Terzo comandamento


"Non pronunciare il nome del Signore D-o tuo in un (giuramento) vano. Poiché il Signore non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo nome invano"

La proibizione si riferisce non solo al divieto di pronunciare il nome del Signore inutilmente, ma anche di invocare vanamente il Suo Nome. Mentre il divieto di nominarlo falsamente per ottenere profitti o benefici è nel Levitico (19:12), il nostro verso proibisce invece di fare giuramenti invocando il nome di D-o.

Sefer Hachinuch cita quattro categorie di giuramenti vani:

Sefer Hachinuch spiega che il fine della proibizione è di rafforzare la fede nella tolleranza e nell'onnipotenza di D-o, in modo che l'uomo pronunci il Suo nome con timore e reverenza e non come chi parla di cose temporanee destinate all'oblio.

Seder Eliyahu Rabba 24 pone una relazione tra i primi tre Comandamenti:

chiunque pronuncia il Nome di D-o invano è considerato malvagio come un adoratore di idoli; mentre chi è attento al rispetto del Nome dà al Creatore onore e piacere ed è come Egli dicesse Io solo sono il Signore tuo D-o. L'idolatria infatti è possibile solo se uno nega la grandezza di D-o e chi è timoroso di D-o non potrà mai rendere omaggio a dei stranieri; nello stesso modo chi rispetta il Nome, non lo userà mai con leggerezza in un giuramento.

Ramban sottolinea che le Scritture non usano la frase lo tishava' (tu non giurerai), ma la frase lo tissa (tu non porterai il nome di D-o invano). Questo significa che è proibito menzionare il nome di D-o vanamente e questo in qualsiasi momento, anche al di fuori di un giuramento: mozi shem shamaim levatala (usare il Nome di D-o inutilmente).

Il Talmud (Berachot 33a) insegna che chiunque recita il nome divino inutilmente in una benedizione non necessaria, trasgredisce il comandamento: non pronunciare il nome di D-o invano.

Pesikta Rabbati 22 offre molte interpretazioni al verso: non portare il nome di D-o su te stesso, ovvero non bisogna elevarsi a rappresentare la divinità, ad autonominarsi come autorità della Torà.

Il Talmud insegna che giuramenti vani possono essere causa di grandi catastrofi e il Midrash (Bamidbar Rabba Mattot) narra che il re Alessandro Yannai, membro della dinastia degli Asmonei, vide la distruzione di duemila città a causa del suo uso abituale a bestemmiare, anche se egli non giurava il falso.

Tosefia (Sotah 7) ed il Talmud (Shavuot 39a) insegnano: quando un uomo deve fare un giuramento il tribunale emette un avvertimento nei termini più severi possibili: stai attento che l'intero mondo tremò nel momento in cui D-o disse sul Sinai, Non pronuncerai il Nome del tuo D-o in un giuramento vano.

Poiché il Signore non lascerà impunito chi avrà pronunciato il Suo nome invano

Per altri peccati menzionati nelle Scritture, la Torà dice che il Signore perdona e assolve il peccatore, solamente qui viene detto che D-o non assolve; per tutti i peccati la responsabilità ricade solo su coloro che li compiono, mentre invocare il Nome di D-o inutilmente può causare punizioni al mondo intero; se esistono altri meriti D-o ritarda la punizione dei peccatori, ma per questa violazione D-o combina subito la punizione.

Un giuramento falso ha infatti un devastante potere distruttivo e Ravad (Rilkhot Shavuot 11:13) nota che i Gheonim istituirono una nuova procedura nei tribunali ebraici: proibirono di fare giuramenti invocando il Nome divino, e questo per timore che l'intero mondo fosse distrutto a causa di quegli uomini malvagi che giuravano il falso.


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