Qui ho riportato:
...a
luyosos reservados
...” - Allora
vi piace il Tango?- - Non conosco il Tango, generale. – - Povero ignorante – |
Ungern e un Suo ufficiale |
Le
origini del Tango sono avvolte da un invulnerabile nebbione, per di più
ispessito, per non dire afflitto, da ricorrenti elucubrazioni su una quantità
infinita di notizie, in massima parte di provenienza orale. Se la sua genesi postribolare, da sempre professata da Jorge Luis Borges, è
ora una verità protetta da una multa, e le remote esercitazioni pratiche tra
uomini nel Tango-Danza riscuotono la generica approvazione di tutti gli
studiosi, resta per esempio ancora da stabilire chi mai abbia portato in
Sudamerica il bandoneòn: il marinaio inglese Thomas Moore? Ruperto, il
viaggiatore di commercio cieco? Il fantaccino brasiliano Bartolo? O, come
sostiene compatta l’intera famiglia Ortiz, il Senor Ortiz, padre del grande
bandoneonista Ciriaco? Come è stato possibile che questo strumento creato in
Germania da Heinrich Band intorno al 1830 sul modello della concertina inglese a
casse esagonali e destinato alle chiese a basso budget che non potevano
peirettersi l’aquisto dell’organo regolamentare, sia passato dagli inni a
Nostro Signore ai ballabili patrocinati dal ben più solvibile Belzebù, a oltre
13.000 chilometri di distanza? D’altra parte, se ancora non si riescono a
dirimere le controversie sulla versatile nazionalità di Carlos Gardel, il sommo
idolo del Tango. chi mai potrebbe criticarci se assimilassimo ai luoghi di culto Lo de Hansen, pista da ballo privilegiata dai piu rinomati compadritos
degli inizi del secolo, nonostante gli insistenti e antitetici ricordi di
Roberto Firpo, pianista e direttore musicale di Hansen in quegli anni.
I
vari biografi del Tango, avvalendosi di testimoni dalla memoria non contaminata
dalla partecipazione diretta ai fatti narrati, ci svelano in continuazione
importanti dettagli: l’ubicazione degli stabilimenti o tertulias
della Parda Flora, di Laura, di Maria La Vasca e della Gringa Luisa,
nomi e cognomi, nonché professioni ed eventuali cariche pubbliche della scelta
utenza delle sunnominate (il cliente era evidentemente tenuto a compilare un
questionario), catalogo ragionato dei tanghi ivi eseguiti. Allo stesso modo, gli
indomabili Accademici del Lunfardo arricchiscono la parla quotidiana di Buenos
Aires promulgando dalla sede del Cafè Tortoni espressioni e termini così
popolari ed autentici da essere solo a loro noti, certo a seguito di acuminate
indagini filologiche su vecchi tanghi e lettere di carcerati.
Sottoscriviamo
volentieri: tutto quanto vada ad incrementare l’apodittico Cielo del Tango
troverà facilmente ospitalità presso il nostro cuore e al di sopra della
nostra firma. La sobrietà con cui apprendiamo che la paternità della llevada
è stata unanimemente autoattribuita al Virulazo (che come ogni altro milonguero
ha ideato, perfezionato e brevettato tutti i passi di Tango che si
usano oggi) è la medesima con cui accoglieremmo una biografia di Ulisse che,
basandosi sulle testimonianze di Polifemo, Agamennone, Telemaco, Penelope.
Antinoo, Laerte, Circe e tutti i maiali (citiamo a memoria Borges), ci rivelasse
che l’Eroe in realtà non si è mai mosso da Itaca.
Il
Tango, in definitiva, ha molto più a che vedere con l’Epica che con le Muse.
Malgrado i suoi cantanti con esmokin da veglione e sorriso al
metacrilato, l’artificiale sensualità dei suoi ballerini stanziali a Broadway
e l’impresentabilità di quasi tutti i suoi esponenti professionali,
nonostante lo screditato sigillo della classe media che lo marca a fuoco da
cinquant’anni e più, il Tango resta pur sempre una meravigliosa e tragica
fiaba e un grande sogno. E come tale, esige sognatori e non notai, vive più di
poesia e sentimento che non di veridicità. Se non credi più ai sogni, scrive
il nostro amico Vinicio Capossela, i sogni non crederanno più a te. Perciò
amiamo tanto Hugo Pratt. Con doppie lune, stazioncine di legno, empedrao,
biliardi, sguardi di milonguere, teste
impomatate con Glostora, un’Onorevole Pezza e vino scabio, egli ci restituisce
intatti, e senza pantofole, al Sogno del Tango, alla musica più bella del
mondo, all’original soundtrack delle avventure di tutti (noi) i Gentiluomini
di Fortuna.
Corto
Maltese arriva per la prima volta a Buenos Aires all’inizio degli Anni ’10,
quando è poco più di di un ragazzo. Non si hanno molte notizie sul suo
soggiorno in Argentina: Hugo Pratt si era spesso riproposto di narrarne la
storia, con i tanti personaggi che Corto conosce in questi anni giovanili e che
ritroverà in seguito e con una bella dose di Tango., naturalmente.
E’ dunque lecito immaginare che Corto, in virtù di una sua certa predilezione per
“la città bassa, piena di ladri e di belle donne”, prenda alloggio nella
Boca, sobborgo situato nella parte sud di Buenos Aires e adiacente alle tortuose
rive che il piccolo fiume Riachuelo disegna prima di confluire nel Paranà, che
in quel punto è maestosamente largo 120 chilometri. La Boca (Xeneise) è il
porto di Buenos Aires. Da qui il suo nome (Bocca di porto) e la sua
importanza. Da più di un secolo è popolata prevalentemente di immigrati
italiani, liguri per la precisione, come l’aggettivo Xeneise lascia presagire.
E’ interessante notare che i genovesi sono reperibili un po’ ovunque in
Sudamerica in quanto, fin dai tempi di Cristoforo Colombo e grazie alla sua
intercessione, sono sempre stati gli unici marinai non spagnoli ad essere
ammessi a bordo della Flotta Reale di Spagna.
Alla
Boca le case vengono costruite in lamiera galvanizzata, non certo per un
prematuro senso del pittoresco, bensì a causa della mollezza del terreno che
non sopporta il peso dei mattoni, e sono coloratissime, come lo sono ad ogni
latitudine le case dei marinai, i quali sempre gradiscono distinguere da lontano
il loro domicilio. Lnoltre, già dal secolo scorso, vi sono chiese, scuole, una
biblioteca popolare, un ufficio postale, tram, ferrovie e, quel che più conta,
una miriade di locali dal personale quasi interamente femminile. Una bella mossa
in una Buenos Aires quasi interamente maschile. Questi leggendari caffè
notturni sono allineati nelle vie Pinzon, Brandsen. Suarez, Olavarria, Necochea,
Almirante Brown e si chiamano Royal, La Marina, La Popular, Las Flores, Del
Griego, De la Turca, La Fratinola (che reclamizza avere due morti a notte, anche
senza prenotazione),
La Buseca.
Negli
anni che vanno dal 1900 al 1916 la Boca è la Capitale Mondiale del Tango. Tutti
i migliori tanghisti suonano quii: Vicente Greco (Garrote), Gennaro
Esposito (El Tano), Roberto Firpo (il primo pianista), el Aleman
Bernstein (virtuosissimo bandoneonista in grado di suonare e di bere birra nello
stesso tempo) e, soprattutto, il grande Eduardo Arolas, il Tigre del Bandoneòn.
Ma
torniamo a Corto: in queso ambiente cosmopolita e bohemio
si trova senza dubbio a suo agio. Stringe amicizie durature, conosce e
frequenta poeti, musicisti, ballerini, avventurieri di ogni tipo e, ovviamente,
ladri. Ma ladri “di quelli di una volta”, però, che il poeta Raul Gonzales
Tunon così descrive:
I
ladri usano il berretto grigio, sciarpa scura e camicia a righe. E sennò, no.
Certi
portano in tasca una lanterna sorda. D’altro canto si innamorano di ragazze
robuste, collezionano cartoline e, a volte, sfoggiano un tatuaggio sul braccio
sinistro: un fiore, un veliero e un nome… Rosita.
Tutti
i ladri sono innamorati di Rosita… e anch’io.
I
ladri sanno fischiare, scendere dalle automobili in movimento e ballare il
valzer.
Amano soprattutto 1a loro anziana madre e quando questa gli muore, cantano un tango,
piangono sconsolatamente e tra le cose lasciate dalla morta da dividere con i
fratelli, scelgono una Madonnina d’argento e il canarino……
E sono umani, disumani, fatalisti, sentimentali
Innocenti come animali e canaglie come cristiani.
Nessuna angoscia li lacera, ognuno vive come vuole
Quando la madre gli muore, mettono il lutto alla chitarra.
In mezzo a tutti questi cavallereschi mariuoli la figura elegante e un
po’ malinconica del nostro giovane marinaio non passa inosservata: Vicente
Greco ha un tango nuovo di zecca, ancora senza titolo e lo dedica all’amico
Corto. E’ “Ojos negros”, una delle sue più belle composizioni. Garrote
è, dopo Arolas, il musicista più richiesto di Buenos Aires. Ne conosce i
segreti, i posti, le storie. Una notte vanno insieme en lo de la Parda Flora,
vicino al mercato dell’Abasto.
Possiamo supporre
per ballare il Tango. Arolas, che si trova nell’edificio per lo stesso motivo,
interpreta al bandoneòn un tango appena abbozzato che riluce di una bellezza
nuova e sensuale. Formalmente, questo pezzo è davvero un’altra cosa, è
avanti anni luce rispetto agli allegri motivetti che si ascoltano nei caffè. Il
Tigre del Bandoneòn lo ha composto per la sua donna, che affettuosamente lui
chiama Cachila, dal nome di un uccellino selvatico della pampa argentina. Corto
Maltese si ricorderà di questo tango qualche anno più tardi, quando saluterà
Pandora al termine della Ballata del Mare Salato: “Mi ricordi un taugo di
Arolas..”.
In quei giorni
ricchi di scoperte, Corto conosce anche un giovane come lui, indeciso se
proseguire nella carriera di pugile professionista (con il nome d’arte Kid
Cele le ha appena buscate da un certo Reilly) o se dedicarsi totalmente alla
poesia. Con il suo vero nome di Caledonio Flores ha vinto il concorso Ultima
Hora: la poesia premiata, intitolata “Por la Pinta’’, viaggerà a lungo in
compagnia di Corto e, come vedremo, avrà un destino insolito e nobile.
A
Buenos Aires in quegli anni si trova anche Onassis. E’ difficile ipotizzare un
loro incontro in terra d’Argentina: l’imminente miliardario infatti lavora
come telefonista notturno in un lussuoso albergo del centro, dove ricchi
proprietari speculatori internazionali e intrallazzatori di ogni risma trattano
affari per telefono in comunicazione con le sedi centrali di Zurigo o Londra.
L’Argentina, signore e signori, è in vendita. Le “grandi famiglie”
multinazionali, le bande di investitori e le banche regolano i conti e si
spartiscono le straordinarie risorse di una terra finalmente “ripulita” da
indios, caudillos e irregolari. Ogni ipotesi di riforma viene accantonata una
volta per tutte. Onassis intercetta e sfrutta le informazioni che corrono lungo
i fili telefonici, gettando le basi per le iniziative future legate al
tradizionale mestiere della sua famiglia: il commercio fraudolento del tabacco.
Ad ogni modo, Corto e Onassis si ritroveranno qualche anno più tardi nella
Laguna di Caorle, impegnati nel recupero dell’Oro del Montenegro. Per un
giovanotto intraprendente e con voglia di fare bene, l’Argentina all’alba
del secolo è il Paese delle opportunità. Corto si unisce ad un gruppo di
reputati professionisti cui queste belle qualità non mancano. Per di più
Butch Cassidy, il Kid ed Etta Place, oltre a vantare una notevole esperienza nel
settore bancario, il che non guasta, sono provvisti come Corto di senso del
gioco e dell’avventura. Immaginiamo i nostri eroi conoscersi e intavolare
progetti nel Cafè De la Turca, all’incrocio di Necochea e Pinzon, circondati
da una esclusiva clientela di gaglioffi. In sottofondo, il Trio di Arolas con
Thompson alla chitarra e Ponzio al violino, si fa ascoltare ricamando tanghi che
sono gioielli. Corto e gli altri escono: fa quasi giorno e si confondono in una
folla di immigrati appena usciti dalla quarantena obbligatoria: sono braccianti
agricoli - golondrinas, come li chiamano qqui, poiché come le rondini
vanno e vengono tra gli emisferi secondo la stagione dei raccolti - ma sono
anche carpentieri, muratori, idraulici. In dieci anni ne sono arrivati 850.000.
Fra
qualche ora, Corto partirà verso sud con i suoi nuovi amici. Un altro tango di
Arolas li accompagnerà, a mò di viatico e di indicazione stradale. Il suo
titolo è “Derecho viejo” (Sempre dritto).
Un
morigerato esercizio dell’anacronismo, ci insegna Faustroll, promuove soluzioni
immaginarie: durante l’avventura siberiana alla caccia del treno carico
d’oro, Corto cade nelle mani del Generale Ungern Kahn. Siamo nel bel mezzo
della steppa, la situazione è tesissima, gli interessi in gioco indistricabili.
Ungern e Corto, come poeti in un reading a Berkeley, recitano insieme Coleridge,
parlano e si intendono attraverso canti ed immagini. Due autentici Gentluomini
di Fortuna in azione. Bevono vodka, si commuovono, ricordano. Riappare Eugenio
Genero “Quando Venexia mia sopra I tetti delle tue case …”, alcuni
dischi di Gardel vengono suonati dal grammofono. L’effetto taumaturgico del
Tango è a prova di malinconia tartara. Il Generale su ne va canticchiando un
testo donatogli da Corto sulle note di una melodia di sua personale creazione:
è il tango “Margot”, parole di Celedonio Flores, musica di Ungern Kahn, il
cui finale si trova riportato nell’epigrafe di questa prefazione.
Alcuni
anni dopo, probabilmente nel 1923, Corto Maltese ritorna a Buenos Aires. Il
Tango è profondamente cambiato, ma il marinaio è così assorbito dalle sue
vicende personali da non accorgersene nemmeno. Il suo amio Eduardo Arolas è a
Parigi dove di lì a poco verrà assassinato da un macrò. I caffè notturni
della Boca sono disertati in favore dei cabarets dell’Avenida Corrientes. “Un
paio di baffi sta rattristando il Riachuelo” scrive Borges di Juan de Dios
Filiberto (titolare di baffi e autore di tanghi celeberrimi). In effetti giù al
porto non c’è più l’allegria del decennio precedente. Gli avventurieri di
un tempo sono ora Naufragos del mundo que han perdido el corazòn, come
si afferma nel tang “Nieblas del Riachuelo” di Enrique Cadicamo e Juan
Carlos Cobian. Il tango è ora di gran moda non solo a Parigi e in Europa, ma
nella stessa Buenos Aires. I Roarin’ Twenties prescrivono a tutti di
rinnovarsi, di adottare misure adeguate: i giochi sono fatti, l’economia
argentina è finalmente ben avviata secondo le direttive del Capitale
internazionale e anche il Tango, come qualunque altra società anonima, è
tenuto ad aprire un ufficio di rappresentanza in Centro.
Corto
rimane fedele alla Musa del Suburbio. Le confiterias tangabili gli sono
estranee e certo non si mescola al pubblico familiare che applaude Gardel
nell’apocrifa versione di “Margot” (un plagio vero e proprio ai danni di
Ungern che la moderna Società degli Autori saprebbe come sanzionare). Qualche
volta si reca nel barrio di Boedo a trovare gli amici poeti Nicolas Olivari,
Carlos De La Pua (che ora si firma El Malevo Munoz) e Raul Gonzales Tunon, i
quali lo introducono al Tango innovativo di Julio De Caro e del suo leggendario
Sexteto. Una sera, in un localino del Triunvirato dall’indecifrabile nome di La
Chancha (La Maiala), nei pressi del suo alloggio situato nel retro
dell’officina di riparazione pneumatici El Parche Honrado (La Pezza
Onorevole), Corto ascolta il giovane Osvaldo Pugliese eseguire trenta volte di
seguito, sotto le minacce dei melomani presenti o malgrado esse, il suo tango
“Recuerdo”, da molti considerato a posteriori il più bel tango del creato.
Un’ultima
annotazione a margine dell’agenda del Maltese in questo periodo: la stazione
di Borges esiste davvero. Il traffico dei treni è tuttora disciplinato da un
orario ferroviario semplice e precisissimo. Consiste in una lavagna di
fabbricazione locale sulla quale il Capostazione annota con un gessetto gli
orari le cui mutevoli cifre vengono costantemente aggiornate secondo le
tempestive comunicazioni dei colleghi Capistazione lungo il percorso. Non è mai
successo che alcun treno arrivasse, sostasse o ripartisse con un solo minuto di
differenza dall’orario annunciato nei duecento anni di storia della stazione
di Borges.
La
Buenos Aires che accoglie Hugo Pratt nel 1949 dopo la traversata atlantica è la
quarta città al mondo in ordine di grandezza. E’ abitata da più di 4.000.000
di persone, di cui circa 8.000 sono musicisti professionisti di Tango,
registrati presso il Sindacato e distribuiti nelle oltre 600 orchestre di Tango
in attività nella sola Capitale. Se le capziose tabelline della Statistica
fossero anche normative, avremmo un musicista e mezzo in ogni taxi circolante in
Argentina e otto in ogni cabina telefonica. Come è facile immaginare, Hugo non
si accorge subito del Tango e della sua ampiezza coincidente con la stessa
metropoli: nessuno si dichiara tanguero perché non c’è nessuno che
non lo sia. Dal finestrino del taxi che miracolosamente sprovvisto di musicisti
lo porta in albergo, vede piuttosto obelischi, palme e petrolio che si sprigiona
dal terreno. Buenos Aires è una città tutta da scoprire e l’Argentina un
meraviglioso paese con più cielo, più stelle, più lune che qualsiasi altro
posto nel mondo.
Hugo, nei primi anni di permanenza quaggiù non apprezza il Tango che ascolta alla radio o che svogliatamente ha balla nelle gigantesche feste di Carnevale. Non ne capisce le parole, non ne avverte la profondità. Quando in un bagno turco, che abitualmente frequenta secondo un’abitudine contratta alla Sauna Palestra di Venezia, diventa amico di un certo Pichuco, non si rende conto che quel gordo (ciccione) èAnibal Troilo, uno dei più grandi bandoneonisti e dei più idolatrati miti del Tango. Hugo continua a preferire il Jazz: durante la stagione estiva sul treno che da Buenos Aires porta a Bariloche, famosa località di villeggiatura sulle pendici della Cordigliera andina, più di un passeggero viene meno alla proverbiale ed ammirevole ritenutezza del turista argentino e dona qualche moneta ad una specie di Al Jolson che canta “Swanee” vestito da paperone con pinne ai piedi, becco a megafono e occhiali da saldatore. Avete già capito: il Grande Sbrindolin, questo è il nome d’arte del palmipede, non è altri che il nostro grandissimo Hugo Pratt in piena campagna di autofinanziamento. Questo episodio, e il modo in cui ce l’ha raccontato in un raffinato ristorante cinese di Losanna, è l’immagine del Maestro che ci è più cara.
Paradossalmente, Hugo comincia ad amare il tango grazie a colui che gli ottenebrati tangueros insenstamente additano come il distruttore della tradizione: Astor Piazzolla.
Insofferente dell’autorità costituita, indisciplinato e irriverente come sempre ci piace ricordarlo, Pratt si gioca per Piazzolla, si butta nella polemica che la sua musica provoca in tutta Buenos Aires, lo difende in ogni occasione. Il processo iniziato è irreversibile: da questo momento il Tango sarà per Hugo Pratt, e per noi, indimenticabile.
Il vero Tango non
finisce mai, per lo meno a Buenos Aires o dovunque si abbia la fortuna di avere
qualche argentino tra il pubblico. In quaesti casi infatti, l’applauso scatta
sul finire di ciascun tango, cantato o strumentale che sia, prima del chan chan.
La cesura classica degli accordi di dominante e tonica, il cosidetto chan chan,
pur essendo la firma o, per meglio dire, il marchio di fabbrica che
contraddistingue un complesso musicale dall’altro ( ogni orchestra ha il
proprio chan chan) viene sempre ed irrimediabilmente abrogata dai clamori delle
impazienti platee argentine. Forse si tratta solamente di prodigalità o di
precipitazione, forse sono soltanto festosi urti da collegiali davanti al
fotografo, il fatto è che, una annullata la conclusione per invasione di campo,
il tango in questione non finisce e continua a fluire come uno di quei
misteriosi fiumi sotterranei i quali dapprima ci scorrono sotto i piedi e poi
riemergomo inaspettati dove più fa loro comodo. Questo argine impastato di
applausi, dunque, ci convoglia il Tango nel suo alveo originario, in
quell’interiorità collettiva che costituisce l’anima e la forza propulsiva
di ogni Grande Arte (Popolare). Se oggi ben poco ci resta della Swingin’
Buenos Aires degli anni ’60, quella lasciata da Hugo Pratt di ritorno in
Italia nell’imminenza di Corto Maltese, e del suo splendido Tango,. è proprio
a causa della sistematica spoliazione del tessuto sociale operata dalla
dittatura militare che ne ha assassinato i poeti ed esiliato i sognatori. Un
feroce chan chan per l’intera Argentina.
Così il Tango, da un quarto di secolo a questa parte, noi è più un fenomeno popolare e sopravvive unicamente in alcune ricerche individuali sparse pur il mondo. E’, questo sì, in gran voga e assoggettato, come tutto l’esistente, alle manovre e alle quotazioni di mercato. Forse gli ululati che accolgono le esibizioni sexy delle coppie di ballerini carne-da-cannone delle varie Case del Tango di Buenos Aires e le ovazioni destinate alla paccottiglia di lusso esportata da certe Compagnie del Tango fin sotto la casa dell’Inamovibile Turista, sono gli stessi applausi che ne occultano la rinascita. Il Tango che scorre invisibile nelle vene può riaffiorare in qualsiasi momento, in un’altra città e in un altro porto. Rinnovato, e noi con lui, come direbbe un Eraclito del River Plate, non si nuota mai duevolte nello stesso Tango.
torna su Marco Castellani
Una nota musicale vestita di velluto e raso rosso
“Vamos
a lo de la Parda”, così urlavano quasi in coro i gagliardi giocatori di rugbv
del C.A.S.I. (Club Atietico di San Isidro) dopo la penultima bevuta con gli
avversari sconfitti del C.U.B.A. (Club Universitario di Buenos Aires), con i
genitori, con le sorelle accese per gli sguardi pieni di sottintesi dei compagni
di squadra dei fratelli e con i soci anziani del club che spiegavano come ai
loro tempi non si sarebbe mai persa quest’ultima meta.
“Vamos a lo de la Parda”, era il segnale che una gran parte della gioventù sportiva
del C.A.S.I. e del C.U.B.A. avrebbe disertato il bar del “San Isidro” per
andare a far visita a “La Parda”, un altro tipo di club molto più
stimolante degli altri. Non ricordo se era l’estate del ‘49 oppure del ‘50
che in Argentina cade in dicembre, ma ricordo perfettamente la ragazza che in un
angolo di quel locale era incaricata di girare la manovella cli un vecchio
grammofono “His Master’s Voice”. Era una bellissima bruna con delle gambe
che stimolavano l’immaginazione non solo degli adolescenti ma anche dei vecchi
dagli occhi golosi.
Quasi sicuramente è stata quella ragazza ad anticipare la micro-mini-skirt di Mary
Quant in Inghilterra. La sua sottana era anche un po’ kiki, ovvero molto
attillata tanto che per fare certi movimenti doveva il più delle volte
tirarsela su con un certo sforzo, mettendo in mostra una splendida culotte
bianca che in parte le spariva tra le natiche.
In
un primo momento riusciva difficile spiegarsi il perché di un fonografo così
vetusto per ascoltare dei logori settantotto giri in uni locale anni Cinquanta
quando già i pick-ups elettrici (adp) a cristalli stavano passando di moda. Lo
si capiva solamente quando si ammirava lo sballottamento delle tette della
“victrolera” ovvero la ragazza del grammofono a tromba quando menava la leva
del caricamento. La padrona del locale era anch’essa una giovane e splendida
rappresentante del mestizaje italo-paraguayano: color cannella e miele bruciato
la pelle, e mairrone scuro come due cioccolatini Suchard taglio obliquo gli
occhi. Bella anzi bellissima con le mutandine bianche anche lei. Era questa una
delle pardas che nel linguaggio potribolero e tangoso significa: india
provinciana che non vuole dire provinciale m piutosto pelle color mate, pantera
o giaguaro e “sdraia creola”.
Insomma
occhi seducenti, pelle profumata, denti sani e idee calde. I giovanotti andavano
nelle toilettes e ne uscivano con i capelli inbrillantinati perché faceva parte
dell’abbigliamento con lo smoking bianco, giacca taglio lungo incrociato
doppio petto e cravatta nera.
La
Parda era uno dei ritrovi allora di moda per lo scontro “macho-hembra” o
maschio-femmina se preferite. La bibita: gin tonic, cuba libre, beer sangaree o
black-thorn irish e per le compagne di giochi black velvet oppure champagne con
la “c” dura al posto della “s” strascicata francese e l’accento sulla
seconda “a” come il suono in una bottiglia stappata. E la musica?
Tango-hesitation.
Quando
si parla di tango si devono considerare più cose: le origini, il periodo
storico, la geografia e la topografia, le femmine, il biliardo e le scommesse
sui cavalli.
L’origine
La
parola tango è nata prima del ballo in questione. Nel secolo scorso si parlò e
si scrisse del tango in tre maniere diverse: come di un ballo degli schiavi
negri chiamato anche tambo, perché accompagnato dal ritmo di un tamburo; il
tango spagnolo andaluso che si ritrova nelle “zarzuelas”, l’operetta o
commedia musicale (la revoltosa, la verbena della paloma) e infine il tango del
Rio de la Plata nel 1890.
Le prime espressioni musicali del tango sono anche figlie della habanera
cubana e della milonga criolla (Gabino Ezeiza e Santillan). L’altro apporto
venne con la massiccia presenza della nuova immigrazione italiana che, superato
il rifiuto xenofobo, finisce per amalgamarsi con l’elemento indigeno creolo
dando vita a una nuova cultura musicale urbana (canzonetta italiana). Qualcuno
parlò anche di “java musette” francese, ma non si è certi.
Il
periodo storico
Il
1880-1890 è il decennio che dividerà l’Argentina arcaica da quella moderna.
Tutto cambia da quel momento: l’aspetto della città, la maniera di parlare,
gli spettacoli, la moda e perfino il modo di mangiare e di fare all’amore con
le nuove posizioni (la senegalesa, la conca fiorentina e l’andirivieni
ligure). Buenos Aires assomiglia senmpre di più a Parigi grazie all’Haussmann
argentino, l’intendente Alvear.
Il
nuovo ballo supera in quest’epoca la tolleranza superficiale dell’elemento
indigeno creolo-porteno e tradizionalista per bussare ai cancelli della classe
media.
La
geografia e la topografia
Il
tango, abbiamo visto, ha varie matrici: afro-americane cubano-spagnola,
andalusa-creola, italiana-francese. Tutto sommato, ricorda l’immagine
geografica di qualche cosa o di qualcuno trafitto da meridiani e paralleli (A.
Ongaro - N. Vascon: “La nostra vita per il tango”).
Come
topografia invece bisogna frequentare gli itinerari dei marinai, militari,
operai, artigiani, sfaccendati e tutta
una società di uomini soli che si riversava nei lupanari e nelle sale da ballo
in cerca di speranze e distrazioni. Nelle spelonche del porto rio platense
questi uomini giovani, emarginati e in continuo conflitto nell’ambiente
creolo-immigratorio, si legavano obbligatoriamente a quella gente di “vita”
tanto ben descritta dallo scrittore argentino Jorge Luìs Borges (“El hombre
de la esquina rosada”). Perciò, ruffiani, emigranti, maquereaux, guardie e
ladri, celestine puttane e parde sono la faunesca cornice che inquadra
l’avventuroso ambiente del tango con il suo tema preferito: amore, tradimento
e morte.
I1
biliardo
Il
tappeto verde, la goriziana furlana e italiana internazionale insieme ai
grandi Nestor Gomez di allora sono stati più volte tema per tango. In uno di
questi si racconta di una sfida tra due formidabili giocatori per aggiudicarsi i
favori di una parda che prima del gran finale se la “spiantò” con un
marinaio di passaggio.
Le
femmine
Non credo ci sia bisogno di dire molto, le femmine ci sono e basta. Sono bellissime, sempre e comunque sia. Logicamente si parla di quelle che non si vergognano di esserlo. La mischiata afroispanoindiogiudeorussoitalotedescoturcofranceseanglogallese ha dato un risultato splendido. La donna argentina è sicuramente una tre le più belle del mondo e il tango l’accompagna complice nel suo deambulare ozioso davanti ai negozi alla moda di calle Florida.
Le
scommesse e i cavalli
Il
più famoso tra i cantanti di tango, Carlos Gardel, prestò la sua voce per
popolarizzare il famoso tango “Leguisamo solo” di Modesto H. Papavero
dedicato a Ireneo Leguisamo, jockey di fama internazionale e vero fuoriserie del
turf mondiale Altro tango famoso fu l’ “86” dedicato a un altro famoso
jockey, Domingo Torterolo, che nel 1910 vinse per 1’appunto ottantasei corse.
Ma anche gli aristocratici quadrupedi hanno avuto il loro tango: Oro Viejo,
Royal Hope, Yatasto e altri.
Da
quel lontano fine secolo XIX a oggi ne è passato del tempo, e quella danza
popolare, due per quattro e più tardi quattro per otto, la si riballa nelle
grandi feste di club privati e molto esclusivi. Gli strumenti sono gli stessi:
la chitarra, il mandolino, il violino, l’oboe e l’immancabile bandoneòn per
accompagnare la voce di Susanita Rinaldi. Ma Susanita Rinaldi è un fatto mio
personale.
E’
doveroso ricordare: Paquita Bernardo, Linda Thelma, Pepita Avellaneda, Sofia
Bozan, Dora Davis, Azucena Maizani, Libertad Lamarque, Mercedes Simone, Tita Merrello,
Amelita Baltar e tante altre. Per le orchestre ricorderemo: Arola, Canaro,
D’Arienzo Pugliese, Troilo, Discepolo e Piazzolla. Per i cantanti: ce ne sono
molti e bravi ma per nominarli tutti ci vorrebbe la pazienza di Costantino
Sobrino che ha scritto un manuale enciclopedico sul tango. Limitiamoci a
nominarne solamente uno, il più grande: Carlitos Gardel.
Ultimamente
a molti anni di distanza da quel giorno quando con gli atleti del C.A.S.I.
andammo a far visita a “La Parda” sono entrato con il collega Lele Vianello
nello stesso locale in calle 25 de Mayo y Viamonte.
Il posto non era cambiato molto e c’era ancora la vecchia vietrola ma
non la Parda di allora. Il locale era vuoto e la ragazza che ci servì le due
birre era ossigenata e fasciata da un paio di logori blue-jeans. Per rallegrare
la malinconica atmosfera piazzò un disco sul vecchio fonografo che risultò
essere elettrico. La musica e la voce erano di Stevie Wonder.
torna su Hugo Pratt
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Per un tango così ...
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... anche Corto si mette in esmokin |
Ultimo aggiornamento: agosto 2001
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