Intervista su Cinesi - Ascensione

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Intervista su Cinesi

Vescovo Franco

PRATO, CONDIZIONI DISUMANE PER I LAVORATORI CINESI.
INTERVISTA AL VESCOVO FRANCO AGOSTINELLI


"Noi non possiamo permettere che in Toscana ci siano uomini e donne ridotti in una condizione di schiavitù”. Così il governatore della Regione Toscana Enrico Rossi, che ha anche chiesto un incontro a porte chiuse con il premier Enrico Letta e il ministro degli Interni Angelino Alfano, dopo l’incendio di ieri in una fabbrica che ha fatto sette morti di nazionalità cinese, due ustionati gravi e due feriti lievi. Il rogo è scoppiato in uno stabilimento di moda del Macrolotto, la zona industriale alle porte del capoluogo toscano a denso insediamento di manodopera cinese. Molte le polemiche. Antonella Palermo ha intervistato il vescovo di Prato, Franco Agostinelli:

R. - Siamo rimasti tutti sgomenti di fronte a questo fatto inaudito, a questa tragedia. Da parte nostra c’è un moto di indignazione di fronte a quello che avviene e non possiamo altro che denunciare un certo comportamento, lo sfruttamento, che calpesta la dignità delle persone. Questa gente viene dalle zone più povere della Cina, vengono per lavorare come “matti” e per mettere insieme quattro soldi sufficienti per quando torneranno in Cina per avere un tenore di vita un po’ più dignitoso. Ma a quale prezzo? Qui non c’è orario di lavoro perché si lavora di giorno come di notte; non c’è nessuna tutela da parte sindacale e nessuno la cerca, nessuno la vuole. Le condizioni in cui vivono queste persone sono veramente disumane; ho avuto modo di parlare in maniera privata - con molte tergiversazioni e molta fatica – con qualcuno di loro: vivono quasi in “loculi”, in spazi minimi dove dormono e fanno da mangiare; talvolta vengono anche chiusi nel capannone perché stiano lì. Non è un fatto che fa onore a nessuno. Viene calpestata la dignità dell’uomo negli aspetti più essenziali.

D. – Prato, la capitale del manifatturiero in Italia che soffre ormai da anni di una grave crisi e questo è un po’ il rovescio della medaglia…

R. – Prato sta attraversando un periodo veramente faticoso dal punto di vista lavorativo. Viviamo in una situazione in cui il tessile purtroppo sta scadendo sempre di più, perché ovviamente all’estero la manodopera costa molto meno. Qui la legge non è che li tuteli molto, anche gli imprenditori devono fare salti mortali per mantenersi ancora sul mercato. Rimangono appunto i cinesi perché - mi sembra di poter dire – che sono “oltre la legge”. Queste situazioni a Prato sono ordinarie ma lo sanno tutti, le istituzioni, i legislatori, i politici, lo sanno tutti. Ma ci si straccia le vesti quando questi fatti avvengono ... La Chiesa pratese le ha sempre dette queste cose…

D. – C'è chi afferma che serve più dialogo tra le autorità dei due Paesi e più spirito critico per istituzioni, società civile e sindacati. E’ d’accordo?

R. – Certo che occorre più dialogo perché un dialogo mi sembra che ci sia poco, per lo meno a livello istituzionale, poi non so a quali altri livelli ci può essere il dialogo.

D. – Come è impegnata la Chiesa locale sul fronte proprio della pastorale dei migranti?

R. – Noi abbiamo prima di tutto una parrocchia dove ci sono strutture per i cattolici cinesi, abbiamo sacerdoti che vivono nel quartiere dei cinesi, due francescani che vivono in mezzo a loro. Certo, il dialogo con loro non è facile perché è un mondo chiuso, anche in mezzo ai pochi cattolici cinesi. Quando c’è il periodo del lavoro noi ce ne accorgiamo subito perché loro spariscono: può essere Pasqua, Natale ma loro spariscono dalla circolazione. Quindi, capiamo che ci sono commesse da soddisfare ed allora sono tutti al lavoro.

D. – “Lavoratori invisibili”, così vengono definiti…

R. - Lavoratori “invisibili” perché sono nel chiuso di un “ghetto” che è il loro posto di lavoro, ovvero il capannone dove lavorano e da dove evidentemente escono poco perché sono impegnati a lavorare e le poche ore di libertà che hanno le devono sfruttare per riposarsi un po’.

D. – Nei dormitori anche i bambini…

R. – Certo, ma non sempre ci sono. A quanto mi dicono, i bambini che arrivano vengono rimandati in Cina e vengono accuditi dai nonni. I genitori li vedranno tra 5 o 6 anni, quando anche loro torneranno in patria e si ricongiungeranno con i loro figli. Qui non possono accudirli perché non hanno tempo, hanno da lavorare. Antonella Palermo, Radio Vaticana, Radiogiornale del 4 dicembre 2013.

 
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