GIULIO ROSCIO DI ORTE
Fu uno dei personaggi di maggior rilievo nella vita culturale della città: erudito apprezzato, oratore forbito, elegante poeta latino, amico di Aldo Manunzio (il nipote del grande stampatore), autore di epigrammi, di elegie, di odi e di carmi latini (Opere di misericordia, Monumenta aliquot familiæ sabellæ Rom., Triunphus sw Domino Gabino..e, soprattutto, di un’opera pubblicata postuma Elogia militaria, tipica espressione di un umanesimo attardato, in cui la narrazione della vita e delle imprese di 75 grandi capitani di ventura dei sec. XIX e XV si conclude per lo più con un elogio in distici latini. Egli però non rientrava negli schemi dei letterati umanistici, chiusi nello splendido isolamento della loro solida e ammirata cultura: fu invece attivo esecutore della politica della curia romana, al cui servizio aveva posto le sue doti e il suo impegno.
Ma pur occupato in uffici di grande importanza, non dimenticò mai né i suoi amici di Orte, particolarmente il Leoncini, con il quale conservò fino a un certo momento intensa corrispondenza, né i suoi concittadini, dei quali a Roma, al servizio del card. Savelli e a contatto con i personaggi più influenti della Curia, cercò di curare con molto impegno gli interessi (vedi il pro-memoria presentato al Papa Sisto V, per la ricostruzione del ponte sul Tevere), né la sua terra, ai cui aspetti più belli e significativi sono nostalgicamente ispirati molti suoi epigrammi.
Il Leoncini, nonostante qualche dissapore, come abbiamo detto, la pubblicazione dell’opera di Proba Falconia, ci lascia di lui uno splendido elogio: “doctore in Teologia, letterato in quasi tutte le scienze, addetto al servizio del Card. Savelli, compose tanti libri in così giovanile età che mentre al mondo viverà darà gran saggio et utilità di sé alli posteri et a noi et alla Patria et casa sua”.
Ne ricorda il possesso perfetto delle lingue graca e latina, la familiarità che le persone più colte del suo tempo, l’assidua frequenza nelle tipografie, nelle librerie e nei circoli letterari (nelle stampe et librerie et studii et nelle corti prime di Roma nelle quali è tenuto in gran conto e reputazione).
Se il Card. Savelli non fosse morto così presto, commenta il Leoncini, le sue virtù sarebbero state meglio riconosciute “se non altro almeno con un cappello verde”, cioè, sarebbe stato fatto certamente Vescovo, poiché aggiunge, “li denari si non li prezza et stima che li spende tutti in opere virtuose e sancte”.
Il momento culminante della sua carriera a Roma lo raggiunse nel dicembre 1590, quando Gregorio XIV (1590-1591), appena eletto, lo chiamò a far parte della sua segreteria per le lettere latine. Purtroppo, vi rimase per poco; morì a Milano nel 1591, mentre era diretto in Svizzera per una missione diplomatica.
Sulla famiglia Rosci o Rossi, il Leoncini si sofferma assai a lungo. Oltre a Giulio, egli ricorda altri personaggi che, a suo tempo, fecero parlare di sé, come Bartolomeo Rossi, il quale lasciò per testamento un fondo di 2300 scudi, i cui fruttati annui dovevano essere dal Vescovo distribuiti ai poveri di Cristo nel giorno dell’Assunta, in ragione di 10 ducati per famiglia; fu inoltre molto legato ai cappuccini che, proprio in quegli anni, si erano stabiliti in Orte e lasciò anche ad essi un testone la settimana per loro companatico et casa ; e non si preoccupò solo di assicurare loro il companatico,
ma volle che avessero a disposizione una biblioteca, per la quale spese ben cento scudi, et se viveva ci voleva spendere 500 scudi.
Bartolomeo Rossi, così benemerito dei poveri e dell’aggiornamento culturale dei religiosi cappuccini residenti a Orte, morì il 13 ottobre 1598, per un fatto che il Leoncini riferisce come cosa insolita.
Nel mese di agosto era inciampato in un canestro, e uno spuntone (i canestri allora si facevano con i rami flessibili del vettolo) gli aveva fatto una piccola fractura alla gamba sinistra: et per questo si pose a letto né si levò se non morto. Fu sepolto a Sant’Agostino.
Insomma l’antica famiglia de conti Rosci (estintasi circa nel 1850) in Orta son tutti ricchi et facoltosi. Il Sig. Capitano Horatio Roscio fratello del detto messer Giulio, capitano delle Militie d’Orta al tempo di Sisto Papa V°. Dell’anno poi 1595 è stato creato dalla religione di S. Stefano Cavaliere messer Ridolfo Rossi (cavalieri creati dal serenissimo Gran Duca di Toscana) il cavaliere Ridolfo Rossi fratello del Capitano Horatio et del R.do messer Giulio Rossi, come appare per suo privilegio et ha scritto tre anni in corso di mare et in Pisa conforme agli ordini di detta Religione - quale ha finito l’anno 1598 come per suo bono servitio appare.In casa di messer Giulio Rossi posta alla piccola Piazza detta di S. Dicio vi sta un Camino di pietra Ortana che nella sua cornice vi sta un Arme con una Mitra in mezzo - detta cornice da una banda alla dritta per riguardarla in faccia stanno due chiavi in croce, dalla sinistra un Giglio col suo piede o fiore che sia et il Camino è antiquo così le dette sculture che sonno fatte a scalpello. Ho usato diligenza sapere di chi sia detta Arma nè alcuni dè vecchi me l’hanno saputo dire. Questa casa ..........in casa Rossi per dote che prima fu di casa.
(Vladimiro Marcoccio 2012)