La
dispersione scolastica
12/12/02
- Resi noti i dati di un’indagine del Ministero
dell’Istruzione sull’abbandono scolastico:
quali difficoltà e quali impegni per i Dirigenti
scolastici.
Le dimensioni del fenomeno
Presentano
alcuni elementi di preoccupazione i dati che
emergono dall’indagine
del Ministero
dell’Istruzione su un campione di circa
734 mila studenti, condotta nell’ a.s.
2001-2002 dall’Ufficio Statistiche del
MIUR. Trattandosi di un’indagine a campione, e
data la difficoltà di individuare parametri certi
per inquadrare il fenomeno, la ricerca non ha la
pretesa di esaurire l’argomento, ma si propone
di analizzare alcuni aspetti rilevanti della
questione. Per la rilevazione, la ricerca
prende in considerazione due elementi: il numero
di studenti ritirati ufficialmente e
quello degli alunni che non sono stati
valutati agli scrutini finali.
I punti di crisi
Il
contenimento della dispersione,
una tendenza in atto nell’ultimo decennio, trova
il suo punto di caduta nelle superiori,
in particolare nell’istruzione professionale.
Alle superiori, infatti, il tasso di
abbandono è del 4,62% contro il 4,54% dell’anno
precedente. In controtendenza solo il liceo
scientifico, che passa dal 2,15 all’1,84%.
Situazione difficile nei professionali, dove il
tasso di abbandono è dell’ 8,93%, mentre negli
istituti d’arte si attesta sul 6,49%.
Alle
medie il fenomeno ha dimensioni più contenute:
0,33%, mentre alle elementari si
arriva allo 0,08%, percentuali che
l’indagine del Ministero definisce
“fisiologiche” per le elementari e
“contenute”, ma da non sottovalutare, per le
medie.
La
mappa della dispersione
In aumento l'abbandono al Nord,
dove si passa dal 4,09% al 4,35%, e nelle
Isole, dove si registra un incremento del
tasso: dal 6,38% al 7,14%. Migliora invece
la situazione al Sud, dove la
percentuale scende dal 4,97% al 4,64% e al
Centro, dove si passa dal 3,66% al 3,42%.
Andando
ad analizzare nel dettaglio la realtà degli
istituti d’arte e dei professionali, risulta
particolarmente critica la situazione al
primo anno: nei primi il tasso di
abbandoni è passato dal 7,45% al 7,59%, mentre
nei secondi la riduzione dall’11,69%
all’11,30% costituisce una magra
consolazione.
Queste
scuole applicano la formula del 3+2
(qualifica + post-qualifica) e il tasso
di dispersione al 4° anno risulta particolarmente
elevato, passando dal 5,56% al 5,63% nel
caso degli istituti d’arte e dal 6,85% al 7,41%
nei professionali. La media generale delle scuole
superiori è del 3,63%. Si pone, quindi,
anche un problema di gestione e
modulazione interna del percorso formativo nell’ambito
dello stesso istituto.
Il
confronto coi dati 2000-2001
L’indagine
relativa all’a.s. 2000-2001 fotografava
una situazione simile: il tasso
di dispersione risultava più alto negli istituti
professionali (8,7%) e negli istituti d'arte (6%).
Il primo anno di superiori costituiva
un serio ostacolo per molti studenti.
Per l’indirizzo professionale, il dato nazionale
di dispersione era del 6,7% degli iscritti, e
raggiungeva il 9,6% nelle scuole delle
Isole, e dell'8,5% al Sud.
Indagine
sulla dispersione scolastica, 2000-2001
La
questione dell'abbandono scolastico è un fenomeno
che presenta alcune costanti, e l’indagine
sulla dispersione scolastica 2000-01, realizzata
dal Comitato di indagine sulla dispersione
scolastica della VII Commissione della
Camera dei Deputati, ha cercato di
metterne in luce gli elementi strutturali. Da essa
traiamo alcune interessanti considerazioni
riguardanti il fenomeno della dispersione.
Il
quadro della situazione
Questi
dati dimostrano come la dispersione
scolastica sia in realtà un fenomeno
ancora significativo, che comprende al
suo interno vari comportamenti negativi quali
l’apatia, la scarsa frequenza, le bocciature, i
casi di analfabetismo e di scarso apprendimento
anche se la scuola viene frequentata regolarmente.
In
termini generali, se la dispersione nella
scuola dell'obbligo è presente in forma
estremamente contenuta, nella
scuola media superiore le
percentuali aumentano notevolmente. Nel
contesto dell’insegnamento secondario, infatti,
e in particolar modo nella scuola
professionale, i condizionamenti del
contesto sociale e familiare degli studenti sono i
più disparati. Spesso un ragazzo destinato
a un inserimento precoce nel mondo del lavoro si
trova ad affrontare da un lato pressioni
familiari per la ricerca di un'attività, e
dall'altro offerte formative che non sono sempre
coerenti con le sue concrete prospettive di
inserimento lavorativo o con le opportunità che
la famiglia può offrirgli. Il rischio
dell’insuccesso scolastico, dunque, e
del successivo abbandono, è dietro
l’angolo, nonostante gli sforzi
compiuti in questi anni per adeguare gli standard
dell'istruzione professionale e per avvicinare la
scuola al territorio attraverso l'autonomia.
Scuole
professionali: l’anello debole del sistema
E'
proprio questa l'area del sistema scolastico a
maggiore rischio. I tassi di abbandono e
di insuccesso che vi si registrano sono
elevatissimi, mediamente superiori al 30
per cento: ciò significa che ben un
terzo di chi vi entra non raggiunge alcun titolo.
E il fatto rilevante è che in questo caso non
si riscontrano differenze significative tra le
cifre delle regioni settentrionali e quelle
delle regioni meridionali. La
scuola italiana, insomma, deve fare i conti con
l'esistenza di un ordine di studi che
si è andato progressivamente costituendo come
"valvola di sfogo" dell'intero sistema e
che funziona da anticamera preferenziale
dell'abbandono.
Istruzione
professionale e luoghi comuni
La
qualità media degli studenti che accedono agli
istituti professionali si armonizza con lo
stereotipo, sottolineato anche da alcuni Dirigenti
scolastici, che destina i ragazzi meno dotati alle
scuole professionali. In realtà, questo
cliché opera già dentro la scuola poiché,
di fatto, è stata proprio la scuola ad attribuire
questa funzione impropria a un suo indirizzo,
creando un percorso che, partendo dalle zone a
rischio della media inferiore, raggiunge gli
istituti professionali, intesi come
anticamera della fuoriuscita dal sistema
dell'istruzione.
Il
fenomeno, oltre a rappresentare una preoccupante
patologia del sistema, esprime un complesso
di pregiudizi antichi, interni ed esterni
alla scuola: la sottovalutazione dell'istruzione
professionale, la visione "classista"
della scuola e della popolazione scolastica, il
ritardo nel comprendere le nuove abilità e
dotazioni culturali necessarie per interpretare
nuovi profili professionali.
Il
rapporto scuola-territorio
Dovendo
indicare il punto più debole del sistema,
lo si può cogliere nei quartieri
emarginati e poveri delle metropoli
del meridione. Ma oltre
allo stereotipo del Sud povero, anche le
aree sviluppate presentano sacche
di emarginazione. La linea di questa
discriminazione corre tra le varie aree di una
regione o addirittura tra i territori delle città.
E sebbene la realtà del
Sud resti comunque la più
critica, anche il Nord è a rischio,
tanto che le sue grandi città, seppur inserite in
contesti socio-economici più benestanti,
presentano un rilevante potenziale di dispersione.
L'indagine
della Commissione Cultura suggerisce che la combinazione
sottosviluppo/povertà + degrado ambientale
urbano/metropolitano sia, in definitiva,
quella che in assoluto produce la maggiore
spinta ad anticipare l'uscita dal sistema
scolastico-formativo.
Lo
strano caso del Nord Est
Nello
studio del fenomeno della dispersione, quello
della provincia bellunese rappresenta
un caso emblematico: lo spiccato sviluppo della
piccola impresa, un sistema a rete di
organizzazione della produzione, l'orientamento
verso una forte specializzazione merceologica, una
certa flessibilità della manodopera impiegata e
la realizzazione di un benessere diffuso creano un
contesto in cui le opportunità per i
giovani aumentano e costituiscono
esse stesse un potente fattore di
attrazione verso il mondo extrascolastico.
Rapporti
più stretti col mondo del lavoro
La
scuola presenta scopi e
finalità proprie e non subordinate alle
richieste del sistema produttivo: ciò
nonostante la percezione dell'utilità
della frequenza scolastica per trovare un
posto di lavoro può costituire la molla fondamentale
per motivare gli alunni e le loro
famiglie nella scelta del corso di studi.
In questa prospettiva, l’indagine citata propone
di considerare l’utilità di:
-
promuovere una "offensiva di
persuasione" nei confronti degli
alunni e delle loro famiglie circa le qualità di polivalenza
culturale richieste dalle trasformazioni
del mercato del lavoro negli scenari futuri più
attendibili;
-
promuovere negli alunni il possesso
di quelle competenze di base (relazionali,
informatiche, grafiche, linguistiche, legislative)
che, nell’economia contemporanea, consentono
meglio di esercitare i propri talenti in forme di
auto-imprenditorialità;
-
promuovere forme più frequenti di
incontro e di scambio tra il
mondo della scuola e il mondo
delle professioni e dell'impresa,
finalizzate anche a fare meglio maturare la
consapevolezza dell'utilità, nei contesti
lavorativi e professionali, sia delle doti
generali sia delle specifiche qualità o
competenze acquisite o affinate nella scuola.
La
questione dell’orario
Nella prospettiva dell'innalzamento del diritto allo studio ai
diciotto anni, è necessario uno sforzo
progettuale di grande respiro. Ci troviamo,
infatti, dinnanzi ad un paradosso:
nel nostro sistema, proprio chi mostra
meno propensione allo studio è costretto agli
orari più pesanti. In questo contesto,
dunque, gli orari e le discipline andrebbero
rimodulati, pena la perdita di efficacia degli
stessi interventi anti-dispersione.
Collaborazione
interistituzionale ed Autonomia scolastica
Proprio
in considerazione dei fattori potenziali di
disagio o di difficoltà reperibili tra gli
studenti, è particolarmente sentita ed
auspicata la necessità di una più forte
integrazione del lavoro delle singole istituzioni (istituti
scolastici, Asl, enti locali, ecc.).
Inoltre,
tutta l'attività di indagine ha permesso di
cogliere il ruolo insostituibile dell'autonomia
nello svolgimento di efficaci strategie
anti-dispersione. La percezione della
realtà esterna, la sensibilità nel coglierne in
tempo reale trasformazioni e tendenze, la
valutazione delle risorse umane e professionali
interne, la consapevolezza delle opportunità e
dei vincoli, la conoscenza diretta della
popolazione scolastica e dei suoi bisogni, la
fantasia nell'impostare le relazioni
interistituzionali più utili e più coerenti con
le concrete situazioni; tutto ciò è prerogativa
naturale di chi opera nella scuola a contatto con
i problemi che vi si manifestano.
Altri
spunti
Dati
Uil su dispersione dopo
l'assolvimento dell'obbligo
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