GIULIO ROSCIO DI ORTE

 Giulio Roscio, nato a Orte il ?????, per le sue poesie latine e per li suoi Elogi Militari.Canonico e poeta Ortano, prestò in quel tempo la sua opera in uffici vaticani di livello e s’interessò anche di fatti pubblici della sua città. Si legga l’epigramma II°, composto nel 1575, quando Frate Felice Peretti, cardinale, fece una visita al Seminario Romano, dove Giulio Roscio studiava Teologia. In circostanze di tal genere, era usanza, durata fino a qualche decina di anni fa, che un alunno, tra i migliori, venisse scelto per dare all’illustre ospite il benvenuto con una composizione poetica che spesso ridondava di retorica e di evidenti esagerazioni. Quel giorno il giovane studente ortano non esitò, in quattro distici eligiaci, a volare alto, e non ebbe alcun ritegno a predire al Cardinale, in maniera allusiva ma abbastanza trasparente, che sarebbe diventato Papa e a promettere, <<si vera cano>>, che non avrebbe cessato di seguirlo con devozione e di esaltarne le imprese. Così, quando qualche mese dopo divenuto Papa, ed il giovane seminarista, diventato nel frattempo sacerdote, affermato teologo ed esperto umanista, forbito oratore ed elegante poeta latino, prese sul serio quella promessa e non cessò di accompagnare con la sua musa quel Papa. Giulio Roscio, oltre alle poche sparse notizie che possiamo desumere dai suoi scritti, abbiamo il ritratto che ci hanno lasciato il Leoncini nei suoi appunti e Giovan Vittorio Rossi nella sua <<Pinacoteca>> pubblicata sotto il nome grecizzato di Iano Nicio Eritreo. Da una nota del Leoncini possiamo stabilire con sicurezza che in Orte egli abitava nella casa che oggi è in via Principe Umberto al n.67, posta allora di fronte alla scomparsa Chiesa di San Dicio, nella piazzetta Montecavallo.Nell’interno di questa casa, a lui pervenuta per via di eredità da parte della madre, il Leoncini ricorda un <<camino antiquo>> oggi scomparso, con le soglie di <<marmore ortano>> ornati di uno stemma con mitra, circondato da due chiavi in croce e da un giglio. Fece gli studi a Roma, nel Seminario Romano e si laureò in Teologia. Ordinato sacerdote e divenuto beneficiario di S. Maria in Trastevere, fu chiamato a far parte della <<famiglia>> del card. Giacomo Savelli, ovunque ammirato e ricercato per la brillante intelligenza, la vena poetica e il forbito latino.Con gli amici di Orte mantenne costanti e affettuosi rapporti epistolari. Aveva una grande devozione per le reliquie dei Santi, e nelle sue frequenti puntate in città non mancava mai di fare una visita sul Colle di San Bernardino per pregare dinanzi al cappuccio del santo Senese o alla chiesa di San Francesco a venerare il Cilicio del serafico Padre. E poiché questa e altre reliquie non erano, a suo giudizio, conservate con il dovuto decoro aveva informato il generale dell’Ordine Francescano di aver fatto preparare alcune custodie <<per conservarle con più venerazione>>, da collocare sotto l’altare maggiore.

Fu uno dei personaggi di maggior rilievo nella vita culturale della città: erudito apprezzato, oratore forbito, elegante poeta latino, amico di Aldo Manunzio (il nipote del grande stampatore), autore di epigrammi, di elegie, di odi e di carmi latini (Opere di misericordia, Monumenta aliquot familiæ sabellæ Rom., Triunphus sw Domino Gabino..e, soprattutto, di un’opera pubblicata postuma Elogia militaria, tipica espressione di un umanesimo attardato, in cui la narrazione della vita e delle imprese di 75 grandi capitani di ventura dei sec. XIX e XV si conclude per lo più con un elogio in distici latini. Egli però non rientrava negli schemi dei letterati umanistici, chiusi nello splendido isolamento della loro solida e ammirata cultura: fu invece attivo esecutore della politica della curia romana, al cui servizio aveva posto le sue doti e il suo impegno.

Ma pur occupato in uffici di grande importanza, non dimenticò mai né i suoi amici di Orte, particolarmente il Leoncini, con il quale conservò fino a un certo momento intensa corrispondenza, né i suoi concittadini, dei quali a Roma, al servizio del card. Savelli e a contatto con i personaggi più influenti della Curia, cercò di curare con molto impegno gli interessi (vedi il pro-memoria presentato al Papa Sisto V, per la ricostruzione del ponte sul Tevere), né la sua terra, ai cui aspetti più belli e significativi sono nostalgicamente ispirati molti suoi epigrammi.

Il Leoncini, nonostante qualche dissapore, come abbiamo detto, la pubblicazione dell’opera di Proba Falconia, ci lascia di lui uno splendido elogio: “doctore in Teologia, letterato in quasi tutte le scienze, addetto al servizio del Card. Savelli, compose tanti libri in così giovanile età che mentre al mondo viverà darà gran saggio et utilità di sé alli posteri et a noi et alla Patria et casa sua”.

Ne ricorda il possesso perfetto delle lingue graca e latina, la familiarità che le persone più colte del suo tempo, l’assidua frequenza nelle tipografie, nelle librerie e nei circoli letterari (nelle stampe et librerie et studii et nelle corti prime di Roma nelle quali è tenuto in gran conto e reputazione).

Se il Card. Savelli non fosse morto così presto, commenta il Leoncini, le sue virtù sarebbero state meglio riconosciute “se non altro almeno con un cappello verde”, cioè, sarebbe stato fatto certamente Vescovo, poiché aggiunge, “li denari si non li prezza et stima che li spende tutti in opere virtuose e sancte”.

Il momento culminante della sua carriera a Roma lo raggiunse nel dicembre 1590, quando Gregorio XIV (1590-1591), appena eletto, lo chiamò a far parte della sua segreteria per le lettere latine. Purtroppo, vi rimase per poco; morì a Milano nel 1591, mentre era diretto in Svizzera per una missione diplomatica.

Sulla famiglia Rosci o Rossi, il Leoncini si sofferma assai a lungo. Oltre a Giulio, egli ricorda altri personaggi che, a suo tempo, fecero parlare di sé, come Bartolomeo Rossi, il quale lasciò per testamento un fondo di 2300 scudi, i cui fruttati annui dovevano essere dal Vescovo distribuiti ai poveri di Cristo nel giorno dell’Assunta, in ragione di 10 ducati per famiglia; fu inoltre molto legato ai cappuccini che, proprio in quegli anni, si erano stabiliti in Orte e lasciò anche ad essi un testone la settimana per loro companatico et casa ; e non si preoccupò solo di assicurare loro il companatico,

ma volle che avessero a disposizione una biblioteca, per la quale spese ben cento scudi, et se viveva ci voleva spendere 500 scudi.

Bartolomeo Rossi, così benemerito dei poveri e dell’aggiornamento culturale dei religiosi cappuccini residenti a Orte, morì il 13 ottobre 1598, per un fatto che il Leoncini riferisce come cosa insolita.

Nel mese di agosto era inciampato in un canestro, e uno spuntone (i canestri allora si facevano con i rami flessibili del vettolo) gli aveva fatto una piccola fractura alla gamba sinistra: et per questo si pose a letto né si levò se non morto. Fu sepolto a Sant’Agostino.

Insomma l’antica famiglia de conti  Rosci (estintasi circa nel 1850) in Orta son tutti ricchi et facoltosi. Il Sig. Capitano Horatio Roscio fratello del detto messer Giulio, capitano delle Militie d’Orta al tempo di Sisto Papa V°. Dell’anno poi 1595 è stato creato dalla religione di S. Stefano  Cavaliere messer Ridolfo Rossi (cavalieri creati dal serenissimo Gran Duca di Toscana) il cavaliere Ridolfo Rossi fratello del Capitano Horatio et del R.do messer Giulio Rossi, come appare per suo privilegio et ha scritto tre anni in corso di mare et in Pisa conforme agli ordini di detta Religione - quale ha finito l’anno 1598 come per suo bono servitio appare.In casa di messer Giulio Rossi posta alla piccola Piazza detta di S. Dicio vi sta un Camino di pietra Ortana che nella sua cornice vi sta un Arme con una Mitra  in mezzo - detta cornice da una banda alla dritta per riguardarla in faccia stanno due chiavi in croce, dalla sinistra un Giglio col suo piede o fiore che sia et il Camino è antiquo così le dette sculture che sonno fatte a scalpello. Ho usato diligenza sapere di chi sia detta Arma nè alcuni dè vecchi me l’hanno saputo dire. Questa casa ..........in casa Rossi per dote che prima fu di casa.

(Dal libro “Epigrammi in lode di SistoV°” di Giulio Roscio a cura di Don Delfo Gioacchini 1989)

 (Vladimiro Marcoccio 2012)