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Senza la domenica non possiamo
vivere (CEI) |
Lettera del Consiglio Episcopale
Permanente
della Conferenza Episcopale Italiana
in preparazione al 24° Congresso Eucaristico Nazionale
(Bari, 21-29 maggio 2005)
1. «Coroni l'anno con i tuoi benefici, al tuo passaggio stilla
l'abbondanza» (Sal 65,12). Il Signore
anche in questo nuovo anno liturgico continuerà a visitarci e ricolmarci con
l'abbondanza dei suoi doni. Sarà, anzi, un anno particolarmente ricco di grazia.
Il cammino di preparazione al Congresso Eucaristico Nazionale, che si svolgerà a
Bari dal 21 al 29 maggio del 2005, ci aiuterà a vivere meglio questo “Anno
dell'Eucaristia”, indetto dal Santo Padre Giovanni Paolo II perché ci lasciamo
illuminare dal “Mistero che costituisce la radice e il segreto della vita
spirituale dei fedeli come anche di ogni iniziativa della Chiesa locale”1.
La preparazione al Congresso Eucaristico costituirà per le Chiese
particolari in Italia il modo più concreto con cui rispondere all'invito
del Papa.
Il tema del Congresso – “Senza la domenica non possiamo
vivere” - lo pone inoltre all'interno del cammino previsto per questo decennio
dagli orientamenti pastorali e ne diventa una tappa fondamentale: mentre
riprende e rilancia la riflessione sulla parrocchia2, ci prepara al
Convegno ecclesiale del 2006 a Verona. Le nostre parrocchie, infatti, potranno
essere autentiche comunità di servi del Signore, solo se riscopriranno e
custodiranno la centralità della domenica, e
se la celebrazione eucaristica, cuore della domenica, sarà per loro il luogo
specifico dell'educazione missionaria: annunziare Gesù Risorto, speranza del
mondo3. Anche il Papa ci chiede che “in questo anno si ponga un
impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la domenica come giorno del
Signore e giorno della Chiesa”4.
2. Senza la domenica non possiamo vivere. Non è uno slogan
ad effetto né l'esclamazione di chi, dopo una settimana di duro lavoro, può
finalmente riposarsi. È, al contrario, la testimonianza di fedeltà alla domenica
dei 49 martiri di Abitène – una località nell'attuale Tunisia - che nel 304
hanno preferito, contravvenendo ai divieti dell'imperatore
Diocleziano, andare incontro alla morte,
piuttosto che rinunciare a celebrare il giorno del Signore. Erano consapevoli
che la loro identità e la loro stessa vita cristiana si basava sul ritrovarsi in
assemblea per celebrare l'Eucaristia nel giorno memoriale della Risurrezione.
E quanto ci testimonia il redattore degli Atti del martirio,
commentando la domanda posta dal proconsole Anulino al martire Felice: «O stolta
e ridicola richiesta del giudice! Gli ha detto: “Non dire se sei cristiano”, e
poi ha aggiunto: “Dimmi invece se hai partecipato all'assemblea”. Come se vi
possa essere un cristiano senza il giorno
domenicale, o si potesse celebrare il giorno domenicale senza il cristiano! Non
lo sai, Satana, che è il giorno domenicale a fare il cristiano e che è il
cristiano a fare il giorno domenicale, sicché l'uno non può sussistere senza
l’altro, e viceversa? Quando senti dire “cristiano”, sappi che vi è un'assemblea
che celebra il Signore; e quando senti dire
“assemblea”, sappi che lì c'è il cristiano».
Questa “piccola parrocchia” di Abitène si è conservata fedele
al suo Signore. pur in mezzo alle persecuzioni, grazie alla celebrazione
eucaristica domenicale. Si comprende, allora,
perché Emerito, al proconsole che gli rimproverava di aver ospitato nella sua
casa i cristiani per l'Eucaristia domenicale, non esitò a rispondere: «Senza la
domenica non possiamo vivere». La testimonianza dei martiri di Abitène ci
sollecita in questo anno di preparazione «a riscoprire con nuovo vigore il senso
della domenica: il suo “mistero”, il valore della sua celebrazione, il suo
significato per l'esistenza umana e cristiana”5.
Quali sono i tratti
caratteristici che fanno della domenica l'elemento qualificante dell'identità e
della vita dei cristiani?
3. La domenica “Pasqua settimanale”. Non comprenderemmo
l'importanza e il valore della domenica se
non facessimo innanzitutto riferimento a Cristo e alla sua morte e risurrezione.
La domenica, infatti, ci riporta a quei «primo giorno dopo il sabato», quando Cristo, risorto dai
morti, è apparso ai suoi discepoli. Da quel primo mattino, ogni settimana il
Risorto convoca i cristiani attorno alla sua mensa «nel giorno in cui ha vinto
la morte e ci ha resi partecipi della sua vita immortale”6. Non è
stata la Chiesa a scegliere questo giorno, ma il Risorto. Essa non può né
manipolarlo né modificarlo; solo accoglierlo con gratitudine, facendo della
domenica il segno della sua fedeltà al Signore. Sì, «questo è il giorno che ha
fatto il Signore, rallegriamoci ed esultiamo
in esso » (Sal 118,24).
Se Egli non fosse risorto, la nostra fede sarebbe senza
fondamento e noi resteremmo ancora nei nostri peccati7. Per questo,
fin dall'inizio, quell’ anonimo “primo giorno dopo il sabato” è diventato per i
cristiani il «giorno del Signore», come attesta l'Apocalisse (Ap 1,10).
La Chiesa, ogni domenica, è ricondotta all'essenzialità della sua vita e della
sua missione: “La missionarietà, infatti, deriva dallo sguardo rivolto al centro
della fede, cioè all'evento di Gesù Cristo, il Salvatore di tutti, e abbraccia
l'intera esistenza cristiana. Dalla liturgia alla carità, dalla catechesi alla
testimonianza della vita, tutto nella Chiesa deve rendere visibile e
riconoscibile Cristo Signore”8 . Lo splendore della luce
della Risurrezione, che illumina la Liturgia delle Ore della domenica, dovrebbe
attraversare l'intera giornata.
La domenica è anche il giorno in cui facciamo memoria del
Battesimo, evento che, unendoci alla morte e alla risurrezione di Cristo, è per
noi fonte di vita nuova. Per Tertulliano la domenica è «il giorno della
risurrezione salvifica di Cristo»; con essa “noi celebriamo ogni settimana la
festa della nostra Pasqua”9 . La Chiesa nella celebrazione
eucaristica domenicale esprime la sua gratitudine con la preghiera liturgica:
“Mirabile è l'opera da lui compiuta nel mistero pasquale; egli ci ha fatti
passare dalla schiavitù del peccato e della morte alla gloria di proclamarci
stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo di sua conquista per
annunziare al mondo la tua potenza, o Padre,
che dalle tenebre ci hai chiamato alla splendore della tua luce”10 .
Perché non riscoprire e valorizzare meglio la possibilità,
che la liturgia ci offre, di ricordare e rinnovare la grazia del nostro
Battesimo, attraverso l'aspersione dell'assemblea all'inizio della celebrazione
domenicale?
4. La celebrazione eucaristica, cuore della domenica. Nel
suo giorno il Risorto si rende presente nella
celebrazione eucaristica e si dona a noi nella Parola, nel Pane e nel dinamismo
del suo amore, permettendoci di vivere la sua stessa vita. L'Eucaristia
domenicale ravviva, così nei credenti la consapevolezza che la Chiesa non si “autogenera”,
ma è “dono” che viene dall'Alto- Ogni domenica, la comunità cristiana mentre è
riconfermata nella sua vocazione, è edificata
e vivificata dallo Spirito del Risorto, perché si presenti al mondo quale «segno
e strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità di tutto il
genere umano”11 .
Per questo il giorno del Signore è anche il giorno della
Chiesa, che ricorda a ogni cristiano che non è possibile vivere
individualisticamente la fede. “Quanti, infatti, hanno ricevuto la grazia del
Battesimo, non sono stati salvati solo a titolo individuale, ma come membra del
Corpo mistico, entrati a far parte del Popolo di Dio. È importante perciò che si
radunino, per esprimere pienamente l'identità stessa della Chiesa, la
ekklesìa, l'assemblea convocata dal Signore risorto, il quale ha offerto la
sua vita “per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi” (Gv 11,
52)”12 . Questo richiede che «i sacerdoti nel loro impegno pastorale
prestino, durante questo anno di grazia, un'attenzione ancor più grande alla
Messa domenicale, come celebrazione in cui la comunità parrocchiale si ritrova
in maniera corale, vedendo ordinariamente partecipi anche i vari gruppi,
movimenti, associazioni in essa presenti”13 .
Disertare l'Eucaristia domenicale porta ad impoverirsi, a
vedere la propria fede e l'appartenenza alla
Chiesa indebolirsi giorno dopo giorno e a constatare la propria incapacità di
fare della domenica un giorno di festa. Mentre l'industria del divertimento
diventa sempre più prolifica e le occasioni per far festa si moltiplicano,
l'uomo sembra aver smarrito “il perché” e il “per chi” festeggiare.
«Purtroppo quando la domenica perde il significato originario e si riduce a puro
“fine settimana”, può capitare che l'uomo rimanga chiuso in un orizzonte tanto
ristretto che non gli consente più di vedere il “il cielo”. Allora, per quanto
vestito a festa, diventa intimamente incapace di “far festa”14 .
La domenica ritorna ogni settimana per ricordare a tutti che
Cristo è la nostra festa! La partecipazione all'Eucaristia domenicale più che un
obbligo dovrebbe essere un bisogno! “Come potremmo vivere senza di Lui?”15.
Come abbiamo scritto recentemente, «si tratta di offrire occasioni di esperienza
comunitaria e di espressione di festa, per liberare l'uomo da una duplice
schiavitù: l’assolutizzazione del lavoro e del profitto e la riduzione della
festa a puro divertimento. La parrocchia, che condivide la vita quotidiana della
gente, deve immettervi il senso vero della festa che apre alla trascendenza. Un
aiuto particolare va dato alle famiglie, affinché il giorno della festa possa
rinsaldarne l'unità, mediante relazioni più
intense tra i suoi membri; la domenica infatti è anche giorno della famiglia”16
.
5. La celebrazione eucaristica domenicale, sorgente della
missione. «La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo - afferma san
Leone Magno - non è ordinata ad altro che a trasformarci in ciò che assumiamo. E
colui nel quale siamo morti, sepolti e risuscitati, è lui che diffondiamo,
mediante ogni cosa, nello spirito e nella
corporeità”17. Per questo, la celebrazione eucaristica domenicale non
può esaurirsi dentro le nostre chiese, ma esige di trasformarsi in servizio di
carità. E la preghiera che la liturgia pone sulle nostre labbra, perché diventi
impegno di vita: “O Padre, che nella Pasqua domenicale ci chiami a condividere
il pane vivo disceso da! ciclo, aiutaci a
spezzare nella carità di Cristo anche il pane terreno”18 .
La celebrazione eucaristica domenicale genera un'onda di
carità, destinata a espandersi in tutta la
vita dei fedeli, trasformando il modo stesso di vivere il resto della domenica.
Così è descritto da Giustino, in modo incisivo e coinvolgente, il dinamismo
delta carità che dalla celebrazione eucaristica si diffondeva nelle case
raggiungendo tutte le persone: “Si fa quindi la spartizione e la distribuzione a
ciascuno degli alimenti consacrati, e attraverso i diaconi se ne manda agli
assenti. I facoltosi, e quelli che lo desiderano, danno liberamente ciascuno
quello che vuole, e ciò che si raccoglie viene depositato presso il preposto.
Questi soccorre gli orfani, le vedove, e chi è indigente per malattia o per
qualche altra causa, e i carcerati e gli
stranieri che si trovano presso di noi: insomma, si prende cura dì chiunque sia
nel bisogno”19 .
La celebrazione eucaristica domenicale diviene, così, per
tutti noi una preziosa occasione per verificare la nostra conformazione
a Cristo e il nostro impegno di imitarlo nel dono generoso della nostra vita.
Essa non permette né fughe all’indietro, né sogni evasivi, ma il “rimanere” in
lui e con lui fedeli alla storia, così che la speranza generi le opere
«dell'ottavo giorno”20 . Si tratta di gesti profondamente umani e
semplici che esprimono e realizzano la solidarietà, la condivisione, la speranza
di un futuro migliore, la liberazione integrale dell'uomo.
A volte sarà il dono di una parola, di una
visita, di un sorriso a far sperimentare a chi è solo che anche per lui è
domenica. La domenica è, dunque, anche giorno dell’uomo. Perché questo
non resti solo un pio desiderio ma si trasformi in realtà,
è necessario che le nostre comunità siano capaci di ascoltare e accogliere gli
“interrogativi che toccano le strutture portanti dell'esistenza: gli affetti, il
lavoro, il riposo”21 .
6. La celebrazione eucaristica domenicale va preparata.
Come aiutare i battezzati a riscoprire tutta la ricchezza custodita e donata
dalla domenica? Perché ci sia un vero coinvolgimento e una reale e profonda
partecipazione, perché il clima festoso sostenuto dai canti e dai gesti sia
autentico, è necessario arrivare alla celebrazione preparati e motivati.
L'improvvisazione e la superficialità, personale o comunitaria, non possono che
produrre indifferenza, senso di disagio, o
addirittura noia. Molto difficilmente si potrà recuperare la centralità della
domenica nella vita della parrocchia, se non si avranno dei momenti in cui
giovani, adulti e anziani si ritrovino non solo per prepararsi alla celebrazione
eucaristica domenicale ma anche per essere da questa “provocati”, così che tutta
la vita e l'agire pastorale della comunità siano da essa interpellati,
illuminati e sostenuti. Non possiamo disattendere quanto il Papa ci chiede: “I
Pastori si impegnino in quella catechesi “mistagogica”, tanto cara ai Padri
della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della
liturgia, aiutando i fedeli a passare dai
segni al mistero e a coinvolgere in esso l’intera loro esistenza”22 .
A tale scopo, potranno essere di grande aiuto i sussidi che gli uffici e gli
organismi della CEI prepareranno per l'Avvento - Natale e per la Quaresima -
Pasqua.
Possano le donne e gli uomini del nostro tempo “incontrando
la Chiesa che ogni domenica celebra con gioia il mistero da cui attinge tutta la
sua vita, incontrare lo stesso Cristo”23 .
7. La preghiera liturgica,
così, sintetizza in modo mirabile la ricchezza della domenica: “Nel giorno del
Signore tu riunisci i credenti a celebrare per la loro salvezza il mistero
pasquale. Cosi ci illumini con la parola di vita e, radunati in una sola
famiglia, ci fai commensali alla cena di
Cristo. Per questo dono di grazia e di gioia
noi rinasciamo a più viva speranza e, nell'attesa del ritorno del Salvatore,
siamo stimolati ad aprirci ai nostri fratelli con amore operoso”24 .
Questa comprensione della domenica e in essa della
celebrazione eucaristica apre la mente e il cuore dei fedeli a considerare
l'Eucaristia come centro della loro vita. Essa è «mistero di presenza», che
prolunga nella ferialità quotidiana il dono di grazia del Risorto, compagno di
viaggio del discepolo25; è «polo di attrazione» per le comunità
parrocchiali e religiose e per i singoli fedeli che in religioso ascolto e in
adorante silenzio riparano «con fede e amore le trascuratezze, le dimenticanze e
persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del
mondo”26 ; è “centro della vita cristiana” e “spinge il cristiano
all'impegno per la propagazione del Vangelo e l'animazione cristiana della
società”27 . Sono convinzioni e atteggiamenti che trovano ulteriore
nutrimento in quella adorazione del mistero eucaristico a cui ci richiama il
Santo Padre in questo “Anno dell’Eucaristia”.
Mentre affidiamo il cammino di preparazione e la celebrazione del
Congresso Eucaristico Nazionale alla protezione della Vergine Maria, donna
“eucaristica” con l'intera sua vita, ci
auguriamo che si possa dire di ciascuno di noi quanto Gregorio di Nazianzo
affermava di sua madre: “Fondamento di tutte le tue parole e di tutte le tue
azioni, era il giorno del Signore, Ogni
sofferenza, o madre mia, tu l'onoravi con le tue lacrime. Solo nei giorni di
festa tu cessavi. Della tua gioia come del tuo pianto avevi quale testimone i!
tempio del Signore”28 .
Siamo profondamente convinti che se
custodiremo la domenica, «la domenic
“custodirà” noi e le nostre parrocchie, orientandone il cammino, nutrendone la
vita»29.
Roma, 1° novembre 2004
Solennità di tutti i
Santi
il consiglio permanente
della conferenza episcopale italiana
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MESSAGGIO 1o GENNAIO 2005
NON LASCIARTI VINCERE DAL MALE 1. All'inizio del nuovo anno, torno a rivolgere la mia parola ai responsabili delle Nazioni ed a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che avvertono quanto necessario sia costruire la pace nel mondo. Ho scelto come tema per la Giornata Mondiale della Pace 2005 l'esortazione di san Paolo nella Lettera ai Romani: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male » (12,21). Il male non si sconfigge con il male: su quella strada, infatti, anziché vincere il male, ci si fa vincere dal male. La prospettiva delineata dal grande Apostolo pone in evidenza una verità di fondo: la pace è il risultato di una lunga ed impegnativa battaglia, vinta quando il male è sconfitto con il bene. Di fronte ai drammatici scenari di violenti scontri fratricidi, in atto in varie parti del mondo, dinanzi alle inenarrabili sofferenze ed ingiustizie che ne scaturiscono, l'unica scelta veramente costruttiva è di fuggire il male con orrore e di attaccarsi al bene (cfr Rm 12,9), come suggerisce ancora san Paolo. La pace è un bene da promuovere con il bene: essa è un bene per le persone, per le famiglie, per le Nazioni della terra e per l'intera umanità; è però un bene da custodire e coltivare mediante scelte e opere di bene. Si comprende allora la profonda verità di un'altra massima di Paolo: « Non rendete a nessuno male per male » (Rm 12,17). L'unico modo per uscire dal circolo vizioso del male per il male è quello di accogliere la parola dell'Apostolo: « Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male » (Rm 12,21). Il male, il bene e l'amore 2. Fin dalle origini, l'umanità ha conosciuto la tragica esperienza del male e ha cercato di coglierne le radici e spiegarne le cause. Il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. Il male passa attraverso la libertà umana. Proprio questa facoltà, che distingue l'uomo dagli altri viventi sulla terra, sta al centro del dramma del male e ad esso costantemente si accompagna. Il male ha sempre un volto e un nome: il volto e il nome di uomini e di donne che liberamente lo scelgono. La Sacra Scrittura insegna che, agli inizi della storia, Adamo ed Eva si ribellarono a Dio e Abele fu ucciso dal fratello Caino (cfr Gn 3-4). Furono le prime scelte sbagliate, a cui ne seguirono innumerevoli altre nel corso dei secoli. Ciascuna di esse porta in sé un'essenziale connotazione morale, che implica precise responsabilità da parte del soggetto e chiama in causa le relazioni fondamentali della persona con Dio, con le altre persone e con il creato. A cercarne le componenti profonde, il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell'amore(1). Il bene morale, invece, nasce dall'amore, si manifesta come amore ed è orientato all'amore. Questo discorso è particolarmente chiaro per il cristiano, il quale sa che la partecipazione all'unico Corpo mistico di Cristo lo pone in una relazione particolare non solo con il Signore, ma anche con i fratelli. La logica dell'amore cristiano, che nel Vangelo costituisce il cuore pulsante del bene morale, spinge, se portata alle conseguenze, fino all'amore per i nemici: « Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete dagli da bere » (Rm 12,20). La « grammatica » della legge morale universale 3. Volgendo lo sguardo all'attuale situazione del mondo, non si può non constatare un impressionante dilagare di molteplici manifestazioni sociali e politiche del male: dal disordine sociale all'anarchia e alla guerra, dall'ingiustizia alla violenza contro l'altro e alla sua soppressione. Per orientare il proprio cammino tra gli opposti richiami del bene e del male, la famiglia umana ha urgente necessità di far tesoro del comune patrimonio di valori morali ricevuto in dono da Dio stesso. Per questo, a quanti sono determinati a vincere il male con il bene san Paolo rivolge l'invito a coltivare nobili e disinteressati atteggiamenti di generosità e di pace (cfr Rm 12,17-21). Parlando all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dieci anni or sono, della comune impresa al servizio della pace, ebbi a far riferimento alla « grammatica » della legge morale universale(2), richiamata dalla Chiesa nei suoi molteplici pronunciamenti in questa materia. Ispirando valori e principi comuni, tale legge unisce gli uomini tra loro, pur nella diversità delle rispettive culture, ed è immutabile: « rimane sotto l'evolversi delle idee e dei costumi e ne sostiene il progresso... Anche se si arriva a negare i suoi principi, non la si può però distruggere, né strappare dal cuore dell'uomo. Sempre risorge nella vita degli individui e delle società »(3). 4. Questa comune grammatica della legge morale impone di impegnarsi sempre e con responsabilità per far sì che la vita delle persone e dei popoli venga rispettata e promossa. Alla sua luce non possono non essere stigmatizzati con vigore i mali di carattere sociale e politico che affliggono il mondo, soprattutto quelli provocati dalle esplosioni della violenza. In questo contesto, come non andare con il pensiero all'amato Continente africano, dove perdurano conflitti che hanno mietuto e continuano a mietere milioni di vittime? Come non evocare la pericolosa situazione della Palestina, la Terra di Gesù, dove non si riescono ad annodare, nella verità e nella giustizia, i fili della mutua comprensione, spezzati da un conflitto che ogni giorno attentati e vendette alimentano in modo preoccupante? E che dire del tragico fenomeno della violenza terroristica che sembra spingere il mondo intero verso un futuro di paura e di angoscia? Come, infine, non constatare con amarezza che il dramma iracheno si prolunga, purtroppo, in situazioni di incertezza e di insicurezza per tutti? Per conseguire il bene della pace bisogna, con lucida consapevolezza, affermare che la violenza è un male inaccettabile e che mai risolve i problemi. « La violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani »(4). È pertanto indispensabile promuovere una grande opera educativa delle coscienze, che formi tutti, soprattutto le nuove generazioni, al bene aprendo loro l'orizzonte dell'umanesimo integrale e solidale, che la Chiesa indica e auspica. Su queste basi è possibile dar vita ad un ordine sociale, economico e politico che tenga conto della dignità, della libertà e dei diritti fondamentali di ogni persona. Il bene della pace e il bene comune 5. Per promuovere la pace, vincendo il male con il bene, occorre soffermarsi con particolare attenzione sul bene comune(5) e sulle sue declinazioni sociali e politiche. Quando, infatti, a tutti i livelli si coltiva il bene comune, si coltiva la pace. Può forse la persona realizzare pienamente se stessa prescindendo dalla sua natura sociale, cioè dal suo essere « con » e « per » gli altri? Il bene comune la riguarda da vicino. Riguarda da vicino tutte le forme espressive della socialità umana: la famiglia, i gruppi, le associazioni, le città, le regioni, gli Stati, le comunità dei popoli e delle Nazioni. Tutti, in qualche modo, sono coinvolti nell'impegno per il bene comune, nella ricerca costante del bene altrui come se fosse proprio. Tale responsabilità compete, in particolare, all'autorità politica, ad ogni livello del suo esercizio, perché essa è chiamata a creare quell'insieme di condizioni sociali che consentono e favoriscono negli esseri umani lo sviluppo integrale della loro persona(6). Il bene comune, pertanto, esige il rispetto e la promozione della persona e dei suoi diritti fondamentali, come pure il rispetto e la promozione dei diritti delle Nazioni in prospettiva universale. Dice in proposito il Concilio Vaticano II: « Dall'interdipendenza ogni giorno più stretta e poco alla volta estesa al mondo intero deriva che il bene comune ... diventa oggi sempre più universale ed implica diritti e doveri che interessano l'intero genere umano. Pertanto ogni comunità deve tener conto delle necessità e delle legittime aspirazioni delle altre comunità, anzi del bene comune di tutta la famiglia umana »(7). Il bene dell'intera umanità, anche per le generazioni future, richiede una vera cooperazione internazionale, a cui ogni Nazione deve offrire il suo apporto(8). Tuttavia, visioni decisamente riduttive della realtà umana trasformano il bene comune in semplice benessere socio-economico, privo di ogni finalizzazione trascendente, e lo svuotano della sua più profonda ragion d'essere. Il bene comune, invece, riveste anche una dimensione trascendente, perché è Dio il fine ultimo delle sue creature(9). I cristiani inoltre sanno che Gesù ha fatto piena luce sulla realizzazione del vero bene comune dell'umanità. Verso Cristo cammina e in Lui culmina la storia: grazie a Lui, per mezzo di Lui e in vista di Lui, ogni realtà umana può essere condotta al suo pieno compimento in Dio. Il bene della pace e l'uso dei beni della terra 6. Poiché il bene della pace è strettamente collegato allo sviluppo di tutti i popoli, è indispensabile tener conto delle implicazioni etiche dell'uso dei beni della terra. Il Concilio Vaticano II ha opportunamente ricordato che « Dio ha destinato la terra con tutto quello che in essa è contenuto all'uso di tutti gli uomini e popoli, sicché i beni creati devono pervenire a tutti con equo criterio, avendo per guida la giustizia e per compagna la carità »(10). L'appartenenza alla famiglia umana conferisce ad ogni persona una specie di cittadinanza mondiale, rendendola titolare di diritti e di doveri, essendo gli uomini uniti da una comunanza di origine e di supremo destino. Basta che un bambino venga concepito perché sia titolare di diritti, meriti attenzioni e cure e qualcuno abbia il dovere di provvedervi. La condanna del razzismo, la tutela delle minoranze, l'assistenza ai profughi e ai rifugiati, la mobilitazione della solidarietà internazionale nei confronti di tutti i bisognosi non sono che coerenti applicazioni del principio della cittadinanza mondiale. 7. Il bene della pace va visto oggi in stretta relazione con i nuovi beni, che provengono dalla conoscenza scientifica e dal progresso tecnologico. Anche questi, in applicazione del principio della destinazione universale dei beni della terra, vanno posti a servizio dei bisogni primari dell'uomo. Opportune iniziative a livello internazionale possono dare piena attuazione al principio della destinazione universale dei beni, assicurando a tutti — individui e Nazioni — le condizioni di base per partecipare allo sviluppo. Ciò diventa possibile se si abbattono le barriere e i monopoli che lasciano ai margini tanti popoli(11). Il bene della pace sarà poi meglio garantito se la comunità internazionale si farà carico, con maggiore senso di responsabilità, di quelli che vengono comunemente identificati come beni pubblici. Sono quei beni dei quali tutti i cittadini godono automaticamente senza aver operato scelte precise in proposito. È quanto avviene, a livello nazionale, per beni quali, ad esempio, il sistema giudiziario, il sistema di difesa, la rete stradale o ferroviaria. Nel mondo, investito oggi in pieno dal fenomeno della globalizzazione, sono sempre più numerosi i beni pubblici che assumono carattere globale e conseguentemente aumentano pure di giorno in giorno gli interessi comuni. Basti pensare alla lotta alla povertà, alla ricerca della pace e della sicurezza, alla preoccupazione per i cambiamenti climatici, al controllo della diffusione delle malattie. A tali interessi, la Comunità internazionale deve rispondere con una rete sempre più ampia di accordi giuridici, atta a regolamentare il godimento dei beni pubblici, ispirandosi agli universali principi dell'equità e della solidarietà. 8. Il principio della destinazione universale dei beni consente, inoltre, di affrontare adeguatamente la sfida della povertà, soprattutto tenendo conto delle condizioni di miseria in cui vive ancora oltre un miliardo di esseri umani. La Comunità internazionale si è posta come obiettivo prioritario, all'inizio del nuovo millennio, il dimezzamento del numero di queste persone entro l'anno 2015. La Chiesa sostiene ed incoraggia tale impegno ed invita i credenti in Cristo a manifestare, in modo concreto e in ogni ambito, un amore preferenziale per i poveri(12). Il dramma della povertà appare ancora strettamente connesso con la questione del debito estero dei Paesi poveri. Malgrado i significativi progressi sinora compiuti, la questione non ha ancora trovato adeguata soluzione. Sono trascorsi quindici anni da quando ebbi a richiamare l'attenzione della pubblica opinione sul fatto che il debito estero dei Paesi poveri « è intimamente legato ad un insieme di altri problemi, quali l'investimento estero, il giusto funzionamento delle maggiori organizzazioni internazionali, il prezzo delle materie prime e così via »(13). I recenti meccanismi per la riduzione dei debiti, maggiormente centrati sulle esigenze dei poveri, hanno senz'altro migliorato la qualità della crescita economica. Quest'ultima, tuttavia, per una serie di fattori, risulta quantitativamente ancora insufficiente, specie in vista del raggiungimento degli obiettivi stabiliti all'inizio del millennio. I Paesi poveri restano prigionieri di un circolo vizioso: i bassi redditi e la crescita lenta limitano il risparmio e, a loro volta, gli investimenti deboli e l'uso inefficace del risparmio non favoriscono la crescita. 9. Come ha affermato il Papa Paolo VI e come io stesso ho ribadito, l'unico rimedio veramente efficace per consentire agli Stati di affrontare la drammatica questione della povertà è di fornire loro le risorse necessarie mediante finanziamenti esteri — pubblici e privati — concessi a condizioni accessibili, nel quadro di rapporti commerciali internazionali regolati secondo equità(14). Si rende doverosamente necessaria una mobilitazione morale ed economica, rispettosa da una parte degli accordi presi in favore dei Paesi poveri, ma disposta dall'altra a rivedere quegli accordi che l'esperienza avesse dimostrato essere troppo onerosi per determinati Paesi. In questa prospettiva, si rivela auspicabile e necessario imprimere un nuovo slancio all'aiuto pubblico allo sviluppo, ed esplorare, malgrado le difficoltà che può presentare questo percorso, le proposte di nuove forme di finanziamento allo sviluppo(15). Alcuni governi stanno già valutando attentamente meccanismi promettenti che vanno in questa direzione, iniziative significative da portare avanti in modo autenticamente condiviso e nel rispetto del principio di sussidiarietà. Occorre pure controllare che la gestione delle risorse economiche destinate allo sviluppo dei Paesi poveri segua scrupolosi criteri di buona amministrazione, sia da parte dei donatori che dei destinatari. La Chiesa incoraggia ed offre a questi sforzi il suo apporto. Basti citare, ad esempio, il prezioso contributo dato attraverso le numerose agenzie cattoliche di aiuto e di sviluppo. 10. Al termine del Grande Giubileo dell'Anno 2000, nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte ho fatto cenno all'urgenza di una nuova fantasia della carità(16) per diffondere nel mondo il Vangelo della speranza. Ciò si rende evidente particolarmente quando ci si avvicina ai tanti e delicati problemi che ostacolano lo sviluppo del Continente africano: si pensi ai numerosi conflitti armati, alle malattie pandemiche rese più pericolose dalle condizioni di miseria, all'instabilità politica cui si accompagna una diffusa insicurezza sociale. Sono realtà drammatiche che sollecitano un cammino radicalmente nuovo per l'Africa: è necessario dar vita a forme nuove di solidarietà, a livello bilaterale e multilaterale, con un più deciso impegno di tutti, nella piena consapevolezza che il bene dei popoli africani rappresenta una condizione indispensabile per il raggiungimento del bene comune universale. Possano i popoli africani prendere in mano da protagonisti il proprio destino e il proprio sviluppo culturale, civile, sociale ed economico! L'Africa cessi di essere solo oggetto di assistenza, per divenire responsabile soggetto di condivisioni convinte e produttive! Per raggiungere tali obiettivi si rende necessaria una nuova cultura politica, specialmente nell'ambito della cooperazione internazionale. Ancora una volta vorrei ribadire che il mancato adempimento delle reiterate promesse relative all'aiuto pubblico allo sviluppo, la questione tuttora aperta del pesante debito internazionale dei Paesi africani e l'assenza di una speciale considerazione per essi nei rapporti commerciali internazionali, costituiscono gravi ostacoli alla pace, e pertanto vanno affrontati e superati con urgenza. Mai come oggi risulta determinante e decisiva, per la realizzazione della pace nel mondo, la consapevolezza dell'interdipendenza tra Paesi ricchi e poveri, per cui « lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso »(17). Universalità del male e speranza cristiana 11. Di fronte ai tanti drammi che affliggono il mondo, i cristiani confessano con umile fiducia che solo Dio rende possibile all'uomo ed ai popoli il superamento del male per raggiungere il bene. Con la sua morte e risurrezione Cristo ci ha redenti e riscattati « a caro prezzo » (1 Cor 6,20; 7,23), ottenendo la salvezza per tutti. Con il suo aiuto, pertanto, è possibile a tutti vincere il male con il bene. Fondandosi sulla certezza che il male non prevarrà, il cristiano coltiva un'indomita speranza che lo sostiene nel promuovere la giustizia e la pace. Nonostante i peccati personali e sociali che segnano l'agire umano, la speranza imprime slancio sempre rinnovato all'impegno per la giustizia e la pace, insieme ad una ferma fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore. Se nel mondo è presente ed agisce il « mistero dell'iniquità » (2 Ts 2,7), non va dimenticato che l'uomo redento ha in sé sufficienti energie per contrastarlo. Creato ad immagine di Dio e redento da Cristo « che si è unito in certo modo ad ogni uomo »(18) questi può cooperare attivamente al trionfo del bene. L'azione dello « Spirito del Signore riempie l'universo » (Sap 1,7). I cristiani, specialmente i fedeli laici, « non nascondano questa speranza nell'interiorità del loro animo, ma con la continua conversione e la lotta “contro i dominatori di questo mondo di tenebra e contro gli spiriti del male” (Ef 6,12) la esprimano anche attraverso le strutture della vita secolare »(19). 12. Nessun uomo, nessuna donna di buona volontà può sottrarsi all'impegno di lottare per vincere con il bene il male. È una lotta che si combatte validamente soltanto con le armi dell'amore. Quando il bene vince il male, regna l'amore e dove regna l'amore regna la pace. È l'insegnamento del Vangelo, riproposto dal Concilio Vaticano II: « La legge fondamentale della perfezione umana, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità »(20). Ciò è vero anche in ambito sociale e politico. A questo proposito, il Papa LeoneXIII scriveva che quanti hanno il dovere di provvedere al bene della pace nelle relazioni tra i popoli devono alimentare in sé e accendere negli altri « la carità, signora e regina di tutte le virtù »(21). I cristiani siano testimoni convinti di questa verità; sappiano mostrare con la loro vita che l'amore è l'unica forza capace di condurre alla perfezione personale e sociale, l'unico dinamismo in grado di far avanzare la storia verso il bene e la pace. In quest'anno dedicato all'Eucaristia, i figli della Chiesa trovino nel sommo Sacramento dell'amore la sorgente di ogni comunione: della comunione con Gesù Redentore e, in Lui, con ogni essere umano. È in virtù della morte e risurrezione di Cristo, rese sacramentalmente presenti in ogni Celebrazione eucaristica, che siamo salvati dal male e resi capaci di fare il bene. È in virtù della vita nuova di cui Egli ci ha fatto dono che possiamo riconoscerci fratelli, al di là di ogni differenza di lingua, di nazionalità, di cultura. In una parola, è in virtù della partecipazione allo stesso Pane e allo stesso Calice che possiamo sentirci « famiglia di Dio » e insieme recare uno specifico ed efficace contributo all'edificazione di un mondo fondato sui valori della giustizia, della libertà e della pace.
Dal Vaticano, 8 Dicembre 2004. GIOVANNI PAOLO II
(1) A questo proposito, Agostino afferma: «Due amori hanno fondato due città: l'amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l'amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste» (De Civitate Dei, XIV, 28). (2) Cfr Discorso per il 50o di fondazione dell'ONU (5 ottobre 1995), 3: Insegnamenti XVIII/2 (1995), 732. (3) Catechismo della Chiesa Cattolica, 1958. (4) Giovanni Paolo II, Omelia presso Drogheda, Irlanda (29 settembre 1979), 9: AAS 71 (1979), 1081. (5) Secondo una vasta accezione, per bene comune s'intende «l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente». Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 26. (6) Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 417. (7) Cost. past. Gaudium et spes, 26. (8) Cfr Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961), 421. (9) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 41: AAS 83 (1991), 844. (10)) Cost. past. Gaudium et spes, 69. (11) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 35: AAS 83 (1991), 837. (12) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42: AAS 80 (1988), 572. (13) Discorso ai partecipanti alla Settimana di studio della Pontificia Accademia delle Scienze (27 ottobre 1989), 6: Insegnamenti XII/2 (1989), 1050. (14) Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61: AAS 59 (1967), 285-287; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 33-34: AAS 80 (1988), 557-560. (15) Cfr Giovanni Paolo II, Messaggio al Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: L'Osservatore Romano 10 luglio 2004, p.5. (16) Cfr n.50: AAS 93 (2001), 303. (17) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 17: AAS 80 (1988), 532. (18) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 22. (19) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 35. (20) Cost. past. Gaudium et spes, 38. (21) Lett. enc. Rerum novarum: Acta Leonis XIII 11 (1892), 143; cfr Benedetto XV, Lett. enc. Pacem Dei: AAS 12 (1920), 215.
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Il giorno 31 gennaio
del 2004, alle ore 18,30,
nella Chiesa San Paolo Apostolo, gremita di fedeli provenienti da tutte le
Parrocchie dell’Unità Pastorale, è iniziata la Visita Pastorale di Monsignor
Domenico Crusco.
La Visita Pastorale, per
iniziativa dei Sacerdoti dell’ Unità, era stata già preparata con tre incontri
sulla “Lumen Gentium” tenuti da Don Giovanni Mazzillo, Ordinario di
teologia nel Seminario Teologico di Catanzaro, che hanno riscosso molto successo
specialmente per la semplicità e la chiarezza di linguaggio con cui Don Giovanni
ha trattato gli argomenti molto profondi e anche difficili.
La Santa Visita si è svolta dal
31 gennaio al 23 febbraio e si è articolata in vari incontri che il Vescovo ha
tenuto con le realtà presenti nel territorio e con le realtà delle varie
Parrocchie.
Alcuni incontri sono stati zonali
come , ad esempio, quello con le Associazioni, i Cammini, e i Movimenti, con le
Famiglie, i Giovani, nonché la recita dei Vespri all’inizio Visita e la Messa
di ringraziamento celebrata giorno 23 febbraio a conclusione della Visita.
Nella nostra parrocchia il
Vescovo ha fatto l’ingresso ufficiale domenica 15 febbraio .
Monsignor Crusco è stato accolto
con il canto “Ecce Sacerdos Magnus” mirabilmente eseguito dal nostro Coro e,
dopo la precisa e puntale relazione sulla situazione della nostra Parrocchia
letta da Don Umberto, ha Presieduto la Solenne Concelebrazione Eucaristica.
Nell’omelia ha ringraziato Dio per il dono di questa comunità e di quanti si
adoperano per la comunità stessa.
Nei giorni successivi, il Vescovo
ha incontrato i gruppi di catechismo, il Consiglio Pastorale e il Consiglio per
gli Affari Economici, i vari gruppi e le associazioni presenti in parrocchia e
ha visitato alcuni ammalati.
Tutti hanno partecipato agli
incontri con entusiasmo, con interesse e con tanto affetto e il Vescovo ha avuto
per tutti parole di gratitudine, di incoraggiamento, di conforto. E’ stato per
tutti noi come un vero padre, ci ha ascoltati, compresi, ha condiviso con noi le
nostre emozioni, ha cantato con i bambini del catechismo che lo hanno accolto
festosamente con balli e canti e gli hanno appeso al collo una collana di fiori
con i loro pensieri e le loro preghiere .
Ha risposto all’ intervista
fattagli dai ragazzi che si preparano alla Cresima, narrando tanti episodi della
sua vita in maniera semplice ed appassionata e dando una bella testimonianza su
come nasce una vocazione.
Ha gioito con e per i giovani che
con lui hanno voluto intrattenersi per un’agape fraterna, incoraggiandoli a
restare vicini alla parrocchia. Si è commosso e ha pregato per gli ammalati che
ha visitato. Si è complimentato per l’apertura della parrocchia al sociale
attraverso l’Associazione di Volontariato e l’ha ha incoraggiata a proseguire
nel suo servizio sempre attenta ai bisogni dei più deboli.
Ad una domanda rivoltagli dai
ragazzi di preparazione alla Cresima: “Eccellenza, cosa vi porterete a San Marco
di questa Visita e cosa desiderate per la nostra Parrocchia?” il Vescovo ha
risposto: “Porto nel mio cuore, i più piccoli con la loro gioia, i giovani, il
dolore degli ammalati, il vostro essere uniti e ben organizzati. Ringrazio Don
Umberto e i suoi collaboratori per i passi fin qui compiuti e vi esorto a
continuare, preoccupandovi sempre della vostra formazione e ad essere missionari
come lo è stato il vostro Patrono San Paolo. Fate che la vostra Comunità sia la
comunità pilota per questo territorio”.
Abbiamo pregato più volte in
preparazione della Santa Visita “…Fa, o Signore, che nella Visita Pastorale noi
ravvisiamo la Tua visita, che viene a manifestarci il Tuo amoroso disegno per la
nostra salvezza, viene a consolare gli animi nostri, viene a correggere i nostri
difetti, viene a suggerire nuovi propositi per la nostra vita cristiana, immersa
nella realtà della società profana, ma illuminata dalla fede e sorretta dall’
aiuto della grazia”.
A conclusione della Visita, il
nostro auspicio è che anche la nostra Comunità parrocchiale sappia trarre da
questa Santa Visita nuova forza per riprendere il suo cammino di popolo di Dio.
Angela Marsiglia
IL SALUTO DEL PARROCO
Reverendissimo Padre,
la sera del 31 gennaio ho avuto l’onore di darvi il benvenuto a
nome di tutti i Sacerdoti e le Comunità Parrocchiali di questa Unità Pastorale,
e stamattina ho di nuovo l’onore di darvi il benvenuto e di accogliervi, a nome
di questa amata Comunità Parrocchiale e di riesprimervi tutta la nostra gioia
e la nostra riconoscenza per questa Santa Visita.
Vogliamo accogliervi come il Padre, il Maestro e il Pastore che
viene a confermarci nella fede, viene a consolare i nostri cuori, viene a
correggere i nostri difetti e viene a suggerirci nuovi propositi per la nostra
vita cristiana.
Con la speranza nel cuore che anche la nostra comunità
parrocchiale sappia trarre da questa Santa Visita nuova luce e nuova forza per
proseguire, con l’aiuto del Signore e la protezione di San Paolo, il suo
cammino di popolo di Dio, in uno spirito di una sempre maggiore comunione e
collaborazione con le comunità parrocchiali vicine, mi accingo a illustrarvene
brevemente la vita con le sue luci e le sue ombre.
Praia a Mare, 15 febbraio 2004
RELAZIONE SULLA SITUAZIONE RELIGIOSA DELLA PARROCCHIA
La Comunità parrocchiale “San
Paolo Apostolo” è una comunità relativamente giovane, perché, istituita da
Mons. Augusto Lauro il 16 luglio del 1986, non ha ancora compiuto 18 anni.
All’inizio era una comunità di
1650 abitanti, oggi è composta di circa 2300 abitanti, di cui 100 bambini, 135
ragazzi di scuole elementari, 85 ragazzi di scuola media, 170 giovanissimi, 450
giovani, 1090 adulti e 270 anziani, e si estende su un vasto territorio di circa
6 kmq, comprendente ben otto contrade.
La particolare configurazione del
territorio parrocchiale, per lo più ad abitato sparso, ma senza vere e proprie
frazioni, costituisce la prima difficoltà obiettiva nel nostro quotidiano lavoro
pastorale; comunque l’istituzione della Parrocchia in questa zona periferica di
Praia, a detta di tutti, ha costituito un fatto di grande rilevanza anche civile
e sociale per la zona e per tutta Praia; e, col passare degli anni, la
Parrocchia è diventata sempre più un punto di riferimento religioso e sociale.
Per grazia di Dio, notevoli passi
in avanti sono stati compiuti da quando, nel lontano luglio del 1986, ho
celebrato la prima Messa all’aperto; e chi capita oggi in questa comunità
rimane subito positivamente colpito dal clima di familiarità e di accoglienza
che si respira, nonostante tutte le nostre umane fragilità.
Dopo essere stati costretti per
dieci anni a servirci di un prefabbricato di appena 120 mq, nel quale comunque
siamo stati bene, dall’11 febbraio 1996 godiamo di questa chiesa spaziosa e
funzionale, anche se non particolarmente artistica e rifinita; ma chi ha seguito
da vicino la storia della Parrocchia sa quanti enormi difficoltà burocratiche ed
economiche abbiamo dovuto superare per vederla finita, anche se ancora mancante
di tante cose, tanto che non avremmo mai immaginato che l’avremmo avuta dopo
soli dieci anni, e che dopo appena altri quattro anni avremmo avuto anche la
casa canonica e i locali pastorali.
Data la giovane età della
Parrocchia e della stessa Praia, che fino ad un secolo fa non era neppure
Comune, non ci sono particolari tradizioni di pietà popolare degne di rilievo,
e la maggior parte degli abitanti della zona, a causa della notevole distanza
dal centro, non era nemmeno abituata a frequentare la Messa domenicale e
festiva, pur rimanendo tradizionalmente legata alle consuete scadenze religiose
(battesimi, prime comunioni, cresime, matrimoni, funerali, processioni, ecc.),
per cui la percentuale dei cristiani praticanti nei primi anni non arrivava
nemmeno al 15%; oggi la percentuale dei praticanti si aggira intorno alla media
nazionale, cioè 25 – 30%; media che purtroppo nel periodo estivo, per vari
motivi legati al turismo e al lavoro, scende molto al di sotto del 20%.
Quasi la totalità dei ragazzi
delle scuole elementari e medie, nei mesi scolastici, frequenta sia il
catechismo che la Messa festiva e riceve regolarmente i sacramenti della
iniziazione cristiana.
Purtroppo anche la nostra
comunità deve registrare un allontanamento dalla chiesa dopo l’età della scuola
media, nonostante tutti gli sforzi e le iniziative in favore degli adolescenti e
dei giovani.
Comunque su circa 600
giovanissimi e giovani residenti, di cui però molti fuori sede per motivi di
studio, oltre un centinaio partecipa alla vita della Parrocchia o nell’Azione
Cattolica, o nel Cammino Neocatecumenale, o nel coro parrocchiale, o
semplicemente frequentando la Messa festiva.
Circa un anno dopo la nascita
della Parrocchia sono stati costituiti i due Consigli Parrocchiali, il Consiglio
Pastorale, rinnovato tre anni fa e attualmente composto da 25 membri (di cui
metà eletti direttamente dai fedeli e metà di diritto, perché rappresentanti dei
vari gruppi esistenti in Parrocchia), e il Consiglio per gli Affari Economici,
composto da cinque persone.
Anche la Caritas Parrocchiale
esiste da 15 anni; attualmente è composta da 10 persone; anima e stimola la
Comunità parrocchiale nella testimonianza della carità, coordina tutte le
iniziative caritative, sia quelle educative che quelle di sostegno economico, si
rende sempre presente in ogni emergenza, anche in caso di calamità naturali in
Italia e nel mondo, e si prende particolarmente cura, con l’aiuto di tre
Ministri straordinari della Comunione, della pastorale degli ammalati. Da oltre
due anni si sta anche impegnando in un più stretto rapporto di amicizia e di
solidarietà con la Comunità parrocchiale di Sant’Enrico di Musicati nel Burundi,
dove tre dei nostri amici si sono recati due anni fa, insieme al Direttore della
Caritas Diocesana.
Oltre gli organismi di
partecipazione, esistono in Parrocchia diversi gruppi.
Da circa 15 anni esiste
l’Associazione di Azione Cattolica, con attualmente 73 aderenti (di cui 19
ragazzi, 24 giovani e 31 adulti), e da circa 10 anni è presente anche il Cammino
Neocatecumenale, con circa 40 aderenti.
Il Gruppo dei Catechisti è
composto da 20 persone, di cui metà adulti e metà giovani; alcuni hanno
frequentato i corsi diocesani di formazione, altri vengono seguiti e aiutati a
livello parrocchiale con incontri periodici di formazione e specifici.
Una delle più belle realtà della
nostra Parrocchia è il Gruppo dei Ministranti, composto da 39 persone, di cui
alcuni giovani e altri ragazzi di scuole elementari e medie.
Un’altra bella realtà è il Coro
Parrocchiale, composto da 50 persone, tra ragazzi, giovani e adulti, con due
direttrici e tre organisti.
Un anno fa è stato costituito
anche il Gruppo Liturgico, formato dai tre ministri straordinari della
Comunione, dal responsabile dei ministranti, dalla responsabile e dalle due
direttrici del coro, dai tre organisti, da un Lettore istituito e da alcuni
lettori e salmisti. Il loro lavoro viene coordinato assiduamente dal
sottoscritto, anche se, per una serie di difficoltà, non si riunisce con una
certa periodicità.
Da circa 10 anni opera in
Parrocchia l’Associazione di Volontariato “San Paolo Apostolo”, composta da 17
persone, regolarmente costituitasi davanti al Notaio come Ente Giuridico, allo
scopo di gestire con una serie di iniziative, per conto del Comune di Praia, il
Centro Sociale “Giovanni XXIII” e il Centro “Incontro Terza Età”.
Ultimamente, appena un mese fa, è
stato costituito il “Gruppo Ammalati”, composto da 12 persone, che hanno preso
l’impegno di visitare settimanalmente gli ammalati e gli anziani della
Parrocchia che gradiscono un po’ di compagnia.
Infine, grazie all’Associazione
Sportiva “San Paolo Apostolo”, curati da un nutrito gruppo di dirigenti, oltre
100 ragazzi e giovani gravitano attorno alla Parrocchia con le varie attività
sportive; tali attività sostituiscono, almeno in parte, l’Oratorio che non
abbiamo.
Ho il dovere di segnalare a
questo punto anche il prezioso lavoro di pulizie delle chiesa, che viene svolto
a turno ogni sabato, suddivisi in quattro squadre, da 25 volontari e volontarie:
grazie a loro la nostra chiesa è sempre pulita e decorosa.
Per quanto riguarda la vita della
Comunità, ogni anno, tra settembre e ottobre, ci si riunisce prima con i vari
Gruppi esistenti e dopo con il Consiglio Pastorale, per mettere appunto il
Piano Pastorale, in linea e in sintonia con gli Orientamenti Pastorali della
Diocesi, e programmare tutte quelle iniziative utili all’attuazione del Piano
Pastorale.
Sia il Piano Pastorale che il
Calendario, con tutte le iniziative dell’anno, vengono resi di pubblico dominio
alla fine di ottobre. Da questi due documenti, che costituiscono parte
integrante di questa relazione, emergono tutti gli sforzi, non sempre con i
risultati sperati, di un serio e organico lavoro pastorale, tenendo ovviamente
conto di tutte e tre dimensioni della vita cristiana, comunitaria e personale:
evangelizzazione e catechesi, liturgia e preghiera, testimonianza della carità.
Abbiamo scritto nel Piano
Pastorale di quest’anno che anche la nostra Comunità non è un’isola felice, per
cui riflette tutte le luci e le ombre del nostro tempo, proprie di una società
globalizzata e secolarizzata, che sembra voler rimuovere definitivamente i valori
cristiani, e purtroppo le tentazioni di disinteresse e di chiusura delle
comunità cristiane sono anche le tentazioni della nostra comunità.
Eppure certi fenomeni di natura
sociale o morale, sia pure non in misura eccessiva, toccano da vicino anche la
nostra comunità. Ne cito solo alcuni: la progressiva perdita di posti di
lavoro, con la conseguente crescente disoccupazione o lo sfruttamento, specie
giovanile, nel periodo estivo; la piaga della droga; la progressiva perdita del
valore sacro della vita e della famiglia fondata sul matrimonio, il relativismo
religioso ed etico nei comportamenti individuali.
Anche per noi il problema
principale è stato e rimane quello dei lontani, per i quali tutti gli sforzi
risultano sempre insufficienti e inadeguati.
Abbiamo svolto 10 anni fa una
Missione Popolare predicata dai Padri Stimmatini, ma con scarsi risultati. Come
ricordavamo, la percentuale dei cristiani praticanti in questi circa 18 anni è
salita dal 15% al 30%, ma la percentuale dei non praticanti rimane purtroppo
sempre molto alta.
Dopo la Missione Popolare,
abbiamo anche tentato di costituire dei Gruppi di Ascolto; ma, per una serie di
motivi, non hanno avuto lunga vita.
Comunque le iniziative per
raggiungere i lontani non mancano; anzi si cerca di intensificarle sempre di
più; segnaliamo, fra tutte, la “Peregrinatio” della Sacra Famiglia, che
sostituisce in parte i Gruppi di Ascolto, dalla fine di dicembre alla fine di
giugno, e le catechesi neocatecumenali che si svolgono ogni due anni.
Coscienti che “il tempo della
semina è nelle nostre mani, ma il tempo del raccolto è nelle mani di Dio”,
vogliamo trovare in questa Visita Pastorale, per la quale siamo grati a Dio e al
nostro Vescovo, sprone e incitamento per proseguire nel nostro cammino.
Vogliamo concludere con una
certezza nel cuore: “Colui che ha iniziato in noi quest’opera buona, la porterà
a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6).
Che la Madonna della Grotta,
Patrona di Praia, e San Paolo, nostro Patrono, ci accompagnino e ci sostengano
in questo cammino e ci ottengano dal cielo speciali benedizioni.
Praia a Mare, 15 febbraio 2004