Decimo comandamento
"Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo né il suo schiavo e la sua schiava né il suo bue né il suo asino né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo"
D-o disse ad Israele: "Mia nazione non desiderare ciò che non è tuo. Non associarti né mescolarti con popoli che desiderano. Evita di stare in loro compagnia per paura di imitare i loro modi malvagi". Nella seconda versione (Deuteronomio 5:18) la frase è: lo titavve bet re'ekha, non desiderare la casa del tuo prossimo. Rambam spiega la differenza tra taava e chemda (desiderio e bramosia). Chiunque desideri la casa del suo amico, sua moglie o i suoi possessi, trasgredisce il comandamento non desiderare, dal momento che inizia a meditare su come può arrivare al suo scopo. Se il suo desiderio diventa così intenso che esorta ed alletta il proprietario a vendere il bene che poi acquista, egli trasgredisce il comandamento non bramare, anche se ha pagato un buon prezzo (il desiderio si riferisce ad un bisogno irrealizzato, mentre bramosia si riferisce ad un desiderio che si è realizzato). Ravad insegna che tale trasgressione non è compiuta se il proprietario vende volontariamente. R' Yonah scrive che se si desidera comprare un oggetto che appartiene a qualcuno che non vuole venderlo, ma si vergogna di rifiutare la richiesta di acquisto, è proibito formulare la richiesta; ciò sarebbe equivalente a forzarlo a vendere l'articolo. Similmente, se una persona rispettata desidera qualcosa e sa che poiché la gente lo rispetta non gliela rifiuterà, egli non potrà chiedere al proprietario dell'oggetto di venderglielo o darglielo a meno che non sappia che colui che vende lo fa volontariamente (Shaarè Teshuva 3:43). Chi usa la forza per portare via un oggetto al suo proprietario e poi lo rimborsa, è chiamato chamsan, ladro violento (Bava Kama 62a). Rambam (Gezela 1:11) avverte che il desiderio conduce alla bramosia che a sua volta porta al furto, in quanto se il proprietario dell'oggetto desiderato resta irremovibile e rifiuta di venderlo, colui che lo desidera, se perde completamente il controllo su se stesso, può rubarlo. Questo è ciò che i profeti (Micha 2:2) hanno detto, Essi desidereranno le case e poi le ruberanno. Se il proprietario sta di fronte alla persona bramosa per proteggere la sua proprietà, questo potrebbe addirittura ucciderlo per realizzare il suo desiderio, come Achab fece con Navot. Achab re di Israele desiderava la vigna di Navot che rifiutò di venderla e di accettarne un'altra in cambio. Jezebel, la moglie malvagia di Achab, assunse due persone per fare falsa testimonianza contro Navot, accusandolo di aver bestemmiato D-o. Come risultato Navot fu messo a morte, permettendo ad Achab di prendersi i campi (Re cap. 21). Questo Comandamento, il quinto nella seconda tavola, corrisponde al quinto Comandamento della prima tavola: Onora tuo padre e tua madre, perché la persona che desidera ciò che appartiene ad altri sopporterà un figlio che lo disonorerà (Mekhiltà).
Poiché è nella natura umana desiderare cose attraenti, si potrebbe ragionevolmente chiedere come sia possibile evitare di trasgredire questo precetto. Ibn Ezra spiega che la chiave per controllarsi sta nel raggiungere una giusta prospettiva sul concetto di proprietà e acquisizione. Egli illustra il punto con una parabola di un povero contadino che vede per la prima volta una bella principessa. Nonostante sia così bella, il contadino non sognerà mai di sposarla. La sua posizione è così lontana da quella della principessa che tale pensiero non gli passerebbe mai in mente; ella è infatti assolutamente inavvicinabile. L'uomo di fede dovrebbe allenare la sua mente a pensare all'acquisizione negli stessi termini. Si deve credere che qualunque possesso dell'uomo è un dono diretto di D-o che determina tutti i bisogni di una persona e li soddisfa. Nessuno può interferire con questa decisione divina, né può deviare ciò che è stato deciso per un altro (Yoma 38b). Quando un uomo capisce che le fortune del vicino sono completamente divise da quelle di tutti gli altri uomini, non gli verrà mai in mente di desiderarle.
Insegna Meam Loez che una persona dovrebbe contemplare moderatamente e ragionare con se stesso: D-o è il padrone del mio destino, non io. Se io merito di avere qualcosa sicuramente Egli non me lo rifiuterà. Ma se qualcosa non è destinata ad essere mia, allora tutti i miei sforzi per acquisirla diventano inutili. Pertanto è futile inseguirla. Basato su questo concetto Kad Hakemach osserva che il primo e il decimo Comandamento sono interdipendenti e correlati. Una persona che crede fermamente in Io sono il Signore tuo D-o non metterà in dubbio la Sua provvidenza e non proverà alcun desiderio per quello che D-o darà ad un altro. E chiunque desideri la proprietà di un altro uomo metterà in dubbio e perfino negherà la sovranità di D-o.
Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino
Ibn Ezra spiega come la sequenza segua la logica delle normali ambizioni umane. Una persona intelligente prima acquisterà una casa, poi sposerà una donna ed alla fine prenderà dei servitori. Ma nella seconda versione (Deuteronomio 5:18) la moglie è menzionata prima della casa, in quanto un uomo giovane desidera sposarsi prima di aver acquistato una casa. Rambam commenta dicendo che la moglie è stata messa all'inizio della lista perché desiderare la moglie di un altro è il più grande peccato tra tutti quelli menzionati in questa sequenza. R' Bachya spiega che la Torà enumera una lista di oggetti che non devono essere desiderati allo scopo di enfatizzare che è biasimevole desiderare la ricchezza materiale di un altro uomo, mentre non è sbagliato invidiare le cognizioni spirituali di un altro. Insegna il Talmud: la gelosia tra gli scolari che studiano la Torà aumenta la saggezza. Quando uno scolaro vede quanta conoscenza un suo pari ha acquisito, l'esempio lo pungolerà affinché faccia maggiori sforzi per aumentare la propria riserva di sapienza. La seconda versione contiene un termine non presente nella prima: shadehu, il suo campo. Rokeach spiega che la prima versione venne data nel deserto, dove non c'erano campi da desiderare. La seconda versione, invece fu destinata ad essere annotata nel Deuteronomio, il libro che fu dato durante il quarantesimo anno del soggiorno del popolo di Israele nel deserto, quando si accampò vicino al Giordano e i campi produttivi della Terra Promessa lo stavano aspettando. Pertanto nella seconda versione diventò necessario includere tale termine.
Né nulla che appartiene al tuo prossimo
La parola vekhol può essere tradotta con e tutto, indicando che ci è proibito desiderare l'intera fortuna del nostro vicino. Kad Hakemach insegna che non solo è proibito desiderare qualsiasi cosa che appartiene al tuo vicino ma è anche proibito "amare" ciò che si possiede: non amare troppo i tuoi soldi, perché la bramosia azzoppa il tuo giudizio e ti riduce ad un avaro, incapace di aprire la mano alla carità. Mettendo la proibizione contro il desiderio come decimo comandamento la Torà vuole ricordare che un Ebreo deve dare la decima parte dei suoi guadagni in carità; la persona potenzialmente avara ricorda a se stessa che una parte delle sue risorse appartiene al povero e non deve volere troppo per se stesso.
I Rabbini danno un avvertimento addizionale per sottolineare la trappola della cupidigia, dicendo: ogni volta che qualcuno getta lo sguardo su ciò che non gli appartiene, l'oggetto del suo desiderio non gli verrà concesso e tutto ciò che possiede gli sarà portato via. La bramosia è la radice di tutti i mali, a causa di essa è nato il primo vero peccato, come è detto (Genesi: 3:6): La donna vedendo che l'albero era buono da mangiare, piacevole a vedersi e desiderabile perché faceva acquistare intelligenza, prese del frutto e ne mangiò.
Il Midrash racconta che il serpente desiderava Eva, moglie di Adamo. L'oggetto del desiderio del serpente gli fu negato ed egli perse ciò che originariamente possedeva. All'inizio infatti il serpente camminava eretto come un uomo e condivideva la posizione elevata, quale re degli animali. Ma dopo aver peccato fu spogliato della sua sovranità e delle sue gambe, e fu maledetto a scivolare sul suo ventre per sempre. Lo stesso destino ebbero tutti coloro che invidiosi posero i loro occhi sulle cose appartenenti agli altri: Caino, Corach, Balaam, Doeg, Achitòfel, Ghechazi, Ashalom, Adoniyahu, Uziyahu, e Haman (Sota 9a-b; Bereshit Rabba 20:10).