Parità:
anno zero?
19/12/02
- Istruzione pubblica e privata: cambiano
equilibri e assetti del sistema scolastico? Tra i
dubbi una sola costante: niente fondi per la
scuola
In questo approfondimento troverete
Speciale
normativa parità
Parità: anno zero?
Uno
stanziamento da 30 milioni di
euro a favore delle famiglie che scelgono la
scuola privata, previsto nella Finanziaria
2003 ed esteso agli esercizi
2004-2005, riaccende le polemiche sul tema dei
finanziamenti ai privati nel campo
dell’istruzione. Il dilemma è reso
più complicato dal fatto che su una materia tanto
complessa non esiste un progetto organico. Di
fatto la questione è stata inserita nella Finanziaria,
rimandandone però l’attuazione a
successivi decreti, realizzati in concerto dai
Ministri dell’Economia e dell’Istruzione.
Tutti scontenti?
E
così, mentre si tagliano i fondi destinati alla
scuola pubblica, la cifra stanziata per le private
appare insufficiente per le esigenze di questi
istituti, soprattutto perché, nel caso delle
scuole materne, non sono stati erogati i
contributi stanziati per il 2002 per la
partecipazione alla realizzazione del sistema
pre-scolastico integrato. Si tornano ad
alzare gli steccati tra i fautori del sistema
pubblico e delle private, contrapposizioni che non
aiutano a dirimere le questioni e confermano un
solo dato: perché il nostro paese investe così
poco nell’istruzione?
Le richieste delle scuole private
La
Fidae (Federazione istituti attività educative),
di matrice cattolica, incalza: gli studenti delle
private sono l’11% ma ricevono
solo l’1,7% delle risorse
stanziate per la scuola (1% ai gestori e 0,7% alle
famiglie). La Agesc, Associazione genitori scuole
cattoliche, cita il Rapporto Ocse 2001
sull’istruzione e denuncia: in Italia,
a differenza di tutti gli altri Paesi membri, i
finanziamenti statali verso il privato sono
“inconsistenti” e ai meno abbienti è
precluso l’accesso agli istituti privati. Il
medesimo richiamo è stato fatto all’Italia dal
Parlamento europeo. Tuttavia, da noi esiste
l’articolo 33 della Costituzione che non
consente il finanziamento diretto delle scuole
private.
Come finanziare la scuola privata?
Sono all'esame varie
ipotesi, ma quella più accreditata sembra essere
il buono scuola. Il buono si
presenta, a detta dei sostenitori di questa
soluzione, come uno strumento che può garantire
la libertà di scelta dei cittadini rispetto alla
qualità dell’offerta formativa sul territorio,
costringendo la scuola a migliorare gli standard
qualitativi del servizio.
Senza oneri per lo Stato?
Non
è facile definire oggi l’entità dei
finanziamenti erogati da più soggetti
istituzionali alle scuole private: Stato, Regioni
e Comuni operano su questa materia secondo modalità
che variano da un luogo all’altro e da
un’amministrazione all’altra.
Per
valutare la reale entità del volume dei
finanziamenti ai diversi segmenti del sistema
integrato dell’istruzione pubblica e priovata va
tenuto presente l’effetto combinato dei
tagli all’istruzione e agli enti locali.
Parità scolastica: tra esperimenti e lotte
politiche
Mancando
una politica organica sull'argomento, ci
sono state delle “fughe” in avanti delle
Regioni che, come nel caso della legge
regionale n°10 dell’Emilia
Romagna nel 1999, precedono l’assetto disegnato
dalla legge nazionale sulla parità
scolastica n° 62/2000.
Il provvedimento, poi rivisto alla luce della
legislazione nazionale, anticipò lo schema della
legge sulla parità dell’Ulivo, e puntava
all’erogazione di fondi per la promozione e la
qualificazione di interventi per il diritto allo
studio in favore degli alunni delle scuole
appartenenti al sistema nazionale integrato
dell’istruzione.
La
legge n° 62/2000 rappresenta
finora lo sforzo di sintesi più completo per
regolare la materia. Il governo di centrosinistra
si spinse laddove la DC non aveva mai osato, il
finanziamento della scuola privata, aggirando
l’ostacolo del dettato costituzionale
dell’istruzione privata libera, ma senza oneri
per lo Stato.
Gli
strappi successivi compiuti da alcune Regioni
guidate dal centro-destra nei confronti del
modello di parità scolastica voluto dall’Ulivo,
metabolizzato a fatica e non senza divisioni dalla
coalizione di centro-sinistra, possono essere
considerati come altrettante fughe in
avanti.
Si
tratta comunque di posizioni che sono viste
con favore dalla popolazione, o che comunque non
sono osteggiate. La legge regionale del Veneto è
stata recentemente confermata, dopo l'insuccesso
di un referendum abrogativo che
ha visto la partecipazione al voto del 17% degli
aventi diritto.
Il
modello Formigoni
Il modello lombardo, che prevede l’erogazione di
un buono scuola alle famiglie che
scelgono l’istruzione privata, sembra costituire
il futuro punto di riferimento per il sistema
scolastico a livello nazionale, ma nasconde delle
insidie. In questo caso, come per la sanità, il
sistema dei finanziamenti potrebbe risultare
oltremodo dispendioso. La possibilità di
rivolgersi tanto ad una struttura pubblica quanto
ad una privata, garantisce maggior libertà di
scelta ai cittadini, però fa salire alle stelle
la spesa pubblica.
Un’altra
controindicazione è costituita dal fatto che
restano escluse le spese per il
diritto allo studio che gravano sui bilanci delle
famiglie (libri, trasporti, mense, doposcuola)
a favore delle sole rette. Le
tabelle relative al reddito hanno destato molte
polemiche perché consentono sgravi anche a chi
guadagna molto. L’articolo 4 della legge
regionale n° 1/2000, secondo
l’opposizione, è congegnato in modo tale da
andare, di fatto, ad esclusivo beneficio delle
famiglie di studenti iscritti nelle scuole
private.
Buono
scuola: modalità di erogazione
Le spese su cui si calcola l’entità del
“buono” riguardano tasse, rette, contributi di
iscrizione e di funzionamento delle scuole.
Rientrano nel provvedimento anche le spese a
carico delle famiglie per il personale impegnato
nelle attività di sostegno agli alunni portatori
di handicap. Esiste però una franchigia: il
buono, infatti, non è erogato per una spesa
inferiore ai 208 euro. Essendo esclusi libri di
testo, trasporti e mense, doposcuola e viaggi
d’istruzione, si va solo ad incidere sulla voce
tasse e contributi vari, che nelle scuole
pubbliche sono inferiori a quella cifra. Ne
consegue che il finanziamento non riguarda di
fatto gli studenti delle scuole pubbliche.
Per
l’a.s. 2001-2002, inoltre, sono stati inclusi
nei rimborsi anche i contributi volontari a
favore delle scuole. Una misura vista certamente
di buon occhio dalle scuole private
Il
sistema di calcolo del reddito familiare
Il tetto di reddito per poter ottenere il
“buono” è fissato in un coefficiente che
individua una situazione di reddito di
circa 90 milioni lordi di vecchie lire. Tale somma
va moltiplicata per il numero dei
componenti del nucleo familiare. Secondo un
calcolo approssimativo ciò significa, per
esempio, che ha diritto al buono scuola una
famiglia di quattro persone con i due
genitori che lavorano, con un reddito complessivo
lordo fino a un limite di 240 milioni di vecchie
lire, mentre per una famiglia di 5 persone con un
solo genitore che lavora, la cifra sale a oltre
293.000.000 lire. I dati sono calcolati sulla base
della dichiarazione dei redditi del 2000. Si fa
riferimento agli indicatori di reddito ISEE
(indicatore della situazione di reddito
equivalente) ma non vi è nessun riferimento al
patrimonio. La detrazione è relativa al 25%
delle spese, mentre per i redditi
più bassi si può avere un rimborso del
50%. Il meccanismo di valutazione del reddito è
lo stesso. Se lavora solo un genitore e ci sono
tre figli a carico, il reddito massimo che dà
diritto al rimborso di metà delle spese è di
52.537.000 lire circa. Negli altri casi previsti
il reddito familiare complessivo lordo deve essere
inferiore a questa cifra. Le opposizioni
e i sindacati avevano
dato battaglia, sostenendo che vi è un
divario in Lombardia tra gli investimenti per il
buono scuola e quelli per il diritto allo studio.
Sessantasette milioni di vecchie lire per i primi
e trenta miliardi per il diritto allo studio,
finanziato con contributi statali e dell’UE, per
il secondo .
I
dubbi di incostituzionalità
Il buono scuola in Lombardia si configurava,
quindi, non come uno strumento di sostegno al
diritto allo studio, come era stato concepito
tradizionalmente, ma come uno strumento per il
finanziamento indiretto della scuola privata.
Tale provvedimento andava oltre il quadro definito
dalla legge sulla parità. Il governo dell’Ulivo
aveva presentato ricorso contro
la delibera della Giunta regionale della Lombardia
relativa ai buoni scuola, ma il Consiglio dei
ministri presieduto da Berlusconi decise
di rinunciarvi, per ragioni di dubbia
ammissibilità del ricorso stesso.
La
filosofia della legge sulla parità
La legge 62/2000 prevede un sistema integrato tra
l’istruzione pubblica e privata. I principi
ispiratori del provvedimento sono rintracciabili
nello schema di documento della Commissione
istituita con D.M. 4 luglio 1996 per
attuare l’articolo 33 della Costituzione, comma
4 in materia di parità scolastica.
Il punto di partenza è costituto dal riconoscimento del
mutamento del ruolo dello Stato, non più
concepito in Europa occidentale come “Stato
gestore”, ma come “Stato regolatore”. Nel contempo, il concetto di servizio
pubblico non è più inteso
come coincidente con statale,
ma è visto come esercizio di funzioni
all’interno di un orizzonte di finalità
comuni e condivise tra i soggetti chiamati a
svolgerle.
Il
ruolo dell'autonomia scolastica
La
scuola dell’autonomia doveva costituire il
volano di questo sistema, in cui l’assolvimento
della funzione pubblica viene assunto secondo
modalità flessibili e concorrenziali da vari
soggetti. Si entra in un’ottica di erogazione di
servizi in cui non c’è una contrapposizione,
ma un’integrazione tra i servizi offerti dallo
stato e quelli a carico dei privati, al fine di
potenziare l’offerta formativa complessiva del
sistema.
Lo
scopo è quello di superare le contrapposizioni
ideologiche e passare dal conflitto allo
scambio di esperienze
significative tra soggetti diversi. Lo strumento
delle convenzioni consente di realizzare un
sistema integrato, attuando contratti che
vincolino tutte scuole all’interno di un
sistema di regole condiviso. Questo disegno va a
scontrarsi con l’esiguità dei finanziamenti
riservati all’istruzione e offre un quadro forse
un po’ troppo ottimistico della disponibilità
alla collaborazione dei vari attori in campo.
Gli standard condivisi
Il problema è la definizione di
standard minimi (cosa che già avviene con la
legge sulla parità, ma il compito più arduo
è il controllo di tali standard). Si pone
sempre l’accento sulla qualità della proposta
educativa, si tutela l’identità culturale delle
scuole, ma meno la qualità del servizio.
L’esperienza europea, secondo la relazione della
Commissione per l’attuazione dell’Art. 33
della Costituzione in tema di parità, attesta che
i sistemi più solidi sono quelli
in cui istruzione statale e non statale sono
inserite in un quadro unitario caratterizzato
da regole comuni.
I
docenti
La qualità della proposta educativa passa anche
dagli insegnanti. E davanti a scelte discutibili
in tema di gestione e reclutamento
del personale, (largo utilizzo di docenti
non abilitati, cambi repentini di organico in
coincidenza con i cambi al vertice,
valutazioni di carattere morale che prescindono
dalla dimensione professionale e tengono in
considerazione comportamenti e stili di vita dei
singoli insegnanti - vedi il caso di separati o
divorziati, che spesso non possono lavorare
nelle scuole cattoliche) viene da chiedersi quanto
la qualità del servizio scolastico sia tenuta in
conto. Del resto, se fossero tutte rose e fiori
nella gestione dei rapporti con il personale, non
si capirebbe perché i docenti delle private
scappino appena possibile verso la scuola statale.
Tra discriminazione e privilegi, è
possibile una terza via? Una soluzione basata su
standard minimi comuni? Un dibattito che sarebbe
importante in una democrazia matura, ma che con
tagli ingenti alla dotazione del Ministero
dell’Istruzione (41 milioni di euro,
secondo i sindacati), con la riduzione dei finanziamenti
della legge sull’autonomia scolastica e del
fondo per l’ampliamento dell’offerta
formativa, così importanti nella definizione di
un sistema integrato dell’istruzione, rischiano
di riprodurre solo antiche dispute.
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