Disagio
giovanile e comportamenti a rischio
Web Scuola –
21
gennaio 2003
21/01/03
- Webscuola e disagio giovanile: un'intervista sui
risultati di una recentissima ricerca sugli
adolescenti italiani
Il
disagio giovanile e le sue manifestazioni a
scuola: un argomento di notevole interesse per
tutti gli insegnanti. Per fornire un contributo
alle discussioni sempre accese su questo argomento
abbiamo intervistato per voi Stefania
Boncinelli, medico presso la scuola di
specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva
dell’Università degli Studi di Milano e
coautrice, insieme al dottor Alberto Pellai, di Just
do it! I comportamenti a rischio in adolescenza.
Manuale di prevenzione per scuola e famiglia,
recentemente uscito per Franco Angeli Editore e
specificamente destinato a genitori,
insegnanti ed operatori socio-sanitari. Il lavoro
riporta i risultati di una ricerca sui
comportamenti a rischio degli studenti adolescenti
italiani tramite un questionario di 82
domande, che indaga le seguenti aree di rischio:
sicurezza stradale, violenza e bullismo, uso di
tabacco, alcool e droghe, comportamenti sessuali,
abitudini nutrizionali e disturbi del
comportamento alimentare, attività motoria e
sportiva. La ricerca è stata realizzata
nell’ambito del IV Piano Nazionale di
Prevenzione HIV e del Piano triennale per la
Prevenzione dell’HIV della Regione Lombardia su
un campione di circa 6.000 studenti delle scuole
superiori.
L’assunto
centrale del libro è che, nelle attività di
prevenzione e promozione della salute, offrire
ai ragazzi occasioni di rielaborazione sia più
utile che presentare materiale già elaborato da
un adulto. Per favorire questo processo,
vengono descritti i risultati della ricerca e
vengono esplorate le caratteristiche che connotano
l’assunzione del rischio in adolescenza, nonché
la possibilità di usare strumenti mediati dalla
cultura dei ragazzi (quali musica, riviste,
immagini proposte dai media, etc.) per creare
attivazioni valide e significative, da usare come
strumenti di prevenzione.
Secondo gli autori, l’assunzione di
rischi è parte integrante di un normale percorso
di crescita e permette di sviluppare la propria
identità di individuo. Il problema
degli adolescenti spesso consiste nel non
poter disporre, in una
fase di formazione della personalità, di
strumenti interpretativi che consentano loro
di leggere correttamente la realtà,
per integrarsi ed interagire con essa, in modo da
scegliere esperienze di assunzione del rischio che
siano positive e a sostegno del benessere.
Dottoressa
Boncinelli, la vostra ricerca è stata condotta su
un campione molto ampio di ragazzi. Considerata
l’attendibilità dei risultati ottenuti, avete
potuto riscontrare differenze rispetto alle
opinioni comuni diffuse sul disagio giovanile?
Per
rispondere a questa domanda occorrerebbe
innanzitutto definire cosa si intende per opinioni
comuni sul disagio. Quello che posso dire è che
generalmente i giornali o i media sono
sensibilizzati sulle grandi tematiche del disagio
dai fatti di cronaca derivati, per esempio, dal
consumo di sostanze stupefacenti o dall’abuso di
alcol. La nostra ricerca, invece, fornisce
un’immagine trasversale sui comportamenti in
adolescenza, da cui si ricava, globalmente, una
diversa considerazione rispetto a ciò che viene
presentato dai giornali. Più che
appartenere all’area della devianza,
infatti, l’adozione di comportamenti a
rischio da parte dei ragazzi testimonia
il ricorso a percorsi disfunzionali, a fronte
della necessità di “mettersi in gioco” e
“sperimentarsi” nel rischio. Mentre gli adulti
spesso descrivono gli adolescenti come maleducati
o privi di valori, i ragazzi
raccontano la loro difficoltà e assenza di
strumenti per affrontare il problema di crescere,
convivere con il loro corpo e misurarsi con gli
altri.
Quali
elementi inattesi emergono dalla vostra indagine?
L’analisi
di alcuni dati, ci ha riservato comunque alcune
sorprese: ad esempio, per quanto riguarda l’uso
di sostanze stupefacenti, è stato evidenziato
che, tra i diciottenni, il consumo della cocaina
è superiore rispetto a quello dell’ecstasy,
ossia quella che viene ritenuta la tipica “droga
da discoteca”.
Perché
la dimensione del rischio è importante in
adolescenza?
Accettare
di prendersi un rischio può talvolta avere il
valore di assecondare delle spinte evolutive. In
questo senso, l’adolescente è per definizione
portato a rischiare, perché deve capire chi è e
chi sceglierà di essere, al di là di
un’immagine elaborata fino ad allora in seno
alla famiglia. Se, da
un lato,
è proprio la funzione
protettiva della famiglia ad
impedire
al ragazzo di confrontarsi con se stesso,
dall’altro
le influenze
culturali dei mass media pongono
spesso l’adolescente di fronte a modelli
non salutari,
perché
“normalizzano” alcuni comportamenti,
quali l’abuso di sostanze, il consumo di alcol e
tabacco e,
inoltre, definiscono
canoni di bellezza e successo difficilmente
raggiungibili,
che incidono sull’autostima dei ragazzi e
accentuano il bisogno di controllo sul proprio
peso corporeo, favorendo lo sviluppo di disturbi
del comportamento alimentare (dai nostri dati, ad
esempio, emerge che c’è in media almeno una
ragazza per classe che si induce il vomito a scopo
dimagrante). Il compito
dell’educatore,
quindi, è proprio quello di valorizzare
il bisogno di rischio dell’adolescente,
aiutandolo a trovare ambiti salutari in cui
misurarsi
(ad esempio, l’attività motoria, la creatività,
il rapporto con gli altri) e strumenti che gli
permettano di misurare se stesso in relazione alla
realtà che lo circonda.
Esistono
aree a rischio in cui la scuola riesce ad
intervenire con maggiore difficoltà? O altre in
cui basterebbe anche poco per ottenere dei
risultati tangibili?
Invertirei
i termini della questione. Il problema non
è tanto intervenire su specifiche aree del
disagio, quanto intervenire sul disagio con
strumenti efficaci. Già oggi si adottano
misure, quali conferenze su comportamenti a
rischio o interventi di esperti, mirate ad
influire su aree specifiche: purtroppo, però,
facendo questo vengono utilizzati degli strumenti
che difficilmente hanno impatto sui ragazzi. Uno
dei problemi principali dell’adolescente è la
difficoltà nella percezione del suo sé corporeo,
intorno al quale ristrutturare intrapsichicamente
ciò che è e ciò che sta diventando. In questa
fascia d’età, il comportamento a rischio è più
che altro un sintomo di difficoltà o di disagio.
La scuola parla molto alla testa del ragazzo, ma
non interviene sulla sua dimensione “a tutto
tondo” di individuo in crescita.
Cosa
si può fare concretamente per non parlare solo
alla testa degli adolescenti?
La
nostra proposta consiste nel valorizzare
il soggetto come risorsa, non solo di
percorsi didattici, ma come attore e
creatore della propria cultura, in
grado di interpretare e scegliere tra
quello che gli viene proposto, senza
esserne un fruitore passivo. L’obiettivo
è che riesca a riconoscere i meccanismi
del sistema: per questo proponiamo di
utilizzare anche tecniche che fanno riferimento
all’educazione ai media. Anche
per fare prevenzione, l’aspetto
dell’educazione ai media, costituita dall’analisi
critica dei contenuti, delle tecniche e dei
messaggi proposti da televisione e giornali,
è di fondamentale importanza. Nel nostro libro,
per ogni comportamento a rischio sono stati scelti
film, testi di canzoni o di videoclip, o comunque
prodotti riconoscibili all’interno della cultura
giovanile, da cui abbiamo tratto delle schede che
possono essere consegnate ai ragazzi come
strumenti d’analisi, per scoprire i significati
che stanno dietro a ciò che viene loro proposto.
In questa attività, l’insegnante
riveste un ruolo di guida, non giudicante,
che aiuta i ragazzi ad individuare significati,
meccanismi comunicativi e possibili comportamenti
conseguenti.
Utilizzare la cultura degli adolescenti,
che è una cultura fatta di immagini,
per interpretare questi dati permette di
affrontare il problema in un modo che per
i ragazzi è più interessante, e
sortisce, quindi, un risultato più efficace.
La costituzione dell’immagine corporea, i
comportamenti alimentari, l’adozione di
comportamenti a rischio: spesso, in materia, la tv
trasmette ai ragazzi dei messaggi molto
diseducativi, ma utilizza dei linguaggi molto
vicini a loro, grazie ai quali, in mancanza della
possibilità di conoscere gli elementi costituenti
il codice televisivo, quegli stessi messaggi
vengono introiettati in maniera acritica.
Qual
è, dunque, la funzione preventiva di esperti del
settore ed insegnanti, ovvero: come queste due
figure possono trovare il modo migliore per
interagire all'interno della scuola?
Non
si chiede all’insegnante di avere competenze
specifiche su
ogni argomento, ma di effettuare un
intervento educativo, al cui
interno può essere poi inserito il contributo
dell’esperto, in modo tale che il suo
messaggio riesca a raggiungere i ragazzi, che già
hanno lavorato su quel determinato argomento.
L’esperto può avere funzioni di supervisione o
di coordinamento del lavoro degli insegnanti:
l’insegnante conduce la discussione ed il lavoro
in classe, mentre l’esperto interviene, ad un
determinato punto del percorso di lavoro, quando
è necessario un approfondimento. Noi auspichiamo
un lavoro di prevenzione in cui il gruppo
adolescente sia soggetto e oggetto al tempo
stesso, in cui l’adulto funga da tutore,
attivatore, conduttore ma mai da attore
principale. I ragazzi hanno bisogno di
informazioni, ma soprattutto di collocare loro
stessi all’interno di un modo di essere, con la
conseguente necessità di ridefinire personalmente
i propri modelli.
Non
è facile però condurre una discussione su temi
che vanno inevitabilmente a toccare il vissuto
personale di ciascuno di noi …
Più
che il compito di educare, all’insegnante
è affidato il compito fondamentale di attivare,
per consentire di portare all’interno
della scuola determinati temi, in modo che i
ragazzi possano confrontarsi tra loro e con gli
stimoli proposti e fondare su questo le proprie
scelte.
Le faccio un esempio: tra i materiali di lavoro
sul tema della dipendenza da tabacco, abbiamo
inserito una scheda, già utilizzata in Veneto per
interventi contro il tabagismo, relativa al film
“The insider” (un film di Michael Mann del
2000), che narra le difficoltà di un dirigente di
un’azienda produttrice di tabacco che sceglie di
non tacere più ciò che vede, ossia che durante
la fabbricazione, alle sigarette vengono aggiunte
sostanze che creano dipendenza. In questo caso, il
messaggio comunicato ai ragazzi attraverso il film
non è solo “Fumare fa male”, ma piuttosto
“Attenzione: la tua scelta di fumare non è
libera, esiste un sistema commerciale che ti
induce a farlo”. In questo modo fumare
non appare più ai ragazzi come un modo per
sembrare più adulti, ma come una scelta indotta
dal sistema. E’ questa la tecnica di
rivelazione dei meccanismi di cui parlavo e che è
in grado di disincentivare l’adozione di quei
comportamenti a rischio non salutari: è chi non
fuma ad essere veramente libero, non chi lo fa.
Come
si possono utilizzare i risultati della vostra
indagine nell’attività didattica in classe?
La
ricerca è in grado di fornire i dati di un quadro
epidemiologico, con informazioni puntuali
e precise per costruire una visione d’insieme, e
non su informazioni o opinioni degli adolescenti,
bensì sui loro comportamenti, su ciò che
effettivamente fanno. Questo, a nostro avviso,
permette agli educatori di comprendere quali siano
le aree su cui è maggiormente necessario
intervenire.
Inoltre, la presentazione agli
studenti dei risultati della nostra
ricerca può costituire uno strumento
educativo. I dati, infatti, possono
rappresentare un punto di partenza per la
discussione in classe: ragionare su
risultati derivanti dalle risposte di un campione
di 6000 studenti consente di mettersi a confronto
con se stessi. Per quanto riguarda i comportamenti
sessuali, ad esempio, in letteratura emerge che
esiste una sovrastima dell’attività sessuale
dei coetanei, che induce i ragazzi a pensare di
essere “rimasti indietro”: confrontandosi con
i risultati della nostra ricerca, molti ragazzi
capirebbero che solo il 30% degli studenti liceali
ha già avuto un rapporto sessuale e potrebbero
quindi vivere più serenamente il proprio percorso
di crescita individuale in quest’ambito.
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