XXII

 

Per Andrea quell’estate passò rapidamente. Del resto non fu nemmeno una bella estate, con il cielo quasi sempre velato, frequenti  temporali e improvvisi sbalzi di temperatura. In giro si diceva che fosse tutta colpa dei giganteschi incendi appiccati qualche mese prima a molti pozzi di petrolio in medio oriente,anche se i meteorologi continuavano a ripetere che si trattava invece di un fenomeno del tutto naturale. Andrea mantenne in  merito un atteggiamento agnostico,ma il fenomeno segnò comunque la fine di una delle poche certezze rimastegli e cioè che l’estate fosse sempre la stagione del caldo e del sole.

I lavori procedevano a ritmo frenetico e ormai la collina era quasi del tutto coperta da impalcature e costruzioni di vario genere, tra le quali già si intravedeva il complesso sistema vario. Ma ciò che si apprezzava in superficie era solo una parte dell’opera perché il suolo era stato scavato in più punti allo scopo di ricavare gallerie e spazi sotterranei destinati ai servizi.

Ormai anche quei pochi ambientalisti che avevano osato criticare l’iniziativa avevano dovuto mettersi il cuore in pace, sia perché sconfessati dalla stessa popolazione locale, sia perché allo stremo dopo tanti inutili tentativi.

Andrea l’aveva previsto fin dall’inizio e non si era mai eccessivamente preoccupato per le critiche. L’opinione pubblica, infatti,all’origine pressoché indifferente al progetto, era stata abilmente persuasa che l’opera avrebbe apportato enormi vantaggi economici alla zona, tanto che alla fine ognuno in cuor suo aveva cominciato a chiedersi quanto avrebbe potuto guadagnarci. I primi ad abbassare la guardia furono i commercianti e i ristoratori locali che fin dai primi giorni di insediamento delle imprese edilizie videro aumentare sensibilmente i loro guadagni. Gli altri li seguirono gradualmente e così alla fine nessuno fece più caso agli alberi tagliati, gli sbancamenti massicci e perfino le muraglie di cemento armato, indispensabili per imbracare la collina stravolta.

Solo scavando profondamente in se stesso, Andrea avrebbe potuto trovare un vago senso di nostalgia per ciò che era stato quel posto quando l’aveva visto la prima volta. L’esperienza professionale gli aveva insegnato a non guardarsi mai indietro e così l’antica immagine della collina divenne presto un pallido ricordo, travolto da un destino ineluttabile.

Poi venne l’inverno, cominciò a far freddo e tutto si velò di una foschia leggera che rese ancora più grigio quel mondo di cemento. La montagna vicina si coprì di neve e in basso pianura e mare diventarono un’unica distesa di nebbia.Le strutture grezze cominciarono a rivestirsi di pareti e divisori,mentre le strade in terra battuta vennero rapidamente ricoperte di pietrisco,primo accenno della futura pavimentazione.Gli spazi vuoti andarono colmandosi di materiale di risulta,così alla fine la cima della collina si trasformò in un enorme terrapieno,quasi del tutto occupato da edifici.Le sue pendici, trasformate in terrazze a colpi di ruspa, la facevano somigliare ad un’unica grande costruzione  che i locali presero a chiamare “la pagoda”. Secondo Andrea,invece, che spesso di notte l’aveva vista a distanza illuminata dai fari dei cantieri, faceva più pensare ad un immenso albero di Natale.

Una volta ultimate le strutture di base,il suo compito era terminato e avrebbe potuto riprendere la comoda routine del lavoro d’ufficio.Tuttavia questa prospettiva anziché allietarlo gli provocava un vago senso di tristezza,come se quella permanenza gli avesse aperto nuovi orizzonti.

Con il peggiorare delle condizioni atmosferiche gli era capitato spesso di trascorrere la notte nei paraggi,anziché rientrare in città. All’inizio, la semplicità quasi squallida dell’alberghetto con trattoria dove aveva trovato sistemazione,la compagnia di avventori per lo più taciturni ma che all’improvviso si animavano lasciandosi andare in accese discussioni su argomenti di sport o di politica,quelle notti di silenzio denso come miele,perfino il risveglio al mattino immediato e senza traumi, gli avevano dato fastidio. Ma dopo un pò aveva finito con l’abituarsi e perfino col desiderare tutto ciò, al punto che ormai sempre più spesso cercava di proposito una scusa per poter pernottare lì, magari facendosi prima una partitina a carte con qualcuno dei clienti abituali e poi consumando una cena semplice, innaffiata dal solito vino rosso.

Ormai era conosciuto e rispettato da tutti. Quando entrava nel locale tutti volgevano lo sguardo verso di lui. Per un attimo si faceva silenzio assoluto, poi si levava da più parti un cenno di saluto e più di uno gli offriva un posto alla sua tavola o un bicchiere  di vino.Aveva imparato a riconoscere i visi di quella gente,per lo più contadini e pastori,ma anche braccianti e commercianti, e ad apprezzare la saggia rassegnazione che mostravano di fronte agli imprevisti.Lui stesso era arrivato all’improvviso,ma se l’avevano facilmente accettato non era stato solo perché rappresentava una novità che interrompeva la monotonia quotidiana.In realtà Andrea era per loro l’impersonificazione di quel particolare tipo di progresso cui giornali,televisione e films li aveva spinti a credere. Così suo malgrado finì col diventare l’arbitro indiscusso nelle più svariate questioni,al punto che i suoi giudizi cominciarono ad essere considerati  assoluti e inappellabili. E se per caso non sapeva rispondere o si mostrava vago, questi  non riuscivano a nascondere la propria sorpresa.

In fondo una simile considerazione non poteva non lusingarlo, dopo tanti anni di indifferenza e perfino di sopportazione per il suo lavoro svolto in ufficio, nella rassicurante apatia della cerchia urbana. Invece la loro curiosità avida e ingenua, che faceva assomigliare anche i più vecchi a inesperti scolari, lo stupore che mostravano di fronte a quelle complesse costruzioni,il compiacimento  perché in alto loco fosse stata scelta proprio la loro terra per la realizzazione di un tale megaprogetto, in un certo senso lo affascinavano. Ovviamente nessuno di loro sospettava che anche ad Andrea sfuggisse il senso ultimo dell’opera e che gliene mancasse una visione globale. Tuttavia, di fronte alle sue risposte vaghe circa la destinazione delle strutture,infarcite con gli stessi paroloni letti sui giornali o sentiti in televisione, questi finirono col convincersi che la loro incomprensione fosse da imputare alla propria ignoranza e non già, come era in effetti, alla voluta oscurità dei termini. 

In realtà - e Andrea se ne rendeva perfettamente conto - nessuno al momento era in grado di sapere con precisione come sarebbero state utilizzate quelle strutture, anche se presumibilmente alla fine ci sarebbe stata una spartizione tra le varie lobbies che avevano sostenuto il progetto. E così ancora una volta si sarebbe ripetuto, sia pure con parvenze meno desolanti e più moderne, ciò che era stato già compiuto in città.

Finalmente ritornò la primavera e i primi raggi di sole, diradando la foschia nella valle, esaltarono il grigio uniforme delle costruzioni e la trama rossastra delle gru. Ormai nessuno ricordava più di che colore fosse stata la collina fino a qualche mese prima.

 

 

 

 

XXIII

 

Capì che era venuto il momento ancor prima di raggiungerla nella radura. E così, quando Iris gli fu vicina e gli si strinse contro mormorandogli tenere parole d’amore, tutto gli sembrò superfluo e perfino intollerabile.

Una tristezza così profonda meritava solo il silenzio - si disse - e contemporaneamente osservò quel vuoto che andava lentamente allargandosi intorno, isolandoli da tutto il resto. Lo stesso vuoto attutiva le parole di lei e ne rallentava i gesti. Alla fine si insinuò anche tra loro, impedendogli di baciarla.

La situazione gli sembrò irreale, al punto che fu costretto a girarsi indietro per guardare la collina. Nonostante tutto, essa restava al solito posto e gli alberi continuavano a fremere nel solito modo sotto la spinta del vento. Gli sembrò anzi che esagerassero a bella posta la loro agitazione, quasi nel tentativo di richiamarlo. Il mare non poteva vederlo né il quel momento lo desiderava, ma certamente aveva il colore e la voce misteriosa di sempre. E così finalmente si decise a chiedersi chi fosse mai costei  e che avesse di tanto speciale da riuscire - unica tra tutte – a spezzargli il cuore, bloccandogli braccia e gambe in un involucro di tristezza molle. 

Poi diede libertà ad un’antica parte di se stesso, finora avvinta da robuste catene, e la sguinzagliò negli angoli più riposti della sua memoria alla ricerca di un’indifferenza con la quale ripararsi dalle fitte violente dello sguardo di lei. Ma per quanto cercasse e nonostante l’accanimento col quale ripassava rapidamente i suoi giorni prima di Iris, incontrò solo incertezza. Alla fine si rassegnò a galleggiare con lentezza esasperante sulla superficie di una palude di acqua densa come pece.

Il suo corpo stava beccheggiando suo malgrado, mentre Iris continuava a sussurrare parole incomprensibili nelle quali indovinava un senso definitivo. E così la grande diga che finora aveva respinto i suoi dubbi crollò miseramente sotto i colpi imperiosi della voce di lei. Non aveva più niente da opporre alla sua violenza né un gesto di magia che la costringesse a fermarsi, prigioniera per sempre di un giorno di quell’estate appena trascorsa, perciò restò immobile fino a quando Iris non si staccò da lui avviandosi sulla strada del ritorno.

Continuò a restar fermo anche dopo, quando ormai l’erba che lei aveva calpestato si era risollevata dimenticando ogni traccia del suo passaggio e il vento non ebbe disperso completamente il suo profumo. Aveva bisogno di osservare quel posto per capire quale fosse il suo significato ora che Iris se ne era andata per sempre. Eppure, nonostante i tentativi, non riuscì a convincersi che quella fetta di realtà potesse sopravviverle senza dileguarsi come nebbia il momento che lei fosse salita sulla nave. La notte finì col dargli  in parte ragione perché l’oscurità improvvisa cance1lò di colpo ogni prospettiva e qualunque rapporto che lo legasse ancora a que1 luogo.Ora poteva andarsene anche lui.

 

 

 

XXIV

 

Se ci fossero stati ancora i castagni forse gli sarebbe stato più facile riconoscerla. Invece quell’intrusa in sella allo scooter,avvolta in un giaccone coloratissimo, con i capelli al vento e il viso giovane nascosto dagli occhiali, destò in Andrea solo curiosità. In questi mesi si era abituato a volti per lo più segnati dagli anni e dalle intemperie, quasi mai sorridenti, spesso addirittura velati di tristezza.

Senza smontare dal veicolo, la ragazza cominciò a girare qua e là, per nulla intimidita dagli sguardi di Andrea e degli altri che stavano lavorando. Irritato, lui interruppe il discorso che stava facendo per chiedere ad un operaio del posto chi fosse mai costei e che ci facesse in cantiere. “Oh, é solo una del paese un poco stramba” gli rispose l’uomo con un sorriso di compatimento. “Ogni tanto sparisce e nessuno sa dove vada. Poi all’improvviso ricompare per incanto.”

Solo con uno sforzo Andrea riuscì a distogliere lo sguardo da lei per riprendere il discorso lasciato a metà. Tuttavia non poté  fare a meno di lanciare ogni tanto un’occhiata di sbieco in direzione dell’estranea che continuava imperterrita a curiosare in giro. A un certo punto gli sembrò perfino che gli rivolgesse un mezzo sorriso e un cenno di saluto.

Dopo un pò la ragazza si decise ad andarsene e lui risollevato poté riconcentrarsi sul lavoro. Ma quando giunse l’ora di pausa e si allontanò dal cantiere, ad Andrea tornò in mente la sua strana apparizione. Quel viso gli sembrava familiare anche se non ricordava dove l’avesse visto. Dovette ammettere che da qualche tempo si mostrava sempre più interessato ai giovani, mentre la compagnia degli anziani e perfino dei suoi coetanei finiva con l’annoiarlo. Quest’ultima considerazione gli fece ricordare all’improvviso l’incontro di molti mesi prima, quando la collina era ancora ricoperta dai castagni. Tutto l’episodio scorse nitido nella mente e solo in quel momento si rese conto che la sconosciuta fuggita nel bosco e la ragazza in motoscooter erano la stessa persona. Così, come d’incanto, gli si aprì una vecchia ferita che credeva rimarginata e da questa venne fuori un vago senso di disgusto per ciò che stava facendo per guadagnarsi da vivere.

Durante la colazione tentò inutilmente di consolarsi ripetendo a se stesso che non avrebbe più rivisto la ragazza. Ormai il suo  compito era quasi finito e presto si sarebbe potuto riposare dimenticandosi di quel posto. Sicuramente sarebbe riuscito a dimenticare anche lei insieme ai dubbi che aveva suscitato.

Ormai era ora di tornare al lavoro. Percorse lentamente la strada ricoperta di ghiaia che portava al cantiere, cercando di non pensare a quanto era stato bello camminare sull’erba senza far rumore. Ora più niente poteva nascere su quella terra ingabbiata dal cemento. Avevano pensato a tutto; nemmeno un terremoto poteva più liberarla.

 

 

 

XXV

 

Avrebbe voluto essere altrove, tanto difficile era l’idea di doversi abituare a un ennesimo cambiamento. Ormai da un pò di tempo tutto si trasformava troppo in fretta e Renato riusciva solo di rado ad afferrare le cose prima che precipitassero a terra  frantumandosi.

Beatrice era sempre  là, chiusa nel suo silenzio, ma lui sapeva che alla sua maniera,anche senza averne l’aria,stava cercando di proteggerlo.Proprio per questo fu costretto a rifugiarsi nella sicura oasi di una creazione solitaria.

Trasferire altrove il peso delle proprie angosce poteva sembrare un sistema sicuro per non farsi coinvolgere troppo.Tuttavia anche in ciò c’era un inconveniente perché quando finalmente l’operazione era terminata e la storia non sembrava più appartenerti,inevitabilmente sorgeva il problema che tu tornavi ad identificartici come nella visione di un film troppo avvincente.Per fortuna Beatrice trovava sempre il modo di rompere quel circolo vizioso perché sapeva smontare con  la sua ironia qualunque storia lui gli raccontasse.

Per anni s’era chiesto in che cosa credesse Beatrice, specie quando lo guardava sorridendo. Renato non capiva se quel sorriso fosse un riflesso scaturito dal suo comportamento o se al contrario fosse il sorriso a generare ogni cosa. Stremato,aveva concluso che anche quel loro piccolo universo non aveva principio né fine e che quindi non si poteva stabilire se fosse lo sguardo e il sorriso di lei a determinare il suo atteggiamento o viceversa.

 Ormai aveva quasi smesso di parlarle, centellinando le parole per le occasioni migliori, come quando per esempio, nell’ attimo prima del piacere, lei lo guardava dall’alto con gli occhi socchiusi. Allora  Renato si svegliava come d’incanto dal suo torpore, ben sapendo che qualsiasi cosa le avesse detto e qualunque domanda le avesse rivolto in quel momento, questa sarebbe stata fagocitata in lei senza più riaffiorare.

Quel suo piacere misterioso che divorava tutto la rendeva ancora più distante, così Renato poteva rimanere tranquillamente a osservarla sicuro che Beatrice fosse altrove e non potesse vederlo.Inutile aggiungere che quando tornava non c’era in lei alcuna memoria del suo viaggio.

E fu proprio in una di quelle occasioni che Renato riuscì finalmente a confessarle che averla per compagna al buio non rischiarava affatto la situazione. Certamente sarebbe stato meglio che lei lo abbandonasse per sempre, cercando altrove una guida più sicura e con maggiori certezze in testa e nel portafogli. Ovviamente pensava che Beatrice non lo ascoltasse e ne aveva approfittato per mettersi la coscienza a posto, senza dover rischiare davvero la solitudine.

Eppure inspiegabilmente quel giorno Beatrice aveva lasciato uno spiraglio aperto tra sé e il proprio piacere. Quando udì le sue parole si bloccò immediatamente scostandosi da lui. Con sottile cattiveria gli chiese perché mai fosse così testardo ed egoista da non volersi lasciare amare. Poi, non ancora soddisfatta, gli afferrò i capelli dietro la nuca e tirandoglieli con forza gli esplose in faccia che doveva rassegnarsi a questa realtà tanto diversa da quella che aveva desiderato perché l’altra non sarebbe più tornata indietro a riprenderlo.

La radio scandiva in quel momento il segnale orario di un pomeriggio d’autunno e Renato, malgrado il dolore alla nuca, attese quasi con trepidazione che la voce dello speaker gli annunziasse l’ora alla fine dei rintocchi. Seppe così che erano le cinque in punto, anche se a ben rifletterci non gliene importava un bel niente perché la notizia non cambiava di una virgola la difficoltà della situazione.

E mentre cercava alacremente una qualche maniera per uscirne, sentì le mani di Beatrice mollare la presa e poi bloccargli le spalle contro il materasso. I suoi occhi lo fissarono spietatamente e gli disse con voce decisa: “Devi ricominciare!”

Allora Renato si ricordò che alcuni anni prima aveva chiesto per sé la stessa cosa a un’altra donna, ma certamente non aveva urlato anzi quasi sussurrato il suo “Fammi ricominciare”, ricevendo per risposta solo silenzio, senza capire se fosse stato compreso. Ora invece non voleva più riprendere il gioco della vita o forse l’avrebbe anche fatto se ci fosse stata quell’altra al posto di Beatrice.

Quando la vide alzarsi e rivestirsi, seppe che il peggio era passato. Finalmente poteva tornare a nascondersi tra i fantasmi del passato e gli altri che lui stesso aveva creato per contrastare i primi. Solo il momento che lei se ne fu andata sbattendo la porta, Renato provò un vago senso di rimorso per non essere riuscito a somigliare almeno un pò all’uomo che Beatrice avrebbe voluto che fosse. Poi si chiese se anche lei non sarebbe diventata col tempo un ricordo da tirar fuori ogni tanto per ritrasformarlo a piacimento come un vestito vecchio da rimodernare. Non sapendo cosa rispondersi, si girò dall’altra parte e si mise dormire.

 

 

 

XXVI

 

Contrariamente alle aspettative, Andrea la rivide molto presto. Accadde un tardo pomeriggio di fine autunno quando,per ripararsi dalla pioggia, lui si era rifugiato nel ristorante vicino al cantiere. Era quasi l’imbrunire e l’insegna al neon era già accesa. Nel vederla lampeggiare lui pensò che «Miramare» non era più un nome appropriato giacché il ristorante era ormai completamente accerchiato da costruzioni che impedivano ogni visuale. Del resto tra non molto sarebbe stato demolito per far posto ad una non meglio precisata «struttura ricreativa». Si ricordò che qualche giorno prima ne aveva discusso con il proprietario. Questi più che rassegnato allo sgombero imminente, se ne era dichiarato felice, dal momento che avrebbe ricevuto un cospicuo indennizzo. Poi sorridendo aveva aggiunto: ‘Pensi che una somma simile supera di molto quanto ho guadagnato finora”. 

Ciononostante, con scrupolo ammirevole, l’uomo aveva deciso di continuare a tenere il locale aperto fino alla fine, assistendo i pochi clienti rimasti.

Come prevedeva, la sala era deserta, fatta eccezione per un unico avventore seduto ad un tavolo vicino alla finestra e completamente nascosto dietro le pagine di un quotidiano. La lunga permanenza in una zona scarsamente popolata lo aveva abituato a non dissimulare la propria curiosità verso i suoi simili e così si volse apertamente a guardare in quella direzione. Tuttavia questi continuava a tenere il giornale spalancato, quasi a volersi nascondere. Leggermente contrariato, Andrea prese posto a un tavolo vicino, ordinando un bicchiere di vino.

Stava sorseggiandolo quando si accorse che il giornale si era abbassato di colpo e,con sua grande sorpresa, riconobbe la ragazza dello scooter.Non appena i loro sguardi si incrociarono, lei gli fece un lieve cenno di saluto con il capo, poi piegò lentamente il giornale e lo depose sul tavolo. Andrea, senza pensarci due volte, si alzò e le si avvicinò Per nulla al mondo, ora che era finalmente a tiro,voleva  lasciarsela sfuggire.

Dimostrava circa vent’anni, eppure ricambiava il suo sguardo con molta sicurezza e gli sorrideva apertamente, quasi in tono di incoraggiamento.

“Sbaglio o ci conosciamo già?” le chiese Andrea.

“Può darsi .Qui mi conoscono tutti” rispose lei. Poi, voltandosi verso la finestra,aggiunse : “Mi considerano la pazza del paese.Del resto ce n’é una in ogni paese. E poi  in fondo questo ruolo non mi dispiace.”

Subito dopo,quasi a voler porre fine all’incontro,riprese il giornale e si accinse a rituffarsi nella lettura.Ma Andrea non aveva nessuna intenzione di mollarla.Con l’audacia che gli derivava dalla consapevolezza che quella forse era l’ultima occasione per conoscerla,le chiese : “Ma tu chi sei veramente ? ”

All’inizio lei sembrò ignorare la domanda e si limitò a guardare  di nuovo in direzione della finestra. Ormai era buio e la pioggia continuava a cadere. Decisamente non si poteva apprezzare nient’altro se non il ticchettio delle gocce d’acqua sul vetro e qualche sporadico riverbero di fari d’auto.

Andrea non credeva affatto che ciò potesse interessarla; ne dedusse che la ragazza voleva troncare il discorso. Stava quasi per voltarsi e tornare al suo tavolo, quando lei, senza distogliere lo sguardo dalla finestra, gli rispose: “Veramente non lo so neanch’io. Mi chiamo Teresa, ho ventidue anni e studio Scienze Politiche. Ma non credo che ciò serva per dire chi sia io realmente.”

Decisamente quella risposta se l’era meritata, anzi doveva esserle grato se non aveva replicato più sgarbatamente, magari invitandolo a occuparsi degli affari suoi.

“Io faccio l’ingegnere. Sono qui per dirigere una parte dei lavori.”

Teresa lo fissò di sbieco per un momento e poi gli rispose laconicamente: “Lo so”. Subito dopo ripiegò il giornale e si alzò, avviandosi decisa verso l’uscita.

Andrea rimase a guardarla come inebetito mentre attraversava rapidamente la grande sala deserta e spalancava la porta.Fuori la pioggia continuava a cadere forse con maggiore intensità e una folata di vento lo investì in pieno fino a quando Teresa non si richiuse la porta alle spalle. Tornato al suo tavolo,Andrea finì d’un fiato il bicchiere di vino. Voleva liberarsi dal freddo che all’improvviso era penetrato in lui e contemporaneamente si sforzò di convincersi che quella sua sensazione dipendesse solo dalla pioggia e dall’inverno che incalzava.

 

 

XXVII

 

Il sole nel suo corso disegnava un arco sempre più breve, lasciando il posto a lunghe notti cariche di silenzio. Ora ci sarebbe voluta la pioggia per rinfoltire l’erba e i corsi d’acqua quasi esauriti. Ma il cielo continuava a restare immobile nell’azzurro e la terra a lacerarsi in solchi sempre più profondi.

 Piano piano nella mente di tutti si fece strada la convinzione che quella fosse davvero una maledizione, come andava sostenendo il gran sacerdote. Lui per contro aveva ripetutamente interrogato i vecchi del villaggio,tentando di farsi dire che anche in passato c’erano stati inverni così secchi. Eppure nessuno di loro lo aveva ammesso con sicurezza.Certo ricordavano altre stagioni con scarse piogge ma mai come in quell’anno il grande fiume aveva mostrato così chiaramente il suo letto melmoso.Del resto lui stesso non poteva negare che le bestie la sera rientravano ai ricoveri sempre più stanche e nervose per la ricerca sempre più faticosa di acqua e di erba. Così si convinse che quell’estate non sarebbe mai finita del tutto e che erano condannati ad una non-stagione immobile ed eterna. D’altronde egli stesso l’aveva desiderato,sperando in tal modo di poterla fermare.Ma Iris se ne era  andata comunque e ora la sua gente pagava senza volerlo le conseguenze di quell’assurdo desiderio. 

Forse per risolvere tutto sarebbe bastato rinnegare il suo passato recente e ritornare ad essere l’uomo di un tempo. Ma non voleva farlo e se anche l’anche l’avesse voluto non sarebbe riuscito a scordare che il mare non era affatto un confine invalicabile e che dall’altra parte c’erano tante terre da esplorare.

Nessuno osava ancora sfidano apertamente né gli rimproverava i suoi torti ma sapeva che era solo questione di tempo. Prima o poi, durante un gran consiglio, qualcuno si sarebbe alzato proponendo il suo processo e suggerendone la destituzione. Perfino suo figlio ora cercava di evitarlo e se lui gli parlava volgeva altrove lo sguardo imbarazzato. Non gli restava che il cavallo e la pietra rotonda sulla collina dove sedersi per guardare il mare.

Quel giorno stranamente la bestia si era quasi rifiutata di uscire dalla stalla e scalpitava ancora quando gli era saltato in groppa. Eppure fieno e acqua non gli erano mai mancati. Sperò di cuore che l’animale sentisse nella stagnante immobilità dell’aria un qualche cambiamento. Poi a poco a poco il cavallo cominciò a calmarsi accettando di condurlo come al solito sulla collina.

Stava quasi per raggiungere la meta quando udì un grido nell’aria. Senza indugio spronò l’animale che con poche falcate raggiunse la cima. Riverso a terra, ormai senza vita, vide il pastore cieco, mentre suo figlio poco distante si difendeva come poteva dall’attacco di due uomini a cavallo. In mezzo a loro il branco di pecore privo di guida ondeggiava disordinatamente. Li raggiunse velocemente ed estrasse la spada. Dalle vesti riconobbe che gli assalitori appartenevano al popolo della pianura e capì che erano venuti per rubare il bestiame. Non appena anche essi lo videro, lasciarono il ragazzo e gli si avventarono contro. Solo in quel momento lui finalmente ritornò ad essere il guerriero di un tempo. L’odio verso il nemico gli risvegliò dentro un’aggressività troppo a lungo sopita. Nella sua lingua urlò contro di loro le maledizioni e le ingiurie più violente, mentre con la spada li teneva a bada. Riuscì a colpirne uno in pieno viso e senza esitare si avventò sull’altro. Con un violento fendente raggiunse il collo del cavallo dell’avversario che si impennò nitrendo di dolore. Il cavaliere fu subito disarcionato e lui poté colpirlo senza difficoltà.

La lotta sembrava finita perché entrambi gli aggressori giacevano immobili a suolo. Si avvicinò al giovane pastore che lo fissava inebetito tenendosi un braccio. Stava per dirgli di non aver più paura; il pericolo era passato e comunque non erano riusciti a rubargli il bestiame. Poi si ricordò del vecchio e nel suo cuore scese una gran tristezza. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentì totalmente partecipe con la sua gente. Capì che là dove era nato sarebbe vissuto per sempre e che doveva difendere il suo popolo anche a costo della vita. In fondo tutto ciò era accaduto solo per colpa sua. Ora se ne pentiva profondamente.

Era così turbato che non pensò a guardarsi intorno alla ricerca di altri nemici. Scese rapidamente dal cavallo avvicinandosi al giovane per abbracciarlo. La freccia scagliata da lontano lo raggiunse proprio quando stava per farlo, colpendolo in piena schiena e trafiggendogli il cuore. Gli restò solo il tempo di allargare le braccia; subito dopo si piegò lentamente sulle ginocchia e cadde di fianco, proprio su quella pietra dove s’era seduto tante volte per guardare il mare. Comunque non fu il mare l’ultima cosa che vide ma il cielo finalmente grigio, così gonfio e pesante che sembrava stesse per cadere.

La freccia lo aveva trapassato e la punta sottile che gli usciva dal petto aveva lacerato il sacchetto che portava al collo, spargendo intorno sale commisto a sangue. Non se ne accorse e in ogni caso non gliene sarebbe importato. Con soave rassegnazione lasciò che la vita si allontanasse, accettando che le sue radici si staccassero con fremiti sottili che lui solo poteva sentire. Un solo breve sorriso mise fine ai suoi giorni quando dal cielo traboccante vennero giù gocce di pioggia grandi come monete che lavarono il sangue e il sale che finora era stato. Quando lo ritrovarono era quasi il tramonto.

 

 

XXVIII

 

Per giorni e giorni l’ho sentito raccontare la sua storia, rubandogli tra i sospiri parole smozzicate come il suo toscano, spesso tenute dentro a lungo insieme al fumo. Mi é toccato anche riempire i suoi silenzi, a volte grigi come temporali, altre volte azzurri e profondi come il mare. In ogni attimo gli indovinavo dentro la presenza di lei; ma ora che Renato ha terminato il suo racconto é un pò come se avesse voluto porre fine anche ai suoi giorni. Lei se ne andata già.

Ripete sottovoce la parola fine, quasi a volersi convincere, poi mi sorride e mi dice con orgoglio che almeno stavolta é riuscito a terminare qualcosa. Anzi in un sol colpo ha terminato tutto; come d’incanto il ricordo di lei é volato lontano chissà dove - non gli interessa saperlo - e nello stesso tempo se ne andata anche Beatrice, di lei ombra e contrario. Perfino Iris é partita senza voltarsi indietro, certa della sua gioventù e delle mille storie ancora da scoprire, mentre il guerriero nella sua morte finalmente ha accettato i limiti di se stesso.

Ora che tutto é definitivamente concluso, gli resta ben poco da fare. O magari Renato vorrebbe anche ricominciare daccapo ma non osa confessarlo. Sa bene quanto sarebbe insensato rivivere la commedia della vita al medesimo modo, visto che lui non riuscirebbe a modificarla in alcunché. E allora?

“Costruirei vele con le lenzuola e alberi con le travi del soffitto, ma la stoffa si lacererebbe anche sotto la brezza più lieve e il legno delle travi é così malandato che certo si spezzerebbe al primo fortunale. Meglio star qui a custodire il silenzio, augurandosi che sia quello prima dell’alba e non quello definitivo dopo la distruzione. D’altronde se gli estremi davvero si toccassero potrei smarrirmi in esso con la segreta certezza di risvegliarmi un giorno.” mi confessa Renato.

Sul suo viso ora leggo una speranza così fievole da nascondersi tra le rughe asimmetriche e quasi passerebbe inosservata se non fosse per quella minuta increspatura che gli allarga un angolo della bocca e dilata lo sguardo del suo occhio sinistro,quello  - io lo so bene -  che vede più lontano.

 

XXXIX

 

Ormai sulla collina le costruzioni si erano così estese da unirsi tra loro. Da lontano tutto sembrava un unico immenso ammasso di grigio che si confondeva col cielo. Quell’inverno infatti il sole non si vide quasi mai e alla naturale foschia si era aggiunta la polvere del cemento impastato e il fumo del catrame fuso.

Il tempo della consegna si avvicinava e Andrea stava già preparandosi a sgombrare sul cantiere il suo minuscolo ufficio pieno di carte e tracciati. Il Direttore che finora non aveva quasi dato segni di vita, limitandosi a sporadiche telefonate per informarsi sull’andamento dei lavori, ora lo chiamava quasi tutti i giorni, raccomandandogli di terminare al più presto, magari anche prima della scadenza prestabilita.

Quella mattina fu ancora più categorico. “Lei immaginerà certamente quante pressioni stia ricevendo in questi ultimi tempi. Le elezioni sono vicine e i nostri amici sono ansiosi di far bella figura con l’elettorato.”

“Capisco perfettamente” gli aveva risposto Andrea per rassicurarlo “ma, caro Direttore, lei si rende conto che, tra varianti e imprevisti, già rispettare i tempi é un’impresa ardua.”

“Lei é sempre il solito perfezionista” aveva ribattuto. “Ma se lo vuole mettere in testa una buona volta che quello che più conta sono le apparenze? Se necessario, sorvoli pure sulle rifiniture interne ma, per carità, mi consegni l’opera al più presto! E poi, chissà quando e come verrà utilizzata. Del resto non é affar nostro.”

 Nel riagganciare Andrea rimase per qualche istante a rimuginare sulla conversazione, rammaricandosi che neanche questa volta era riuscito a dire il fatto suo al Direttore. Poi, per calmare l’irritazione, accese una sigaretta e uscì dall’ufficio; una passeggiata gli avrebbe fatto certamente bene. Quasi senza accorgersene  ne superò l’area delle costruzioni fino a raggiungere il reticolato al limite della collina che impediva l’accesso agli estranei.

Teresa era a pochi passi oltre la rete. Anche lei lo aveva visto e ora lo stava osservando col solito sorrisetto ironico.

“Salve ingegnere.Che ci fa qui tutto solo?”

“Sono venuto a guardare il mare. E lei?”

“Anch’io. Con la piccola differenza che io posso vederlo fuori dalla gabbia.”

Inutile risponderle che quella era una barriera temporanea che serviva a evitare gli intrusi. Meglio far finta di non capire l’allusione.

“E allora, come procedono i lavori?” chiese Teresa con tono leggermente ironico.

“Bene. Prevediamo la consegna in tempi brevi.” le rispose Andrea senza orgoglio.

“Poi ve ne andrete tutti?”

“Si, certo che ce ne andremo”

“Suppongo che ci siano altri posti da colonizzare, vero?”

“Senti, finiamola una buona volta. Non sono stato io a decidere. Il mio compito é costruire. Io eseguo soltanto. Li conosco bene i tipi come te; li conosco fin dai tempi dell’Università. Sempre pronti a criticare gli altri ma incapaci di proporre qualcosa di concreto. Pensavo che la contestazione studentesca fosse finita da un pezzo, ma a quanto pare mi sbagliavo.”

“Calmati, ingegnere. Non ti scaldare troppo. So bene che non sei tu il responsabile. E' che mi incuriosiva sapere il tuo parere. Ma vedo che la cosa non ti tocca minimamente, forse non ti sei nemmeno chiesto il perché di tutto questo gran casino. Si vede che sei programmato solo per eseguire.”

Andrea pieno di collera si avvicinò ancora di più al reticolato e afferrandosi alle maglie le gridò: “Tu credi che io sia una macchina. Sei solo una ragazzina presuntuosa che vuoi mettere il naso in faccende troppo grandi per lei!”

Teresa senza rispondere si incamminò lungo il reticolato e Andrea, d’impulso, prese a seguirla, maledicendo dentro di sè la rete che li separava.Se non ci fosse stata,sarebbe riuscito certamente a fermarla e a farle capire che non era poi così diverso da lei; solo un pò più realista e forse anche un pò più saggio.

Teresa proseguì senza curarsi di lui finché non ebbe raggiunto lo scooter. Quando fu in sella e mise in moto con uno scatto secco della leva, Andrea le gridò “Il sessantotto é finito per sempre!”

“Presto ce ne sarà un altro, vedrai. Anzi faresti bene a trovarti già un buon nascondiglio.”

Subito dopo innestò la marcia e partì di carriera, sollevando dietro di sé polvere e pietrisco. Lui rimase a guardarla finché non ebbe raggiunto la strada asfaltata per scomparire alla prima curva. Poi si scosse con un gesto di stizza; era ora di rientrare in cantiere. Gli operai certamente lo stavano cercando e, anche se non se la sentiva, quel lavoro andava completato.

Tornando sui suoi passi, si sorprese a chiedersi chi sarebbero stati gli abitanti di quell’immensa struttura e che diavolo si sarebbe prodotto tra le sue mura. Per una volta si sentì così coraggioso da permettere alla propria mente di divagare. Ma per quanto acuisse l’immaginazione non riuscì a figurarsi quegli edifici finalmente gremiti di gente. Di gente che parlasse, ridesse, lavorasse e che comunque vivesse realmente. Riuscì solo a immaginare qualche fantoccio seduto immobile dietro una scrivania o all’impiedi in anticamera. Così all’improvviso si rese conto che quell’opera mostruosa era stata ideata e realizzata al solo scopo di creare una finzione della realtà. Lì dentro non ci sarebbe stato mai nessuno veramente vivo, solo marionette animate da fili invisibili. Ma se per caso un estraneo fosse riuscito a penetrarvi, resosi conto dell’inganno ne sarebbe fuggito, perché rimanervi poteva provocare un subitaneo trapasso alla non-realtà. Forse però la cosa non era così tragica. Forse il trapasso era solo momentaneo e il malcapitato poteva anche andarsene, sia pure dopo aver pagato il suo tributo.

Ormai la fantasia di Andrea correva a briglia sciolta e già immaginava migliaia di pendolari arrivare ogni mattina. Per uscire la sera ciascuno di loro doveva ogni volta lasciare in pegno una piccola parte di sé, finché del tutto svuotato della propria identità non vi fosse rimasto per sempre, magari inchiodato dietro la scrivania o tra gli scaffali di un archivio polveroso. E quando anche l’ultimo dei pendolari fosse rimasto definitivamente prigioniero, quella cattedrale dell’insulso avrebbe finalmente realizzato in pieno il suo scopo. I rulli delle macchine da scrivere e gli aghi delle telescriventi si sarebbero agitati senza sosta, gli ascensori avrebbero continuato in eterno a scendere e salire, i telefoni non avrebbero più smesso di squillare. Di giorno come di notte, funzionari dalla voce monotona avrebbero ripetuto i loro oscuri discorsi a subalterni in religioso silenzio, mentre gli uscieri continuavano imperterriti a sorvegliare gli ingressi e i postulanti rimanevano in attesa senza spazientirsi, fissando con convinzione alle pareti paesaggi inesistenti.

Quando raggiunse il cantiere fu costretto ad allontanare dalla mente quella visione onirica. Eppure gli sembrò quasi di cogliere nel comportamento degli operai un’implicita conferma; pareva infatti che essi continuassero a ripetere inutilmente le stesse azioni, come impastare cemento già pronto da tempo, lisciare intonaci perfettamente levigati e misurare blocchi ben squadrati. 

La sensazione durò solo un istante. Subito dopo anche Andrea fu risucchiato e tornò di prepotenza alla sua parte.

 

 

XXX

 

Andrea era riuscito a sapere sul conto di Teresa solo pochi particolari. Nessuno di quelli cui aveva chiesto notizie sembrava conoscerla davvero bene né gli era riuscito di rintracciare suoi parenti o amici intimi. Apprese comunque che era orfana di entrambi i genitori, periti in un tragico incidente d’auto e che aveva  un fratello emigrato qualche anno prima in un remoto paese del Sud-America. Anche individuare la casa dove abitava fu difficile; ci riuscì solo dopo alcuni tentativi infruttuosi  grazie alle indicazioni di un pastore spesso portava le sue pecore a pascolare nei paraggi.

Per arrivarci aveva dovuto lasciare l’auto sulla strada e proseguire a piedi lungo un viottolo ripido, quasi completamente invaso dai rovi. Pochi metri dopo il sentiero descriveva una stretta curva per terminare in un’area pianeggiante. In fondo si vedeva una vecchia casa in pietra con davanti un pergolato ricavato da  travi di legno, ormai quasi del tutto crollato.Del resto nemmeno la costruzione era in condizioni migliori, con numerose crepe lungo la facciata e più di un infisso sgangherato.

La casa si affacciava su una vallata verde tagliata in due da una gola stretta e sinuosa dove passava il fiume. Il terreno antistante era incolto ma si intravedeva ancora l’antica suddivisione in terrazze, sostenute da muretti di pietra in più punti diroccati. Olivi inselvatichiti e bruciacchiati da chissà quanti incendi si levavano disordinatamente.

Andrea era venuto con la speranza di incontrarla, ma ora era contento di non vedere nessuno nei paraggi. Lo stato di abbandono di quel posto destava in lui un gran senso di pena. Lanciando un’ultima occhiata di commiserazione alla casa, si voltò per tornarsene indietro. Proprio in quel momento fu raggiunto dalla voce di lei.

“Salve! Come hai fatto a trovarmi?

Teresa stava affacciata alla finestra con la testa protesa in fuori e i lunghi capelli che scendevano nel vuoto. Vedere il suo viso come incorniciato tra la pietra e l’edera gli provocò un tuffo al cuore. Era bellissima e lui si sentì un estraneo venuto a turbare la sua intimità. Ma Teresa senza attendere risposta, visibilmente compiaciuta per quella visita improvvisa, gli disse di aspettare solo un momento perché sarebbe scesa subito.

Quando l’uscio si aprì cigolando e lei venne fuori, vestita coi soliti jeans e un maglione pesante, Andrea restò fermo a guardarla. Anche se in apparenza era la stessa di sempre, gli sembrò di vederla per la prima volta. Non ci mise molto a capirne il motivo. Infatti era la prima volta che un sorriso aperto le illuminava il viso, decisamente diverso dal solito ghigno ironico cui era abituato. Finalmente Teresa aveva gettato la maschera e gli sorrideva senza riserve, così come avrebbe dovuto fare una della sua età. E mentre lei gli diceva: “Ma guarda un pò, non me lo sarei mai aspettato!” le si avvicinò baciandola senza incertezze. 

Era talmente sicuro che quella fosse la cosa giusta da fare che non pensò minimamente alla possibilità di essere respinto. Infatti così fu perché Teresa accettò e ricambiò con trasporto.

“Non é vero quello che ho detto” gli sussurrò. “Sapevo che prima o poi saresti venuto a cercarmi.”

“Allora é qui che abiti?” le chiese Andrea guardandosi intorno.

“Sempre meglio che in un appartamento piccolo e senza aria”

“Decisamente hai uno strano concetto dell’edilizia moderna.”

“Perché secondo te quei buchi che costruite in città sono più confortevoli?”

“Ammetterai che la tua casa ha bisogno di qualche riparazione, o no?”

Chissà perché erano scivolati in quell’inutile discorso. Non era certo quello il momento di polemizzare. Aveva tante cose più importanti da dirle.

“Teresa, io sono diverso da come credi tu.”

“Ti prego, non parlare ora. Voglio mostrarti una cosa.”

Tenendolo per mano, lo condusse giù per la vallata, indicandogli nei punti più difficili dove mettere i piedi. Ad Andrea sembrava di essere trattato come un bambino ma anziché risentirsene ne provò piacere.

“Una volta, tanti secoli fa, qui c’era un grande fiume e non il rigagnolo che vedi. Forse perfino il mare era meno lontano.Mio padre ne era convinto - lui che non aveva mai visto il mare da vicino - e continuò per anni a cercare i segni della sua presenza. Un giorno tornò a casa con aria trionfante mostrandomi un sasso con dentro una conchiglia fossilizzata. In seguito trovò altre pietre,alcune perfino con dei pesci, e quando ne ebbe raccolta una discreta quantità ci costruì la facciata del camino. Aveva sempre sostenuto di averle trovate qua e là lavorando la terra ma io ho il sospetto che provenissero tutte dallo stesso posto. - Sono solo vecchi sassi - mi ripeteva spesso - Faresti bene a non badarci, tu che sei così giovane - Eppure lui ogni sera rimaneva per ore davanti al fuoco a guardare quei fossili senza parlare. In questi luoghi tutto odora di passato.”

Uno spiraglio di luce si affacciò inaspettatamente tra le nuvole. Era il primo dopo giorni di pioggia. Durò solo pochi secondi e poi il sole tornò a nascondersi e l’acqua del fiume ridivenne opaca. Andrea la seguì mentre risaliva il pendio e si avviava verso casa. Quando la raggiunsero, lei senza parlare aprì la porta e si scostò per farlo entrare. Un gran fuoco illuminava il pavimento di cotto, esaltandone il rosso. Teresa si avvicinò al camino e lui la imitò. Sapeva già quello che stava per accadere. Era come un sogno che improvvisamente si avvera e come per tutti i sogni il suo significato rimaneva oscuro. Tuttavia quando Teresa, per nulla imbarazzata, si spogliò davanti al fuoco e poi lo aiutò a fare altrettanto, lui si sforzò di non dare alla cosa troppa importanza, anzi di considerarla solo un piacevole intermezzo. Quell’incontro sicuramente non avrebbe avuto alcun seguito  - Teresa era così giovane rispetto a lui - molto meglio approfittarne prima che cambiasse idea. Senza esitazioni la seguì sul divano, sdraiandosi accanto a lei.

Teresa aveva uno strano modo di fare l’amore, con scatti e pause improvvise durante le quali lo guardava fisso negli occhi senza parlare. Più di una volta Andrea fu sul punto di credere che lei volesse interrompere a metà. Sembrava quasi che la cosa la lasciasse del tutto indifferente e che lo stesse facendo al solo scopo di metterlo allo scoperto. Non glielo chiese, comunque era certo che non provasse alcun piacere. Del resto anche il suo godimento fu come distante, assorto com’era stato a studiarla. Quando finirono e lei cominciò a rivestirsi rapidamente senza guardarlo, Andrea sentiva in bocca l’amaro delle cose irrisolte; quell’incontro, anziché avvicinarla, l’aveva resa ancora più misteriosa. Per giunta ora avvertiva in Teresa un vago risentimento che immaginava fosse rivolto contro di lui e che derivasse dalla sua incapacità a soddisfarla. 

Sopraffatto dalla vergogna, maledisse la propria precipitazione. Ma come uno che non ha più niente da perdere, volle giocare l’ultima carta.Con la calma dei disperati, le disse: “So che non ti é piaciuto, però, ti prego, dammi un’altra possibilità.”

In quel momento lei gli volgeva le spalle e si stava infilando il maglione. Si voltò subito e con un sorriso amaro gli rispose: “Non credo ci sarà una prossima volta. Non so nemmeno io perché l’ho fatto. Ti prego di dimenticare l’accaduto.”

Per un pò rimasero in silenzio seduti sul divano a fissare il fuoco. Poi lei iniziò a dar segni di insofferenza, guardando più di una volta l’orologio e cambiando la posizione delle gambe. Così Andrea dovette convincersi che, malgrado i suoi tentativi, non poteva trattenersi oltre. Solo al momento del commiato, quando lei stava già per rinchiudere la porta, riuscì a bloccarla giusto il tempo per poterle sussurrare “Ti prego, fammi ricominciare”.

Teresa non rispose, eppure gli parve di cogliere in lei un attimo di esitazione e quando i battenti si unirono lo scatto della serratura gli sembrò meno definitivo.

 

 

XXXI

 

Ormai da qualche tempo nei suoi sogni riaffioravano solo le occasioni perdute mentre di giorno gli tornavano in mente all’improvviso remote circostanze e visi dimenticati. Andrea andò convincendosi di stare lentamente invecchiando e che proprio per questo la memoria si intestardisse a volerlo riportare indietro. Perfino il presente perdeva a poco a poco ogni autenticità e il futuro diventava una meta sempre più improbabile che non desiderava raggiungere.

Era arrivato alla fase critica del viaggio. Navigava in acque dense di foschia, e se guardandosi alle spalle poteva ancora individuare il punto di partenza, nulla di definito coglieva il suo sguardo in avanti, neanche un miraggio o la possibilità di un approdo imprevisto, ma solo una monotona e inquietante oscurità silenziosa.

“Fammi ricominciare” le aveva chiesto, senza pensare che solo la natura poteva rinnovarsi e ripetersi. Ammise onestamente che ciò che veramente gli interessava in Teresa era la sua gioventù che le garantiva ancora tanti giorni da dedicare alla scoperta e all’invenzione. Se fosse restato nella sua orbita, forse qualche riflesso sarebbe arrivato fino a lui.

Si é vero, certamente sarebbe giunto anche per lei il giorno in cui guardandosi allo specchio si sarebbe accorta di essere circondata dalla nebbia, ma per il momento quel giorno era ancora lontano. Impossibile quindi che avesse capito il vero significato della sua richiesta. Con il senno di poi, Andrea ora si malediceva per non essere stato più chiaro. D’altronde, quand’anche Teresa avesse compreso, ciò l’avrebbe indotta a cambiare idea o al contrario non avrebbe ulteriormente rafforzato la sua decisione di troncare?

Decise che almeno per quel pomeriggio era meglio lasciar perdere tutto e tornare in città. Vedere un pò di gente e rituffarsi nella vita caotica della metropoli forse gli avrebbe fatto bene. Accennò al caposquadra di un oscuro impedimento e, impartitagli qualche istruzione, si allontanò con l’auto.

Lo incontrò passeggiando per il centro, mentre cercava di evitare gli urti dei passanti che si contendevano quel poco di marciapiede non occupato da auto, transenne e impalcature. All’ inizio non lo riconobbe nemmeno, tanto era cambiato in viso,con la barba lunga e capelli arruffati.Eppure nonostante l’abbigliamento trasandato e l’aria malconcia, c’era in lui qualcosa di familiare e Andrea si soffermò qualche momento a guardarlo. Anche l’altro lo stava osservando, anzi gli si era fermato di fronte, senza curarsi dell’intralcio che arrecava ai passanti.

“Tu sei Andrea, vero?”

“Si. E tu?”

“Sono Renato. Non ti ricordi di me? Ci siamo conosciuti all’Università.”

“Ah si, certo. Ora ricordo! Vieni, spostiamoci. Qua diamo fastidio.”

Andrea si avviò con passo svelto alla ricerca di un posto meno affollato, portandosi dietro Renato. Ormai in quella città, oltre che in auto, era diventato impossibile anche muoversi a piedi. Bisognava camminare rapidamente, possibilmente da soli e comunque in fila indiana.

Qualche isolato più avanti riuscirono finalmente a trovare in un bar un pò di spazio e di relativo silenzio. All’impiedi, appoggiati al bancone con una tazzina di caffè in mano, si raccontarono rapidamente le loro storie. Del resto non c’era molto da dire; Andrea si era laureato e poi sposato. Ora aveva due figli e si guadagnava da vivere progettando e costruendo palazzi per conto altrui. Renato invece aveva abbandonato gli studi anzitempo per scrivere storie che nessuno aveva voluto pubblicare. - No, per fortuna non era sposato. — Nel dirlo aveva abbassato gli occhi per un istante, come se si vergognasse. Quasi con sollievo scoprirono di ritrovarsi entrambi con le idee ancora più confuse perché dopo oltre vent’anni nessuna delle vecchie certezze era sopravvissuta.

“E così ti sei laureato e ora fai l’ingegnere edile. Mi fa piacere” concluse Renato con un vago sorriso.

Ma Andrea leggeva nel fondo dei suoi occhi un’altra domanda che il vecchio compagno non voleva formulare apertamente. Comunque volle rispondergli ugualmente.

“No, non credo ne valesse la pena. Almeno non per fare quello che faccio ora. Tu l’hai capito in tempo e te ne sei andato.” Inutile chiedergli da dove traesse i mezzi per il suo sostentamento. Sicuramente Renato viveva di espedienti. Comunque, se non la felicità, almeno aveva trovato la libertà.

Uscirono dal locale promettendosi di rivedersi,pur sapendo entrambi che era molto improbabile,ignorando ciascuno i recapiti dell'altro. Fuori era cominciato a piovere e la gente camminava ancora più in fretta, incurante degli ombrelli che si urtavano tra loro. Andrea propose all’amico di accompagnarlo - aveva l’auto parcheggiata poco distante - ma Renato rifiutò ringraziando. Abitava nei paraggi, gli spiegò, e alla pioggia c’era abituato. Poi aprì la lampo dietro il bavero del suo giaccone stinto e ne tirò fuori il cappuccio. Infine lo salutò con una stretta di mano e sfiorando i muri dei palazzi si avviò lentamente per la sua strada. In quel momento Andrea avrebbe voluto chiamarlo per costringerlo a venire a cenare a casa sua o almeno ad accettare il passaggio in auto. Ma era inutile insistere; sarebbe riuscito solo a metterlo in imbarazzo. Ormai li separavano vent’anni di vita in due mondi diversi. 

Dopo qualche istante non lo vide più, ingoiato dalla folla e dagli ombrelli. L'incontro ormai quasi non gli sembrò più reale,quasi un sogno ad occhi aperti. Guardando l’orologio si accorse che era quasi ora di cena. Si chiese come l’avrebbe accolto sua moglie, dal momento che non lo aspettava. “Chissà” si disse “In fondo potrebbe farle anche piacere.

 

 

XXXII

 

Un ricordo che si materializza può essere più pericoloso di un’arma. Sicuramente Renato avrebbe fatto meglio ad ignorarlo. Del resto lo stesso Andrea non l’aveva identificato se non quando gli aveva ricordato i tempi dell’Università. Ma come gli era venuta quella stupida voglia di farsi riconoscere; proprio a lui che non si era mai preso la briga di cercare nessuno dei vecchi compagni!

Ma quell'uomo era proprio Andrea ? Come faceva ad esserne così sicuro?  

E poi,ammesso che fosse proprio lui,ciò voleva dire che fosse la stessa persona conosciuta ai tempi dell'Università ? Se era veramente così, neanche con Andrea la vita aveva mantenuto le promesse. 

Indugiò ancora un poco prima di accendere il toscano, sapendo che dopo non avrebbe più avuto la voglia di pensare. Doveva rivangare in quell’incontro che veniva del passato per smussarne i momenti più intensi, fino a ridurlo a un’unica uniforme distesa di nebbia. Solo così se ne sarebbe potuto staccare senza soffrirne. 

Ma non era il rimpianto che si sentiva crescere dentro, assolutamente no. In fondo in che cosa sarebbe stata diversa la sua vita se avesse completato gli studi? Il mondo di Andrea gli si era aperto davanti e non poteva dire che da esso fossero scaturiti chissà quali lampi di luce. Del resto Renato non aveva mai amato le linee rette ne gli angoli esattamente definiti con i quali imprigionare lo spazio nè tantomeno sapeva distinguere con certezza il vuoto dal pieno. Che disastro sarebbero stati i suoi progetti, zeppi di curve e giravolte che portavano sempre allo stesso punto!

Per giunta la stagione dei progetti era ormai passata da un pezzo e stava per terminare anche quella dei sogni. Davanti a sé non distingueva altro se non un’oscurità uniforme dalla quale forse non sarebbe più uscito.

Ma nonostante tutto gli sarebbe piaciuto sapere di che cosa si nutrisse l’anima di Andrea e cosa vedessero i suoi occhi quando si svegliava al mattino. Peccato non averglielo chiesto. Rivide ancora una volta quel  volto  segnato dagli anni e dai capelli grigi. Ora nella sua mente lo vedeva  circondato da un alone di tristezza ancora più intenso di quanto gli fosse apparso durante l’incontro. Doveva essere così anche per il suo volto, sebbene, rinunziando al gioco della vita, finora si fosse sempre illuso del contrario.

Non ebbe il tempo di accendere il toscano come avrebbe voluto, perché all’improvviso, forse sfinito per la lotta di rendere vago e incerto anche l’ultimo anello che lo univa al passato, si addormentò sulla poltrona. O almeno così sembrò, dal momento che chiuse gli occhi e lasciò andare il capo. Anche la sua mente lasciò andare lontano e per la prima volta rivide quello specchio di mare scomparso dai suoi sogni.

“Tu puoi ricominciare” gli diceva una voce suadente. Ma quel timbro profondo gli faceva intuire che più che un invito fosse un comando cui non poteva sottrarsi.

“Puoi ricominciare dal principio, se vuoi. Addirittura da prima che qui sorgesse il mare. Anch’io l’ho fatto. Credimi, non é difficile. Basta scrollarsi di dosso ricordi e identità. Del resto tu non hai più certezze e quindi ti sarà più facile immergerti nel nulla per riaffiorare in quella che ti sembrerà un’altra parte ma che in effetti é il medesimo luogo e l’identico ruolo.”

E d’improvviso Renato lo vede nel sogno così come l’ha già visto tante volte nei pensieri o forse é l’inverso, perché il guerriero potrebbe essere riuscito a trasferirsi dal suo cuore fino alla mente. Impossibile affermarlo con certezza; meglio scagliare lontano quel problema insolubile che complicherebbe ulteriormente la questione. In qualche modo lui si sente vicino alla soluzione finale, quella che non lascia dubbi ma solo una definitiva soddisfazione.

Passò forse un minuto o un’ora, forse un intero giorno  - chi può dirlo? - e alla fine Renato riaprì gli occhi, inondando con la luce di un proposito nuovo la stanza grigia dove finora si era rifugiato. E quella luce fermò i contorni delle cose, disintegrò le ragnatele agli angoli delle pareti e sciolse gli stalattiti di polvere che scendevano dal soffitto. Aveva in mente il sapore dolce e liquido dei sogni e nei muscoli quei guizzi improvvisi di chi sta per agire.

Era tempo di ricominciare - ormai ne era certo - anche se non sapeva da dove e nemmeno dove sarebbe arrivato. Stette ancora un attimo immobile, quasi a voler gustare per l’ultima volta la quiete che riempiva la stanza. Poi guardò la finestra e attraverso i vetri resi opachi dalla polvere vide il vortice della vita che lo chiamava. Ormai non poteva resistere oltre; si alzò di scatto e uscì fuori.

Solo quando la finestra fu così lontana da diventare un piccolo rettangolo di marmo grigio con la croce bianca degli stipiti ben impressa al centro. Renato comprese che in fondo quella stanza per tutti quegli anni era stata solo una prigione o peggio una tomba e la finestra una lapide senza neanche il suo nome.

 

 

XXXIII

 

 

Quando Andrea arrivò a casa moglie e figli stavano cenando.Il televisore acceso riempiva la cucina di voci e rumori, assorbendo la loro attenzione al punto che non udirono lo scatto della serratura.

“Ciao, come stai?” gli disse Barbara con aria sorpresa, distogliendo per un attimo lo sguardo dallo schermo.

“Ciao!’ dissero quasi all’unisono i due ragazzi, distraendosi dallo spettacolo per un attimo ancora più breve.

Andrea ricambiò il saluto senza dare spiegazioni a sua moglie, dal momento che lei si era di nuovo completamente immersa nella visione del film. Riconobbe la pellicola quasi subito. Era un vecchio film western e anche a lui era piaciuto molto.

Nel bagno, mentre si lavava le mani e si metteva addosso qualcosa di più comodo, Andrea cercava di convincersi che in fondo doveva essere gradevole rientrare nella tranquilla intimità della sua casa. Eppure, anche quando prese posto a tavola accanto ai suoi, non riuscì a trovare piacevole né il film né la vicinanza di Barbara. Per i figli continuava a provare un grande affetto ma che ora gli riempiva il cuore di tristezza come se essi non gli appartenessero più. Improvvisamente si sentì un estraneo in mezzo a loro e gli venne l’impulso di andarsene. Comunque riuscì a reprimersi, ostentando per tutto il resto della cena il solito comportamento tranquillo.

Non appena il film terminò, i ragazzi salutarono e se ne andarono a letto, mentre sua moglie iniziò a rigovernare la cucina. Forse anche Barbara voleva evitare di rimanere sola con lui o ne rimandava il momento. Dicendo di aver troppo sonno per poter restare ancora a vedere la tv, Andrea si alzò e si diresse in camera da letto. Sua moglie non disse niente, anzi non si voltò nemmeno, quasi che l’avesse previsto. Lo raggiunse poco dopo e si svestì al buio cercando di non far rumore, mentre lui tentava disperatamente di obbligare se stesso ad accendere la luce o a dimostrare in qualche modo di non essere addormentato, magari parlandole, perfino proponendole di far l’amore.

Bocconi, con la testa di lato sul cuscino, fingendo un abbandono che era ben lontano dal provare, ricordava che fino a pochi mesi prima in quella casa c’era stato quasi tutto il suo mondo. Cosa era mai successo di così importante?

Andrea sapeva di non poterlo dire con precisione neanche a se stesso, figuriamoci a sua moglie. Solo di una cosa era sicuro; ormai si sentiva incapace di riprendere il proprio ruolo. Ma non era solo colpa di Teresa né del loro fugace incontro né unicamente della sua lunga permanenza in un posto così diverso da quello dove era vissuto abitualmente o del tipo di incarico che gli avevano affidato. Erano successe troppe cose insieme e tutte così rapidamente da travolgerlo.

Andrea continuava a restare immobile nella stessa posizione mentre ascoltava il respiro di Barbara farsi sempre più calmo e profondo. Si domandò se anche lei non stesse fingendo di dormire. Solo se glielo avesse chiesto avrebbe potuto saperlo o forse neanche così, se davvero lei aveva deciso di mentirgli.

Quella notte non chiuse occhio. Nella sua mente si alternavano confusamente vecchi ricordi di gioventù con episodi più recenti della sua vita professionale. Ogni tanto gli balenava il viso di Teresa con il solito sorrisetto ironico. Si convinse che fino al quel momento non era riuscito a realizzare niente di veramente importante. Nemmeno i figli potevano dirsi realmente suoi perché concepiti in un attimo di abbandono e poi affidati alla madre li aveva allevati ed educati. Lui se ne era sempre disinteressato. dapprima perché troppo assorbito dalla professione e dalla smania di arrivare, poi per pura pigrizia, rifugiandosi nella comoda routine del suo lavoro.

Ad un tratto si ricordò di un’altra notte che credeva dimenticata e in quel momento gli sembrò di udire di nuovo lo strano canto di quell’uccello. Forse tutto era cominciato allora e in seguito la sua mente aveva inconsciamente cominciato a sgretolare ogni certezza. Per mesi e mesi insieme con i suoi uomini aveva continuato a scavare in quella terra enormi fondamenta, senza curarsi di ciò che distruggeva intorno e senza nemmeno chiedersi a cosa sarebbero serviti quei mostruosi pilastri di cemento. E quando già cominciava a smarrirsi nella trama incalzante di infinite trincee dove la luce non poteva arrivare e il cui fondo emanava un’oscurità lucente di pantera, era arrivata Teresa. Così, nonostante li separassero vent’anni di età e venti chilometri di reticolato e chissà quante differenze ancora che al momento non poteva affermare, lui aveva intuito che c’era qualcos’altro per cui valesse la pena di vivere o più semplicemente di sognare. Ma Teresa aveva tenuto per sè questo segreto anche quando Andrea aveva tentato di tuffarsi nel vortice oscuro dei suoi occhi.

Per una volta sola nella vita avrebbe voluto fare qualcosa di importante, riscattandosi dal grigiore e la monotonia in cui era precipitato. Si chiese quale potesse essere il sapore dei grandi voli, l’estasi del martirio, la sfolgorante evidenza del miracolo, la compiuta armonia di un poema sinfonico, l’ebbrezza di un canto o di un monologo esaltante. Non lo sapeva e non lo avrebbe mai saputo; da troppo tempo aveva imprigionato la mente in aridi calcoli per realizzare progetti concepiti senza entusiasmo e sotto altrui direttive. 

Per anni e anni gli avevano ripetuto che le case erano solo spazi simmetrici e sovrapposti dove riporre corpi e oggetti, né più né meno che armadi per cose senz’anima. Ogni stanza, ogni angolo doveva obbedire ad una precisa funzione; perfino le finestre erano solo aperture per far entrare luce e aria e non già occhi aperti sul mondo. Ma quando aveva visto in quel paesino le case ognuna diversa dall’altra, ciascuna con la sua storia, e che sembravano quasi respirare e rabbrividire sotto le raffiche di vento, si era finalmente reso conto che finora lui aveva costruito solo depositi.

Iniziava a far giorno. Un chiarore sempre più deciso si diffondeva nella stanza ma Andrea brancolava ancora nel buio. Sapeva di non essere più lo stesso ma ignorava ciò che era diventato. Pensò per un istante che, svuotato di ogni significato, fosse diventato invisibile o addirittura sparito nel nulla. Alle sei,ancor prima che suonasse la sveglia sul comodino, lui era già in piedi. Non vedeva l’ora di andarsene da quella casa, quasi potesse lasciarvi dentro tutti i suoi dubbi.

Barbara si alzò poco dopo e lo raggiunse in bagno. Dal suo buongiorno non gli sembrò che qualcosa non andasse, così si arrischiò a rivolgerle un sorriso e perfino a canticchiare un motivetto mentre si faceva la barba. Poi lei andò in cucina a preparare la colazione per i ragazzi e, questa quando fu pronta, la sentì entrare nella loro stanza per svegliarli.

Tutto sembrava svolgersi al solito modo; ognuno riprendeva il proprio ruolo senza incertezze. Sicuramente anche nelle altre case doveva essere così, perché chiunque vivesse in quel posto non poteva permettersi dubbi o, se ne aveva, doveva tenerseli dentro, altrimenti sarebbe stato travolto.

 Sentì di odiare quella città dove l’inutile accadeva sempre troppo in fretta e sempre con troppo rumore; tutti i suoi riti quotidiani, i bisogni famelici e soprattutto l’ossessiva ripetitività dei gesti e discorsi della sua gente, che scaturiva - ormai ne era certo - dalla loro necessità di stordire e di stordirsi nella spasmodica ricerca di successo.

Intanto la radio gli ricordava che per essere un uomo di prestigio doveva assolutamente usare quel profumo e che mai il suo sorriso sarebbe stato davvero smagliante senza un certo dentifricio. Poi lo esortò a correre in edicola a comprare il giornale che conteneva l’inserto illustrato per imparare a comprendere l’arte.

Per una volta tanto si sentì in grado di ignorare tutti quei suggerimenti, senza considerarsi una nullità solo perché non aveva l’auto da centottanta cavalli e il telefono cellulare. Con in mente un proposito nuovo, scaturito all’improvviso come tutti i grandi propositi, salutò moglie e figli e uscì di casa.

 

 

XXXIV

 

Teresa aveva voluto provare, nonostante la voce della ragione le avesse più volte consigliato di evitare quell’uomo dai capelli grigi che era venuto là a distruggere alberi e spianare colline, per far posto ad una desolata giungla di cemento. Chissà, forse lo aveva fatto perché gli aveva letto in viso, fin dalla prima volta, la sua stessa profonda inquietudine.

Era un tardo pomeriggio di giugno e lei era salita a piedi sulla collina. Seduto su di un masso con aria assorta, Andrea stava guardando giù a valle, incurante dello strepito delle ruspe. Teresa non sapeva chi fosse ma si era fermata a osservano, incuriosita da tanta concentrazione. Poi, quando lui finalmente l’aveva notata, Teresa gli aveva sorriso e perfino risposto al suo saluto.

 Dopo pochi preamboli, come se la conoscesse da tempo, lui aveva dato sfogo liberamente alle sue frustrazioni, mentre lei rimaneva ad ascoltare in silenzio, annuendo ogni tanto in segno di comprensione. Che altro poteva aspettarsi dopo un tale incoraggiamento?

Eppure quel bacio l’aveva presa alla sprovvista, tanto da costringerla a fuggire nel bosco. L’uomo l’aveva inseguita e lei si era nascosta tra gli alberi, spiando le sue mosse. Per un pò Andrea aveva continuato a cercarla ma alla fine si era arreso ed era tornato indietro visibilmente deluso. In quel momento lei avrebbe voluto raggiungerlo per dirgli che non era affatto in collera e che era fuggita solo perché disorientata dal suo comportamento.

In seguito c’erano stati altri incontri, alcuni fortuiti, altri provocati a bella posta; ormai sapeva bene lui chi fosse, eppure aveva continuato a non capire come mai un uomo del genere si dedicasse con tale distacco alla sistematica distruzione del suo mondo. Ma era proprio dalla contraddizione tra ciò che faceva e ciò che diceva di essere che Teresa si era sentita irresistibilmente attratta, al punto da non sapere se credere più alle sue parole o alle azioni. Lei sicuramente non si sarebbe mai comportata in quel modo né avrebbe mai accettato un lavoro che esigesse una subordinazione così totale. Nella vita avrebbe fatto solo quello che le piaceva o che credeva giusto. 

Tuttavia, nonostante il disprezzo che provava per la condizione di Andrea, non riusciva a sottrarsi allo strano fascino che emanava, un misto di incertezza e cinismo, con una buona dose di ingenuità quasi infantile. Andrea un giorno le aveva perfino chiesto chi fosse lei veramente. Che domanda da parte di uno che non era riuscito a conoscere nemmeno se stesso!

Ed era stata proprio quella sua incomprensibile ingenuità a spingerla a far l’amore con lui. Naturalmente non si era affatto stupita che in quella circostanza Andrea si fosse dimostrato inesperto come un ragazzo alle prime armi. Non era l’appagamento fisico che entrambi avevano cercato bensì una più intima conoscenza. Purtroppo anche quel tentativo era fallito perché perfino durante l’amore quell’uomo non aveva saputo trasmetterle altro che insicurezza.

Subito dopo s’era rivestita rapidamente mentre Andrea restava fermo a guardarla con aria mortificata. Poi anche lui s’era ricomposto e aveva ripetutamente cercato di intavolare discorso con il chiaro proposito di superare la difficoltà del momento.Ma Teresa non aveva voluto saperne; provava solo disgusto verso se stessa per aver ceduto a quel capriccio senza alcun vantaggio.Se era davvero quella la maturità tanto vagheggiata, lei non sapeva che farsene. Meglio rimanere nella sua instabile condizione di adolescente, coi giorni che non passavano mai e la mente continuamente presa a fare e disfare grandi progetti.

Al momento di andarsene, Andrea le aveva chiesto di “ricominciare”. Certo non era all’amore appena fatto che lui alludeva. Era la stessa richiesta del loro primo incontro, dopo quel bacio inaspettato. Ma se in quella circostanza lei non aveva capito, giudicando anzi la frase fuori luogo. stavolta sapeva che Andrea stava chiedendole di riportarlo indietro fino alla sua giovinezza.La porta di casa era rimasta un attimo sospesa come tra passato e futuro, poi gliela aveva chiusa  in faccia, cacciandolo definitivamente della sua esistenza. Sapeva bene infatti che non solo non sarebbe riuscita a ridargli i suoi vent’anni ma cera anche il rischio che lei nel tentativo di accontentarlo perdesse la sua voglia di vivere.

Aveva chiuso l’uscio e insieme scacciato per sempre l’ultima illusione di Andrea. Eppure, quando sentì i suoi passi allontanarsi e infine l’auto mettersi in moto e ripartire, provò inaspettatamente un gran senso di vuoto. Era lo stesso vuoto che aveva provato pochi anni prima nell’apprendere della morte dei suoi genitori.

La sensazione comunque  durò poco perché si scosse quasi subito, obbligando se stessa a tornare al presente. Le voci e i visi dei suoi amici le tornarono in mente all’improvviso. Ognuno sembrava propone una cosa diversa da fare. Decisamente lei non aveva tempo da sprecare in quelle sciocchezze!

Rapidamente si preparò per uscire. Aveva già deciso con chi passare la serata ma doveva far presto. Quello era un tipo impaziente e, chissà, forse poteva essere anche divertente.

 

 

 

XXXV

 

Ogni strada ha il suo termine anche se chi la percorre spesso non conosce la meta. Così, di fronte all’ignoto, alcuni procedono titubanti, altri, impauriti, se ne tornano indietro, mentre qualcuno attratto dal mistero avanza imperterrito.

Renato non appartiene a nessuna di queste categorie e sceglie la scarpata per raggiungere la sua destinazione. La strada asfaltata gli si snoda davanti ma lui presagisce in quei tornanti ripetizioni inutili e nelle curve falsi orientamenti. Percorrerla lo porterebbe da un’altra parte o anche allo stesso punto ma forse non saprebbe riconoscerlo,vinto dall’incertezza. Meglio avanzare in linea retta lungo il pendio, con l’obiettivo bene in vista.

La scarpata é piena di rifiuti e Renato ogni tanto si ferma a raccoglierli.Li esamina con occhio attento rigirandoli tra le mani e legge in essi memorie sovrapposte. All’inizio ha incontrato cocci di terracotta,pezzi di cuoio rosicchiato dai topi, qualche striscia di stoffa ruvida e vecchi recipienti di rame bucherellati.Procedendo più in alto, fiaschi di vetro senza fondo, arti amputati di bambole,cessi irrimediabilmente scheggiati, brandelli di mutande di lana e perfino camicette a fiori che ancora sorridevano pallidamente emergendo tra i rovi. Ma ora che é giunto quasi in cima,Renato vede solo un’immensa distesa di plastica di ogni forma e colore che ostenta presuntuosamente la sua eterna giovinezza.

Ancora un piccolo sforzo e poi potrà finalmente fermarsi a riposare.Sa già che non appena avrà ripreso fiato, si girerà indietro e guarderà lontano, dimenticando quei rifiuti di plastica e anche la fatica fatta per salire.

Quando arriva in cima,l’imprevisto del reticolato non lo turba affatto.Potrebbe spezzarlo facilmente con la forza della sua volontà,ma preferisce aggirarlo perché anche quell’ostacolo dovrà necessariamente avere un limite. Non si sbaglia; di fatti poco dopo la rete descrive un ampio giro e se ne va lontano, costeggiando la strada che porta al paese.

Renato getta solo un’occhiata distratta all’interno della recinzione ma gli basta per vedere quell’enorme ammasso di cemento.Non é la che dovrà cercare il suo destino o forse avrebbe potuto essere anche là, ma molto tempo prima, quando le gru metalliche non erano ancora salite sulla collina e alberi e radure si alternavano senza violenza.

Renato procede a passi lenti e un poco ondeggianti mentre in mente gli riecheggiano ricordi lontani. E’ indeciso sulla direzione e sul ritmo del cammino ma poi si rassicura. In qualche modo troverà ciò che cerca.

Il cielo tinge il paesaggio di una luce grigia e lattiginosa, eppure ogni tanto uno spiraglio si apre e un raggio di sole sbuca di prepotenza, tracciando un fascio obliquo. E’ una primavera che somiglia all’autunno, tanto incerta é la sua convinzione di precedere l’estate. Così l’inverno può ancora affermare ogni tanto la sua supremazia, lanciando raffiche di vento che sconvolgono le foglie appena nate.

Ad un tratto, proprio quando inizia a dubitare di riuscire a trovare il suo destino, Renato scorge sbalordito una figura umana tremula nei contorni quasi come un miraggio che, in groppa ad un cavallo, si sposta sul ciglio dell’altura di fronte. Per attirarne l’attenzione agita le mani ma non grida; sa che non sarà la voce a fermarla ma solo la purezza della sua determinazione. In ogni caso il cavaliere si arresta quasi subito, pare perfino che si giri a guardarlo. E cosi finalmente Renato può tirare un sospiro di sollievo. Forse ha raggiunto il confine del sogno.

In quel momento il globo sanguigno del sole, lievemente sfocato e anch’esso tremulo nei contorni, esce improvvisamente da uno strappo del grigio. Subito la pianura nebbiosa si tinge dello stesso rosa dei sogni. Ma la luce va oltre, risale i fianchi della collina, si allarga sul piazzale, insinuandosi nel varco dei grattacieli ciechi che l’assorbono senza rifletterla, e risale dall’altra parte fino al cavaliere. Questi, come se fosse il segnale che stava aspettando, riprende subito ad avanzare.

“Riuscirò a rivelare a me stesso l’origine dei desideri e la meta oltre il limite?” si chiede Renato e intanto cerca inutilmente tra i solchi della terra qualcosa che gli ricordi il suo passaggio, quasi una traccia per tornare indietro.

“I sogni hanno tutti un profilo circolare” dice tra sé per incoraggiarsi. “Certamente tornerò allo stesso punto, quindi é inutile preoccuparsi. Ma se poi la memoria mi abbandona? Se ritornando   non saprò riconoscere il principio del viaggio, che ne sarà di me? Farò in eterno il medesimo giro?”

Poi sorride e scaccia il pensiero molesto con un gesto della mano. ‘Perché dovrei preoccuparmi per questo, dal momento che é il problema di tutti?  La vita stessa descrive una spirale, che dapprima si espande e poi torna a riavvolgersi fino al punto di inizio. Perché per me dovrebbe essere diverso? Il difficile é inventarsi una storia o comunque un motivo che ti spinga a partire.”

L’oscurità della sera scende dolcemente per non impaurirlo. Il vento ha cessato di soffiare e l’aria resta tiepida un pò più a lungo. Le luci incerte del paese si accendono ad una ad una ma scompaiano poco dopo, vinte dai grandi fari del cantiere. Renato si guarda le mani investite da quella luce spettrale. Anche il suo volto probabilmente avrà assunto il medesimo aspetto. Meglio andarsene alla svelta cercando riparo nel buio.

“Domani, se sarà una bella giornata, andrò a raccogliere gli asparagi” si ripromette pieno di speranza. E’ una cosa che non fa da tanti anni. Sa che ci vuole l’occhio esercitato per distinguerne le punte sottili che sbucano dalla terra mimetizzandosi con la vegetazione vicina. Ricorda che cambiano perfino colore a seconda del tipo d’erba che li circonda. E’ una cosa che ha sempre saputo eppure, ora che gli torna in mente, per la prima volta si chiede se siano gli asparagi a volersi confondere con le piante vicine per evitare di essere presi o se invece siano quest’ultime a sforzarsi di assomigliare ad essi. Ma anche questo é un problema circolare; inutile pensarci. In ogni caso Renato spera di riuscire a trovarne in abbondanza. Del resto non é mai troppo tardi per ricominciare.

 

 

XXXVI

 

Decisamente era un bel tramonto, il primo dopo tanti giorni di pioggia. Ormai l’estate non poteva tardare e anche se in quel  posto dall’indomani non sarebbe cresciuto più niente, l’aria si sarebbe comunque riscaldata. Poi di nuovo l’autunno con le prime piogge che avrebbero cominciato a spazzar via i detriti. Infine il gelo e la neve dell’inverno forse sarebbero riusciti a incrinare qua e là il cemento e l’asfalto, riscoprendo la terra. Se così fosse stato, i primi esili steli d’erba potevano riapparire già la primavera seguente. Sarebbe stato solo l’inizio, ma l’importante comunque era ricominciare.

Andrea sapeva che al calar della sera il guardiano si sarebbe momentaneamente allontanato per andare a mangiare. Il tempo non era molto ma gli sarebbe bastato per realizzare il suo proposito. Del resto l’esplosione si sarebbe facilmente propagata tra tante costruzioni addossate tra loro mandandole giù come birilli.

“Buonasera, ingegnere. Lei si trattiene?” gli chiese rispetto­samente il custode quando lo trovò nel suo ufficio. Era appena montato di guardia e vedendo le luci accese era entrato per controllare. Finora il suo non era stato certo un lavoro impegnativo. Chi mai poteva venire a rubare in una zona così fuori mano? Comunque quei mesi di inattività lo avevano appesantito nel fisico è ormai sempre più di rado durante il servizio si spostava dalla sua comoda poltrona per andare in giro a ispezionare.

Andrea gli rispose di non preoccuparsi. Anzi, se voleva andare a mangiare qualcosa in paese, lui sarebbe rimasto ben volentieri a sorvegliare il cantiere fino al suo ritorno. Aveva ancora molte carte da sistemare prima della partenza perciò doveva trattenersi ancora in ufficio.

Il guardiano gli sorrise visibilmente sollevato. Aveva temuto che la presenza dell’ingegnere gli impedisse quella sera di allontanarsi per la solita cenetta e la partitina a carte. Ringraziò e se ne andò in tutta fretta, quasi temesse un suo ripensamento.

Andrea aveva sistemato tutto l’occorrente in un borsone di plastica, nascosto nell’armadio metallico dell’ufficio. Non era stato difficile sottrarre dal deposito i candelotti di dinamite e la miccia, approfittando di una momentanea assenza del responsabile. Non aveva molta pratica di esplosivi ma durante i lavori li aveva visti adoperare spesso per vincere le rocce più ostinate. Del resto non doveva far altro che piazzare l’esplosivo nei punti strategici e collegarlo alla miccia. Ma ora che il custode se ne era andato, bisognava agire senza indugio.

Alzandosi dalla poltrona, guardò per l’ultima volta quell’ufficio minuscolo e anonimo dove aveva passato tante ore. Si accorse di non rimpiangerlo affatto; semmai avrebbe rimpianto i momenti passati nei boschi alla ricerca di un’indefinibile certezza, le chiacchiere in paese e il vino che gli scendeva giù piacevolmente riscaldandogli il cuore. Forse avrebbe rimpianto anche quel velo tenue di tristezza che gli appannava gli occhi la sera prima di coricarsi. Ma soprattutto avrebbe rimpianto lei e insieme quel sogno impossibile che l’aveva sedotto mentre l’amava. Comunque tra poco tutti questi ricordi si sarebbero sparsi nell’aria senza più ricomporsi.

Le mani si muovevano agili e sicure mentre legava i candelotti tra loro e li sistemava nei punti prescelti con cura amorevole. Si muoveva senza difficoltà, guidato dalla luce di una torcia elettrica. Ad un tratto gli sembrò di sentire dei rumori dietro di lui e si voltò a scrutare l’oscurità. Era troppo presto perché fosse il guardiano e poi conosceva bene il suo passo pesante. Doveva essere qualcos’altro, forse un cane randagio o magari solo uno scherzo della sua immaginazione.

Terminò il lavoro in pochi minuti,poi controllò con attenzione che tutti i candelotti fossero collegati alla miccia. Fin dal momento che aveva concepito il progetto si era reso conto che per lui non poteva esserci scampo né del resto gli importava. Mai avrebbe voluto vanificare l’unica azione importante della sua vita permettendo a se stesso di sopravvivere.

Ormai tutto era pronto; non gli restava che accendere la miccia. Estrasse l’accendino e guardò la fiamma oscillare sotto la brezza notturna. Per un istante pensò perfino di accendersi una sigaretta ma poi non lo fece perché era un gesto sciocco; certamente gli sarebbe mancato il tempo per finirla. Ora doveva sbrigarsi!

 

* * * * * *

 

Pochi minuti prima, incuriosito dal guizzo mutevole di una torcia elettrica, Renato si era avvicinato alla rete.

“Forse é qualcuno che ha perduto qualcosa e la sta cercando” si era detto in quel momento.

L’ipotesi aveva reso lo sconosciuto talmente interessante ai suoi occhi da fargli dimenticare il proprio disgusto per quella giungla di cemento e scavalcare la rete con poche agili mosse. Ma quando si era reso conto che quella figura che intravedeva a stento nella penombra, più che cercare si stava liberando di qualcosa, sia pure a malincuore, a giudicare dalla lentezza con la quale lo deponeva al suolo, Renato si era chiesto per quale motivo quell’uomo dovesse privarsi di ciò cui teneva tanto. Poi la fiammella di un accendino era comparsa nella mano di costui, illuminandogli il viso. Solo allora riconobbe Andrea e stava quasi per avvicinarsi per salutarlo. Ma quel briciolo di prudenza che sopravviveva in lui lo spinse ad indugiare per spiarne ancora le mosse.

 Subito dopo una luce livida e filante si era propagata dalla sua mano come un rivolo d’acqua, correndogli veloce davanti verso il nero profondo. E così improvvisamente Renato si rese conto di essere finalmente arrivato al termine del viaggio. Sorrise al pensiero che solo grazie a ciò che Andrea aveva lasciato lui tra poco avrebbe trovato quello che andava cercando da tempo. Ma quando l’amico si voltò, dando le spalle alle costruzioni e incamminandosi tranquillamente nella sua direzione, Renato comprese che in fondo anche Andrea stava per trovare ciò che aveva perduto.

Il lampo dell’esplosione precedette solo di un’infinitesima frazione di tempo il boato, eppure entrambi la misurarono e la utilizzarono meglio di qualsiasi strumento di precisione. La luce violenta investì Renato e così anche Andrea lo vide e lo riconobbe. Nessuno dei due ebbe il tempo e neanche la voglia di parlare. In quell’attimo ciascuno lesse negli occhi dell’altro la medesima soddisfazione e si congratularono a vicenda per la brillante idea. Quando lo scoppio li investì s’erano già detto tutto e entrambi attendevano con ansia di raggiungere la meta.

L’esplosione annientò in un attimo il lavoro di tutti quei mesi e scavò nella terra una buca profonda, mettendo a nudo radici antiche e resti dimenticati di un passato lontano.

 Né Andrea né Renato potevano più muoversi, ma se si fossero potuti avvicinare al cratere, avrebbero certamente notato in quel ventre ricco di anfratti ossa bianche e consunte, perfino una mano artigliata per sempre intorno alla spada.

Polvere nata dal cemento e polvere che veniva da più lontano scese lentamente sulle rovine, quasi a sigillare la scena. Per qualche tempo fu l’unica cosa che si mosse. Poi cominciarono ad arrivare da lontano voci e rumori. Mani metalliche scavarono tutta la notte e il giorno seguente, per sgombrare ma anche per cercare di capire la ragione di una tale distruzione. Quando li ritrovarono era quasi il tramonto.

 

 

 

 

FINE