PASQUA DI RESURREZIONE

Meditazioni a cura di Mons. Marcello De Maio

 

In preparazione al Convegno Ecclesiale, che si svolgerà a Verona dal 16 al 20 ottobre prossimo, i Vescovi italiani ci hanno donato una Traccia di riflessione dal titolo “Testimoni di Gesù risorto, speranza del mondo”. Inoltre ci hanno consegnato – per la meditazione personale e comunitaria - la prima lettera di Pietro. Ebbene al v. 15 del 3° capitolo di tale lettera san Pietro così ci esorta: "Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”.

Insomma, siamo chiamati ad adorare il Signore (momento contemplativo) ed a rendere conto della speranza che il Signore ci dona (momento missionario). Per fare tutto ciò – in riferimento all’avvenimento fondamentale della nostra fede, la morte e risurrezione di Cristo, non possiamo non porci alcune domande:

1) Risorgere significa semplicemente riprendere un corpo, come fece Lazzaro, quasi un cadavere che riprende a vivere?

Proviamo a rispondere: il fatto che Gesù è morto indica che è stata una persona coerente, che ha voluto bene agli uomini, che non ha accettato compromessi: è stato in buona fede, ci credeva veramente. Ciò che conta è soprattutto che Gesù risorge. Significa che è davvero la verità e la Luce. Davvero ha ragione. Davvero il suo Vangelo è verità. Afferma padre Cantalamessa:

"La morte di Gesù non può testimoniare la verità della sua causa. Molti uomini sono morti su questa terra per cause sbagliate, addirittura per cause inique. La loro morte non ha reso vera la loro causa; ha solamente testimoniato che cedevano nella verità di essa. La risurrezione è invece il sigillo dell'autenticità divina di Cristo e della verità".

2) Cristo è risorto. C'è la vita dopo la morte:

a) a che mi serve vivere dopo la morte, se già questa vita per me è senza senso, con noia, dolore, senza scopo, senza significato, senza gioia? Si dice che la speranza è l’ultima a morire; molto spesso il morire resta l’ultima speranza.

A questa obiezione è bello rispondere con la preghiera scritta dal cardinale belga Suenens:

“Sono un uomo di speranza perché credo che Dio è nuovo ogni mattina.

Sono un uomo di speranza perché credo che lo Spirito Santo è all’opera nella Chiesa e nel mondo.

Sono un uomo di speranza perché credo che lo Spirito Creatore dà a chi lo accoglie una libertà nuova e una provvista di gioia e di fiducia.

Sono un uomo di speranza perché so che la storia della Chiesa è piena di meraviglie.

Sperare è un dovere, non un lusso.

Sperare non è sognare, ma è la capacità di trasformare un sogno in realtà.

Felici coloro che osano sognare e che sono disposti a pagare il prezzo più alto perché il loro sogno prenda corpo nella vita degli uomini”.

Insomma, la speranza cristiana non è semplicemente proiettata al di là della morte, ma vuole trasformarci già oggi qui.

b) se devo pensare alla vita dopo la morte, all'al di là, questo non mi distrae dagli impegni, dalle occupazione quotidiane? Non c'è il rischio dell'alienazione (religione come oppio dei popoli)? Non ci distoglie dal progresso tecnico e scientifico?

A questa obiezione ha già risposto 23 anni fa papa Benedetto XVI! L’allora card. Ratzinger nella Quaresima 1983, predicando gli Esercizi spirituali a papa Wojtyla ed alla curia romana, affermò:

“La terra non è la nostra meta definitiva, siamo in cammino verso il mondo nuovo, le cose della terra non sono le ultime e le definitive. Nei vari secoli i cristiani sono stati spesso rimproverati del fatto che hanno trascurato di edificare la città in questo mondo, poiché hanno sempre avuto il pretesto di rifugiarsi nell’altro. Al contrario! Chi si getta a capofitto nel mondo, colui per il quale la terra è l’unico cielo, questi rende la terra un inferno, poiché fa di essa ciò che non può essere, poiché vuole avere in essa ciò che è definitivo e in tal modo esige qualcosa che lo pone contro se stesso, contro la verità e contro gli altri. No, quando sappiamo che siamo nomadi, proprio allora diventiamo liberi, liberi dall’avidità di possesso; proprio allora diventiamo liberi l’uno verso l’altro, e proprio allora ci viene affidata la responsabilità di trasformare la terra, in modo tale che un giorno potremo deporla nelle mani di Dio. Perciò questa notte del passaggio, che ci ricorda l’estremo viaggio di Gesù, deve essere una costante esortazione per noi a ricordare l’estremo viaggio e a non dimenticare che un giorno dovremo lasciare tutto ciò che possediamo, e che alla fine non conta ciò che abbiamo, ma soltanto ciò che siamo, che alla fine dovremo rendere conto del come in questo mondo – sulla base della fede – siamo stati persone che si sono donate reciprocamente pace, patria, famiglia e la nuova città.

3) Cristo è risorto, ma tanti sono indifferenti, ingrati... Chi gliel'ha fatto fare?  Rimangono malattie, morte, guerre, terremoti ... A che sono serviti tanto dolore prima e tanta vittoria poi?

Rispondiamo che, anche redenti e perdonati, permangono gli effetti del peccato originale, determinate abitudini negative, le influenze negative derivanti dall'ambiente circostante e dal demonio.

Gesù, risorgendo, ha vinto il peccato e la morte e ha donato la pace. Talvolta davvero non vediamo in modo limpido questa vittoria e questo dono. Non dobbiamo dimenticare la differenza tra redenzione e risurrezione: in Gesù coincidono, in noi no! Il Cristianesimo è la religione del già e non ancora. Siamo redenti, ma non ancora risorti. I doni del Signore ci sono proposti, offerti, ma non imposti. Gesù ha il massimo rispetto della nostra libertà, della nostra creatività e della nostra responsabilità, per il semplice fatto che senza libertà non può esserci amore.

Questo vale per la mia vita interiore e per tutti.

È anche vero però che alcuni effetti della Pasqua li vediamo: pensiamo a come la Pasqua ha trasformato la vita di persone quali Francesco d’Assisi, Pio da Pietrelcina, Teresa di Calcutta, Giovanni Paolo II! Questa persone – e tante altre! - hanno risposto con gioia, gratitudine e disponibilità all’amore del Signore e si sono davvero lasciate trasformare da Lui. Potremmo provarci anche noi.

Padre Cantalamessa ci fa riflettere sul fatto che fare la Pasqua significa tre cose diverse:

a) per gli Ebrei: fare la Pasqua era il rito dell'agnello. Tale rito che celebrava il passaggio di Dio. Ma fu un passare essi stessi, dalla schiavitù alla libertà. Questo popolo diventa libero per servire Dio; si scuote le catene di dosso, si ribella agli aguzzini e va verso l'orizzonte sconfinato del deserto dove il suo Dio lo aspetta. Si tratta di un passaggio difficile! La schiavitù ha un suo fascino: non ci sono decisioni da prendere; le pentole sono piene di carne e di cipolle. È assai più difficile gestire la propria libertà; di qui la tentazione, nel deserto, di tornare indietro, in Egitto. Perché ci hai fatto uscire dall'Egitto? dicono a Mosè.

b) per Gesù: fare la Pasqua era celebrare un rito, ma anche e soprattutto morire per risorgere. Gesù sperimentò tutta l'amarezza del fallimento, dell'abbandono, della paura all'appressarsi della sua ora.

c) per noi: fare la Pasqua sì, dei riti, ma anzitutto un passaggio dall'uomo vecchio all'uomo nuovo, non da un posto all'altro, ma da un modo di vivere ad un altro, dal vivere per il mondo e secondo il mondo, al vivere per il Padre: dall'io a Dio, dal me agli altri.

Ci sono anche la fatica, la rinuncia, il dolore, ma è anche passaggio verso la libertà e verso la gioia. È uno scrollarsi di dosso le mille catene che ci tengono schiavi, come gli Ebrei in Egitto, anche se di una diversa schiavitù. Siamo schiavi delle cose, delle comodità, alle quali non sappiamo rinunciare; schiavi dei pregiudizi e delle mode; schiavi soprattutto dei peccati, perché chiunque commette il peccato è schiavo del peccato (Gv 8, 34). Non è un invito astratto; la nostra vita è ancora chiusa a Lui; Egli vi entra solo di sfuggita e obliquamente, come il sole da una piccola feritoia in un castello tutto buio. Bisogna spalancargli le finestre, in questa Pasqua; farci illuminare dalla sua luce; esporre la nostra vita al suo giudizio e al suo perdono, permettergli di riaprire il discorso su di noi che abbiamo forse voluto considerare chiuso, sulla base di un certo compromesso".

 

Il Signore ci vuole felici, come all'inizio della Creazione:

risorti dalla disperazione alla speranza,

dalla pigrizia alla determinazione,

dalla paura al coraggio,

dal rancore al perdono,

dalla durezza alla dolcezza,

dalla solitudine alla comunione,

dalla guerra alla pace,

dall'egoismo all'amore.

Il Suo Regno è già qui! Viviamo da risorti.