BIOGRAFIA DI DON LANDO LEONCINI
Don Lando Leoncini è il personaggio al quale tutti gli ortani debbono essere particolarmente grati, per l’opera di pazienza annotazione e di preziosa ricerca che, fino al terzo decennio del ‘600, costituisce la fonte prima ed essenziale per qualunque notizia sulle vicende della città e delle sue piccole storie.
Su Lando Leoncini e nella sua Fabrica Ortana ci basti riferire alcuni dati essenziali che ci possono illuminare nella sua opera di storico e sulla sua autentica pietà di sacerdote. Durante le vicende delle prime guerre civili (1405), il suo antenato Metteo Leone si era trasferito a Roma, donde era ritornato nel 1452. Da Andreone, suo figlio, un bell’uomo, dall’aspetto gentile e dalla statura imponente, erano nati tre figli, uno dei quali, Lando, quando ci fu la novità la novità grande del 1489, fece come aveva fatto il nonno: abbandonò la città e si trasferì ad Amelia.
Qui sposò la signora Maria Catenacci ed ebbe due figli, a uno dei quali, Pietro Paolo, divenuto vicario generale, fu affidato il governo della dicesi, quando il Vescovo Scipione Bongallo partì per il Concilio di Trento.
Qualche tempo dopo Maria Catenacci morì prematuramente e allora Lando di Andreone rientrò in Orte e nel 1485 prese in moglie, in seconde nozze, Francesca Torri, dalla quale ebbe tre figli, due femmine e uno maschio, cui pose il nome Leone.
Da Leone e da Graziosa Ponte, il 15 settembre 1548, ultimo di sette fratelli, nacque Don Lando Leoncini. Di suo nonno Lando Andreone, il nipote ci diede un profilo assai gustoso: visse sempre allegramente fino a 94 anni, non mangiava mai minestre e suonava il suo liuto.
Lando Leoncini divenne prete nel 1576, a ventotto anni. Non ci dice, ed è un peccato, dove avesse studiato e chi sia stato il suo maestro.
Sappiamo però con sicurezza che nel 1572 stava a Roma per ragioni di studio e vi rimase a lungo. L’annotazione da lui posta nel vol. II, p. II, pag. 250 bis del secondo volume della Fabrica Ortana non lascia dubbi. A proposito dei capitoli provinciali fatti dai frati conventuali a San Francesco scrive: .. dirò solo di quello che si fece l’anno 1572 che durò giorni XVIII come mi dicono i nostri, perché io a quel tempo mi trovavo in Roma per stanza, ove fui per alcuni anni.
Fu priore di San Pietro e decano del Capitolo, sempre immerso nel vivo delle vicende religiose e civili della città. Negli ultimi anni di vita, forse per le nottate di studio cui, alla fioca luce della candela, si era sempre appassionatamente dedicato, divenne quasi del tutto cieco e fu coadiuvato nelle attività pastorali dal prete Orazio Squarti.
Fu ortano nel senso autentico della parola. Quando per soddisfare a una richiesta del Vescovo Andrea Longo (1582 – 1607), che era appena giunto in sede, egli si accinse a illustrare la storia della cattedrale e delle Chiese della Città, si rese conto che la materia gli cresceva continuamente sotto le mani, che una notizia ne richiedeva un’altra, e il quadro che ne risultava si estendeva, via via, alle città confinanti e a quelle con cui Orte era in rapporti di amicizia o di contrasto.
Capì insomma che si poteva scrivere una storia il più possibile completa, non solo delle istituzioni religiose ma anche delle sue vicende civili, delle sue tradizioni popolari e ei suoi ordinamenti sociali. Pensò anche di intitolarla Fabrica Ortana, sull’esempio della Fabrica Universale (1570) del calabrese Gian Lorenzo Anania.
Cominciò a raccogliere il materiale, sulla base dello stesso criterio storico cu si erano attenuti gli scrittori umanisti, particolarmente Flavio Biondo: cosa mai quivi sarà scritta che non sia cavata da mormori antiqui o da medaglie o da scrittori celebri ed appropriati o da protocolli, bolle, motu propri et privilegi. (Leoncini, cit..vol. I, p. II, f. 340)
Ora di storia antica è da dire che, per quanto riguarda i criteri archeologici, le conclusioni cui il Leoncini perviene risentono delle carenze di una conoscenza scientifica, sicura e approfondita, talvolta ingenua o addirittura del tutto arbitraria. In questo campo egli dimostra, indubbiamente, una vastissima erudizione, ma non acume critico, sì da confondere spesso quello che può essere storia con quello che invece è pura leggenda.
Ė, insomma, la tipica figura dell’umanista attardato, orgoglioso delle glorie cittadine, che però egli accoglie e ingrandisce senza discuterle e senza rigorosamente accertarle. Quando, invece, si attiene ai documenti scritti che può leggere e controllare, allora le notizie che ci trasmette sono sicuramente e storicamente dimostrate. Egli ebbe certamente sotto gli occhi tutti i documenti notarili conservati nella curia Vescovile e nella Cancelleria comunale. Ne abbiamo avuto la riprova in questi nostri giorni, quando abbiamo ritrovato dapprima alcune pagine e poi per intero alcune Riformanze, cioè i verbali dei consigli comunali della seconda metà de4l ‘400 e del primo ‘500: documenti che egli lesse e dai quali certamente desunse (ne cita la fonte) vicende e curiosità che gli sembravano degne di essere tramandate, come ad esempio la notizia dell’orologio del Campanile, …e dalla’anno 1580 fu redotto a suonare ad ore sei in sei et alle tre hore de nocte che suonino, rispetto poi l’andare a torno senza lume, (Leoncini, cit., vol. II, p. I, f. 120) oppure sulla mattonature delle strada della Calzoleria (oggi via Giulio Roscio).
Ė assai probabile, inoltre, che, prima ancora di iniziare i lavoro sistematico di ricerca, egli avesse una specie di diario nel quale appuntava con brevi note di commento avvenimenti quotidiani di un qualche interesse per la vita della città e dei paesi limitrofi.
Questi brevi spunti egli prese l’abitudine di annotare al margine dei fogli sui quali, man mano, stendeva il materiale accumulato. Da qui, la forma particolare della pagina leonciniana, carica di
Descrittione di ORTA
Orta città di Toscana nei Falisci è apunto posta dove termina mezzo il suo viaggio il Tevere, secondo scrivono li scrittori et Fr. Annio Viterbese sopra Marsilio del’origine dé Tirreni al 3° capo parlando di Orta, a cart. XIII (et sotto l’octavo Pacello) comincia su la riva dell’istesso fiume ad elevarsi un colle, suovra il colle s’erge un Sasso, suovra il sasso stassi la città. Il colle è di mediocre altezza, vago, e d’ogni suo lato è fecondo di grano, uve, olive, e d’altri pretiosi frutti. Lo rendono adorno molti Horti e molti irrigati da quindici fontane ch’in esso sorgono. Le sue radici sonno dal lato di tramontana bagnata dal Tevere ove era il Ponte , e diverso mezzogiorno da un Rivo picciolo invero, ma che lo rende atto a fare essercitare XVII Mole in esso fabricate. Il sasso è tufo duro e di sublime atezza, di forma quasi che ovata, è posto in Isola, talchè appare ad ogni assalto di mano inespugnabile,come altre e molte altre esperientie. Utlimamente nel passaggio del XXVII di Borbone a Roma fu chiaramente provato, e quindi adviene che nelle guerre d’Italia si riempie la città d’infinite famiglie romane e d’altre straniere e convicine. (qui va il discorso d’Orta scritto.....)
Nota di Sinistra:Il Polo della città di Orta contiene di altezza gradi 44 et minuti sedici et la dominatione del loco è il segno del Sagittario “gaudeat Iussitu fedix exaltatione” et situato sotto l’octavo Parallelo come recita Zaccaria Lilli in Palledos.
cancellature, di annotazioni, di interlineature, di aggiunte ai lati, scritte in tempi diversi e con inchiostro diverso, che danno a tutto l’insieme l’impressione di un caotico zibaldone, in cui l’avvenimento o l’interpretazione di un documento del passato è accompagnato a lato da appunti frettolosi su quanto in quel mese, in quel giorno, in quell’anno era accaduto in città, da notizie e considerazioni non attinenti all’argomento, messe lì senza un criterio.
Tutto questo materiale egli distribuì in quattro parti, divise nella copia del Pasquinanngeli nei sei grossi volumi in folio di 1578 fogli complessivi, dai quali sarebbe dovuto nascere la Fabrica Ortana , che nella mente dell’autore doveva essere un monumento innalzato alla nobiltà della propria patria e alla gloria di Dio.
Forse, l’ampiezza dei documenti, la curiosità delle ricerche, i più diversi interessi culturali, di carattere storico e agiografico (ad es. la vita di San Lanno e di Sant’Eutizio) o teologico (Trattato su Dio, uno e trino, sulle immagini sacre, ecc.) lo spingeva a rimandare continuamente l’inizio del lavoro di riordinamento e a metter mano all’opera, e quando, forse, era pronto (il vol. IV, tomo sesto sembra, infatti, la prima stesura di un lavoro organico), gliene mancarono le forze fisiche e il tempo: era diventato ormai vecchio e cieco.
Nella casa parrocchiale, in via Mario Villani, le cui finestre danno sulla Marca (e l’architrave di una di esse reca ancora scolpito a grossi caratteri il nome Leoncino),
passò gli ultimi anni assistito amorevolmente da Domicilla Manni, moglie del nipote Orazio.(In segno di riconoscenza, il Leoncini la lasciò usufruttuaria di un censo di 50 scudi de multa servitia, obsequia et servitutem a bea accepta (per i molti servizi, condiscendenze e servitù da lei ricevuti).
Il Pasquinangeli avverte spesso che la calligrafia di alcuni fogli non era quella abituale del Leoncini. Forse don Orazio Squarta non solo lo sostituì nelle sue funzioni di parroco, ma gli fece anche da segretario, scrivendo quanto Leoncini gli dettava.
Il 3 marzo 1634, a 86 anni, ben lucido di mente, ma piuttosto malandato in salute, sentendo ormai prossima la fine, dettò davanti a sei testimoni il proprio testamento (Archivio di Stato di Viterbo, notarile Orte, Prot. I – Istrumenti rogati dal Notaro Paolo de Paolo ortano, fogli 22-25: sanus Dei gratia mente, sensu, loquela et intellectu, licet oculorum lumine carens et de praesenti aliquantulum corpopre infirmis…”per grazia di Dio sano di mente, di sensi, di loquela e di intelletto benché privo della luce degli occhi e al presente un pò malato nel corpo), stabilì di voler essere sepolto in Cattedrale, nella tomba dei canonici (La tomba dei canonici si trovava nella navata di destra della cattedrale, in una cripta sotterranea di fronte alla porta laterale di ingresso).
Lasciò diversi legati per la celebrazione di Sante Messe in suffragio dell’anima propria nominò suo erede universale il nipote Orazio e suo esecutore testamentario il canonico Marco Catenacci. Morì dieci giorni dopo, il 13 marzo. Da un atto notarile del 6 agosto dello stesso anno risulta che Orazio Leoncini heres quondam R.D. Landi Leoncini versò la somma di scudi 150 per un legato di cui il 16 maggio il capitolo della cattedrale aveva accettato gli obblighi.
Come i suoi manoscritti siano giunti a noi, lo abbiamo saputo da una lettera inviata da Augusto Fratini al Comune di Orte nel 1886. Dalla famiglia Leoncini essi erano passati dapprima alla famiglia Prosperi, poi, da questi, alla famiglia Nuzzi. Dopo il Nuzzi, non si ebbe più alcuna notizia.
Li ritrovò, per caso a Roma, in mano a un venditore di libri antichi, l’ultimo discendente della famiglia Alberti. Mariano, verso il quale noi ortani dobbiamo avere un debito di riconoscenza: lo acquistò immediatamente, lo conservò gelosamente, rifiutò qualsiasi somma da parte di avventurieri che avrebbero voluto comprarlo, benché si trovasse, per le vicende che dovette affrontare, in serie difficoltà.
Augusto Fratini, suo nipote per parte di sorella, lo definì erudito bibliomane ed assiduo ricercatore di codici antichi. Tenne sempre caro quel manoscritto, né per richiesta alcuna volle alienarlo, benché talvolta critiche circostanze l’invitassero a ciò fare. Anzi aveva incaricato il copista Felice Pilo di Roma di farne, a sue spese, una trascrizione, che, però, non andò oltre il terzo volume. Insieme con tutta la sua fornitissima biblioteca, i manoscritti passarono in eredità ai Fratini, i quali, con pensiero veramente apprezzabile, ne fecero dono al Comune di Orte, insieme con altri scritti dello stesso Mariano Alberti, raccolti sotto il generico titolo di Miscellanea Ortana.
L’intera raccolta fu esaminata, la prima volta, nel 1898, dal comm. Giocondo Pasquinangeli, il quale tentò dapprima di fare una silloge, cioè una raccolta di passi interessanti, ma poi si convinse che l’opera doveva essere riprodotta per intero, e si accinse alla fatica altamente meritoria di riprodurla pagina per pagina, con la stessa disposizione delle parti scritte, con le stesse cancellature, con le aggiunte e le note e così via, quasi che ne facesse, a grandezza naturale, una riproduzione fotografica.
Si dedicò a questa fatica quasi con furia: la condusse a termine in un anno e nove mesi, lavorando di notte e nei ritagli di tempo a lui concessi dalla altissima carica che ricopriva al Ministero di Grazia e Giustizia. Il primo volume, diviso in due parti (I,I – I,II), corredato da una nota introduttiva nella quale inserì documenti assai importanti per la storia del test, fu iniziato il 12 luglio 1900 e fu finito il 20 novembre 1901. Si era riproposto di trascrivere l’opera seguendo l’ordine numerico dei volumi, ma poi, forse richiamato da curiosità e interessi diversi, si discostò da esso.
Così, mentre trascriveva il I volume, fece delle sospensioni per applicarsi ad altri volumi.
Dal 13 febbraio al 13 maggio 1900 trascrisse il III vol.; dal 3 giugno al 12 luglio, il IV; iniziò il II volume, diviso anch’esso in due parti, l’undici ottobre 1900 e lo terminò il 21 ottobre 1901. Dal 21 novembre 1901 al 12 gennaio 1902 compilò un prezioso indice-sommario di tutta l’opera. La copia del Pasquinangeli, al quale deve andare, e non ci stancheremo mai di ripeterlo, la riconoscenza di tutti noi ortani, è custodita gelosamente e con amorosa cura nell’Archivio della Curia Vescovile di Orte. Essa costituisce l’unico documento, sulla base del quale è possibile ricostruire le piccole, eppure per noi importanti, vicende della nostra città, fino al primo trentennio del sec. XVIII.
L’opera del Leoncini, dopo l’avvenuta trascrizione fatta dal Comm. Pasquinangeli terminata il 20 novembre 1901, fu custodita nell’archivio comunale. Negli anni 2000 fu rinvenuta in un sottoscale del palazzo Nuzzi, ad opera del maestro Armando Fiabane (Maestro della Banda e Scuola Comunale di Orte ). Nell’estate del 2003 il Sig. Balestrucci Enzo riferisce al Sig. Marcoccio Vladimiro di essere in possesso, nel suo garage, di vecchi libri rinvenuti nella vecchia casa di sua zia Onelia Balestrucci. Trattasi del libro “Miscellanea Ortana” del Conte Mariano Alberti, la trascrizione del I° volume della “Fabrica Ortana” da pag. 13 a pag. 359, inoltre un volume che sul dorso e nell’interno è scritto “Vol. III°” , ma secondo il parere del sottoscritto trattasi dell’indice dell’opera. Questi volumi sono stati restituiti ufficialmente su invito del Sig. Marcoccio al detto Balestrucci, il 15 marzo 2004 in occasione di una conferenza sul “Leoncini” indetta dal Comune di Orte.
(Vladimiro Marcoccio 2012)