Un giorno prima, il giorno dopo
di GIORGIO REMBADO
AUTONOMIA & DIRIGENZA n.4-5-6 del 2001
EDITORIALE
Fonte: Sito Web ANP
Scriviamo queste note all’indomani del 13 maggio, coincidenza
non voluta ma opportuna, perché consente di guardare alla vicenda contrattuale dell’area
V alla luce ferma e nitida dei fatti ormai noti, senza la lente deformante
delle aspettative o dei timori.
Nelle due settimane che hanno preceduto il 7 maggio,
data di sospensione della trattativa, si è sviluppata una crescente pressione
politica e comunicativa per giungere alla firma dell’accordo prima delle
elezioni. Tale pressione è stata esercitata soprattutto in direzione dell’Anp,
che non aveva mai nascosto il proprio radicale disaccordo sulle proposte
economiche avanzate dalla controparte. Abbiamo udito e
visto di tutto: c’è chi si è spinto ad invocare una non meglio precisata futura
resa dei conti, altri hanno cercato di dimostrare per via demoscopica che la
categoria era schierata in favore della firma immediata; altri ancora si sono
spinti fino a minacciare uno sciopero per chiudere immediatamente la trattativa
alle condizioni offerte dal datore di lavoro: un coro assordante, nel quale la
voce della ragione e l’evidenza dei fatti hanno ceduto per qualche giorno il
posto alla polemica ed alla dietrologia. Una commedia
dell’assurdo, che ha infranto le regole non scritte - ma per lo più osservate -
di corrette relazioni sindacali.
Era evidente - e noi avevamo espresso da tempo una
siffatta preoccupazione – che una campagna elettorale aspra come poche altre
avrebbe finito con l’inquinare il dibattito,
focalizzando l’attenzione su temi di politica generale che poco o nulla dovrebbero
avere a che fare con un contratto di lavoro: soprattutto quando, come è il caso
dei dirigenti delle scuole, si tratta di un contratto
di ingresso, in quanto tale chiamato
a disegnare i connotati fondamentali di una disciplina
normativa destinata a durare anche al di là del tempo di vigenza contrattuale.
Ragione di più per dare al negoziato il suo naturale respiro, senza
subordinarlo a scadenze esterne, fomentatrici, oltre tutto, di controversie e
contrapposizioni artificiose.
La nostra fermezza nel sostenere il nostro ruolo ha evitato
intanto alla categoria l’umiliazione di un trattamento economico penalizzante.
Pensiamo ora che, a trattativa ferma e placate le passioni delle ultime
settimane, valga la pena di riprendere le questioni agitate durante il
confronto, in modo da favorire, alla ripresa, un dibattito sulle cose concrete.
I fautori del contratto subito ci hanno accusato di voler privare a tempo
indeterminato i colleghi dei miglioramenti economici e delle “garanzie”
contrattuali. Solo gli immemori possono aver dato credito a tale tesi: gli
altri, e sono i più, ricordano bene che abbiamo iniziato la battaglia per il
contratto oltre un anno e mezzo fa (autunno ‘99), quando era in preparazione la
legge finanziaria per il 2000. Ottenemmo, in quell’occasione, un ordine del
giorno parlamentare, che impegnava il Governo a reperire le risorse necessarie
per assicurare il contratto entro il 1° settembre 2000. Contro l’inerzia della Funzione
Pubblica, che non emanava l’atto di indirizzo, siamo stati i soli ad indire uno
sciopero, il 15 marzo dello scorso anno; e poi, di nuovo, ad organizzare e
svolgere una
significativa manifestazione unitaria di tutti i
dirigenti privi di contratto, il successivo 15 dicembre. Chi nei giorni scorsi
ci accusava di comportamenti dilatori si è ben guardato (quando mancavano
ancora molti mesi alle elezioni ed il confronto poteva rimanere sul piano
unicamente sindacale) dal sostenere le nostre richieste. Gli scioperi promossi
nell’autunno 2000 dalle OO.SS. di comparto (scioperi che, nel fuoco della
polemica, si è
cercato di gabellare come legati al contratto dei
dirigenti) erano - e tutti lo ricordano –indetti per chiedere “stipendi
europei” per i docenti. Il coinvolgimento dei dirigenti – che peraltro è stato
numericamente trascurabile - era sollecitato a sostegno di rivendicazioni che
riguardavano il restante personale, in una logica di solidarietà confederale a senso
unico, unita alla nostalgia per l’indistinta appartenenza al comparto scuola: e questo quando da
mesi ormai si era costituita la V area, distinta a tutti i fini contrattuali e
normativi. Tutti hanno il diritto di condurre le battaglie in cui credono, anche
quelle di retroguardia: ma non è lecito
agire come difensori del vecchio presentandosi al tempo stesso come garanti del
nuovo. Chi per oltre un anno non si è minimamente adoperato
per l’apertura delle trattative è stato però attivissimo
nel cercare di chiuderle subito, praticamente alla prima offerta della
controparte: e, con inedito scambio di ruoli, ha cercato di far ricadere la
responsabilità del ritardo su chi si era fin lì battuto da solo per anticipare ed
accelerare i tempi della trattativa.
I sostenitori del contratto
accettabile hanno poi dimostrato di avere
una singolare idea di ciò che può essere accettato: in questo facilitati, indubbiamente,
dal fatto di non aver mai indicato con precisione quali fossero i loro obiettivi
contrattuali dal punto di vista economico. Ci permettiamo allora di ricordare
quel che abbiamo già spiegato
con dovizia di particolari durante le diverse
discussioni, al tavolo e fuori di esso. Non si può giudicare dell’equità di un
trattamento stipendiale se non lo si mette a raffronto, da un lato, con la quantità e qualità di lavoro
richiesto, dall’altro, con ciò che viene pagato a chi svolge lavori
corrispondenti per complessità e livelli di responsabilità. Al di fuori
di questi parametri, si sconfina nel soggettivo e
nell’opinabile. Deve quindi esser chiaro a tutti che il nostro punto di
riferimento è, di necessità, il trattamento degli altri dirigenti pubblici, dal
quale - nella proposta che qualcuno ha giudicato accettabile- ci separano ancora oltre
diciotto milioni l’anno. In particolare, fare
il paragone con la retribuzione dei docenti è profondamente errato, in quanto
si tratta di un lavoro diverso; mentre
valutare l’aumento rispetto ai nostri stipendi attuali
ci dà solo la misura di quanto siamo stati finora malpagati, ma non di quanto
dovremmo percepire.
I dietrologi di professione, abituati a scrutare con sospetto
i comportamenti altrui, forse perché li misurano con i propri abituali modelli operativi,
hanno accusato l’Anp di voler negare la firma al governo Amato per concederla,
come un trofeo, al futuro governo Berlusconi. Sarebbe facile - ed inelegante -
ritorcere su di loro un’accusa speculare; agevole, anche, replicare che quella
di aprire la trattativa a ridosso delle elezioni
non è stata una scelta nostra. Ma la risposta vera e
seria risiede altrove: noi non abbiamo mai fatto questione di schieramento
politico, ma di contenuti contrattuali. Se il governo Amato ci avesse offerto
condizioni economiche corrispondenti alle nostre richieste, avremmo firmato con
lui, e lo avremmo fatto volentieri anche un anno fa. Chi invece ci accusa,
preferisce spostare l’attenzione dai contenuti economici del contratto al
momento della firma (o del diniego di essa): dimostrando
con ciò di considerare la sottoscrizione dell’accordo come una questione di
scelta di campo (“con noi o contro di noi”) e non di tutela degli interessi
professionali di una categoria. Per parte nostra, riaffermiamo qui quel che
tutti i colleghi sanno bene: ogni lira in più andrà ascritta a nostro
esclusivo merito.
Ci è stato rimproverato di aver sollecitato, con una lettera
aperta ai due principali candidati premier, promesse
elettorali. Stentiamo a comprendere cosa
vi sia di disonorevole nel richiamare l’attenzione di chi dovrà guidare il
Paese nei prossimi anni sugli impegni per il futuro Governo, ed in particolare
su una questione vitale per i dirigenti delle scuole. Le elezioni sono ormai
alle nostre spalle: e quindi l’adempimento delle promesse è una questione di
stile e di serietà, priva di eventuali ricadute immediate
in termini di voti. Fino alla prova del contrario, noi
riteniamo che chi viene investito dai cittadini del compito di governare - a
qualunque schieramento appartenga – vada considerato un interlocutore attendibile;
naturalmente, a condizione che egli stesso manifesti interesse a dialogare con
noi. Sotto questo profilo, il silenzio di uno dei due non è stato certo un
segnale positivo.
Ma tutto questo appartiene al giorno prima: coerenti con le
nostre abitudini, noi vogliamo adesso guardare avanti, verso un periodo in cui
della scuola si dovrà parlare, ci auguriamo, non solo per il contratto dei
dirigenti. Se la legislatura che si è appena chiusa è stata quella dell’impulso
al rinnovamento, quella che si apre deve essere caratterizzata dalla messa a
sistema e dalle conseguenti correzioni di rotta, senza che si debba
necessariamente ricominciare dall’inizio tutto il faticoso cammino fin qui
percorso. Alle scuole va assicurato quel che l’incalzante stagione delle riforme
normative non è stata in grado di dare: la stabilità e le risorse necessarie
per mettere a regime le innovazioni.
In questa prospettiva, l’Anp si propone di essere, come
sempre, il partito della scuola: garante degli interessi dei dirigenti per consentire
loro di essere a propria volta efficaci garanti degli interessi dell’utenza; e,
per questa via, dello sviluppo e della tenuta civile e sociale del nostro
Paese.