Secondo comandamento
: proibizione di ogni forma di idolatria"Non avrai altri dei al mio cospetto. Non ti farai alcuna scultura né immagine qualsiasi di tutto quanto esiste in cielo al di sopra o in terra al di sotto o nelle acque al di sotto della terra. Non ti prostrare loro e non adorarli perché Io, il Signore tuo D-o, sono un D-o geloso che ricorda il peccato dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che Mi odiano. E che uso bontà fino alla millesima generazione per coloro che Mi amano e che osservano i Miei precetti"
Il Secondo Comandamento si compone di quattro versi e contiene quattro separati precetti negativi, tutti che proibiscono vari aspetti dell'idolatria.
Tu non riconoscerai (lett. non sarà per te) gli dei degli altri
Il Sèfer Hachinuch spiega: noi non dobbiamo credere in nessun altro D-o se non nel Signore nostro D-o. Il precetto è il grande principio Sul quale si fonda tutta la Torà, come disse un saggio (Sifri, Bamidbar 111): chiunque accetta gli idoli come deità è considerato come se avesse negato l'intera Torà. Si viola questo comandamento se un individuo dichiara di accettare un altra deità; se adora una falsa deità utilizzando i riti degli altri popoli; se adotta uno dei quattro modi in cui la Torà insegna come adorare il Signore (macellazione rituale, olocausto, libagione, prostrazione).
Rashì avverte che non bisogna tradurre il termine Elohim acherim come altri dei, cosa che implicherebbe che vi sono altri dei oltre il Signore (anche se inferiori), ma che bisogna tradurre dei degli altri, ovvero dei delle altre nazioni. Quindi il Comandamento avverte Israele di non dare credito agli dei delle nazioni pagane.
Rashì spiega inoltre Elohim acherim come dei che sono stranieri, che sono cioè come degli stranieri di fronte ai loro adoratori; questo perché quando i pagani sono in pericolo pregano con fervore i loro dei, ma non ottengono risposta: gli dei sono come stranieri assoluti che non ascoltano coloro che si appellano a loro.
Rambam dà invece una connotazione spirituale al termine; si riferisce agli angeli che il Signore ha designato come guardiani di ciascuna nazione o a quelle schiere divine che adempiono il volere di D-o sovrintendendo al mondo della natura. In passato gli uomini hanno creduto che questi esseri celesti - che sono come D-o nel senso che sono spirituali ed incorporei - fossero dei.
La Mekhiltà traduce Elohim acherim come dei differenti, perché gli idolatri costantemente cambiano le figure e le immagini dei loro dei: alcune volte sono di oro, o di argento o di materiale povero. La Torà descrive questi continui cambiamenti in questo modo (Deuteronomio 32:17): nuovi dei che appaiono solo di recente, che i vostri padri non temevano.
Rambam (Yesodè HaTorà 1:6) dice: non dobbiamo considerare la possibilità che vi siano altri dei oltre il Signore, che è l'Unico e solo D-o. Chi non accetta questo principio è come se rifiutasse il principio base della fede ebraica, il principio sul quale tutta l'intera religione ebraica si basa.
R' Bachya spiega che dobbiamo far risalire a D-o tutte le forze e non accettare la sovranità di alcun angelo, stella o pianeta, sebbene D-o assegni a questi elementi del creato una qualche capacità nell'influenzare le fortune e i destini degli uomini; forze che comunque non hanno un loro potere autonomo. Il verso potrebbe quindi essere tradotto come potenza (da cui deriva l'autorità divina), oppure un altra sorgente (il Signore) che ammette che le costellazioni abbiano il potere di esercitare una certa influenza sul mondo.
Quando Isaia dichiara in nome di D-o, Io sono il Primo Io sono l'Ultimo e non ci sono dei dietro di Me (Isaia 44:6), significa non faccio derivare la Mia forza da alcuna altra deità, perché Io sono l'origine di tutto.
Davanti alla mia presenza (lett. al mio viso)
L'ingiunzione contro l'idolatria non è limitata solamente nel tempo o nell'occasione in cui il popolo era nel Sinai, ma per tutte le generazioni che verranno. Io sono l'Onnipresente; quindi ovunque l'idolatria è praticata, lo è in Mia presenza.
Ibn Ezra cita un saggio che parafrasa questo avvertimento: o servo, non fare adirare impudentemente il tuo Signore mentre ti sta guardando e D-o ti sta sempre guardando.
Anche se una persona crede nella presenza e nella sovranità di D-o, ma persiste a credere che esistono altre deità di uguale statura, egli sta violando questo comandamento.
Non farai per te nessuna immagine scolpita
Il termine pèsel generalmente si riferisce a sculture, oggetti ricavati dal legno o dalla pietra. Si riferisce comunque a qualsiasi immagine tridimensionale, non importa come sia prodotta. Nel contesto del verso, il materiale dal quale l'immagine viene prodotta non fa nessuna differenza.
Questo verso si aggiunge alla proibizione del verso precedente.
Il Sèfer Hachinuch cita Rambam (Hilkhot Avoda Zara 3:9): uno non deve fare immagini che adorerà, anche se produrrà immagini che non adorerà lui stesso. L'atto stesso di creare delle immagini da adorare è proibito. Non fa nessuna differenza se uno fa le immagini con le sue stesse mani o ordina ad altri che siano fatte. Se uno è causa nella creazione di immagini da adorare ha trasgredito il precetto.
Rambam è in disaccordo, spiegando che questo verso proibisce solamente la creazione di idoli per la propria personale adorazione; la proibizione di fare idoli per altre persone è nell'Esodo (20:23) e nel Levitico (26:1).
Il Talmud (Sanhedrin 61a) desume dal nostro verso che chiunque dichiara se stesso un D-o e cerca di farsi adorare è punibile con la morte, perché è scritto: tu non farai te stesso un idolo.
La Mekhiltà di Rashbi identifica il termine pèsel, con la stessa radice di pasùl (difettoso, non adatto). D-o avverte: colui che fa degli idoli mi rigetta (mi rende non adatto), che stia attento affinché Io non rigetti lui dal mondo.
Or Hachaim usa una simile interpretazione per spiegare come mai alcuni idoli sono chiamati elohim (dei) ed altri sono chiamati immagine ricavate, come nel nostro verso.
Rambam descrive lo sviluppo storico dell'idolatria.
Le prime generazioni di uomini riconobbero che il Signore era il creatore, ma nello stesso tempo le persone iniziarono a predicare che era necessario onorare anche i servi di D-o - il sole, le stelle, la natura e così via - così come uno onora un re mostrando rispetto anche nei confronti dei suoi assistenti.
Questo però non fu sufficiente e la trasgressione fu compiuta nel momento in cui le nuove generazioni iniziarono a credere che gli stessi assistenti erano dei. Quindi troviamo due categorie di dei: una che viene considerata come la vera deità e l'altra che è importante solamente in quanto al servizio della prima deità. Questa seconda categoria di dei può essere distrutta e rimpiazzata a seconda delle circostanze. Per esempio un fiume può essere adorato come fonte di irrigazione e fertilità, ma quando questo diventa secco può essere scartato in favore di un altra fonte sorgiva. Questa specie di dei sono chiamati pèsel dalla parola pasùl (non adatti), perché sono deità servite solo in base alle convenienze, quindi intrinsecamente difettosi.
E nessuna immagine
In contrasto con la parola pèsel, che è un oggetto tridimensionale, temuna (immagine) è una simbolica rappresentazione o un dipinto. Come spiega Chizkuni, uno vorrebbe adorare D-o ma sente la necessità di dover indirizzare la propria devozione verso qualcosa di tangibile; quindi potrebbe creare una forma che simbolizzi la sua fede1.
Che sono nel cielo oppure sulla terra
Le immagini di cui si è spiegato prima sono disegni grafici, simili a qualcosa di osservato nel cielo o sulla terra.
Rambam spiega che in passato le persone adoravano il sole, la luna, le costellazioni perché pensavano che il loro culto avrebbe accresciuto la forza degli uomini. Furono per questo costruite figure delle costellazioni (come lo zodiaco) per essere adorate.
Il Talmud insegna che le parole sulla terra includono la proibizione di idolatrare tutto ciò che è sulla terra (mare, colline, fiumi, ecc.); la parola mittàchat (sotto) allude anche al più piccolo animale che striscia.
Nell'acqua e sotto la terra
Nel suo significato più immediato questo verso vieta di adorare immagini di creature marine. Ramban commenta dicendo che ciò si riferisce a forme di idolatria nella quale le persone veneravano forze spirituali diaboliche (shedim), demoni. Alcune di queste forze hanno il potere di danneggiare l'uomo e potrebbero essere controllate solo da maghi o falsi profeti. (I maghi del faraone furono ad esempio in grado di ripetere le prime due piaghe, perché essi possedevano l'arte, oggi perduta, di evocare queste forze negative).
Bàal HaTurim nota che la lettera vav di vecol ha il valore numerico di 6, che allude alle sei principali categorie di immagini - maschio, femmina, quadrupede, volatile, rettile, e pesce - tutte categorie che vengono citate nel Deuteronomio (4: I 6-18), quando la Torà enfatizza il divieto di idolatria.
La Torà ridicolizza quegli ebrei che credevano nelle forze demoniache dicendo (Deuteronomio 32:17): "Loro hanno sacrificato ai demoni, non dei, dei che non hanno conosciuto, nuovi dei che sono apparsi dopo e nei quali i vostri padri non credevano".
Il nostro verso quindi fa riferimento a questi dei che abitano nella acqua e sotto la terra perché sono stati conosciuti lì.
Voi non vi prostrerete a loro
Sefer Hachinuch spiega: non ci si deve prostrare di fronte agli idoli con 1'intenzione di adorarli; prostrarsi significa sdraiarsi con le mani e con i piedi distesi a terra, oppure piegare la testa fino a terra di fronte all'idolo.
Il Talmud (Avoda Zara 12a) insegna che è sbagliato fare qualsiasi azione che appaia vagamente come prostrazione di fronte ad un idolo. Quindi, se una spina si conficca nel piede di una persona o bisogna chinarsi per raccogliere degli oggetti caduti di fronte ad un idolo, bisogna fare queste azioni evitando di apparire come degli adoratori che si prostrano.
Il Talmud (Sanhedrin 61a) insegna che è proibito prostrarsi di fronte ad un uomo che si proclami come un D-o; mentre è permesso davanti ad un re o ad un uomo pio.
Non vi prostrerete ad essi
Sefer Hachinuch scrive: non ci prostreremo davanti ad un idolo nella maniera usuale dei pagani, anche se utilizzassero forme di culto non comuni. Nel secondo Comandamento, troviamo quindi quattro precetti negativi:
Poiché Io sono il Signore tuo D-o, un D-o geloso
R' Bachya spiega: anokhi (Io solo) sono il Signore tuo D-o e non mi dovrai abbandonare per dei falsi. Se oserai tradirmi, ricordati che Io sono El qanna, un o geloso che punisce2.
In nessuna parte delle Scritture l'ira di D-o contro Israele è descritta con il termine "gelosia", eccetto quando si fa riferimento al culto degli idoli. Il concetto viene enfatizzato dalla Mekhiltà: D-o disse, "per l'idolatria sarò zelante nel punire, ma per le altre colpe sarò pieno di grazia e di misericordia".
Ramban spiega la ragione di ciò: Israele ha accettato nel Sinai la sovranità del Signore e in cambio è stato eletto come popolo consacrato. Questa intima relazione è paragonata al legame matrimoniale tra l'uomo e la donna: un Ebreo che serve un altro D-o è come una sposa adultera; il partner tradito (D-o) è giustificato nella sua ira.
Sebbene l'espressione qanna (geloso) è usata contro Israele solo quando si tratta di idolatria, questa espressione viene usata anche con le nazioni non ebraiche, quando il Signore promette di punirle per i loro crimini contro Israele. La ragione è simile: poiché le nazioni hanno sbagliato lo sposo (D-o), il Signore vendicherà se stesso contro di esse.
R' Hirsch collega la parola qanna (kof nun, alef), geloso, con la parola qanah (kof nun, he), possesso. Il concetto di gelosia giustificabile esiste quando qualcuno che beneficia di un oggetto o del servizio offertogli da una persona, non permetterà che altri reclamino quello stesso oggetto o gli stessi servizi. Nello stesso modo D-o soltanto ha il diritto alla dedizione e al culto del popolo ebraico. Lui è il "possessore" e non permetterà che questo servizio vada a qualche altro idolo.
È questa la ragione per la quale le Scritture non contengono menzioni di punizioni per altre nazioni a causa dell'idolatria; solo Israele è rimproverato come un traditore, così come è scritto (Deuteronomio 4:20): "solo voi prendeste D-o per quello che è".
Punizione per le future generazioni
Il verso continua dicendo che le punizioni per gli idolatri possono essere ritardate fino alla quarta generazione. La difficoltà di comprendere questo concetto è riportata nel Talmud (Sanhedrin 27b): dal momento che la Torà stessa dichiara che i padri non moriranno per le colpe dei figli e i figli non periranno a causa delle colpe dei padri; e un uomo morirà solo a causa dei suoi stessi peccati (Deuteronomio 24:16), come può la Torà contraddire se stessa e dire, come nel nostro verso, che la punizione verrà inflitta alle future generazioni? Il Talmud risponde che le generazioni sono punite solo se i figli ripeteranno i peccati dei loro genitori, come se fossero "loro".
La chiave di entrambe le spiegazioni è che i figli condividono la responsabilità per le violazioni, solamente se essi adottano i comportamenti sbagliati come se fossero propri. Se i figli condividono gli stessi comportamenti vietati, allora due, tre o quattro generazioni potranno essere considerate compiacenti nelle trasgressioni.
Secondo i maggiori commentatori, D-o è paziente con i peccatori finché la misura non è colma. Se il Signore dovesse punire le persone o le nazioni non appena queste trasgrediscono nessun uomo potrebbe sopravvivere alla Sua collera. Ma questa non è la Sua via.
Nella Sua sapienza D-o invece decreta di trattenere le punizioni per dare agli uomini l'opportunità di redimersi, per dare alle nuove generazioni l'opportunità di fare meglio, alfine di far nascere buone opere da ogni uomo.
Il Signore però mette un limite oltre il quale i malvagi non possono accumulare azioni sbagliate; fino a quando il limite non è raggiunto D-o si trattiene dal punire, un volta raggiunto il limite D-o non aspetta di più.
Nel caso di una famiglia, il nostro verso dice che D-o potrà non punire i peccati per quattro generazioni; la crescente accumulazione di azioni malvagie è operata di generazione in generazione, ma non accade che nessuno rimanga impunito per più di quattro generazioni. Ma se la misura è colma prima, la punizione sarà inflitta a quel punto.
Al contrario in nessun caso i discendenti innocenti saranno puniti per le colpe dei loro padri e sebbene questa idea della punizione ricade sulle successive generazioni, l'ultima delle generazioni non verrà punita.
Che ricorda il peccato dei padri sui figli
Sebbene D-o non punisca immediatamente, Egli non dimentica i peccati che meritano punizioni e in questo senso il non dimenticare costituisce una continuità contro gli idolatri.
La dimenticanza non può essere interpretata come una mancanza di conoscenza o di volere (Rambam).
Ibn Ezra interpreta il verso come una forma di misericordia. Invece di punire immediatamente, D-o ricorda quello che è stato fatto, ma ritarda la punizione nell'interesse di riportare i peccatori e i loro figli verso la redenzione.
Or Hachaim, in una interpretazione simile a quella di Ibn Ezra, spiega la giusta apposizione di questa frase descrivendo la pazienza misericordiosa di D-o con il verso precedente, che descrive D-o geloso e non misericordioso nei confronti degli idolatri.
È vero, noi sappiamo che D-o è geloso; quindi come non ci si può meravigliare del perché così tanti peccatori vivono invece serenamente? Il verso risponde che D-o differisce le punizioni fino a quattro generazioni per dare tempo di pentirsi, altrimenti nessuno uomo sopravvivrebbe.
Sulla terza e sulla quarta generazione
D-o aspetta di generazione in generazione fino a quando la misura non è piena (Ramban).
Egli ritarda la punizione fino alla quarta generazione. Ma se non c'è stato pentimento e il peccato è fortemente radicato, la punizione arriverà (Ibn Ezra).
Sforno differenzia tra la terza e la quarta generazione. La terza generazione sarà punita se essa è peggiore di quella precedente; la quarta generazione comunque sarà punita anche se si limita a conservare i comportamenti sbagliati ereditati, in quanto trascorse tutte queste generazioni la speranza di un pentimento si è dissolta.
Dei Miei nemici
Questa è la parola chiave per comprendere perché i figli possono essere puniti per i peccati dei loro genitori e avi; attraverso, infatti, la conservazione o l'approvazione dei comportamenti sbagliati dei loro genitori, i figli si comportano come nemici di D-o.
R' Bachya commenta che la Torà parla di quattro generazioni perché può capitare che esistano contemporaneamente in una stessa famiglia quattro generazioni, con i più giovani che osservano il cattivo esempio dei nonni o dei bisnonni. I pronipoti vengono perciò giudicati per aver optato la via dei loro nonni e bisnonni.
A coloro che mi amano e osservano i miei comandamenti
R' Shimon ben Elazar insegna: colui che serve D-o con amore, sorpassa colui che serve D-o con timore. Le Scritture sottolineano i meriti di coloro che si sottopongono ai comandamenti con amore che dureranno per due generazioni; si legge infatti nel Deuteronomio (7:9) che coloro che prendono i comandamenti con timore sono premiati con i meriti che si proiettano solo sulla generazione successiva.
Ramban definisce coloro che Mi amano i martiri che con felicità hanno sacrificato la loro vita per amore della Gloria di D-o. Essi sono coloro che non riconoscono alcuna divinità oltre il Signore e rifiutano di prostrarsi agli idoli, anche se minacciati con la morte. A queste persone la Torà dice: e tu amerai il Signore tuo D-o con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima.
Poiché Abramo rischiò la vita rifiutandosi di prostrasi davanti agli idoli nella città di Ur di Caldea, il Profeta Isaia lo chiama colui che Mi ama; gli uomini con minore devozione sono chiamati coloro che prendono i Miei comandamenti.
Note
2- Un filosofo non ebreo chiese a Rabban Gamliel: è scritto nella tua Torà, "Io sono il Signore tuo D-o, un D-o geloso". Vi è quindi qualcosa in questi falsi idoli che li rendono oggetto della gelosia divina? Un guerriero è geloso di un altro guerriero; un erudito è geloso di un altro erudito; un uomo ricco ègeloso di un altro ricco; ma perché D-o dovrebbe essere geloso di idoli inferiori?
Rabban Gamliel rispose: la gelosia di D-o può essere paragonata ad uomo che pur avendo una moglie decide di sposarne un'altra; se la seconda donna è migliore della prima, allora la prima moglie non avrebbe motivo legittimo di essere gelosa; ma se la seconda moglie è inferiore, la prima moglie ha ragione di essere infuriata.
Un altro filosofo chiese allora a Rabban Gamliel: "alcune volte gli eventi sembrano indicare che D-o riconosce la potenza degli idoli; ad esempio è capitato che intere città siano state distrutte ad eccezione dei templi pagani".
Rabban Gamliel rispose: questo può essere spiegato con l'esempio di un re che parte per la guerra. Contro chi combatte il re, contro i vivi o contro i morti? Ovviamente solo contro i vivi, non c'è nessuna ragione di attaccare i morti. Nello stesso modo D-o non punisce gli idoli, perché loro sono morti e senza potere".
Ancora il filosofo chiese a Rabban Gamliel: "in ultimo gli idoli sono inferiori; essi appaiono solo come degli ostacoli, che confondono gli uomini. Perché D-o non distrugge questi idoli dalla faccia della terra una volta per tutte?"
Rabban Gamliel rispose: "gli uomini adorano solo gli idoli? Adorano anche il sole, la luna, le stelle e i pianeti; le montagne, le colline, le vallate; gli uomini adorano anche i loro stessi simili. Potrebbe Do distruggere l'intera creazione a causa degli idolatri?".