DDL
1306
Relazione
di minoranza
svolta in Aula dalla sen. Albertina Soliani
a nome del centrosinistra
Giovedì
3 ottobre 2002
Onorevoli Senatori. -
Nell’istruzione è il tesoro del Paese: il suo
futuro, la sua memoria, la sua coscienza. Per
questa ragione il sistema nazionale di istruzione
è uno dei cardini della nazione. Esso appartiene
a tutti gli italiani e nessun Governo può
mettervi mano come se fosse cosa propria. La
delega che il Governo chiede al Parlamento con il
disegno di legge n. 1306 al nostro esame trova qui
il suo primo grande limite sostanziale e politico.
Sull’istruzione vi è bisogno
di un grande patto condiviso. La scuola non
dovrebbe diventare, nel sistema maggioritario,
terreno di scontro tra gli schieramenti politici
proprio perché è un bene prezioso per tutti.
Il Governo non la pensa così,
ha scelto di non valorizzare il ruolo del
Parlamento nel quale è rappresentato il Paese,
indebolendo la sua stessa proposta.
Dobbiamo dirlo: questo disegno
di legge è inconsistente di fronte al futuro. È
molto distante dal bisogno di istruzione e di
crescita culturale che oggi l’intera società
italiana esprime. La qualità delle persone e
l’investimento nell’educazione, nella
formazione, nella ricerca sono oggi il motore del
cambiamento e della crescita dei Paesi. L’Italia
ha un livello basso di scolarizzazione e un numero
troppo limitato di laureati. La nostra priorità
deve essere, dunque, l’istruzione.
Non è così per il Governo,
altre sono le priorità del Presidente del
Consiglio. Perché la Finanziaria presentata in
questi giorni, anziché operare tagli così
pesanti non ha investito direttamente nella
riforma della scuola?
Il Governo di centrodestra
rinuncia ad investire, razionalizza l’esistente,
indebolisce il sistema pubblico di istruzione, ne
fa terreno per operare risparmi, lo trasforma in
servizio a domanda individuale. Così chi più ha,
meglio sceglie, più sa e più conta. Le
differenze sociali aumentano. Non è questa
l’Italia che vogliamo. Il Governo prende atto
delle differenze sociali e disegna un sistema che
semplicemente le registra. E’ contro la storia:
sempre la scuola ha prodotto cambiamento, maggiore
equità, maggiore mobilità sociale.
Noi vogliamo rafforzare il
sistema nazionale di istruzione che "ha
contribuito più di ogni altra istituzione a
costruire una Patria unita", come ha detto il
Presidente Ciampi nel corso della cerimonia di
inaugurazione dell’anno scolastico. Questo è il
compito che l’Ulivo indica a se stesso, al
Paese, al Governo.
L’indeterminatezza delle
risorse, già anticipata dalla forte riduzione
operata con la legge Finanziaria 2002, e ora
aggravata dalla riduzione stimata per il 2003 in
490 milioni di euro, si accompagna
all’incertezza del quadro istituzionale e
costituzionale, in rapporto al tit. V della
Costituzione e al progetto di devoluzione in
discussione al Senato. La delega al Governo in
materia di istruzione appare, anche a questo
riguardo, carica di incognite e di rischi e perciò
inaccettabile. Dubbi di incostituzionalità
permangono circa la determinazione dei principi
fondamentali nelle materie di competenza delle
Camere.
L’origine dell’intero
progetto, nato per cancellare la riforma approvata
dal Parlamento nella precedente legislatura,
mentre ne vizia tutto l’impianto, in realtà
apre la strada a un processo di destrutturazione
dell’intero sistema, a una mutazione profonda
della sua natura, della sua cultura, del suo
ruolo.
Noi non riusciamo a collocare
questo disegno di legge nel solco storico degli
interventi legislativi che dalla seconda metà
dell’800 ad oggi hanno trasformato il sistema
scolastico italiano. Basti pensare all’obbligo
scolastico, la cui elevazione ha fatto la storia
dell’istruzione in Italia. Questo disegno di
legge provvede ad abrogarlo. La trasformazione
della società deve indurci a interventi di
cambiamento e di modernizzazione anche per il
sistema di istruzione e formazione, ma essi sono
tanto più efficaci quanto più restano confermati
i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza
di tutti i cittadini. Ciò vale oggi anche per
l’obbligo di istruzione. Sta tutta qui la
differenza politica e ideale tra il nostro profilo
riformista, che accetta la complessità e la
governa, e la tendenza a un tempo semplificatrice
e restauratrice del Governo.
Inadeguato sul piano
istituzionale, strategico e culturale, il disegno
di legge risulta piuttosto lo strumento per
introdurre nella scuola italiana quella cultura
individualistica, privatistica, aziendalistica
propria del centrodestra che sul terreno
dell’educazione e dell’istruzione manifesta il
suo vero volto.
Siamo di fronte ad un cambio di
paradigma. Al criterio pedagogico ed educativo si
sostituisce quello economico e funzionalista. Il
confine tra la cultura costituzionale della scuola
italiana e quella mercantile è netto. Questo
confine il Governo lo sta abbattendo.
Noi abbiamo un’altra idea
della scuola perché abbiamo un’altra idea della
società, del mercato, dello Stato sociale.
Del tutto insufficienti,
pertanto, appaiono i principi e i criteri
direttivi, contenuti all’art. 2 ai quali
dovrebbero ispirarsi, secondo il Governo, la
scuola italiana e i decreti attuativi della
delega. Non vi è riferimento alla dimensione
globale e planetaria nella quale crescono oggi le
nuove generazioni, quando invece la scuola stessa
è sollecitata a farsi luogo di incontro e dialogo
multiculturale e interreligioso.
Debole la proposta in materia di
valutazione (articolo 3): tanto incapace di
delineare i compiti di un Servizio nazionale di
valutazione del sistema e dei suoi risultati,
all’altezza della comparazione internazionale,
quanto pignola nel ripristinare il voto in
condotta per gli studenti.
Debole l’esame di Stato
delineato nel medesimo articolo: poco più di uno
scrutinio finale. Leggerezza, improvvisazione,
approssimazione. Davanti a noi il Governo indica
il passato. Il ritorno al maestro unico,
all’avviamento precoce al lavoro. Questa, in
sintesi, la cifra che definisce il profilo di
questo provvedimento. Accanto all’iniziativa
governativa, il Senato ha registrato in
Commissione la presenza della proposta n. 1251
"Legge quadro in materia di riordino dei
cicli di istruzione" presentata dal sen.
Fiorello Cortiana e altri, un esempio della
visione dell’Ulivo nell’iter che la
discussione ha avuto in Commissione. Un iter
condotto dal Presidente della Commissione, sen.
Asciutti, al quale diamo atto della sua attenzione
al ruolo del Parlamento, e che si è compiuto
anche grazie all’atteggiamento rigoroso e
costruttivo dei gruppi di opposizione.
Onorevoli Senatori, noi
valutiamo negativamente la proposta del Governo
perché vogliamo dare un’altra prospettiva al
sistema di istruzione del nostro Paese, quella
dell’Europa dalla quale questo disegno di legge
decisamente ci allontana.
Vi è bisogno di rafforzare il
sistema nazionale di istruzione e tra i punti da
rafforzare indichiamo innanzitutto l’autonomia
che è il nuovo paradigma culturale del sistema di
istruzione, con la quale si è aperta un vera e
propria fase costituente.
La sperimentazione annunciata
dal Ministro alla fine di luglio e avviata con il
D.M. 100 del 18 settembre 2002 si è inserita
nell’iter del presente provvedimento, con il
chiaro intento di accelerare l’intervento del
Governo alla vigilia del nuovo anno scolastico, in
assenza dell’approvazione della legge delega. Un
tentativo di aggiramento dell’iter parlamentare.
Una invadenza nell’autonomia delle istituzioni
scolastiche.
Una sperimentazione modesta,
come è sotto gli occhi di tutti, nata nella
precarietà, scarsamente rappresentativa della
realtà scolastica italiana.
Sul fondamento dell’autonomia,
che l’Ulivo vuole consolidare e rafforzare,
cinque sono le nostre priorità che vediamo
colpite e disattese nell’intervento del Governo:
(1) la scuola dell’infanzia e la sua
generalizzazione, il profilo educativo e
organizzativo della scuola elementare nel ciclo
lungo con la scuola media; (2) l’innalzamento
dell’obbligo di istruzione e l’integrazione
del curricolo tra i 14 e 16 anni; (3) la
formazione continua anche in rapporto
all’occupazione; (4) l’investimento sul
personale docente; (5) uno straordinario
investimento di risorse.
(1) La scuola dell’infanzia
italiana, statale, comunale, paritaria, ha
conosciuto una linea coerente e continua che
l’ha portata a prestigiosi riconoscimenti
internazionali.
Il disegno di legge in esame
tocca questo originale equilibrio storico,
istituzionale ed educativo e lo modifica in un
senso gravemente negativo.
L’idea dell’anticipo è
un’idea gravemente svalutativa nei confronti
della scuola dell’infanzia, che potrebbe venire
reimmessa in una visione
assistenzialistico-sociale dalla quale si è
faticosamente affrancata e che potrebbe, a sua
volta, costituire la premessa per una definitiva
uscita dal sistema dell’istruzione per entrare,
con un mutamento di rotta dagli imprevedibili
confini, nell’ambito dei servizi alla persona
nel quadro delle competenze degli Enti locali.
Di fronte a questa proposta le
famiglie sono lasciate sole, nell’incertezza,
certe soltanto di una cosa: restano le liste di
attesa che non consentono a tutti i bambini
italiani la possibilità di accedere alla scuola
dell’infanzia.
Noi sappiamo, come ci esorta a
pensare la Sen. Rita Levi Montalcini, che
l’investimento sull’intelligenza dei bambini
nei primi anni di vita è la base per affrontare
la nuova sfida intellettuale dell’Europa.
Questa è la nostra proposta:
estendere in tutto il territorio nazionale la
scuola dell’infanzia come strumento per
l’uguaglianza delle opportunità. Allo
stravolgimento della scuola dell’infanzia si
accompagna lo stravolgimento della scuola
elementare, bene evidente nella sperimentazione
avviata: la cancellazione, insieme ai moduli, di
trent’anni almeno di innovazione. Si
reintroduce, dopo decenni, l’insegnate unico –
tutor – sorta di tuttologo che esautora i
colleghi delle responsabilità educative e dei
rapporti con le famiglie. Il team di cui si parla
è l’opposto di quello sperimentato nella scuola
elementare perché manca di pariteticità, di
collegialità, di corresponsabilità.
(2) L’ipotesi di riforma
anticipa di molto anche il momento delle scelte
che i ragazzi dovranno fare circa il proseguimento
degli studi. L’OCSE raccomanda l’orientamento
"progressivo", il Governo ripropone
l’orientamento precoce! L’invio precoce alla
formazione professionale non è una risposta di
fronte al futuro dei giovani ma la rassegnazione
del Governo allo stato delle cose. Non è neppure
un riconoscimento della formazione professionale
nella sua dignità di percorso formativo.
Anche i Paesi che vent’anni fa
hanno affrontato il problema con l’istituzione
del doppio canale formativo, che questo disegno di
legge vuole introdurre in Italia, stanno
riflettendo sul fallimento di soluzioni che troppo
precocemente indirizzano i giovani esclusivamente
verso la formazione, precludendo loro non solo
l’acquisizione di un livello di competenze
adeguato all’evoluzione della scienza e della
tecnologia, ma anche la formazione di una
"testa ben fatta", di capacità
relazionali, di una coscienza critica che le
stesse imprese riconoscono più necessarie della
sola specializzazione professionale.
La riforma dell’Ulivo aveva
trovato una soluzione con i curricoli obbligatori
e integrati nel biennio dopo la scuola di base.
Di tutto si può discutere in
materia di cicli. E forse se ne è discusso anche
troppo. Ciò che non è possibile accettare è la
soluzione scelta dal disegno di legge che ha alla
base una visione arretrata dei processi formativi.
(3) Del tutto assente dal
provvedimento è il tema della formazione continua
per la quale noi proponiamo invece un grande piano
di investimento che sia parte dell’impegno del
Paese per l’occupazione, per il Mezzogiorno, per
la ripresa dello sviluppo.
(4) Anche il personale della
scuola, della cui formazione si parla all’art. 5
del disegno di legge, fattore decisivo nella
strategia di un Paese sull’istruzione, è
pesantemente colpito dall’intervento del
Governo. Una buona scuola la fanno gli insegnanti.
E i dirigenti. Ridare un ruolo forte ai docenti
deve essere una priorità. Rimotivarli deve essere
la priorità. E invece il Governo riesce a
scoraggiarli definitivamente. Anziché impiegarli
e riconvertirli per più estesi e continui
obiettivi di istruzione e formazione nel nostro
Paese, il Governo riduce pesantemente i posti,
operando tagli ovunque, compreso il personale di
sostegno per l’integrazione scolastica dei
portatori di handicap.
Il disegno di legge riporta i
docenti e i dirigenti scolastici indietro di dieci
anni.
Formazione universitaria,
aggiornamento e periodi sabbatici, organico
funzionale, contratto: sono per noi gli obiettivi
essenziali che l’azione del Governo dovrebbe
darsi. Il riconoscimento del ruolo degli
insegnanti porta con sé il riconoscimento del
ruolo degli studenti e del ruolo delle famiglie,
componenti fondamentali della scuola
sostanzialmente ignorati dal Governo.
(5) Dunque: autonomia, ruolo dei
docenti, generalizzazione della scuola
dell’infanzia, elevamento dell’obbligo di
istruzione in una visione integrata con la
formazione professionale, formazione continua
degli adulti sono per noi i temi essenziali di una
strategia di investimento sull’istruzione che
questo disegno di legge lascia del tutto ai
margini.
La prova decisiva delle vere
intenzioni del Governo sono le risorse che non
vediamo. Senza di esse qualsiasi disegno di
riforma si affloscia. Resterà sulla carta.
E’ quanto si evince all’art.
7 di questo disegno di legge. Il meccanismo
generale di copertura del provvedimento, con
riferimento alle norme di delega è integralmente
imperniato sul rinvio agli strumenti finanziari
della sessione di bilancio. Oggi sappiamo che la
Finanziaria 2003 non prevede risorse per questa
riforma, anzi opera tagli pesantissimi sulle spese
di gestione e su quelle future di investimento. Si
vedano le tabelle A, B, C.
Si tratta di un’indubbia
forzatura del vincolo costituzionale di copertura
delle leggi di spesa, di cui all’articolo 81,
quarto comma, della Costituzione. Secondo
l’impostazione avallata dalla Commissione
bilancio, dunque, l’intera riforma
dell’istruzione proposta dal governo dovrebbe
essere valutata come poco più di un insieme di
norme meramente programmatiche, che delineano una
sorta di "provvedimento-manifesto" privo
di contenuto giuridico rilevante.
Noi, invece, proponiamo un piano
straordinario di investimento sull’istruzione,
che vogliamo vedere nella prossima legge
Finanziaria, e un aggancio organico al PIL delle
risorse per la scuola.
Onorevoli Senatori, questo
disegno di legge non va incontro alla scuola
italiana, la quale non ha chiesto né
l’anticipo, né la riduzione dell’obbligo, né
la sperimentazione, né il taglio delle classi, né
l’aumento degli alunni per classe. Non lo hanno
chiesto le famiglie italiane.
È contrario agli interessi
delle nuove generazioni, agli interessi del Paese.
È tutto sotto il segno meno: riduce l’offerta
formativa, toglie l’obbligo di istruzione,
taglia istituzioni scolastiche, personale,
risorse, autonomia, mette ai margini i più
deboli. Toglie certezze, peggiora gli standard
della scuola pubblica, rende più insicuro il
futuro della scuola. Con la richiesta di delega si
sottrae al dibattito e toglie spazio al
Parlamento. Pretende di cambiare la cultura della
scuola. La scuola italiana è più avanti di
questo disegno di legge. Non di rado la scuola è
più avanti delle leggi, più ricca grazie alle
sfide che ha affrontato, più aperta alle
differenze, più forte contro le disuguaglianze.
La cultura della scuola italiana
è una cultura costituzionale, alla quale è
estraneo l’approccio privatistico e
aziendalistico. La scuola sa che deve essere
efficiente, che deve produrre risultati. Lo sa e
lo sa anche fare. La cura del Governo invece la
colpisce duramente, anche e proprio nella sua
efficienza.
Mentre questo provvedimento
attraversa il Senato, e in attesa del suo approdo
alla Camera dei deputati, la scuola e la società
civile discutono del loro futuro.
Noi difendiamo questo futuro.
Con la nostra opposizione a questo disegno di
legge, un’opposizione sui contenuti, sulle
finalità, sui metodi, senza sconti perché alto e
rigoroso è il profilo della nostra proposta.. Una
proposta per l’oggi e per i prossimi anni. Una
proposta che intende misurarsi con i grandi
obiettivi dell’innovazione piuttosto che
fermarsi alla difesa dell’azione del
centrosinistra negli anni che sono alle nostre
spalle. Una proposta che dice al Governo di
fermarsi, di sgombrare il campo, di mettere da
parte la delega, il disegno di legge, una
sperimentazione che quasi non c’è. Si cambi
radicalmente l’impostazione politica: si investa
sull’autonomia, si mettano a disposizione
risorse, si rispetti la cultura della scuola
italiana e il suo radicamento sociale. La strada
imboccata dal Governo porta il sistema fuori
rotta. Sono pericolose le leggi il cui pensiero è
debole. Se si prosegue così si rende irrilevante
il senso dell’esperienza culturale e civile
della scuola italiana. Così non si è in Europa,
si porta l’Italia lontana dalla sua storia e dal
futuro europeo che le appartiene.
È necessario darsi un obiettivo
comune: "non uno di meno". Scommetta il
Paese sulle sue nuove generazioni, scommetta sulla
scuola. Perché il punto non sono le riforme, e
neppure la scuola in sé; ma come potranno
continuare a vivere le generazioni future. È
questo che chiedono le famiglie, che chiede
l’Italia. Una scuola per tutti. Governare
significa affrontare le cose reali, non ridurre la
realtà a finzione, a comunicazione massmediatica.
L’Ulivo è pronto, non teme il
confronto. L’Ulivo pensa che questo sia il
momento per rilanciare nel paese una grande
stagione di rafforzamento e di innovazione nella
scuola. L’Ulivo ha indicato con questa relazione
di minoranza le cinque priorità che riteniamo
indispensabili perché il sistema di istruzione e
di formazione non rimanga ai margini, tagliato
fuori dal progresso e dalle nuove conoscenze.
L’Ulivo è con la scuola, è con il Paese
convinto che un’Italia che sa è un’Italia che
vale. Nell’Europa e nel mondo.
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