XI

 

          Renato spense la luce sul comodino dicendo a se stesso che anche quel giorno era passato e che poteva finalmente dormire. Eppure era cosciente che il suo ritmo biologico si era completamente invertito; ormai sognava da sveglio mentre dormendo era costretto a pensare solo a storie vissute e terribilmente consequenziali che gli toglievano il piacere del riposo. Né ignorava che questa fosse la vendetta della realtà, perché essa, tenuta a bada durante il giorno, con l’oscurità riusciva a impadronirsi di lui approfittando della stanchezza.

Renato stava ridiventando un lago di memoria e anche quella notte sarebbero tornate al suo capezzale parole dette e fatti già accaduti. E insieme al resto sarebbe tornata anche lei. Ancora una volta tutto si sarebbe ripetuto nel medesimo modo perché Renato non poteva cambiare nemmeno una virgola.

Quella sera non c’era neanche Beatrice a dargli un pò di coraggio e a preparargli il caffè la mattina. Ma anche quello sarebbe stato comunque un risveglio usuale, perché Renato dopo il primo sorso avrebbe certamente borbottato un “Che schifo” pieno di rassegnazione e lei ancora una volta avrebbe sorriso, convinta che quello in fondo era un modo per ringraziarla ed augurarle il buongiorno; senza capire nemmeno quella volta che lo schifo che Renato provava veniva da dentro e che quella tazzina anzi gli era indispensabile per metterne fuori almeno un pò senza vomitarlo per terra.

Restò qualche minuto tra sonno e veglia, incerto su quale potesse essere il pensiero migliore per superare il limite e scendere finalmente nell’oscurità.

Fuori la vita continuava a vegliare con strani e molteplici rumori,mentre le sirene delle auto in sosta ripetevano ogni tanto il loro richiamo straziante e la televisione del vicino spandeva nell’aria voci tirate a lucido e musiche insinuanti. Ogni tanto ritmi bassi e rochi di tamburo sfuggivano dai finestrini delle automobili in fila, per salire fino ai vetri delle sua finestra che vibravano violentemente nel tentativo di non farli entrare. Decisamente lì intorno Renato non sentiva niente di piacevole da portare con sé, nulla che potesse aiutarlo a varcare la soglia.

Una volta era stato diverso perché il pensiero di lei era la migliore garanzia per una lunga notte piena di sogni. Ora invece doveva scacciare ogni idea che gliela ricordasse, pur sapendo che era del tutto inutile; certamente sarebbe venuta non appena si fosse lasciato andare.

Eppure Renato non rinunziava del tutto alla speranza di riuscire almeno per una volta a dormire senza essere costretto a seguire i suoi terribili ragionamenti fino al punto - quando proprio era alle strette - di doversi svegliare e alzarsi per andare a fumare.

Renato cercava una notte che gli fosse amica e gli restituisse il mare e i fantasmi di quando era bambino.

Suo malgrado qualcosa dentro gli cedette di colpo e si trovò immerso nella nebbia. La sua mano, fino a quel momento contratta sull’orlo del cuscino, finalmente si rilasciò e le dita si aprirono. Era il suo solito modo per salutarla e per dirle che era pronto a soffrire.

Quella notte lei apparve vestita di bianco, ostentando buona parte del suo corpo abbronzato fuori la gonna corta e l’ampia scollatura. Aveva sempre avuto seni violenti e lui accarezzandoli cercava ogni volta di schiuderne il guscio duro e ruvido per penetrare in lei. Anche il suo sorriso era il solito, sicuro e enigmatico, tanto da sommergerlo come sempre nell’incertezza. Insomma era del tutto uguale a se stessa, immobile ed eterna nel significato, immutabile, forse addirittura più di quanto lo fosse stata in quei giorni. Ma Renato indovinava che quell’enorme spreco di realtà e concretezza celava in fondo una miseria sottile,addirittura un impercettibile vuoto di sostanza che a volte riuscito a scalfire durante quei suoi silenzi grigi o i lamenti rochi di quando tornava femmina.

Non cercò di toccarla tanto sapeva che era inutile. Lei avrebbe sicuramente riso del suo smarrimento nel brancolare nel vuoto e lo avrebbe ancora una volta convinto di essere troppo leggera per poter rimanere posata sul fondo come lui. Doveva liberamente galleggiare nell’aria come una piuma e come piuma suscitare al contatto un brivido sottile di piacere e anch’essa fremere contemporaneamente ma senza che si potesse udire alcun lamento.

Da una impercettibile ruga sul suo viso, Renato capì che avrebbero ripetuto la scena finale, proprio quella cambiata tante volte nei suoi sogni diurni. Notò nei suoi capelli un’agitazione leggera e dietro di lei la rosea foschia del primo autunno, mentre aveva già iniziato a dirgli di volerlo lasciare perché il senso di quella storia ora riempiva completamente le sue ore, sottraendola al mondo dove aveva le proprie radici. Lui le chiese di piegarsi al destino, lasciando che la corrente della vita li portasse lontano. Ma lei replicò che aveva visto nei suoi occhi quando si amavano un azzurro troppo profondo e che mai avrebbe abbandonato le sue certezze per seguire il filo sottile dei desideri nel labirinto dei sogni.

Anche in quel momento il viso di lei era solare e il suo corpo fremente di desiderio contrastava con la voce dura con la quale scagliava i pensieri. Del resto l’aveva amata proprio per questo e insieme a lei aveva amato il proprio tormento per non sapere infrangere quel muro di cristallo fino a rivelarla a se stessa. Poi lei se ne andò lentamente, tornando a poco a poco nel buio da dove era venuta insieme con la foschia rosea, mentre Renato rimaneva esausto sulla panchina a guardare le grandi foglie ingiallire e volar via dai rami come uccelli disorientati. E d’improvviso, prima che potesse svegliarsi, giunse l’inverno.

 

 

XII

 

“Non dirò ad altri che un pensiero sottile mi cattura la mente e  blocca il mio sguardo verso un punto lontano, dove fino a poco tempo fa indovinavo sorgere il sole e che ora si tinge di verde e nel verde sembra quasi affondare. Mi accorgo con sorpresa che tutto il profilo di questa collina ogni giorno si va facendo più rotondo. Qualche volta mi é sembrato, specie all’imbrunire,che un’ombra vi si aggirasse.Ma quell’ombra é scura quasi quanto la montagna che sta di dietro e non mi stupirei se essa ne fosse in realtà una propaggine che si spinge furtivamente verso la pianura. Del resto essa ha il colore del lupo, spesso anche la forma e perfino la guizzante rapidità e i lupi - si sa - qualche volta scendono a valle.” mi dice Renato tutto d’un fiato, quasi fosse un monologo imparato a memoria tenuto pronto per l’occasione giusta.

Poi, come prevedesse la mia perplessità, aggiunge: “Le parole potrebbero essere diverse, ma comunque quello é il significato. Altrimenti non saprei spiegarmi perché  Iris ogni mattina all’alba esca di soppiatto da casa per andare ai piedi di quella collina e rimanervi finché il sole non diventi alto. Lei stessa non sa che sua madre, incuriosita, più di una volta l’ha seguita di nascosto e quando l’ha vista immobile quasi spersa nel verde incerto della prima erba, ha sorriso e quel sorriso ha cancellato di colpo buona parte delle sue rughe fino a farla tornare per un istante giovane quanto lei.”

Capisco perché Renato in questo momento si senta in vena di divagare. Fuori fa freddo e il cielo grigio non mostra il benché spiraglio che possa far sperare in un miglioramento. Lui invece ha bisogno di primavera e di una brezza leggera per scacciare il fumo denso che ristagna nella stanza. D’altronde non posso mettergli fretta; devo lasciare a lui la scelta del ritmo del racconto, pur sapendo che un giorno potrebbe anche accadere che Renato rimanga definitivamente a corto di argomenti e sia costretto ad aprire gli occhi. Dio non voglia che quel giorno arrivi mai e se proprio dovesse arrivare spero di non trovarmi nei paraggi.

Nella stanza la malinconia ha tessuto una trama sottile che vela le cose smorzando colori e contorni. Anche il suo viso emana una tristezza densa che cattura il fascio di luce già scarso che entra dalla finestra. Dai suoi occhi un cono d’ombra si getta sul pavimento e attraversa la stanza fino alla porta, insinuandosi sotto di essa.

“Non lasciare che questa tristezza continui a salire fino ad invadere tutta la casa” gli dico in tono calmo ma deciso.”Se non la blocchi in tempo sommergerà ogni cosa e la tua vita si fermerà per sempre. La tua - bada bene - non già quella di un altro. Il mondo continuerà a girare anche senza di te. Addirittura c’é il rischio che nessuno si accorga di niente e quand’anche qualcuno, ricordandosi di te, si chiedesse se esisti ancora, al massimo proverebbe a telefonarti e non ricevendo risposta si rassegnerebbe subito, convinto di aver fatto il possibile per riafferrare i fili della tua esistenza.”

Lui mi guarda con aria interrogativa e mi chiede: “Ma davvero pensi che abbia ancora qualcosa da raccontare? E se anche fosse,credi che interessi a qualcuno?”

Vortici irregolari, generati solo in parte dal fumo del suo toscano, si sollevano nell’aria fino al soffitto e una volta là si dileguano, vinti dal bianco. Lui se ne sta a guardarli in silenzio, forse affidando loro i suoi pensieri. Faccio passare un pò di tempo e poi vado deciso ad aprire la finestra, lasciandola spalancata finché il fumo non si disperde. “Ora non potrà più tirarsi indietro” mi dico. Anche lui sembra rendersene conto perché accetta con mezzo sorriso di rassegnazione il mio sguardo di attesa.

“C’é stato un tempo in cui scrivevo le storie che mi venivano in mente e perfino quelle che stavo vivendo; ma la penna ogni volta le travisava al punto che io stesso poi stentavo a riconoscerle. Non c’é da stupirsi se nessuno abbia mai voluto pubblicarle. All’inizio pensai che forse poteva bastare solo un piccolo cambiamento di tono per rendere tutto più vero o - che so io -  una leggera variazione nel modo di tenere la penna, magari un battuta sui tasti più lenta, addirittura una semplice sostituzione dei caratteri di stampa. Giocavo con le parole come i pezzi di un puzzle ma il disegno completo si rifiutava ostinatamente di uscire. Insomma, per quanti sforzi facessi, non riuscivo mai a trovare la giusta dimensione, mentre leggendo i libri altrui rimanevo sempre colpito dal meraviglioso senso di convincimento che scaturiva in me. Mi ci vollero anni prima che comprendessi che non erano le parole ma gli spazi vuoti tra riga e riga e perfino tra una parola e l’altra che davano il vero significato. Così indovinai che sotto ogni pagina ce ne fosse un’altra molto più importante anche se nascosta alla vista e che da essa derivasse tutto il senso. Dovetti ammettere che per un’inspiegabile ragione le mie pagine erano troppo sottili e le mie parole troppo piatte per contenere qualcosa che avesse veramente uno spessore. Smisi di scrivere, anche se continuai a pensare come se lo stessi ancora facendo. Oggi ho in testa un’infinità di storie avvincenti con tanti personaggi meravigliosamente definiti in ogni particolare. Eppure se tentassi di raccontarle sono certo che qualunque vicenda perderebbe di colpo il suo significato.”

Mi chiedo quanto ci sia di vero in quello che dice. Non ho riflettuto sul problema, ma so che a volte i riflettori sul palcoscenico, se ben orientati, possono trasformare una scena insulsa in un dramma esaltante. So anche quanto sia importante per un film  una buona colonna sonora perché senza di essa più di una sequenza diverrebbe banale. Per giunta ho visto troppi libri prima disposti in bella mostra sugli scaffali delle librerie e poi venduti a peso o mandati al macero. Molto spesso il senso delle cose ci viene imposto da campagne pubblicitarie organizzate a tavolino e dirette da esperti il cui unico obbiettivo é la creazione dei significati e dei bisogni. La smettesse una buona volta con  questa lotta impari contro il mondo che gli sta fuori e trovasse il modo di costruirsi da solo la propria realtà, sforzandosi di imporla agli altri senza esitazioni. E infine vorrei dirgli che se ha qualcosa dentro deve avere il coraggio di esprimerlo.Nessuno potrà criticarlo per la sua scelta di parole, colori e verità.Il suo campo di papaveri potrebbe certamente essere azzurro o verde perché se lo avesse dipinto con pieno convincimento nessuno ne dubiterebbe. Ma Renato é un poeta, forse l’ultimo al mondo; certo  le mie parole gli spezzerebbero il cuore. Così mi limito a guardarlo in silenzio, con l’aria di aver capito e di condividere. Fuori ormai sta piovendo.

 

 

 

XIII

 

Ora per andare a cavallo non aveva più bisogno del mantello né delle pesanti calzature ricoperte di pelliccia. Le giornate si erano allungate e al tramonto il sole calava in mare sempre più lentamente. Cominciava davvero a far caldo, eppure la sera lui continuava a sedersi davanti al fuoco, fissando con aria assente le fiamme che lambivano le pietre del focolare mentre sua moglie preparava la cena. Lei non gli aveva mai chiesto il motivo del suo mutismo; come ogni donna sapeva stare al suo posto, eppure non riusciva a nascondere del tutto il proprio disappunto.

Inutilmente lui aveva tentato di scuotersi, ripetendosi che in fondo non era successo niente e che la sua vita rimaneva comunque racchiusa nella limitata cerchia del villaggio. Dopo vari tentativi inutili fu costretto ad accettare il proprio cambiamento.

Il viso di Iris gli tornava in mente di continuo e a volte la vedeva anche in sogno mentre gli faceva cenno di raggiungerlo. La lotta interiore tra le certezze del passato e questi nuovi confusi desideri finì col non dargli più tregua, togliendogli il tempo e la voglia di dedicarsi ad altro.

Era salito spesso sulla collina ma lei non era mai venuta.Alla fine si convinse che non sarebbe più tornata; forse s’era procurato il latte altrove o forse le sue bestie avevano ripreso a produrlo.

Quell’anno la caccia al cinghiale si era conclusa con un ricco bottino e il suo popolo aveva celebrato l’avvenimento con grandi libagioni. Lui non aveva potuto sottrarsi alle feste e alle cerimonie di ringraziamento agli Dei e al momento non si era ancora ripreso dalla sbornia. Nel vino aveva cercato l’ebbrezza e insieme l’oblio ma invece si era ulteriormente acuito il bisogno di lei. E così la decisione tante volte rimandata, ora che era definitivamente prostrato dal proprio isolamento, divenne ai suoi occhi l’unica possibile. Sapeva bene di non poter rivelare a nessu­no il proposito di varcare il confine del suo territorio solo per rivedere una donna straniera, col rischio di essere sorpreso da qualcuno della tribù di lei e tutte le conseguenze del caso. Ma anche quando la sua mente non fu più annebbiata dal vino, continuò ad essere fermamente convinto della propria decisione e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì completamente sereno.

Mentre nel cielo terso cominciavano appena a impallidire le stelle, lui era già sulla collina, seduto sul solito masso rotondo. Lentamente si liberò del pesante bracciale e di ogni altro fregio sugli abiti che potesse tradire la sua condizione di capo. Solo la spada e il coltello rimasero infilati nel fodero e quando i primi di sole illuminarono la pianura, si avviò deciso giù per il  sentiero.

Continuava a scendere rapidamente, incurante dei graffi che gli procuravano i rovi cresciuti in abbondanza su quella strada così poco battuta, mentre la voglia di rivederla, troppo a lungo confinata nell’angolo più riposto della sua mente, cominciava finalmente a riespandersi. Il suo corpo intanto andava riprendendo l’antico vigore. Sentiva che in quel nuovo giorno tutto gli sarebbe stato possibile, perfino riuscire a parlarle e comprenderla, addirittura abbracciarla senza che lei lo respingesse.

Ormai aveva quasi raggiunto la pianura e poteva già distinguere in lontananza il boschetto dove l’aveva vista entrare l’ultima volta.Era così attento a guardare in quella direzione che non si accorse di quanto lei fosse vicina finché la distanza non si ridusse a pochi passi. Ritrovarla era stato più facile del previsto. Eppure quell’incontro tante volte sognato ora lo coglieva talmente di sorpresa da non sapere come comportarsi. Iris al contrario non sembrava affatto stupita e continuava a fissarlo mentre le si avvicinava con aria un pò guardinga. Per fortuna un sorriso tranquillo sul viso di lei gli spianava la strada. E così, quando le fu tanto vicino da poterla toccare, dopo un solo attimo di esitazione le prese le mani e guardandola negli occhi sussurrò il suo nome.

 

 

XIV

 

La giornata era grigia esattamente come il vestito che Andrea aveva indossato quel mattino. Riflettendoci, si accorse che la scelta non era stata casuale; anche quel giorno mentre si faceva la barba aveva gettato un’occhiata al cielo dalla finestra del bagno. Dovette ammettere che da qualche tempo si lasciava influenzare un pò troppo dalle condizioni metereologiche; forse anche questo era un segno di senilità precoce, così come la mancanza di desiderio sessuale, le manie sempre più numerose, le improvvise amnesie. Eppure aveva solo quarantatrè anni, un altro al posto suo si sarebbe certamente considerato ancora giovane. Ma forse quell’altro non aveva dovuto affrontare la vita come aveva fatto lui.

Andrea quella mattina si sentiva così grigio da non riuscir nemmeno a immaginare il modo come iniziare la giornata. Continuava a restare seduto dietro la scrivania, con il giornale piegato da una parte e le sigarette sull’altro lato del ripiano.

Fuori del suo ufficio i rumori consueti e le voci degli impiegati che già da un pezzo avevano cominciato a lavorare o almeno a far finta di farlo. Nella stanza attigua il Direttore sicuramente si stava già dedicando alla lettura della corrispondenza. Tra poco l’avrebbe chiamato, affidandogli il lavoro più ingrato come decifrare calcoli o verificare statistiche già controllate almeno una decina di volte da altri prima che arrivassero al suo tavolo. E così, sia pure in maniera tanto pedestre, sarebbe finalmente iniziata anche per Andrea la giornata. Del resto poteva considerarsi fortunato perché nonostante tutto riusciva comunque a svolgere un’attività attinente alla sua professione. Il suo capo invece non poteva farlo, assorbito com’era dai continui colloqui con politici, segretari di partito, assessori, sindacalisti e una serie quasi infinita di incerti personaggi che sorgevano come dal nulla ogni volta che un progetto si avviava verso la realizzazione.

Ricordava perfettamente, trattandosi di un’epoca recente, il tempo in cui si era logorato nel tentativo di scalare il più rapidamente possibile i gradi subalterni e intermedi della carriera. In ciò indubbiamente il Direttore era stato l’alleato più forte e autorevole. Andrea all’inizio aveva creduto che lo facesse solo per stima ma poi si era accorto che era soprattutto per calcolo. Infatti questi sapeva bene che, per quanto lo favorisse, la sua ascesa a un certo punto si sarebbe dovuta arrestare, essendo il livello apicale saldamente occupato da lui stesso. Inoltre gli avanzamenti di carriera di Andrea gli permettevano di caricare sulle sue spalle un fardello di responsabilità sempre più pesante, senza dover rinunziare a prendersi il merito delle iniziative di successo e viceversa addossargli ogni colpa se le cose prendevano una brutta piega.

Andrea aveva raggiunto da un pezzo il grado più alto dopo quello del Direttore, ma se anche il vertice si fosse reso disponibile, non c’era alcuna certezza che avrebbero conferito l’incarico a lui.La Società infatti si era talmente ingrandita negli ultimi anni che le pressioni sui suoi padroni, purché provenienti dall’alto,avrebbero potuto facilmente minimizzare qualunque merito. Nulla avrebbe impedito la nomina di uno qualsiasi, anche se privo di competenza ed esperienza,purché ben introdotto negli ambienti giusti.Ma ormai ciò non interessava ad Andrea; anzi si augurava quasi di poter rimanere per sempre a quel livello che gli garantiva una soddisfacente tranquillità economica e nel contempo lo lasciava fuori dagli intrallazzi e compromessi del vertice. Del restai anche lui aveva imparato a rifilare a sua volta ai subalterni i compiti che non gli garbavano o che riteneva noiosi. Tuttavia questo comportamento era solo in apparenza uguale a quello del Direttore, perché per costui significava invece affidare in mani esperte e sicure il proprio lavoro, conservandone comunque prestigio e meriti. Il suo capo era al corrente dello scaricabile che spesso veniva effettuato, ma lasciava correre a patto che Andrea non rifiutasse la sua disponibilità per la soluzione dei problemi più spinosi, rimanendo discretamente all’ombra. Del resto Andrea non poteva comunque rappresentare una minaccia per il Direttore, in primo luogo perché non aveva il carattere di chi trama alle spalle e poi perché non gli sarebbe convenuto in ogni caso, avendo forti probabilità di seguire il suo destino se questi fosse caduto in disgrazia. Tale equilibrio, apparentemente instabile, era in realtà la forma più sicura che il Direttore avesse escogitato per conservare il potere il più a lungo possibile.

Il trillo del telefono interruppe le sue riflessioni. Come immaginava, il capo lo desiderava nel suo ufficio per “discutere di un problema”. Ormai quella era diventata una frase di prammatica. In realtà non ci sarebbe stata alcuna discussione; ancora una volta quell’ometto piccolo dagli occhi furbi gli avrebbe sinteticamente illustrato i termini di una nuova questione, sollecitandolo a trovare una soluzione, preferibilmente in maniera rapida e che gli evitasse (ma questo era sottinteso) qualunque seccatura. Dopo di ché si sarebbe disinteressato completamente dell’ argomento, ma solo in apparenza, perché,passato qualche giorno e proprio quando Andrea meno se lo aspettava,gli avrebbe chiesto perentoriamente di essere informato degli sviluppi della cosa. Solo in quella occasione il Direttore avrebbe finalmente fatto sfoggio della propria sagacia in quanto poche parole gli sarebbero bastate per inquadrare la questione e individuare gli eventuali punti deboli della soluzione proposta da Andrea.

Si avviò senza fretta verso l’ufficio del suo superiore e dopo aver bussato entrò senza attendere risposta. Quel mattino  il Direttore sembrava più allegro del solito, tanto che nel vederlo si alzò di scatto dalla poltrona e gli venne incontro sorridendo. Ma quella sua apparente cordialità era un cattivo segno perché nascondeva a mala pena la sua impazienza di scaricargli l’ennesima rogna.

Andrea non si sbagliava; di fatti il capo, trascurando ogni preambolo,gli confermò che il progetto per lo sviluppo dell’entroterra era stato definitivamente approvato. I lavori sarebbero cominciati al più presto e loro si erano assicurati uno dei maggiori appalti (nel dirlo non fu capace di celare il proprio compiacimento, essendo suo il merito principale). Poi aggiunse che era un’opera importante,forse la più importante che la Società si fosse aggiudicata negli ultimi quarant’anni (all’incirca la propria età, considerò mentalmente Andrea per un istante). A dirigere i lavori ci voleva quindi un uomo veramente esperto.

“Sarei felice di andarci io, ma ormai sono troppo vecchio” gli disse poi con aria di rammarico che sembrava del tutto sincera. Ma Andrea sapeva perfettamente che il Direttore non aveva alcuna intenzione di andarci. Stava solo cercando di indorare la pillola, tentando di dimostrargli che si trattava di un incarico grande prestigio che lui rifiutava solo a malincuore. Subito dopo aggiunse: “Come le anticipai qualche tempo fa, affiderò a lei quell’incarico perché si é tanto prodigato per l’Azienda in tutti questi anni. E’ la sua grande occasione e io sono certo che non fallirà”

Dal tono di voce si capiva chiaramente che il Direttore non aveva alcun dubbio che Andrea potesse non accettare. La sua non era una richiesta bensì una concessione in segno di alta stima.Inutilmente Andrea si sforzò di escogitare un qualche pretesto che potesse giustificare un suo rifiuto. Ormai era definitivamente incastrato; non gli restava che ringraziarlo per la fiducia datagli, rassicurandolo che avrebbe fatto tutto il possibile per essere all’altezza.

Uscendo dalla stanza si fermò un momento a contemplare il grande plastico. Era lo stesso dell’altra volta, eppure sembrava diverso. Vedendolo lì fermo, il Direttore gli rivolse un’occhiata interrogativa. “Qualcosa non va?” gli chiese allarmato.

 “Oh, niente. Stavo solo ammirando il plastico” gli rispose Andrea. Subito dopo si avviò alla porta, chiudendosela delicatamente alle spalle.

Nel modellino sulle bianche facciate degli edifici aveva notato numerose impronte di mani sudate e perfino qualche segno di matita, a testimonianza di quanto fosse stata violenta la battaglia per la spartizione. Uno strappo sul finto prato verde lasciava intravedere il ripiano nero del tavolo sottostante. Era solo un piccolo squarcio ma a lui in quel momento era sembrato quasi una voragine senza fondo.

 

 

XV

 

Il primo sole di marzo gettava sprazzi improvvisi di luce sulle strade della città, alternando angoli grigi d’inverno a isole dove l’estate era già cominciata. Così si potevano osservare mescolati tra loro in apparente confusione volti che già ammiccavano al sole con un mezzo sorriso e altri ancora appannati dal letargo invernale.

Ma era soprattutto nelle giovani donne che si apprezzava meglio il cambiamento, perché attraverso il soprabito aperto mostravano senza incertezze la minigonna e la maglia scollata.

Erano le stesse giovani donne che durante l’inverno rabbrividivano per strada sotto le improvvise folate di vento o rimanevano tappate in auto con il viso rivolto al finestrino, consumando con lenta voluttà le ore immobili del sabato sera,mentre il fumo delle loro sigarette si mescolava agli scarichi rabbiosi dei diesel ingabbiati nel traffico.

Solo le facciate dei palazzi restavano immerse nel consueto grigiore fatto di polvere e nerofumo che ne occultava il colore originario. Ma di ciò nessuno sembrava preoccuparsi, così come era accaduto anche in inverno, quando la pioggia cadeva violenta e ugualmente non riusciva minimamente a scalfire quella sporcizia.

La città continuava comunque a respirare, nonostante la crosta sempre più spessa che la ricopriva e i rumori sempre più laceranti. Anzi era proprio il rumore, amplificato ed esasperato a bella posta, il segnale sicuro del risveglio.

La certezza del risveglio non sembra scalfire Renato che continua a fumare lentamente il suo toscano. Avvolto in un maglione pesante finge ancora l’inverno, illudendosi di poter contrastare il ritmo delle stagioni. E’ inutile chiedergli il motivo; so già che nell’aria lui non avverte alcun cambiamento,ma solo remote nostalgie e ancora altre incertezze. Non gli dirò che la realtà é addirittura peggiore perché perfino gli alberi da lui tanto amati celano sotto la scorza dubbi angoscianti e fioriscono solo nell’illusione di  tornare ad essere se stessi.

Mentre dormiva,sono andato fuori città e appena possibile ho lasciato la macchina per camminare a piedi. Dappertutto la stessa desolante finzione; vedevo fiori sorgere dalla plastica e alla plastica protendere come un nuovo ideale. Nell’aria lo stesso sapore di acido e fumo. Un pesco fiorito sognava orizzonti lontani e apriva i suoi rami secchi come braccia rassegnate  al martirio. Solo la sua anima continuava a cercare attraverso le radici terra che non sapesse di cemento e acqua, se non sorgiva,che almeno non nascondesse l’insidia del veleno.

Renato resta avvolto nell’inverno, illudendosi che sia solo un lungo letargo in attesa della resurrezione. Guardandolo vedo in lui molte vite e addirittura numerosi universi che hanno tutti il profumo del pane fresco. Se mi avvicinassi di più forse potrei nei suoi occhi meravigliosi paesaggi ma ho paura che sarebbero tutti avvolti dal tramonto. E forse la mia ombra in quel crepuscolo gli sembrerebbe una lama sottile da affondarsi nel cuore. Lascio allora che gli si avvicinino solo i ricordi e mi nascondo nel mio solito angolo.

 “Una volta era diverso” lo sento bisbigliare a un lato della bocca. “Arrivavo sempre puntuale, anzi ero io il primo a scoprire le foglie novelle dell’ortensia. Sentivo la primavera ancor prima delle rondini e mi divertivo a chiamarle con grandi gesti circolari. Una volta avvertivo nitidamente l’aprirsi delle zolle in attesa che spuntasse la pianta e accarezzavo le braccia contorte della vite, incitandola a svegliarsi. In quel tempo le nuvole erano incerti confini di isole misteriose sempre rivolte al sole. Perfino il vento accoglievo tra le braccia diventando aquilone e annusavo in lui il profumo di terre lontane o la sabbia dell’Africa che sa d’incenso.”

Aspira il sigaro distrattamente e contemporaneamente guarda lontano, oltre il muro grigio pieno di crepe che lo separa dagli altri. D’improvviso sento un altro ricordo invadere la stanza. Anche Renato sembra accorgersene, perché ora una luce nuova gli illumina lo sguardo.

“Finalmente sei venuta.Ti aspettavo da molto” sussurra. “Ogni sera scorgevo il tuo riflesso nella rosa sporca dei bicchieri sul lavello e poi ti vedevo in tv. Il tuo viso quasi sempre era confuso agli altri. Eppure io comunque riuscivo a scoprirlo. A volte ti divertivi a nasconderti tra gli scaffali di un supermercato oppure in un’automobile fiammante, che percorreva spedita strade impossibili quasi avessi davvero la certezza di una meta. Altre volte mi mostravi solo le labbra atteggiate in un sorriso, oppure mi sconvolgevi coi tuoi seni. Puttana o casalinga, non aveva importanza come ti travestissi,io ti individuavo sempre e quando poi scomparivi restavo lì a chiedermi come avrei potuto fermarti, almeno tra i quattro spigoli di quella maledetta scatola di plastica. Ma tu continuavi a fuggire e io a inseguirti cambiando nervosamente canale, fino a quando tutto non diventava nebbia e io mi addormentavo esausto. Per molti anni questo é stato il mio inverno e ogni volta l’estate mi disorienta perché mi costringe a doverti riconoscere nei tuoi nuovi travestimenti. Avrei voluto per noi una fine naturale che maturasse lentamente attraverso parole sempre più pigre e desideri diventati abitudine. Tu invece hai deciso che tutto finisse improvvisamente.”

Dal ricordo che riempie la stanza ora sembra emergere una voce o forse é sempre la voce di Renato che cerca di darsi una risposta.

“Si é vero. L’ho fatto perché volevo che i nostri incontri lasciassero il tuo viso incerto tra la ruga e la sorpresa e i tuoi occhi in preda all’ansia di nuove scoperte. Se avessimo continuato lo sguardo ti si sarebbe lentamente appannato non trovando più in me nuove isole da esplorare. Credimi, é stato meglio così,anziché imparare a inventare sempre nuove finzioni. Almeno tu per me sarai in eterno vento che mi sconvolge i capelli e io per te fuoco da domare.”

Poi la marea lentamente comincia a calare e alla fine la stanza si svuota. Renato continua a restare seduto sulla poltrona con occhi chiusi. Ogni tanto con le braccia fa strani gesti quasi stesse nuotando ma poi anche lui deve arrendersi al silenzio.

 

 

XVI

 

 

Ormai fa troppo caldo per dormire con la coperta e il sole  entra prepotentemente dalla finestra. Renato non può più fingere di ignorare l’estate. Si arrende all’evidenza e pian piano gli sale dentro la voglia di andare lontano. Si alza senza indugio e si prepara a partire. Ha poche cose da fare, se non la doccia  e lavarsi i denti. La barba é inutile raderla, tanto dove andrà nessuno ci farà caso.

Al telefono solo brevi frasi generiche ma Beatrice intuisce quanto sia bruciante il suo desiderio. Tanto per non dargliela sub­ito vinta,gli fa notare che sono solo le otto di un sabato mattina (l’unico giorno in cui può dormire un pò di più). Per giunta la sera prima ha fatto tardi e ora ha un gran mal di testa. Ma Rena­to  non ascolta ragioni. La prega di prepararsi in fretta e di passa­re a prenderlo in auto, giacché lui non se la sente di guidare. Al­la fine Beatrice é costretta a capitolare (ormai il sonno le é pas­sato del tutto); gli chiede solo di darle il tempo per un caffè e per trovare qualcosa da mettersi addosso (sebbene nella sua mente ordinata ha già deciso cosa indossare).

Beatrice è  di parola perché dopo solo tre quarti d’ora gli ci­tofona dal portone. Lui corre giù subito, felice come un bambi­no e nella fretta dimentica di spegnere la radio (nell’aria le note di una canzone degli anni ‘60).

“Ma che ti é preso?” gli chiede Beatrice quando lui sale in macchina con un sorriso vagamente canzonatorio (che pensa sia rivolto a lei). “Oh, nulla. Vorrei andare a trovare qualcuno fuori città” le risponde.

Durante il viaggio Renato cerca di mostrarsi affabile per convincerla che non l’ha chiamata solo perché aveva bisogno di un autista. Lei guida rigidamente, con un’attenzione forse eccessi­va, seguendo le indicazioni che Renato le dà volta per volta. Non conosce bene la strada ma soprattutto é preoccupata per le sue intenzioni. Si accorge che si stanno dirigendo verso l’interno (in una giornata simile che bello sarebbe stato andare al mare). Poco dopo lui la fa svoltare per una strada non asfaltata e piena di buche. L’auto sobbalza con una sofferenza uguale alla sua (non ha ancora finito di pagare le rate). Per fortuna quando la strada diventa ancora più accidentata e inizia la salita, Renato le dice di fermarsi. Subito dopo le propone di scendere.

Fuori fa caldo e un sole violento illumina una collina piena di sassi. Nes­suno nei paraggi. “Ma si può sapere dove mi hai portato? Qui non c’é anima viva!”

“Eppure ero sicuro che li avrei trovati qui” le risponde Rena­to fingendosi sorpreso. “Comunque, dal momento che ci siamo, perché non fare due passi?” Inutile rivelarle che le persone che vorrebbe incontrare quel mattino sono invisibili agli occhi di lei. Forse riuscirebbe anche a vederle se potesse spiegarle tutto,ma é troppo difficile, certamente si smarrirebbe nelle delucida­zioni; meglio far finta di credere che siano mancate all’appunta­mento.

Beatrice vorrebbe replicare che non le sembra affatto il posto adatto per passeggiare, per giunta in una giornata cosi calda di giugno. Comunque é troppo tardi per tornare indietro e andare al mare. Tanto vale restare nei paraggi. Così, fingendo un inte­resse che non prova, acconsente alla proposta, a patto che dopo si vada a mangiare (e ovviamente, anche se non lo dice, a fare l’amore). Renato risponde con un semplice si, ma lei é sicura che abbia acconsentito a tutto.

Si avviano lentamente per il pendio, seguendo la strada (per fortuna Beatrice ha messo le scarpe da ginnastica) e dopo un pò quel paesaggio comincia a sembrarle meno desolato. Vede perfi­no fiori bianchi e azzurri in mezzo all’erba.

“Non vorrai arrivare fin lassù?” gli chiede allarmata non appena si rende conto della distanza che li separa dalla cima.

Renato non risponde subito. Osserva la stradina che si inerpi­ca sinuosa, poi la guarda di nuovo e le sorride.

“Non preoccuparti, siamo arrivati. Proprio qui si sono incon­trati da soli la prima volta e anche in seguito lei continuava ad aspettarlo qui. Eppure ogni volta che lo vedeva finalmente scendere con il solito passo svelto e pesante da montanaro il cuore cominciava a batterle forte.”

Beatrice non capisce di chi stia parlando, ma sa che é meglio interromperlo. Poi Renato  all’improvviso si ferma, e lei ne approfitta per ­sedersi su un masso.

“In quei momenti” prosegue Renato “era quasi come se il cuore le scoppiasse e si dimenticava di ogni cosa. Un giorno,dopo un improvviso e violento acquazzone che l’aveva costretta a ripararsi sotto un albero, un arcobaleno immenso colorava  il cielo.Quando l’uomo finalmente arrivò, l’arcobaleno continuava a splendere. Tuttavia non sembrò che lui l’avesse notato perché le si avvicinò come al solito, abbracciandola e baciandola per poi mormorarle le solite parole incomprensibili. Lei tentò di at­tirare la sua attenzione indicandogli in cielo l’arcobaleno. Con un lento movimento circolare della mano, quasi volesse acca­rezzarlo, ripeté più volte la parola Iris”.

“Si, ho capito le disse quando finalmente ebbe compreso. —Tu hai il nome dell’arcobaleno e io non mi stupisco. Anzi i colo­ri dei tuoi occhi e delle tue labbra sono ancora più belli. E lei, pur senza afferrarne le parole, fu certa che l’uomo avesse inteso. Abbassò lentamente la testa, raccogliendosi tutta tra le sue brac­cia, e si sentì completamente felice per quel piccolo iniziale pas­so verso la comprensione. Quel giorno Iris indossava una veste leggera color del mare e che come il mare ogni tanto si incre­spava sotto la brezza. Ad un certo punto anche lui dovette ac­corgersene perché le sfiorò la spalla, stando attento a non rovi­nare la stoffa con la sua mano ruvida, e poi guardò a ovest, ver­so il mare che sapeva meno distante, anche se non più visibile come dalla collina. Era da tanto che voleva chiederle se lei lo avesse visto da vicino e non trovava mai il modo. Adesso però gli era venuta una buona idea. Le toccò di nuovo la veste e poi si voltò in direzione del mare, muovendo le mani in modo da imitare il movimento dell’acqua che ondeggia. Iris sorrise e guardando nella stessa direzione annuì in segno di comprensio­ne. Allora lui la prese per un braccio cercando di farle capire che voleva andare insieme con lei fino al mare. Ma Iris continuò a resistergli sforzandosi di spiegargli che era troppo lontano per poterci andare a piedi. Dopo un pò lui fu costretto a desistere; forse lei paventava chissà quali pericoli. Comunque era sicuro che prima o poi sarebbe riuscito a convincerla. Lui non aveva paura di nulla e sapeva come proteggerla.”

Renato si interrompe di colpo, costringendo Beatrice a scuo­tersi bruscamente dal torpore che la prende ogni volta che ascol­ta una storia d’amore. Senza parlare si avviano lentamente verso l’auto.

“Ma chi sono quei due di cui stavi parlando?” gli chiede pri­ma di salire in auto.

“Vecchi amici d’infanzia che non vedo da tanto tempo” le ri­sponde laconicamente Renato.

 

XVII

 

Sui quotidiani locali ormai non si leggeva altro. Ogni giorno in cronaca compariva un nuovo articolo o l’ennesima intervista al politico di turno circa la grandiosa impresa di sviluppo dell’entroterra in procinto di cominciare.

La campagna era iniziata in sordina già da molto tempo. All’inizio c’erano stati solo cauti accenni ad un ipotetico progetto di valorizzazione delle zone interne della regione che al tempo stesso avrebbe consentito di decongestionare la città, ormai sull’orlo della paralisi. Poi qualcun altro fece notare che l’impresa avrebbe anche permesso di assorbire una parte dei disoccupati il cui numero era spaventosamente in aumento. Qualche tempo dopo cominciarono ad intensificarsi convegni e riunioni politiche incentrate sul tema e contemporaneamente anche i limiti geografici del progetto andarono progressivamente allargandosi.

Ormai nessun comune voleva essere escluso. I sindacati d’altro dichiararono con fermezza che senza il loro consenso non si sarebbe realizzato proprio niente, mentre i politici si affannavano a  gettare acqua sul fuoco, promettendo sottobanco privilegi e favori.

Eppure in tutto questo gran discutere non c’era stato ancora nessuno che avesse spiegato chiaramente le modalità e le finalità del progetto. Nessuno che ne avesse mostrato almeno un abbozzo. Tutti continuavano a riferirsi genericamente a “spazi attrezzati”,”infrastrutture di collegamento”, “moduli abitativi”,”edilizia residenziale” e innumerevoli altri termini
 che servivano solo a nascondere la propria ignoranza.

Intanto fervevano pubblici incontri e trattative segrete tra leaders, uomini d’affari legati ai vari carrozzoni, sindacalisti e tanti altri personaggi comunque interessati ad accaparrarsi una fetta più o meno consistente della grande torta.

Ognuno voleva assolutamente dire la sua, offrendo suggerimenti e consigli che riteneva preziosi e minacciando terribili conseguenze se la propria zona di influenza fosse stata estromessa. Eppure erano davanti agli occhi di tutti gli esempi di ciò che si era riuscito a realizzare negli anni precedenti: quartieri-dormitorio, privi di qualunque servizio sociale, dove già al calar della sera non era più sicuro accostarsi; fabbriche ostinatamente mantenute nei punti nevralgici della città, capaci di produrre solo inquinamento, o al contrario costruite in zone inaccessibili come vere e proprie “cattedrali nel deserto”, e mille altri scempi. Ciononostante nessuna voce di dissenso si era ancora levata contro il coro unanime degli entusiasti. Non conveniva ai politici, né agli industriali o ai sindacati e comunque a tutti coloro -ed erano un esercito - che vivevano di traffici.

Gli stessi che avevano fallito nella realizzazione dei trasporti urbani sotterranei, scavando voragini senza fondo che si aggiungevano a quelle naturali, con l’unico risultato di scoprire per caso nuove sorgenti idriche di cui c’era tanto bisogno ma che si guardavano bene dal far esaminare affinché potessero essere utilizzate, quelli che dopo un gran parlare non erano riusciti a portare a compimento nemmeno uno dei tanti parcheggi promessi, quelli che in oltre quindici anni non erano stati capaci di completare il megaquartiere destinato agli uffici pubblici e alle sedi di importanti società, quelli che continuavano a considerare ufficialmente parco naturale zone della città dove essi stessi avevano consentito sotto banco di costruire all’impazzata, al punto che neanche un filo d’erba poteva più nascervi, costoro o i loro amici fidati si erano gettati a capofitto nella nuova grande impresa.

Andrea seguiva la questione solo marginalmente, dedicandosi semplicemente al compito affidatogli e senza porsi domande circa l’utilità dell’opera. Ogni giorno di buon’ora, si trasferiva in auto fino al cantiere per evitare di restare invischiato nel traffico che invece doveva subire necessariamente la sera al rientro. Una volta a casa, gli restava solo la forza di cenare. La televisione assorbiva tutta la sua attenzione permettendogli di sgombrare la mente dai problemi della giornata. Per sua moglie e i figli solo rari monosillabi e qualche sorriso vago. Alle dieci e mezza o al massimo alle undici, si infilava esausto a letto e dopo qualche minuto si addormentava di colpo. Ormai faceva l’amore con Barbara solo una volta la settimana e sempre durante il week­end. Ogni volta la solita cosa, quasi senza nessuna emozione; in fondo si trattava semplicemente di soddisfare un bisogno fisiologico e loro due, da buoni coniugi, si aiutavano scambievolmente. Ad Andrea non era mai capitato di tradirla e forse nemmeno di desiderarlo. Del resto negli ultimi tempi ciò gli sarebbe stato quasi impossibile perché una donna sola era più che suffi­ciente a placare i suoi scarsi appetiti. Talora si era chiesto se lei lo avesse mai tradito o se desiderasse farlo, ma ogni volta aveva accantonato il problema insieme ai tanti altri che non avevano soluzione.

Contrariamente alle previsioni, ad Andrea quell’incarico cominciava a piacere perché gli permetteva di evadere dal grigiore della città e di respirare un pò d’aria relativamente pulita. Aveva scoperto che la vista della città e del golfo che si godeva dal cantiere, anche se più distante, era maggiormente suggestiva, non riuscendo l’occhio a percepire gli scempi operati dall’uomo ma solo la bellezza naturale del paesaggio. Così nei rari momenti di ozio si soffermava volentieri a guardare il panorama, sedendosi al limite della collina su un masso rotondo levigato dal vento e dalla pioggia di chissà quanti secoli.

Proprio da lassù in una calda mattinata di giugno gli sembrò di vederli mentre si inerpicavano lungo il sentiero arroventato dal sole. La distanza non gli permetteva di distinguerli bene, ma c’era qualcosa in loro che lo incuriosiva. Per poterli osservare meglio inforcò il binocolo che teneva con sé.

Decisamente era una coppia male assortita; lei così ordinata con il suo completino rosa e i capelli lucidi di gelatina raccolti dietro la nuca, lui in maniche di camicia, la barba lunga e una faccia vagamente familiare. Procedevano a scatti lungo la strada perché l’uomo ogni tanto si arrestava di colpo e si voltava verso la compagna costringendola a fermarsi a sua volta e a rimanere a guardarlo mentre lui le parlava con foga. Andrea si chiese cosa le stesse dicendo; forse stavano litigando anche se dal contegno della donna non sembrava. Alla fine li vide tornare indietro ed entrare in un’auto che partì subito dopo, risalendo la collina. Poco dopo il veicolo raggiunse sobbalzando la cima e attraversò il piazzale a pochi metri da lui, avvolto in una nuvola di polvere. Lei era alla guida con lo sguardo concentrato davanti a sé e il suo viso era molto bello. L’uomo le sedeva accanto con aria assente.

Andrea restò a guardare finché l’auto non raggiunse la strada asfaltata e non scomparve dietro la prima curva. Poi la polvere diradò lentamente, portandosi con sé l’odore dei gas di scarico. Solo allora Andrea si decise ad alzarsi per andare a mangiare.

 

 

XVIII

 

Chissà per quanto tempo era restato lì come inebetito, senza curarsi dell’acqua che gli lambiva i calzari bagnandogli i piedi. Nemmeno Iris avrebbe potuto dirlo con certezza perché era rimasta in silenzio alle sue spalle con un sorriso di comprensione. Sapeva che stava guardando il mare per la prima volta e ricordava bene ciò che anche lei aveva provato da bambina il giorno che sua madre l’aveva portata con sé fuori dal villaggio. E se anche il mare non era lo stesso, identica doveva comunque essere la sensazione che si prova quando si é al suo cospetto per la prima volta.

Quel mattino di molti anni prima la madre l’aveva svegliata di buon’ora, costringendola a prepararsi in fretta per seguirla; finalmente stava per tornare suo padre. Era passato tanto tempo da quando era partito che ormai Iris conservava di lui solo un ricordo confuso.

Avevano lasciato il villaggio in compagnia di un gran nume­ro di donne e bambini, scendendo a dorso di mulo sentieri che vedeva per la prima volta e che conducevano al mare. E quando finalmente erano arrivati e lei aveva visto la grande distesa azzurra perdersi nell’infinito s’era sentita completamente smarrita. Poi la nave si era avvicinata e aveva gettato l’ancora, mentre un grido si levava dalla folla.

Vide gli uomini scendere ad uno ad uno e contemporaneamente la schiena di sua madre curvarsi sempre di più fino a quando non fu sbarcato anche l’ultimo. Non ebbe bisogno di spiegazioni per capire che suo padre non era tra loro e che non sarebbe mai più tornato. Fu così che lei imparò che il mare può dare ma anche prendere senza restituire.

Ignaro dei ricordi di Iris, lui continuava a guardare il mare, ascoltandone la voce e annusandone il profumo. All’inizio gli sembrò di essere giunto alla fine del viaggio ma il pensiero durò solo un istante perché subito dopo desiderò immergersi in esso fino a raggiungere l’isola che si vedeva in lontananza. Perfino attraversarlo tutto per vedere se segnasse davvero il confine del mondo o se oltre ci fosse qualcos’altro. E così dovette convincersi che neanche in quel momento la sua ricerca poteva dirsi conclusa. Anzi proprio allora cominciava la parte più difficile del viaggio.

Avvilito da questa considerazione, si girò verso Iris e le prese la mano. Almeno per una volta non dovette rammaricarsi per non essere capace di esprimerle i suoi pensieri, tanto forte era quell’oscura sensazione di impotenza che provava. Poi la guardò negli occhi e si tranquillizzò un poco constatando che avevano lo stesso colore del mare. Allora si voltò indietro verso le montagne da dove era venuto e si domandò se davvero valesse la pena desiderare di abbandonare la quieta e solida immobilità di quei luoghi per un mondo così fluido e instabile come quello marino.

Nemmeno ora che era più vicino riusciva a distinguere nitidamente i contorni dell’isola né alcun segno di vita. Se avesse saputo dei miraggi, certamente avrebbe considerato quella terra emersa uno di questi, tanto gli sembrava remota e improbabile. Così concluse che il mare era davvero una cosa troppo grande per poter essere compresa, almeno per uno come lui sempre vissuto sulle montagne.

Preso dai suoi pensieri, non si accorse che Iris si stava rapidamente spogliando se non quando lei, completamente nuda, non ebbe attraversato il bagnasciuga per calarsi in acqua senza alcun timore. Poi si girò indietro e lo chiamò sorridendo. Comprendeva che lei lo stava invitando a fare altrettanto ma solo dopo molti sforzi riuscì a vincere la paura. Si liberò dai vestiti e la raggiunse, mentre lei continuava a stuzzicarlo schizzandogli acqua. In quel momento dimenticò completamente il capo e il guerriero che finora era stato, incerto come un bambino ai primi passi. Ma poi Iris inaspettatamente si tuffò sott’acqua scomparendo alla vista. Impaurito, lui cercò di riafferrarla, spostandosi goffamente con i piedi sul fondale. Sarebbe certamente annegato se lei non fosse riemersa quasi subito e non gli fosse tornata vicino con poche bracciate. Il nuoto gli era del tutto sconosciuto e si stupì non poco della rapidità con la quale lo aveva raggiunto. Ormai tranquillizzato, le chiese a gesti di farlo ancora ma, nonostante la osservasse attentamente mentre si muoveva in acqua non riuscì a comprendere la tecnica.

Comunque le sorprese non erano ancora finite perché Iris poco dopo gli si avvicinò nuovamente e cominciò a baciarlo con trasporto. Fecero l’amore immersi nell’acqua fino al collo. Non era la prima volta che lui la prendeva, eppure gli parve una cosa del tutto diversa perché anche il mare sembrava partecipare con loro.

Quando tornarono indietro, entrambi in groppa al suo cavallo, si sentiva stanco ma felice. Iris gli stava davanti e lui poteva sentire nei suoi capelli che gli sfioravano il viso il profumo del mare. Raggiunsero i piedi della collina quasi all’imbrunire e stavolta il distacco fu più doloroso del solito. Restò fermo a guardarla mentre si avviava rapidamente al suo villaggio e solo quando scomparve tra gli alberi si decise a proseguire per la sua strada. Nemmeno la salsedine che sentiva addosso riusciva a dargli fastidio, anzi più di una volta si leccò la mano. Indubbiamente aveva lo stesso sapore del sale che lei gli aveva donato, ma era anche il sapore della sua bocca. Ormai non aveva alcun dubbio; certamente anche Iris veniva dal mare.

 

 

XIX

 

Finché l’auto non ebbe superato la salita e raggiunto il ristorante, Beatrice non si era accorta di essere già stata in quel posto, tanto era cambiato dalla volta precedente. Dappertutto aree recintate, macchine edili, piattaforme di ferro e blocchi di ce­mento.

Scesero dall’auto entrambi sorpresi dal caos e dal trambusto che si levava dai cantieri. Si guardarono intorno smarriti;  dell’ antico spiazzale restava ben poco e solo con molte difficoltà, aggirando steccati e fili spinati, riuscirono a raggiungerne il limite per vedere il mare.

Il ristorante apparentemente era rimasto lo stesso; ora però era pieno di gente, per lo più operai in tuta da lavoro ma anche qualcuno in giacca e cravatta. Il cameriere accettò le ordinazioni con aria distratta e qualche tempo dopo servì pietanze che Beatrice trovò insulse. Mangiarono in fretta e in silenzio continuando ad ascoltare i discorsi dei commensali vicini,tutti incentrati sui lavori in corso nella zona.

Pochi minuti dopo il loro ingresso era entrato un uomo che forse lei non avrebbe affatto notato se non avesse preso posto ad una lunga tavolata già occupata da molti operai e non fosse stato salutato da questi con molta deferenza. Tutti lo chiamavano ingegnere e gli si rivolgevano spesso chiedendogli spiegazioni. Beatrice suppose che costui fosse il direttore dei lavori. Osservandolo con maggiore attenzione, fu colpita dall’espressione stanca del suo viso e dall’evidente mancanza di entusiasmo con la quale rispondeva alle domande. Renato intanto continuava a mangiare in silenzio, in apparenza senza curarsi di niente. Era così sicura che anche lui fosse troppo infastidito da quel trambusto che le mancò il coraggio di proporgli di prendere una stanza e quando finirono di mangiare acconsentì di buon grado alla sua richiesta di andare via.

Una volta fuori, Renato accese come al solito un toscano. “Ma che bisogno c’era di tutto questo?” disse senza guardarla.

Sapeva che la domanda non era rivolta a lei, eppure sentì il bisogno di replicare. “Se hanno deciso di costruire ci sarà pure una ragione; forse anche più di una. Del resto, dovresti saperlo anche tu, da mesi i giornali e le televisioni non fanno che parlare di grandi opere edilizie e di risanamento ambientale.”

“Si, ora che ci penso, ricordo vagamente di aver sentito qualcosa del genere. Comunque mi sembravano solo chiacchiere.”

E invece quanta strada avevano fatto quelle chiacchiere, fino a dar vita a quell’enorme cantiere che divorava la collina e stava già gettando numerosi tentacoli verso le alture vicine. Perfino la montagna che li sovrastava sembrava minacciata dalla sua presenza. Renato si chiese se quelli che vi stavano lavorando credessero davvero all’utilità di un’opera del genere e se gli abitanti del luogo  fossero d’accordo. Quel posto, anche se non apparteneva ai suoi ricordi di infanzia, faceva comunque parte dei suoi sogni. Nel vederlo così stravolto sentiva che un altro pezzo di sé se ne andava per sempre.

Poco distante tre operai li guardavano incuriositi mentre una macchina per impastare il cemento continuava lentamente a girare con un cigolio pesante. Ormai niente li tratteneva dal risalire in auto per andar via.

Sulla carrozzeria un velo sottile di polvere bianca. Di primo impulso Beatrice vorrebbe rimuoverla con la mano, ma poi lascia perdere.”Tanto é inutile” dice a se stessa “Si riformerebbe subito.”

 

   

XX

 

Andrea la vide immergersi nei castagni e poi sentì i suoi passi raggiungere progressivamente il silenzio. All’improvviso tutto gli sembrò più difficile, perfino i gesti che avrebbe dovuto fare per cercarla.

La ragazza era venuta come dal nulla, mostrando ostentatamente le sue certezze da adolescente, senza minimamente dubitare,anzi aspettandosi il suo interessamento e quando questo  si era manifestato e lui l’aveva salutata e poi le aveva chiesto il suo nome e cosa ci facesse da sola in quel posto, un sorriso l’aveva tinta di rosa.Non gli aveva risposto ma in quel momento i suoi occhi presero il colore del cielo e con essi gli scagliò addosso tutta la sua giovinezza, quasi fino a travolgerlo. Che ne sapeva lei dei suoi anni migliori e di quanto un tempo era stata difficile  da contenere la sua voglia di vivere?

Incuriosita forse, aveva poi accettato da lui compagnia e discorsi,addirittura che le parlasse di se stesso e della sua tristezza per dover rimanere lì a contemplare alberi e colline che non avevano futuro. Aveva mostrato interesse perfino per quei muri grigi che lui andava costruendo come dighe per arginare le sue responsabilità e se ogni tanto si assentava lo faceva come se ci fosse costretta. E così era bastato che un raggio di sole filtrasse improvvisamente tra le foglie e gli salisse in viso avvampandolo,affinché le sue  mani la ghermissero e in silenzio la costringesse  a baciarlo.

Ora i rami si erano chiusi dietro di lei e anche il sole era scomparso. Inutile pensare che se avesse potuto tornare indietro forse avrebbe cancellato quell’attimo, o forse no - chi poteva dirlo? - tanto intensa era stata la sua sensazione nel baciarla e tanto forte il suo grido quando le aveva urlato con un fragore sommesso “Fammi ricominciare!"  Forse era stata proprio quella sua richiesta a farla fuggire spaventata.

Per la prima volta dopo tanto tempo si era improvvisamente reso conto di quante cose si fosse lasciato indietro e, lacerando ad un tratto le maglie oscure della sua esistenza, aveva voluto afferrarne almeno una.

Entrare nel fogliame gli fece quasi paura, ma la terra ricoperta da uno spesso strato di erba era cedevole sotto i suoi piedi e sembrò accoglierlo come il grembo di una madre. Rassicurato fece i suoi primi passi, scavalcando agilmente rami secchi caduti al suolo. Lattine vuote di birra e barattoli di plastica gli ricordarono che anche lì era arrivato il progresso e si rincuorò a tal punto da mettersi a gridare “Ehi, dove sei? Non scappare via!”, senza rivolgersi in una direzione particolare, quasi che quegli alberi potessero amplificare e ripetere il suo richiamo fino a raggiungere lei, costringendola a fermarsi e ritornare indietro. Una parte di sé rimaneva comunque in silenzio, convinta dell’inutilità del suo gesto, anzi canzonandolo per quell’improvvisa ventata di incoscienza.

L’attimo di follia durò poco e passò senza preavviso così me era  venuto. Andrea si ricongiunse con se stesso chiedendosi perché mai si fosse imbarcato in quella stupida ricerca in mezzo al bosco. Lentamente ritornò sui suoi passi e quando raggiunse il piazzale l’episodio era ormai solo un ricordo.

 

 

 

XXI


 “Ora per comunicare potevano servirsi anche delle parole. Così giunse il momento che lui poté chiederle da dove venisse. Quel giorno - lo ricordava bene -  il mare era increspato e le onde  si accavallavano ai loro piedi. Iris aveva esitato un istante prima di rispondere ma lui era certo che avesse compreso. Poi  voltandosi verso oriente, gli aveva detto che il suo paese era molto lontano, tanto che per raggiungerlo si sarebbe dovuto navigare per giorni e giorni, girando tutto intorno a quelle terre.Quindi il mare era davvero immenso se poteva circondare completamente il suo territorio e chissà quanti altri ancora. Stava facendo ancora queste considerazioni quando Iris aggiunse a bruciapelo che tra non molto lei sarebbe ritornata al suo paese. Stavolta era stato lui a far finta di non capire, per avere il tempo di incassare il colpo. Ma anche dopo che si fu riavuto dalla sorpresa continuò a restare in silenzio. In fondo temeva che se le avesse chiesto il motivo della partenza, lei gli avrebbe risposto che dall’altra parte del mare c’era qualcuno ad aspettarla. Non parlò ma l’espressione del suo volto probabilmente tradì il disappunto se lei  gli prese il viso tra le mani e gli sussurrò di non pensare al domani. L’incontro di quel giorno si consumò per lui nel tentativo di restare  aggrappato al momento mentre nella mente si insinuava il veleno sottile del futuro incerto. Proseguì a combattere anche dopo,quando ormai Iris era lontana, cercando di convincersi che in fondo quella donna non sarebbe mai potuta appartenergli veramente. E mentre andava ripetendoselo, continuava a sentirsi sul corpo l’odore dì lei e il solletico dei suoi capezzoli. La notte lo colse all’improvviso mentre immerso nei suoi pensieri  vagava senza meta ai limiti del villaggio. Mancò poco che uno dei suoi uomini,scambiandolo per un estraneo,non gli scagliasse addosso una freccia. Rapidamente e dolorosamente dovette rientrare in sé. Facendosi riconoscere, gli gridò che andava tutto bene. L’altro rassicurato lo lasciò passare, ma se avesse potuto vedere chiaramente il suo viso, forse non sarebbe stato tanto tranquillo. Comunque, grazie all’oscurità della notte, nessuno si accorse della sua disperazione.”

Renato interrompe il racconto con un sospiro e abbassa il capo raccogliendosi in sé come un riccio. Ma dopo pochi istanti si scuote e torna a fissarmi con un sorriso ironico.

“Come vedi, il dramma romantico si và già delineando e io non posso far niente per cambiare questa storia fin troppo scontata.”

“Ma no ” gli dico “Non é affatto vero che non sia interessante. I drammi della vita si somigliano tutti e anche se noi ci illudiamo di aver scoperto qualcosa di nuovo il buio resta sempre lo stesso.”

In fondo Renato riesce ad esprimersi solo con le storie degli altri. Dall’espressione dei suoi occhi indovino che sta piovendo dentro la sua solitudine e che questa pioggia non gli scioglie nessun rimpianto. Lo vedo come uno che sta affacciato alla finestra mentre in strada c’é un gran traffico; anche volendo non  saprebbe come intervenire per regolarne il flusso.Ogni tanto strizza gli occhi e si tappa le orecchie per non sentire.Sembra quasi finito, ma ad un tratto si scuote fino a riemergere.

“Non sarò io a distruggere questo silenzio” dice. Poi solleva  la testa e mi guarda. “In fondo lui ora sta provando il mio antico tormento” mi sussurra “perché, anche se sa che è inutile combattere contro il destino, non riesce comunque a farne a meno. Continua disperatamente a cercare almeno un motivo che la costringa a fermarsi e a uscire dal fitto bosco delle sue ragioni.Lui vuole che Iris non sia solo un momento. – Sarò io l’arbitro dei suoi desideri! - grida a sé stesso e io partecipo con lui pur sapendo che non sarà possibile”.

Renato sta piangendo sottovoce e sibila il suo respiro come un veleno paralizzante. Gli chiedo - tanto per interrompere il filo delle sue emozioni e sperando gli faccia bene- “Ma lui come si chiama? Non mi sembra che tu l’abbia mai detto.”

  Per un istante la pignoleria della domanda sembra metterlo in difficoltà ma  si riprende quasi subito.Mi risponde in tono un poco  risentito “Lei non glielo ha mai chiesto,dunque non è importante. Del resto anche volendo non sarebbe mai riuscita a  pronunciare  quel nome perché nella sua lingua mancava il suono sibilante del vento tra gli alberi sulla montagna e la voce del toro quando entra nella stalla”.

Lo guardo ancora un attimo, poi mi allontano con discrezione. Fuori mi assalgono rumori e voci che sembrano di vita. Sto per essere ripreso dal vortice, ma prima di cedere non posso fare a meno di paragonare l’apparente immobilità di Renato a questa  frenetica agitazione. Non mi ci vuole molto per capire che tutto questo trambusto non porta a nulla mentre invece Renato riesce a creare qualcosa, almeno nella sua mente. Così mando a dirgli da lontano di continuare a inventarsi la sua storia e ad immaginare il giusto finale, augurandogli che possa servire a lui o a qualcun’altro se non per sopravvivere, almeno per prepararsi in tempo al grande salto.

Sul marciapiede passanti frettolosi si incrociano in tutti i sensi e ogni tanto uno  mi urta, simulando feroce indifferenza. Per non essere travolto, alla fine scelgo anch’io una direzione e mi tuffo deciso nella corrente. “In fondo” mi dico “dovrà pur esserci una meta alla fine del viaggio.”