Primo comandamento


"Io sono il Signore D-o tuo che ti feci uscire dalla terra di Egitto, dalla casa degli schiavi"

Il principale fondamento della conoscenza è credere che D-o sia il Creatore, che sia Infinito, Eterno e Onnipotente. La mitzvà di conoscere e di credere questo è l'essenza del Primo Comandamento, nel quale D-o proclama la sua esistenza a Israele.

Nella lista delle 613 mitzvoth, Rambam cita questo verso come la base del primo precetto positivo: noi siamo obbligati a credere in D-o che è la Causa Suprema e il Creatore di tutto l'esistente.

Questo credo è la vera essenza del giudaismo, perché nessun altro comandamento necessita di essere accettato senza prima credere nella sovranità della Suprema deità, dalla quale derivano tutti i comandamenti.

La Mekhiltà usa una parabola per illustrare la relazione tra il Primo Comandamento e gli altri che seguono. Un re ha conquistato un paese e i suoi sudditi gli chiedono di promulgare delle leggi per i nuovi sudditi, ma lui rifiuta dicendo: no, solo quando i nuovi sudditi avranno accettato la mia sovranità, solo allora io promulgherò dei decreti; se loro non accetteranno la mia sovranità, come potrebbero ubbidire alle mie leggi?

Similmente D-o dice ad Israele: Io sono il Signore Tuo D-o; Io sono quello la cui sovranità avete accettato in Egitto. Quando il popolo di Israele rispose sì, D-o allora continuò: "appena voi accetterete la mia sovranità, allora dovrete accettare i miei decreti".

Io sono il Signore tuo D-o

Il termine più comune per dire io è anì e il termine anokhi è usato per enfatizzare l'esclusività del io - Io solo sono il Signore -; Io solo sono la Prima Causa di tutto il creato (Sforno).

Rashì spiega perché D-o riteneva necessario identificare se stesso come l'Unico onnipotente Sovrano dell'universo, un fatto che presumibilmente era già riconosciuto dal popolo ebraico: D-o si era manifestato con diversi attributi quando si era rivelato al popolo. Quando divise il mar Rosso e distrusse l'esercito del faraone il Signore apparve come un potente guerriero in battaglia; quando ha dato la Torà si è mostrato come un maestro misericordioso. Questa apparente dualità diede ai pagani l'opportunità di acclamare l'esistenza di una pluralità di dei. D-o ha comunque considerato imperativo proclamare: Io (solo) sono il Signore tuo D-o. Io solo ero in Egitto; Io solo ero nel mare; Io solo ero nel Sinai. Sono stato nel passato e sarò nel futuro; sono Io in questo mondo e sarò Io nel mondo a venire, così come il profeta Jsaia disse: così disse il Signore "Io sono il primo e Io sarò l'ultimo".

Pesikta De-Rav Kahana spiega che la rivelazione divina sul Sinai fu data a ciascun ebreo, in modo tale che venisse compresa secondo la propria capacità intellettiva, quindi dall'infante all'adulto sapiente ogni ebreo ha assorbito la parola di D-o con un differente grado di cognizione. Attraverso la comparazione di queste differenti percezioni, la gente avrebbe potuto pensare e concludere che un milione di differenti deità avesse parlato. Per evitare questa incomprensione, D-o introduce la Sua rivelazione attraverso le parole Io (solo) sono il Signore tuo D-o.

Soltanto quando mi avrete accettato come vostro D-o, Io potrò sempre essere accessibile attraverso le vostre preghiere. Pertanto pregate per Me solo e servite Me solo: non è necessario alcun intermediario (Sforno).

In tutti i Comandamenti D-o si rivolge ad Israele nella seconda persona singolare, come se Lui stesse parlando solamente ad un individuo. Infatti Egli dice, Io sono il Signore tuo D-o (Elohèkha), usando il suffisso positivo singolare (kha), al posto del suffisso plurale singolare (khem).

Questo uso insegna ad ogni ebreo a dire: i Dieci Comandamenti e l'intera Torà sono indirizzati direttamente a me; io personalmente sono responsabile per la Torà e non posso scusare me stesso dicendo che è sufficiente che altri osservino i Comandamenti. Ogni individuo si deve sentire come se fosse l'unico nel mondo e l'esistenza dell'universo dipende esclusivamente dalla studio e dall'osservanza della Torà.

Rashì offre un altra ragione per l'uso della forma singolare (Elohekha) tuo D-o. Era intenzione del Signore dare a Mosè alcuni argomenti per difendere il peccato di Israele di aver costruito il vitello d'oro: poiché i Comandamenti furono espressi al singolare il popolo avrebbe potuto pensare che D-o stesse parlando solamente ad una persona, a Mosè.

In verità quando il Signore espresse l'intenzione di distruggere Israele per il peccato del vitello d'oro, Mosè protestò dicendo: "perché o Signore Tu sei infuriato contro il Tuo popolo" (Esodo 32:11). Israele non può essere condannato per aver fatto un idolo perché Tu, o Signore, hai dato motivo per l'errore. Quando Tu proclamasti il Decalogo nella prima persona singolare, gli ebrei pensarono che i Comandamenti fossero indirizzati soltanto a me. Per di più, o Signore, hai proclamato, Tu (singolare) non avrai altri dei; così un altra volta gli ebrei furono portati a pensare che solamente a me (Mosè) fosse vietato di seguire altri idoli.

Che ti ha fatto uscire dalla terra di Egitto

Ibn Ezra e Chizkuni discutono perché D-o ha basato la Sua autorità sull'Esodo invece di identificare Se stesso come il Creatore del cielo e della terra.

D-o voleva ristabilire la giustizia dando più comandamenti e responsabilità ad Israele rispetto ad ogni altra nazione. D-o aveva infatti fatto molto più per Israele che per altre nazioni; mai un intero popolo era stato infatti liberato dall'oppressione e della schiavitù dopo secoli di esilio e di vagabondaggio.

Questo primo Comandamento insegna quindi l'importanza della gratitudine per D-o basata sul Suo diritto alla nostra obbedienza in Suo favore, per quello che Lui ha fatto per noi.

Rashì commenta: la liberazione miracolosa di Israele dalla schiavitù dell'Egitto è una ragione sufficiente per sottometterci a Lui.

Nella Mishnà troviamo che R' Eliezer dice: l'ingrato che nega la bontà di ciò che è stato fatto per lui è considerato come se avesse negato l'esistenza di D-o, perché il nostro credere in D-o è basato sulla gratitudine per la Sua bontà nei nostri confronti.

R' Bachya dà una differente spiegazione del perché D-o cita l'Esodo e non la Creazione. Prima di dare i Comandamenti il Signore ha voluto stabilre la Sua sovranità attraverso il significato di prove che tutti gli ebrei hanno potuto vedere con i loro occhi. Nessun uomo è stato testimone della Creazione, ma centinaia di migliaia di ebrei sono stati testimoni del loro salvataggio dall'Egitto, circa sette settimane prima della rivelazione sinaitica.

R' Yonah offre un'altra spiegazione: D-o dice ad Israele: "figli miei ci sono tempi in cui i miei Comandamenti sono incomprensibili, ma io vi chiedo di credere che Io lo faccio per il vostro bene. Non vi ho forse redento dall'Egitto per amor vostro? Così voi dovete essere certi che ogni cosa che Io vi chiedo di fare, non è per amor Mio, ma per il vostro".

Lo Zòhar discute perché la Torà costantemente ci richiama alla redenzione dall'Egitto e perché il Decalogo inizia con questo. D-o fece molto più che liberare Israele dalla schiavitù fisica; Israele fu corrotto dai comportamenti immorali dell'Egitto e cadde fino al quarantanovesimo livello di impurità spirituale: secondo il misticismo ancora un livello (il cinquantesimo) e non vi sarebbe stata più alcuna redenzione. La liberazione di Israele fu soprattutto affrancatura dalle influenze corruttrici e dalle inclinazioni negative dell'Egitto.

La risalita spirituale viene rappresentata dal contare i quarantanove giorni che intercorrono tra Pèsach e Shavuot; ogni giorno è come se D-o innalzasse Israele ad un livello superiore di spiritualità e di santità per giungere al cinquantesimo giorno (Shavuot) quando viene data la Torà.

Dalla casa di schiavitù

Il verso descrive l'Egitto come una casa di schiavitù.

Israele negli altri territori era stato una nazione nobile, di sacerdoti e quindi fu estremamente degradante per Israele essere schiavo degli egiziani; è già brutto essere schiavo dei nobili, ma non c'è niente di più umiliante per una persona di discendenza 'nobiliare' dover essere uno schiavo.

L'Egitto era come un campo fortificato, ben controllato e nessuno schiavo poteva fuggire; pertanto il termine casa di schiavitù è una puntuale espressione per indicare i bastioni e le mura che imprigionavano gli schiavi senza speranza.


Torna all'indice