adeguata.
- Pisciali: gli organi
sessuali di un animale domestico, più specificamente del verro....talvolta
anche per quelli umani. Quelli del maiale venivano appesi ad asciugare e
servivano, poi, per ingrassare gli scarponi invernali. Il termine è usato in
generale per indicar qualcosa (o qualcuno) maleodorante, schifoso, dannoso.
- Pisciari: orinare, pisciare, far pìpì.
- Ndi pisciammu rridendu: ci siamo scompisciati dalle risate.
- Cu caca...piscia: chi fa popò, fa anche pìpì. Vuole anche
significare chi non sta attento, prima o poi tradisce.
- Si piscia cchiù ndo mbernu ca nda stati: si orina di più in
inverno che in estate (in estate i liquidi si eliminano anche con il sudore).
Attenzione! si può sbagliar sempre....ma se ci sono le condizioni si sbaglia
più facilmente!
- Fussatoti e muli, non piscinu mai suli: fossatesi e muli non fanno pìpì mai da soli;
preferiscono stare in compagnia, vivere in gruppo rispettandone le regole;
preferiscono stare in compagnia.
In ogni cultura dialettale esiste
lo stesso modo di dire.
- Pisciaturi: orinale, vaso
da notte. Contenitore dove vanno a finire gli escrementi liquidi e...solidi! Si
dice di persona fetente, indegna...innominabile.
- Pisciazza: orina, soprattutto se indica quella degli animali. Dal
verbo pisciare.
- Piscistoccu: lo "stocco", il pesce seccato per la
conservazione e quindi ammollato per la preparazione degli alimenti. E' il
merluzzo pescato nei mari della Svezia e Norvegia, seccato al sole ed al vento;
di solito importato secco e quindi
tagliato (per la verità segato con un grosso segaccio) a pezzi e messo
per alcuni giorni - con vari metodi - in acqua corrente fino a quando riprende
una consistenza spongiosa ...e dopo a preparar delle ottime pietanze .
- Bbattiatu cu 'll'acqua du piscistoccu: un tale ne ha proprio poco di ...battesimo, di logica, di
capacità. Il detto nasce dal fatto che proprio quell'acqua è torbida ed emana
un certo...odore, e, quindi è da buttare....il più lontano possibile.
- Piscistoccu a gghiotta: una pietanza tipicamente calabrese; ma anche
un tale che si atteggia camminando e muovendosi in un certo modo...come se
tutto il mondo debba scomparire ai tuoi
piedi.
Ricordo: Quando ancora non esistevano.... i frigoriferi
domestici come si conservava il pescestocco appena ammollato? In ogni casa,
proprio appena accanto allo stipite di una finestra all'ombra, sull'esterno del
muro, esisteva un gancio al quale si appendeva, ogni notte - per il fresco - un
paniere con dentro il contenitore, capiente, e il pesce in abbondante
acqua...ma solo per qualche giorno...per qualche giorno!
- Piscioni, pisciuneddu: il quarto posteriore di un animale;
coscia, polpaccio.
- Pistaciciri: soprannome per persona che cammina lentamente e
battendo le piante dei piedi.
- Ristagna, pistagnina: specie d'orlo; bordo particolare. Dallo
spagnolo pestana, orlo di tessuto.
- Pistola: pistola, arma da difesa/offesa. Interno agli anni 50,
non erano rari gli esemplari d'origine militare; una buona percentuale di persone
ne possedeva, almeno, una. Si organizzavano tornei di tiro al bersaglio, ai
quali venivano ammessi anche... minorenni dotati di forte personalità. Man mano
che le persone anziane, di quell'epoca, sono scomparse, gli eredi hanno ben
provveduto ad eliminare anche i pericolosi residuati, peraltro, posseduti
illegalmente. Molte provenivano dal disfatto Esercito Italiano (fino al
1946:Regio Esercito) buona parte, però, acquistata al mercato nero. Il termine
era anche usato per indicare gli attributi maschili.
- Pistuluni: ci si riferisce soprattutto alle "antiche"
pistole ad avancarica, cosidette tromboncini, e alle pistole a due canne,
realizzate mozzando a circa
- Pistuni: ci si riferisce
al legno, di particolare forma, che trita qualcosa (sale, soprattutto) nel
mortaio....di legno. Oggi anche il pistone di un'automobile o di un congegno a
motore.
- Pistuneddu, pistunedduzzu, pistunazzu: di persona ostinata,
testona, arida.
- U sapimu chi ssiti pistoni:
sappiamo bene che siete ostinato.
- L'abbucatu è nu pistoni: l'avv. ha un modo d'insistere...di
fare...e, di solito ottiene.
Pistuni: si diceva anche d'organo sessuale maschile....di
dimensioni o capacità...spropositate.
-Pisuli: penzoloni, quasi per cadere.
Pisuli pisuli: quasi volesse dire, effettivamente, penzolon
penzoloni, quasi per cadere; ma è anche "senza meta" in continua
aspettativa.
- Pitinga: una piccolissima porzione di qualsiasi cosa...quasi un
"nonnulla", in questo senso usato anche come temporaneo soprannome
per...persone che lo meritano.
- Pitrofulu: colostro: il primo latte materno non ancora utile per
alimentazione, non ancora limpido, di color grigio chiaro, d'odore acre... sia
per le persone sia per gli animali, veniva munto, spremuto, più di una volta
...e. buttato via. Potrebbe derivare da voci greche:protogalon oppure protogala,
primo latte.
- Pitta: termine familiare per indicare una comune pizza. Il
termine pizza non poteva essere usato dai giovani e dai ragazzi (nsamaddiu, dalle ragazze), a causa del
doppio significato che assumeva (organo sessuale maschile). Per la verità non
era molto diffusa la pizza, dell'odierno concetto: pasta di farina,
pomodori...., si realizzava una sorta di ciabatta imbottita (ricotta, salsicce,
curcuci, aromi vari...) e si coceva
nel forno da pane, non esistendo in quell'epoca, l'attuale forno da cucina.
- Pittedda: appiattito, appiattellato; mal ridotto rispetto alle
sue forme e dimensioni (anche morali).
- Pittigghia: forma triangolare che si dava ad un bel gruppo di
fichi secchi per abbellirne la presentazione e consentire una facile
conservazione. Modo di fare: con delle sottilissime strisce di canna o
con cannici (vedi) s'infilzavano un gruppo di
fichi secchi, sapientemente appiattiti con la mani, verso la base;
successivamente se ne infilzava un'altra serie, mancando di uno o di due, in
modo che il legnetto prendesse la base della nuova serie e la cima della
vecchia, e, via di seguito, fino ad uno. Si ottenevano dei triangoli, orgoglio della mamma: a mme maritu, a mme figghiu... nci fici na
pittigghia i centu e unu: a mio marito, a mio figlio... ho fatto un
triangolo con la base di 101 fichi....il che significava circa 70/80 cm. di
base; i triangoli erano, necessariamente isosceli. Assumeva questa
denominazione probabilmente per l'origine del nome cioè pettigghia, pettiglia: pezzetto di stoffa che copriva il petto,
nella parte alta della camicia, detta anche petturina.
- Pizza: a) organo sessuale maschile. Dal latino pitis, punta. b) La pizza, pastella
d'acqua e farina al forno con vari condimenti....Inventiva e fantasia
soddisfano i gusti.
- Pizzicaculu: il contadino, in campagna, siede sempre per terra...
un insettino s'infila tra gli indumenti intimi e provoca un certo prurito con
un morsetto leggero... senza importanza, il solo prurito per qualche istante; in
questo senso s'indica persona che non ha proprio importanza.... che fa appena
il solletico, il momentaneo prurito senz'altra conseguenza.
- Piula: uccello notturno, civetta; barbagianni. Canta in maniera
stridula e lagnosa, nella tarda serata o nelle ore mattutine:
piuli...piuli...piuli...piuli.....piuli...piuli.
V'è una credenza popolare,
tuttora presente: quando si sente cantare la civetta (o chi sente dire ha
cantato la civetta) si subiscono gravi danni, si va incontro a difficoltà a
calamità; si sconsiglia a chiunque di intraprendere nuove attività, viaggi; di
iniziare lavori in campagna etc...
- Arsira sintia cantari a piula: ieri sera; stanotte ho sentito
cantar la civetta; brutte nuove; preoccupazioni ed attenzioni particolari!
- Mi pariti na piula: parlate sempre...parlate a sproposito....la
vostra voce, dal suono poco gradito, spesso presume accadano ....brutte cose.
Parlate molto....non sapete mantenere un segreto.
- Pizzana: copriletto (o copritavolo) realizzato con varie strisce
di diverse stoffe filate sottili e tessuto al telaio. Si realizza un telo
variopinto di gradevole effetto. In periodi di "magra" si
utilizzavano vari pezzi di stoffe già usate tagliate a strisce e filate...in
casa...e, tessute ...in casa.
- Pizzata: (dal greco pezèuo,
schiaccio) schiacciata, focaccia di pane e/o di granone.
- Pizzenti: pezzente, nullatenente, non abbiente... che vive
d'espedienti; straccione.... al giorno d'oggi si dice barbone. Aveva
soprattutto il significato morale: accidioso, invidioso..... puzzolente.
- U putenti finisci nde mani du pizzenti: anche chi può, è ricco, perde di fronte al
nulla tenente astuto.
- Poi: (vedi anche apoi) poi, dopo, successivamente.
- Cu dissi poi, poi...non fici casa mai!: (evidentemente) chi
rimanda a domani, a dopo, non mette su casa, non completa - del tutto non
inizia - un'opera.
- Policra: malattia delle zampe dei gallinacei
- Porcaria: (diverse ortografie: porchiria, purcaria) porcheria, schifezza; feci animali.
- Porca: polka: ballo di
origine magiara, di facile apprendimento ed esecuzione, Comunque poca gente lo
conosceva lo praticava...era sempre più semplice e bella una tarantella.....sull'aia, sulla strada:
sabbia, trucioli, ciottoli,....non impedivano i quattro salti.
Era facile da apprendere,
comunque; perciò era il primo "ballo moderno" che si apprendesse.
- Porcarusu: sporco; disordinato, puzzolente anche di carattere e
dai modi volgari: agire, parlare.
- Porcu: il maiale. Si diceva anche purceddu, purcedduzzu a
seconda dell'età e della.. mole. Aveva
anche il significato morale in tutte le forme ortografiche .Vedi frittuli. Per richiamarlo (c'era gente
che sapeva farsi ubbidire anche dal maiale, trattandolo con …amore!) si
usava naci, naci oppure pruci,
pruci, pronunziare facendo vibrar le labbra.
- Porta: porta, uscio,
passaggio. qualsiasi apertura artificiale che consente di entrare ed uscire da
un ambiente chiuso. Ma è anche participio del verbo portare. Dal latino porta.
- Portazzicchinu: porta zecchini; porta monete.
- Potiri: (Vedi Tularu)
sorta di bicchiere di legno nel quale si fa girare l'incannatoio per riempire i
cannelli di filo.
- Posa: posa, sosta; un attimo di riposo!
- Posaturi: parete naturale o artificiale a mezz'altezza (80/120
cm) che consente di appoggiare il proprio carico, riposare un po', e
riprenderlo agevolmente. Vi si trovavano di frequente nelle strade di campagna
ed erano anche ben noti come punti di riferimento, rispetto alla zona, alla
contrada...etc.
- Ppilu: lamento, piagnisteo . si dice anche appilu.
E' anche lo sforzo per ottenere
un certo risultato..
- Ppattari: vedi appattari.
- Ppena, ppinicchia: malapena... e ancora di meno; pochissima cosa.
Vedi appena . Si diceva anche mpena.
- Vui siti na ppinicchia d'omu: siete un omino... anche come peso
morale.
- Ppojari: (ppujari)
appoggiare, fermarsi un attimo appoggiarsi per il riposino; sdraiarsi.
Appoggiare, poggiare un oggetto; appoggiare un'idea, un'organizzazione....
- T'appoju una: T'appoggio una sberla; te ne do una di quelle.
- Ppu!: puh!, esclamazione ed intercalare
- Ppu...pu...bruttu bbestia!:
puh! demonio!
- Ppu....ppu!: merda. Esclamazione....per significare cosa
sgradita, non piacevole.
- Ppuppua: merda. Nel linguaggio infantile. Così si dice, ancora,
ai bimbetti...per indicare cosa non devono ...toccare o fare.
-
Ppuntari: a) fermarsi un attimo;
b) mettere un punto d'ago e filo
provvisorio.
- No ppuntu mai: non mai un attimo di tempo; ho sempre piena la mia
giornata.... e di fretta.
- Quantu mu ppunti c'a poi u cuggiu: metti appena un punto... poi
provvederò a cucirlo.
- Ppuzzari: vedi appuzzari -
abbuzzari.
- Ppuzzatu: chinato verso avanti e piegato sulle ginocchia. (dal
verbo ppuzzari).
- Non mmi ppuzzu!: non mi piego!
- Praca: a) una grande lastra di pietra, piuttosto
spessa, sulla quale, per mezzo di un'altra pietra di macinava il sale: si stricava u sali.
Ricordo: per poter macinare il sale, che si trovava in commercio
soltanto a pezzi grossi o ridotti con martello a dimensioni di una nocciola
(anche per poterlo pesare), veniva sistemata a praca
per terra sollevata appena da un
lato corto, la mamma o la sorella maggiore s'inginocchiava per terra e a
piccole quantità metteva il sale sulla pietra e cu pracali stricava e passava e ripassava sopra la pietra più
piccola fino ad ottenere dei granuli piccolissimi. Se il tempo era umido (musciagghia, vedi), ripassare un attimo
il sale nel forno se c'era la possibilità, o messo in un recipiente metallico
molto largo e scaldato sul fuoco, per renderlo friabile.
b): grande lastra di
pietra, sottile e leggera, che si adoperava per prendere gli uccelli.La pietra
veniva tenuta sollevata, su una fossetta del terreno , per mezzo di un legnetto, krostiru, alla base del quale si legava
il mangime per gli uccellini , questi tentando di tirarlo muovevano il legnetto
che faceva cadere la praca,
imprigionandoli.
- Praja: (dal greco plàghion,
plàghia, costa) costa, lido, zona particolare. Era frequente l'uso del
diminutivo praicciola per indicare un buon appezzamento di terreno:
piccolo, ma produttivo.
- Pranzuni: virgulto; il rametto, o, il giovane fusto di una pianta;
nuovo getto di un ramo; parte di un ramo che si può trapiantare per talea.
- Criscinu i pranzuni... e cumbogghinu l'arburazzi: cresceranno i
virgulti (giovani piante)...e, cresceranno
tanto da sovrastare gli alberi ora già vecchi. I giovani diventeranno
adulti e sovrasteranno gli attuali anziani.
- Prepalissu (a):
nomignolo scherzoso per il gattino, ma che si usava anche per indicare gli
atteggiamenti di una giovane o di un ragazzone. Vorrebbe dir....con il pelo
irsuto, ma nel senso buono, non irato o arrabbiato.
- Prescia: (oppure a'
mprescia) fretta, in fretta; presto presto, ma con attenzione.
- Prescialoru (a):
frettoloso, ma anche un bel po' disordinato, distratto.
- A jatta prescialora faci i jattareddi orbi: chi fa in fretta rischia di non far bene; la
gatta che ha fretta...a partorire...farà i gattini ciechi, un po' menomati.
- Previtaru: persona dedita a pratiche religiose ed in buona
amicizia con i preti. Talvolta, nel discorso, assume significato spregiativo...
come se, praticando con i preti, s'imparasse il loro - non sempre gradito -
modo d'agire.
- Previti: Prete, Sacerdote. Spesso usato come soprannome, anche al
femminile (a previta). Dal latino praebyter
o anche praesbyter.
- Previticchiu: dim. di previti;
usato, di frequente, in senso ironico, per indicar persona che non ha capacità
o "stoffa".
- Prianza: allegrezza, allegria, gioia.
- Priari: pregare.
- Prijari (prijarsi): essere allegri, gioiosi, festosi.
- Priatoriu: Purgatorio; periodo e luogo d'attesa. V'era una
grand'attenzione pi ll'animi santi du priatoriu (per le
anime sante del purgatorio), ogni persona, almeno una volta il giorno se ne ricordava, offrendo una elemosina ai poveri, elevando una
preghiera, soffermandosi in un ricordo. Il purgatorio era, in effetti, visto e
rappresentato secondo la descrizione dantesca (dove l'umano spirito si purga!), perciò erano necessarie preghiere,
attenzioni opere buone per aiutare le anime a salire dal Purgatorio al
Paradiso.
- Prica: amarezza, pena, afflizione. Sentito dire soltanto da
persone molto vecchie. Dal greco pikos,
amaro.
- Si pigghia i prica: si prenda cura; s'interessa di altri; si
prende la pena.
- Prilla: una donna leggera e vaga come una farfalla; vanitosa
...e, talvolta anche compiacente
- Principali (a): il principale, il capo, il datore di lavoro; chi
comanda, chi guida. Al femminile usato per indicare sia la moglie del capo, che
colei che da lavoro, ed ancora una donna di forte personalità che emerge su
tutte le altre...
- A principala era: in paese era stato attribuito questo soprannome
ad una tizia che, pare avesse la capacità di dominare le donne in calore, ma,
comunque, di professione era ntramezzatura,
sensala procacciatrice di affari.
- Prisagghji (o prusagghji):
corde della soma dei quadrupedi della lunghezza di circa 2,50/3 mt.
- Prohjru: (pron. acca aspirata): antica misura per materiali
polverosi o in grani corrispondente all'incavo di una mano a dita unite.
Generalmente: una certa quantità fra i 100 e i 300 gr. Corrisponde a metà della
junta (vedi). Si usava per indicare
qualcosa...qualcosina...un po'...ma si sarebbe potuto far di più. Anche di
persona....di poco conto.
- Prohjreddu: (pron. acca aspirata) quantità non esattamente
definita inferiore al prohjru. Si
otteneva riducendo il vuoto dell'incavo della mano...stringendo le dita. Di
persona...di poco conto...quasi che inutile!
- Prolica: proroga; estensione dei termini ultimi per determinate
scadenze.
- Pruiettu: figlio adottivo,
o illegittimo; bastardo, spurio.
Si chiamavano così anche i bambini dati in temporaneo affidamento. Le
leggi dell'epoca concedevano un sussidio a chi li prendeva in affidamento. Lo
stimolo a prestare il proprio affetto a qualcuno, spesso, era prodotto dal
sussidio economico mensile, il quale, non di rado, aiutava o bastava a
sostenere una piccola famiglia, quando il denaro non era molto conosciuto.
- Pronta: campione; un campione di qualcosa. Si diceva pronta anche di un animale domestico
pronto per esser fecondato: in calore...., in maniera spregiativa anche per una
donna.... sempre pronta!
- Mi purtaru a pronta i ll'ogghiu, ma non mmi piaciu: mi hanno
portato un campione dell'olio, ma non m'è piaciuto.
- Provula: (dal greco pròbaton,
pecora): tipo di formaggio fatto con latte di pecora e di vacca, molto
usato soprattutto nel Mezzogiorno d'Italia.
- Prujettu: bastardo, illegittimo; senza genitori.
- Prujettulu: proiettolo, palla di fucile, cannone.
- Prumintinu: che arriva prima; primizia, prima degli altri.
- Vui siti prumintina?: (rivolto ad una donna...in attesa): di
solito partorite prima del tempo?
- Carcunu fu cchiù prumintinu i vui...:qualcuno è stato più
tempestivo di voi; è arrivato prima; s'è fatto sentire prima.
- Chiantammu i pumadora prumintini: abbiamo messo a dimora i
pomodori...per le primizie, che maturano prima.
- Ndaju na cirasara prumintina!: possiedo un ciliegio primizio.
Il senso di questo modo di dire
veniva anche usato per indicare le mie capacità di saper le cose...in anteprima
assoluta.
- Pruna: prugne, susine; bianche, nere, dorate, viola, lunghe,
piatte... Volgarmente si usava per indicare le corna. G.... ndavi pruna! il tizio, G..., è stato cornificato varie volte
dalla moglie, dalla figlia, dalla sorella..., ma anche per specificare che
qualcuno era "veramente molto intelligente".
- Prunara: albero: susino, prugno.
- Prusagghjia: una delle quattro corde che servono a legare il
trasporto alla soma degli equini: lunga circa 4 mt. e di sezione adeguata.
Indica anche una certa lunghezza: intorno ai quattro mt. Si vuol dire una certa cosa...lunga...lunga....ma
resistente, forte. Dal greco prensalia.
- Pucchiacca: organi genitali femminili. In senso lato la propria
donna: moglie o compagna o amante.
- Puddara: (anche stiddazzu o
puricinara) le stelle delle Pleiadi;
cosi dette perché ravvicinate come un gruppo di pulcini accanto alla chioccia .
- Puddastra: pollastra, gallinella.
- I me' puddastri ancora non vinninu ad ovu: le mie pollastre
ancora non hanno iniziato a deporre le uova.
- Ndi pigghiai puddastri!...., mai jaddini vecchi!: (un Don
Giovanni che vanta le sue imprese): ne ho avuto di ragazze...ma mai donne
brutte o vecchie.
- Puieta: poeta, colui che riusciva ad inventar delle strofe, più o
meno rimate, ma certamente ritmate che, di solito, cantava egli stesso
accompagnandosi con la chitarra.
- Puisia: Poesia. Dal greco poiesis, creare, produrre.
In senso molto generale
significherebbe: prender la vita alla leggera, perder tempo. Ma facevano
"poesia estemporanea", accompagnandosi, pizzicando appena le corde di
una chitarra, molte persone le quali, per questo motivo, erano particolarmente
rispettate...quasi quasi ossequiate proprio perché sapevano inventare...inventare
all'istante, magari senza neppure sapere leggere o scrivere e, pescando, in un
modesto vocabolario della loro formazione dialettale. Non esisteva il concetto
di "poesia" fine a se stessa, da scrivere e leggere, per il piacere
di gustar suoni e parole di una certa bellezza. Era soprattutto stornellar
d'amore, di sdegno, di presa in giro (sfottò) ironica, satirica, ma non di rado
anche politica, con i rispettivi significati morali, d'avvertimento,
d'incitamento, di ...comprensione, di rammarico...
- Pulahjra: (pron. acca aspirata) ridotto in polvere, sminuzzato,
triturato. In genere di materiale da usare in cubetti o piccoli
pezzetti...ridotto ancora in dimensioni più piccole.
Di persona: di poco conto, vano,
vuoto.
-
Pulenta: polenta, farina gialla di mais. Se ne faceva molto uso,
soprattutto in inverno: come pasto principale sia da sola che mista a varie
verdure; alcuni dicevano anche frascatula
a causa della lieve consistenza.
- Puma: mela, di tutte le specie e qualità:
Puma majitichi: mele di maggio-giugno, da utilizzare
ancora verdi, acerbe, per gustare l'aroma ed il particolar profumo di
primavera.
Puma ggiugnitichi: mele di giugno dal gusto piuttosto farinoso,
ma molto profumate.
Puma bbagnaroti: (non so
perché si facesse riferimento alle....bagnarote...donne di Bagnara: bianche e
rosse): bianche e rosse, grandi o piccolissime....settembre-ottobre. In
canniccio e per tutto l'inverno con lo stesso profumo.
Puma jancuzzi: mele bianche cerose, molto profumate,
resistenti, a lunga conservazione sui cannicci, senz'alcun intervento:
ottobre-novembre. Talmente profumate che spesso le buone mamme, sceglievano le
migliori per metterle nei bauli della biancheria profumandola.
Puma lappeddi: mele oleose (dette anche puma d'ogghiu) dal gusto molto forte,
quasi di cedro.
Puma limunceddi: simili ai limoncelli e dal gusto
analogo.
- Pumara: melo; albero che produce mele. Esistono delle più varie
specie, con forme, periodi di maturazione, gusto, profumo, se ne citano
soltanto alcune di quelle, ormai, in via d'estinzione, alla voce puma.
- Pumicia: pomice: particolare pietra lavica abrasiva. Serviva
soprattutto per togliere la ruggine, lucidare oggetti metallici...pulire, in
genere....ma pulir molto bene.
Ma...va' laviti ca petra pumicia:... ma vai a lavarti con la
pomice....Vai a fari pulito, a toglierti lo sporco, anche quello dentro
l'animo.
- Puntiari: a) far la
punta, appuntire; far la punta alla matita, ad un paletto di legno. b) zoppicare adagiandosi sulla punta
di un piede.
- E' bbellu puntiatu: è ben fatto,
ben appuntito.
- Gguardatilu comu puntiia: notate come zoppica; state attenti, nel suo
fare c'è qualcosa di strano....
- Puntiatu: appuntito, con
una o entrambe le estremità appuntite artificialmente.
- Puntidda: paletto, di
varie dimensioni, con una estremità spesso a forma di forcina. In senso lato si
usa anche per indicare qualcosa che può sostenere temporaneamente: per es. mintiti na puntidda versu l'undici...oj si
mangia tardu: prendete qualcosina
(un piccolo sostegno, uno spizzicorino)
verso le undici... oggi si mangia tardi.
- Puntigghiu: puntiglio;
punto d'orgoglio, particolare attenzione.
- Puntigghiusu: puntiglioso,
ostinato.
- Non sugnu puntigghiusa no mmi mentu chi vostri puntigghi: parte
di una canzoncina...la risposta negativa a delle profferte amorose.... non son
puntigliosa...non mi metto ad assecondare...i vostri desideri.
- Puntu: punto (part. pass. di pungiri
è pungiutu). Punto, stop...ma
anche punto di sutura....di regola, di precisione.
- Ora basta, menti puntu!: finiscila....punto e basta!
- Cuggiutu a puntu longu: cucito alla men peggio...a punti molto
lunghi.
- Rricamu a puntu e cruci: ricamo a punto e croce.....
- Mintitinci ddu punti...ccà: mettete due punti qui, fermate
provvisoriamente, Attaccate qualcosa per il momento. Arrestate il discorso....
- Nci dessi tri ppunti ndo bbrazzu: (il medico,....quando lo
faceva...!) gli ha dovuto dare dei punti di sutura al braccio.
- Puntu: soprannome per persona, stupidotta, ingenua.,....ma
puntigliosa.
- Punturata: un dolore violento puntorio, di brevissima durata,
come se fosse una violenta scarica di corrente elettrica; può arrivare in tutte
le parti di corpo.
- Pupa: bambola, pupa di pezza.
- Bella pupa: (o semplicemente pupa)
bella bambina, bella ragazza. Non di rado, però, nel senso di ragazza ...un po'
leggerina. Rivolto ad una donna: un po' farfalla...
- Pupattulu: (a)
pupazzetto.. Bastavano alcuni pezzetti di ...stoffa per realizzarlo...Cosa da
poco. Di persona....senza spina dorsale....di pochissima stima.
- Purbirata: polvere; la polvere delle strade. Nel linguaggio
figurato: nulla, come la polvere che vola via subito. Attribuirlo ad un
uomo...era un po' poco diplomatico...se non pericoloso...per le sue
reazioni...se proprio non era ..polvere !
-
Purceddaru: sia chi alleva i maiali che chi li commercia, o chi si comporta
...da maiale.
-
Purgari: purgare; prendere un purgante, ma anche esser costretti a
prenderlo....vive ancora qualcuno che ha subito... quest'obbrobrio dal Regime
Fascista.
- Si nno sta'attentu, a pò ti purgu eu: se non stai attento, ci
penso io a darti una lezione, una buona purga
- Puricinara: si chiamava così la costellazione del Carro;
effettivamente non aveva una disposizione regolare...come se fossero tanti
pulcini.... assieme, ma la chioccia, non
era visibile. Di solito questo raggruppamento di stelle appariva nelle prime
ore della mattina e, quindi, era un segno del tempo...del tempo che scorre...
che dev'essere usato; buon segno per i contadini che, alzatisi molto di buon
ora, la mattina, attendeva di vedere nel cielo a puricinara ed iniziare il loro percorso verso la campagna.
- Ampena spunta a puricinara: (un appuntamento) appena appare la
costellazione del carro, molto per tempo.
- Puricinedda: pulcinella. Tutti i significati che la tradizione e
le usanze locali hanno attribuito: dall'osceno al moraleggiante. Anche piccola
gallina....pulcino che ha già messo i segni....di gallina.
- Puricinu: (puricineddu)
pulcino, pulcinello.
- Bbagnatu comu nu puricinu: bagnato come un pulcino, mal ridotto.
Trema comu nu puricinu: (il pulcino....indifeso...da sempre
l'impressione d'essere tremante...per il freddo, per la paura) trema come un
pulcino.
- Parru chi jaddi....non chi puricini: parlo a chi m'intende....con le persone adulte
e capaci...non con i ragazzini o la gente...senza cresta (capacità ).
- Purtari: portare, con le mani, addosso, un simbolo, un'idea...
- A me bbilanza n'o porta: la mia bilancia ... non arriva a tanto;
le mie capacità (buone o meno), son limitate, non arrivo a tanto.
- Purtuallu: (alcuni dicono purtugallu)
arancia. Più comune la dizione rangiu. Come
purtuallu deriverebbe dal greco pyr thallos, frutto di fuoco.
- Purtuni: grande porta, di solito in legno massiccio..
- Puseri: avant' ieri, un
giorno....qualsiasi....già passato. Qualcosa che....non s'è fatta e...che non
si farà più.... Riferimento ad una data, improbabile,...che non torna comoda a
nessuno.
- Pusturinu: che matura o
arriva dopo, in ritardo.
- Spittati mi si fannu i fica pusturini!: (attesa vana, perché vi
sono poche qualità di fichi che maturano in
ritardo; vi son qualità che maturano in inverno, ma è la loro
stagione)...attendete che maturino i fichi,....in ritardo!...E' pusturinedu!...(una mamma, parlando
del proprio ultimo nato....dopo tanti anni): è piccolino; è l'ultimo
arrivato....quando non lo si aspettava...proprio.
- Putari: tagliare rami e rametti cresciuti male o in più, rispetto
all'economia globale della pianta in modo tale da consentire una maggiore
ossigenazione e quindi produzione maggiore e di miglior qualità. A seconda del
tipo di piante e di colture dovrebbe essere effettuata periodicamente...almeno
ogni due anni. Sfrondare di quanto è di più.
- Putatu: pulito da rami e rametti superflui, liscio; avviato a
produzione di qualità.
-Putiha: (leggere acca aspirata - o nella forma putìa, o putjia): bottega,
negozio. Dal greco apotheca, bottega.
- A putìa i mustazzuni: disordine, caos, anarchia.
- Putiri: a) potere, comandare, aver capacità di...
- Non ndaju cchiù putiri: non ho più forza.
-Vui... si vuliti ... putiti: voi... (ma via) se volete potete!
- Mi ndavi cu voli...eu pirdia u putiri: abbia forza e capacità chi vuole...ormai son
rassegnato...ho perso tutto il mio potere, ho perso le mie forze...non ce la
faccio più.
b) asse di legno posto al di sotto del sedile della tessitrice di
telaio. Da una parte dritto e sottile, dall'altra finiva in un incavo dentro
cui girava u ncannaturi per riempire i rocchetti di filo.
- Putreddu: vedi burreddu.
- Putrigghjuni: una delle fasi della metamorfosi del baco da seta.
(vedi vermu)
- Puzzettu: (pron. zeta forte)
un pozzetto, una buca, accanto al
vero pozzo, sia per la decantazione delle acque, che per altri usi ...di
diramazione, derivazione etc. In effetti era una buca, ben protetta, per la
raccolta delle acque da piccole sorgive che in esso si facevano convogliare,
mediante tubicini dalle varie fonti ma che poi raggiunto il
livello...massimo... debordavano in tubi più grossi per esser convogliate al
pozzo...alla vasca... Si usava per indicare... cosa da poco, temporanea.
- Puzzu: (pron. zeta dolce) polso. Parte dell'avambraccio.
- Si tti toccu u puzzu: se...mi
dai l'occasione...ti do certe regole. Se posso tastarti il polso...per farti
notare certi parametri. Se tocco il tuo polso (radiale) per notar la
temperatura corporea.
- Tocchinci u puzzu: dagli
un'idea...delle regole.. invitalo ad osservarle.
- Puzzu: (pron. zeta aspra) pozzo, fosso artificiale da cui sgorga
o viene erogata acqua.
- U sacciu chi ssi puzzu fundu: so ben che....sai mantenere un segreto.
- Ndavi nu puzzu d'acqua frisca: c'è un pozzo d'acqua fresca!. C'è
una persona pulita, genuina, semplice come l'acqua di fonte.
L'acqua du me' puzzu!..... i miei affari, le mie cose ed
attenzioni....
Proverbio: tantu va' a' quartara o' puzzu fin'a cchi
dassa manica e mbustu: tanto va la gatta al lardo finché lascia lo zampino.