CARDINALE FERDINANDO NUZZI DI ORTE

Il Cardinale Ferdinando Nuzzi, della nobile famiglia dei Conti Nuzzi, nato a Orte il 10 settembre 1645, era, scrive il Fontanini, “Hortanæ urbis splendidissimum ornamentum (il più splendito ornemento della città di Orte) e “ut bonum civem decet de ea benemereri semper studuit” (e cercò sempre di rendersi di essa benemerito da buon cittadino).Dopo la morte del padre, Giacomo, avvenuta il 1654, della madre Samaritana (detta famigliarmente Maritana), terzo di sei figli, era stato inviato a Roma a nove anni, a studiare in un collegio dei gesuiti, e qui concluse brillantemente il corso degli studi: fu ordinato sacerdote, uno dei più valenti giureconsulti del suo tempo  nominato canonico di S. Pietro e incaricato di amministrare i poderi appartenenti al patrimonio della basilica. Papa Innocenzo XI° lo nominò commissario della Camera Apostolica .Durante la sede vacante, poiché il Conclave andava per le lunghe, il collegio dei Cardinali lo mise a capo della congregazione dei beni della Santa Sede e il Papa Innocenzo XII° non appena eletto (1691) lo confermò in questo incarico. Nel 1695 fu assegnato come consultore alla Congregazione del Consiglio e nel 1701 fu nominato da Clamente XI° segretario della Congregazione delle Acque e dell’Annona. Fu in questa carica che il Nuzzi concepì l’audace disegno di bonificare le paludi Pontine per restituirle alla fertilità che avevano avuto nel periodo dell’Impero romano, quando erano terre feconde e abitate. Dopo uno splendido elogio dell’agricoltura, il Nuzzi dimostrava come la divisione delle terre per effetto delle leggi agrarie e la diffusione della piccola proprietà contadina, avevano reso fruttuosa la campagna romana.).

Solo a causa delle devastazioni dei Longobardi, degli Ungari e dei saraceni essa era stata abbandonata ed era diventata malsana per le acque stagnanti e per la folta vegetazione che l’avevano ricoperta.

Bisognerebbe, egli dice, privilegiare ancora una volta i contadini e assegnare la terza parte delle tenute non coltivate a chi aveva voglia di lavorarle, derogando anco gli affitti fatti ad longum tempus (per lungo tempo), esentandoli dal pagamento delle tasse, concedendo prestiti al tasso del 2% e la facoltà di esportare il grano, eccedente i bisogni della città di Roma. Tutto questo, pero, aggiunge Nuzzi, non è ancora sufficiente: potrà spingere ad una più intensiva coltivazione della campagna, ma non a ripopolarla o a bonificarla. Occorre cambiare tipo di coltura, non limitarsi solo alla produzione di grano. Bisognava costringere i grandi proprietari con le buone con amorore insinuazioni o con le cattive con autorità pubblica a estendere i tipi di coltivazione, oppure, se fossero stati sordi ai richiami, espropriare e ripartire le loro tenute e assegnarle ai contadini con una certa e discreta amena risposta : in questo caso, si sarebbero invogliati i contadini a lavorare con maggior impegno e si sarebbe dato loro la possibilità di tornare ad abitare nella propria terra che, con la rinnovata coltura, sarebbe tornata ad esser salubre.

Prefetto dell’Annona, scrisse un pregevole opuscolo dal titolo :” Discorso intorno alla coltivazione della Campagna di Roma” www.orta.4000.it . Nel 1715 fu onorato della porpora cardinalizia da Clemente XI°.

Prefetto dell’Annona  (oggi si direbbe Ministro dell’Agricoltura e degli approvvigionamenti) era una delle figure più audaci e di maggior rilievo nella Curia Romana. Sotto la sua guida oculata, i redditi crebbero in maniera sensibile: questo fatto non sfuggì al Papa Alessandro VIII°, che lo nominò suo consigliere personale per gli affari dell’agricoltura.

Nella sua casa, a Roma, nel pomeriggio, dopo gli impegni d’ufficio, riuniva attorno a se le persone di cultura più in vista, per aver modo di discutere argomenti di attualità.

Giusto Fontanini, che di questi convegni era uno dei più assidui frequentatori, testimonia che il Vescovo partecipava anche a discussioni di carattere artistico e letterario con tanta competenza da dar l’impressione di non essersi mai occupato d’altro. Fra le tante benemerenze di cui siamo a lui debitori ce n’è una che merita particolare menzione: un volume selle antichità di Orte, “De antiquitatibus Hortæ” , composta per suo incarico dallo scrittore friulano Giusto Fontanini (1666-1736).

  Si direbbe che le caratteristiche ortane (insofferenza per ogni forma di ingiustizia, fermezza e decisione nel superare ogni ostacolo) si rivelino inconfondibili in lui nell’audace progetto di bonifica delle paludi pontine. La cosa dovette apparire allora talmente sorprendente e sbalorditiva che il Fontanini, nella sua seconda edizione del “De Antiquitatibus Hortæ”, sentì il bisogno di riportare in appendice, per intero, il discorso “Intorno alla coltivazione e popolazione della campagna di Roma”. L’audacia del progetto sta soprattutto nella tesi avanzata dal Nuzzi, il quale propone addirittura di togliere ai proprietari negligenti le terre e distribuirle ai contadini.

Il cardinale Nuzzi lasciò ad Orte molti segni del proprio affettuoso attaccamento: affidò la costruzione, di Palazzo Nuzzi (1710) a Carlo Francesco Bizzaccheri, (allievo del più celebre architetto Carlo Fontana lo stesso che presiedette alla costruzione del palazzo di Montecitorio a Roma), nell’ottocento la famiglia Nuzzi cede in affitto parte del palazzo alle autorità del governo pontificio, oggi sede dell’amministrazione comunale, e anni addietro della Pretura. Severo ed elegante, presenta i caratteri della residenza barocchetta di ambito romano. Progettato  per il cardinale ortano Ferdinando Nuzzi (1645-1717), presenta un prospetto di andamento concavo, che assolve al ruolo di facciata-quinta scenografica lungo uno dei principali assi viari che attraversano l’abitato cittadino. Gli originali ambienti dell’appartamento nobile sono decorati alle pareti da architetture dipinte ed episodi tratti dalla storia romana, come quelli di Marco Curzio e di Muzio Scevola, attribuiti al primo Settecento ad un seguace di Andrea Pozzo.

Il Cardinale Nuzzi, iniziò la costruzione (1715), su progetto di un seguace di Carlo Francesco Bizzaccheri, della ridente villa a “Le Grazie” poi ampliata dal nipote Innocenzo. Nel tempo la villa ha subito vari passaggi di proprietà dai Nuzzi al card. Di Pietro, e da questi al marchese Vettori, la villa è passata oggi alla principessa di Villafaletto - Mirto, con un bosco secentesco e con un appendice ( palazzo Ralli, oggi della famiglia Perini), una volta collegata mediante un ballatoio che attraversava la strada. Il Cardinale veniva a passare la sua villeggiatura in quel luogo ed amava offrire ospitalità ai seminaristi del tempo, per i quali aveva addirittura adattato l’atrio d’ingresso scoperto del palazzo Ralli a teatro, come dice  l'iscrizione apposta sulla porta:

“Dum ludis scenisque vocat studiosa inventus I

Ipse habet unde animos hic recreare suos”

(nel dedicarsi ai passatempi teatrali, i giovani impegnati nello studio hanno qui modo di ristorare il proprio spirito)

 Il 16 dicembre 1715, Clemente XI° lo nominò cardinale e lo assegnò alla diocesi di Orvieto.

Rimase ad Orvieto appena due anni, giacché morì il 30 novembre 1717, a 72 anni. Dai documenti si viene a conoscenza che a seguito della morte la salma del prelato fu oggetto di particolari onoranze. Il monumento funebre, che oggi possiamo vedere nella chiesa di San Francesco in Orte, addossato alla parete sinistra, fu eseguito dopo 1718, da Bernardino Cametti (1669/1736) e rimosso dopo circa un secolo. La salma fu collocata in attesa della sepoltura definitiva, all’interno di tre capsae nella  cappella di San Brizio, nel Duomo di Orvieto. Fu rimosso, probabilmente, in concomitanza con i restauri del 1845 ai dipinti murali quattrocenteschi, poi attorno al 1880 (Camilli) nel 1928 (Don Delfo) per lavori di restauro del Duomo, le sue spoglie vennero poste nella Cattedrale ad Orte, e da qui, per lavori di pavimentazione furono traslate nella chiesa delle Grazie (Corrado Ralli). Qui sono custodite le reliquie: il cuore del Ven. Tenderini (1739), del Vescovo Ercolani (1848) e del Vescovo Mengacci e i resti del Vescovo De Dominicis (1822), del Vescovo Domenico Mignanti (1889), del Vescovo Giacomo Ghezzi (1920) e del Vescovo Roberto Massimiliani (1975).

 (Vladimiro Marcoccio 2012)