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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS 

 

Parità: anno zero?

19/12/02 - Istruzione pubblica e privata: cambiano equilibri e assetti del sistema scolastico? Tra i dubbi una sola costante: niente fondi per la scuola

In questo approfondimento troverete

Speciale normativa parità

Parità: anno zero?

Uno stanziamento da 30 milioni di euro a favore delle famiglie che scelgono la scuola privata, previsto nella Finanziaria 2003 ed esteso agli esercizi 2004-2005, riaccende le polemiche sul tema dei finanziamenti ai privati nel campo dell’istruzione.   Il dilemma è reso più complicato dal fatto che su una materia tanto complessa non esiste un progetto organico. Di fatto la questione è stata inserita nella Finanziaria, rimandandone però l’attuazione  a successivi decreti, realizzati in concerto dai Ministri dell’Economia e dell’Istruzione. 

Tutti scontenti?

E così, mentre si tagliano i fondi destinati alla scuola pubblica, la cifra stanziata per le private appare insufficiente per le esigenze di questi istituti, soprattutto perché, nel caso delle scuole materne,  non sono stati erogati i contributi stanziati per il 2002  per la partecipazione alla realizzazione del sistema pre-scolastico integrato. Si tornano ad alzare gli steccati tra i fautori del sistema pubblico e delle private, contrapposizioni che non aiutano a dirimere le questioni e confermano un solo dato: perché il nostro paese investe così poco nell’istruzione?

Le richieste delle scuole private

La Fidae (Federazione istituti attività educative), di matrice cattolica, incalza: gli studenti delle private sono l’11% ma ricevono solo l’1,7% delle risorse stanziate per la scuola (1% ai gestori e 0,7% alle famiglie). La Agesc, Associazione genitori scuole cattoliche, cita il Rapporto Ocse  2001 sull’istruzione e  denuncia: in Italia,  a differenza di tutti gli altri Paesi membri, i finanziamenti statali verso il privato sono “inconsistenti” e ai  meno abbienti è precluso l’accesso agli istituti privati. Il medesimo richiamo è stato fatto all’Italia dal Parlamento europeo. Tuttavia, da noi esiste l’articolo 33 della Costituzione che non consente il finanziamento diretto delle scuole private.

Come finanziare la scuola privata?

Sono all'esame varie ipotesi, ma quella più accreditata sembra essere il buono scuola. Il buono si presenta, a detta dei sostenitori di questa soluzione, come uno strumento che può garantire la libertà di scelta dei cittadini rispetto alla qualità dell’offerta formativa sul territorio, costringendo la scuola a migliorare gli standard qualitativi del servizio.

Senza oneri per lo Stato?

Non è facile definire oggi l’entità dei finanziamenti erogati da più soggetti istituzionali alle scuole private: Stato, Regioni e Comuni operano su questa materia secondo modalità che variano da un luogo all’altro e da un’amministrazione all’altra.

Per valutare la reale entità del volume dei finanziamenti ai diversi segmenti del sistema integrato dell’istruzione pubblica e priovata va tenuto presente l’effetto combinato dei tagli all’istruzione e agli enti locali.

 Parità scolastica:  tra esperimenti e lotte politiche

Mancando una  politica organica sull'argomento, ci sono state delle “fughe” in avanti delle Regioni che, come nel caso della legge regionale  n°10 dell’Emilia Romagna nel 1999, precedono l’assetto disegnato dalla legge nazionale sulla parità scolastica n° 62/2000.
Il provvedimento, poi rivisto alla luce della legislazione nazionale, anticipò lo schema della legge sulla parità dell’Ulivo, e puntava all’erogazione di fondi per la promozione e la qualificazione di interventi per il diritto allo studio in favore degli alunni delle scuole appartenenti al sistema nazionale integrato dell’istruzione.

La legge n° 62/2000 rappresenta finora lo sforzo di sintesi più completo per regolare la materia. Il governo di centrosinistra  si spinse laddove la DC non aveva mai osato, il finanziamento della scuola privata, aggirando l’ostacolo del dettato costituzionale dell’istruzione privata libera, ma senza oneri per lo Stato.

Gli strappi successivi compiuti da alcune Regioni guidate dal centro-destra nei confronti del modello di parità scolastica voluto dall’Ulivo, metabolizzato a fatica e non senza divisioni dalla coalizione di centro-sinistra, possono essere considerati come altrettante fughe in avanti.

Si tratta comunque di posizioni che sono viste con favore dalla popolazione, o che comunque non sono osteggiate. La legge regionale del Veneto è stata recentemente confermata, dopo l'insuccesso di un referendum abrogativo che ha visto la partecipazione al voto del 17% degli aventi diritto.

Il modello Formigoni

Il modello lombardo, che prevede l’erogazione di  un buono scuola alle famiglie che scelgono l’istruzione privata, sembra costituire il futuro punto di riferimento per il sistema scolastico a livello nazionale, ma nasconde delle insidie. In questo caso, come per la sanità, il sistema dei finanziamenti potrebbe risultare oltremodo dispendioso. La possibilità di rivolgersi tanto ad una struttura pubblica quanto ad una privata, garantisce maggior libertà di scelta ai cittadini, però fa salire alle stelle la spesa pubblica.

Un’altra controindicazione è costituita dal fatto che restano escluse le spese per il diritto allo studio che gravano sui bilanci delle famiglie (libri, trasporti, mense, doposcuola)  a favore delle sole rette. Le tabelle relative al reddito hanno destato molte polemiche perché consentono sgravi anche a chi guadagna molto. L’articolo 4 della legge regionale n° 1/2000,  secondo  l’opposizione, è congegnato in modo tale da andare, di fatto, ad esclusivo beneficio delle famiglie di studenti iscritti nelle scuole private.

  Buono scuola: modalità di erogazione

Le spese su cui si calcola l’entità del “buono” riguardano tasse, rette, contributi di iscrizione e di funzionamento delle scuole. Rientrano nel provvedimento anche le spese a carico delle famiglie per il personale impegnato nelle attività di sostegno agli alunni portatori di handicap. Esiste però una franchigia: il buono, infatti, non è erogato per una spesa inferiore ai 208 euro. Essendo esclusi libri di testo, trasporti e mense, doposcuola e viaggi d’istruzione, si va solo ad incidere sulla voce tasse e contributi vari, che nelle scuole pubbliche sono inferiori a quella cifra. Ne consegue che il finanziamento non riguarda di fatto gli studenti delle scuole pubbliche.

Per l’a.s. 2001-2002, inoltre, sono stati inclusi nei rimborsi anche i contributi volontari a favore delle scuole. Una misura vista certamente di buon occhio dalle scuole private  

Il sistema di calcolo del reddito familiare

Il tetto di reddito per poter ottenere il “buono” è fissato in un coefficiente che individua una situazione di reddito di circa 90 milioni lordi di vecchie lire. Tale somma va moltiplicata per il numero dei componenti del nucleo familiare. Secondo un calcolo approssimativo ciò significa, per esempio, che ha diritto al buono scuola una famiglia di quattro persone con  i due genitori che lavorano, con un reddito complessivo lordo fino a un limite di 240 milioni di vecchie lire, mentre per una famiglia di 5 persone con un solo genitore che lavora, la cifra sale a oltre 293.000.000 lire. I dati sono calcolati sulla base della dichiarazione dei redditi del 2000. Si fa riferimento agli indicatori di reddito ISEE (indicatore della situazione di reddito equivalente) ma non vi è nessun riferimento al patrimonio. La detrazione è relativa al 25% delle spese, mentre per i redditi più bassi si può avere un rimborso del 50%. Il meccanismo di valutazione del reddito è lo stesso. Se lavora solo un genitore e ci sono tre figli a carico, il reddito massimo che dà diritto al rimborso di metà delle spese è di 52.537.000 lire circa. Negli altri casi previsti il reddito familiare complessivo lordo deve essere inferiore a questa cifra. Le opposizioni e i sindacati avevano dato battaglia, sostenendo che vi è un  divario in Lombardia tra gli investimenti per il buono scuola e quelli per il diritto allo studio. Sessantasette milioni di vecchie lire per i primi e trenta miliardi per il diritto allo studio, finanziato con contributi statali e dell’UE, per il secondo .

I dubbi di incostituzionalità 

Il buono scuola in Lombardia si configurava, quindi, non come uno strumento di sostegno al diritto allo studio, come era stato concepito tradizionalmente, ma come uno strumento per il finanziamento indiretto della scuola privata.  Tale provvedimento andava oltre il quadro definito dalla legge sulla parità. Il governo dell’Ulivo aveva presentato ricorso contro la delibera della Giunta regionale della Lombardia relativa ai buoni scuola, ma il Consiglio dei ministri presieduto da Berlusconi decise di rinunciarvi, per ragioni di dubbia ammissibilità del ricorso stesso.

 La filosofia della legge sulla parità  

La legge 62/2000  prevede un sistema integrato tra l’istruzione pubblica e privata. I principi ispiratori del provvedimento sono rintracciabili nello schema di documento della Commissione istituita con D.M. 4 luglio 1996 per attuare l’articolo 33 della Costituzione, comma 4 in materia di parità scolastica.

Il punto di partenza è costituto dal riconoscimento del mutamento del ruolo dello Stato, non più concepito in Europa occidentale come “Stato gestore”, ma come  “Stato regolatore”.  Nel contempo, il concetto di servizio pubblico non è più inteso come coincidente con statale, ma è visto come esercizio di funzioni all’interno di un orizzonte di finalità  comuni e condivise tra i soggetti chiamati a svolgerle.

Il ruolo dell'autonomia scolastica

La scuola dell’autonomia doveva costituire il volano di questo sistema, in cui l’assolvimento della funzione pubblica viene assunto secondo modalità flessibili e concorrenziali da vari soggetti. Si entra in un’ottica di erogazione di servizi in cui non c’è una contrapposizione, ma un’integrazione tra i servizi offerti dallo stato e quelli a carico dei privati, al fine di potenziare l’offerta formativa complessiva del sistema.

Lo scopo è quello di superare le contrapposizioni ideologiche e passare dal conflitto allo scambio di esperienze significative tra soggetti diversi. Lo strumento delle convenzioni  consente di realizzare un sistema integrato,  attuando contratti che vincolino tutte scuole all’interno  di un sistema di regole condiviso. Questo disegno va a scontrarsi con l’esiguità dei finanziamenti riservati all’istruzione e offre un quadro forse un po’ troppo ottimistico della disponibilità alla collaborazione dei vari attori in campo. 

Gli standard condivisi

Il problema è la definizione di standard minimi (cosa che già avviene con la  legge sulla parità, ma il compito più arduo è il controllo di tali standard). Si pone sempre l’accento sulla qualità della proposta educativa, si tutela l’identità culturale delle scuole, ma meno la qualità del servizio. L’esperienza europea, secondo la relazione della Commissione per l’attuazione dell’Art. 33 della Costituzione in tema di parità, attesta che i sistemi più solidi sono quelli in cui istruzione statale e non statale sono inserite in un quadro unitario caratterizzato da regole comuni.

I docenti

La qualità della proposta educativa passa anche dagli insegnanti. E davanti a scelte discutibili in tema di gestione e reclutamento del personale, (largo utilizzo di docenti non abilitati, cambi repentini di organico in coincidenza  con i cambi  al vertice, valutazioni di carattere morale che prescindono dalla dimensione professionale e tengono in considerazione comportamenti e stili di vita dei singoli insegnanti - vedi il caso di separati o divorziati, che  spesso non possono lavorare nelle scuole cattoliche) viene da chiedersi quanto la qualità del servizio scolastico sia tenuta in conto. Del resto, se fossero tutte rose e fiori nella gestione dei rapporti con il personale, non si capirebbe perché i docenti delle private scappino appena possibile verso la scuola statale.

Tra discriminazione e privilegi, è possibile una terza via? Una soluzione basata su standard minimi comuni? Un dibattito che sarebbe importante in una democrazia matura, ma che con tagli ingenti alla dotazione del Ministero dell’Istruzione (41 milioni di euro, secondo i sindacati), con  la riduzione dei finanziamenti della legge sull’autonomia scolastica e del fondo per l’ampliamento dell’offerta formativa, così importanti nella definizione di un sistema integrato dell’istruzione, rischiano di riprodurre solo antiche dispute.

 

 

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