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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS 

 

 

DDL 1306

Relazione di minoranza
svolta in Aula dalla sen. Albertina Soliani
a nome del centrosinistra

Giovedì 3 ottobre 2002

Onorevoli Senatori. - Nell’istruzione è il tesoro del Paese: il suo futuro, la sua memoria, la sua coscienza. Per questa ragione il sistema nazionale di istruzione è uno dei cardini della nazione. Esso appartiene a tutti gli italiani e nessun Governo può mettervi mano come se fosse cosa propria. La delega che il Governo chiede al Parlamento con il disegno di legge n. 1306 al nostro esame trova qui il suo primo grande limite sostanziale e politico.

Sull’istruzione vi è bisogno di un grande patto condiviso. La scuola non dovrebbe diventare, nel sistema maggioritario, terreno di scontro tra gli schieramenti politici proprio perché è un bene prezioso per tutti.

Il Governo non la pensa così, ha scelto di non valorizzare il ruolo del Parlamento nel quale è rappresentato il Paese, indebolendo la sua stessa proposta.

Dobbiamo dirlo: questo disegno di legge è inconsistente di fronte al futuro. È molto distante dal bisogno di istruzione e di crescita culturale che oggi l’intera società italiana esprime. La qualità delle persone e l’investimento nell’educazione, nella formazione, nella ricerca sono oggi il motore del cambiamento e della crescita dei Paesi. L’Italia ha un livello basso di scolarizzazione e un numero troppo limitato di laureati. La nostra priorità deve essere, dunque, l’istruzione.

Non è così per il Governo, altre sono le priorità del Presidente del Consiglio. Perché la Finanziaria presentata in questi giorni, anziché operare tagli così pesanti non ha investito direttamente nella riforma della scuola?

Il Governo di centrodestra rinuncia ad investire, razionalizza l’esistente, indebolisce il sistema pubblico di istruzione, ne fa terreno per operare risparmi, lo trasforma in servizio a domanda individuale. Così chi più ha, meglio sceglie, più sa e più conta. Le differenze sociali aumentano. Non è questa l’Italia che vogliamo. Il Governo prende atto delle differenze sociali e disegna un sistema che semplicemente le registra. E’ contro la storia: sempre la scuola ha prodotto cambiamento, maggiore equità, maggiore mobilità sociale.

Noi vogliamo rafforzare il sistema nazionale di istruzione che "ha contribuito più di ogni altra istituzione a costruire una Patria unita", come ha detto il Presidente Ciampi nel corso della cerimonia di inaugurazione dell’anno scolastico. Questo è il compito che l’Ulivo indica a se stesso, al Paese, al Governo.

L’indeterminatezza delle risorse, già anticipata dalla forte riduzione operata con la legge Finanziaria 2002, e ora aggravata dalla riduzione stimata per il 2003 in 490 milioni di euro, si accompagna all’incertezza del quadro istituzionale e costituzionale, in rapporto al tit. V della Costituzione e al progetto di devoluzione in discussione al Senato. La delega al Governo in materia di istruzione appare, anche a questo riguardo, carica di incognite e di rischi e perciò inaccettabile. Dubbi di incostituzionalità permangono circa la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di competenza delle Camere.

L’origine dell’intero progetto, nato per cancellare la riforma approvata dal Parlamento nella precedente legislatura, mentre ne vizia tutto l’impianto, in realtà apre la strada a un processo di destrutturazione dell’intero sistema, a una mutazione profonda della sua natura, della sua cultura, del suo ruolo.

Noi non riusciamo a collocare questo disegno di legge nel solco storico degli interventi legislativi che dalla seconda metà dell’800 ad oggi hanno trasformato il sistema scolastico italiano. Basti pensare all’obbligo scolastico, la cui elevazione ha fatto la storia dell’istruzione in Italia. Questo disegno di legge provvede ad abrogarlo. La trasformazione della società deve indurci a interventi di cambiamento e di modernizzazione anche per il sistema di istruzione e formazione, ma essi sono tanto più efficaci quanto più restano confermati i diritti fondamentali di libertà e uguaglianza di tutti i cittadini. Ciò vale oggi anche per l’obbligo di istruzione. Sta tutta qui la differenza politica e ideale tra il nostro profilo riformista, che accetta la complessità e la governa, e la tendenza a un tempo semplificatrice e restauratrice del Governo.

Inadeguato sul piano istituzionale, strategico e culturale, il disegno di legge risulta piuttosto lo strumento per introdurre nella scuola italiana quella cultura individualistica, privatistica, aziendalistica propria del centrodestra che sul terreno dell’educazione e dell’istruzione manifesta il suo vero volto.

Siamo di fronte ad un cambio di paradigma. Al criterio pedagogico ed educativo si sostituisce quello economico e funzionalista. Il confine tra la cultura costituzionale della scuola italiana e quella mercantile è netto. Questo confine il Governo lo sta abbattendo.

Noi abbiamo un’altra idea della scuola perché abbiamo un’altra idea della società, del mercato, dello Stato sociale.

Del tutto insufficienti, pertanto, appaiono i principi e i criteri direttivi, contenuti all’art. 2 ai quali dovrebbero ispirarsi, secondo il Governo, la scuola italiana e i decreti attuativi della delega. Non vi è riferimento alla dimensione globale e planetaria nella quale crescono oggi le nuove generazioni, quando invece la scuola stessa è sollecitata a farsi luogo di incontro e dialogo multiculturale e interreligioso.

Debole la proposta in materia di valutazione (articolo 3): tanto incapace di delineare i compiti di un Servizio nazionale di valutazione del sistema e dei suoi risultati, all’altezza della comparazione internazionale, quanto pignola nel ripristinare il voto in condotta per gli studenti.

Debole l’esame di Stato delineato nel medesimo articolo: poco più di uno scrutinio finale. Leggerezza, improvvisazione, approssimazione. Davanti a noi il Governo indica il passato. Il ritorno al maestro unico, all’avviamento precoce al lavoro. Questa, in sintesi, la cifra che definisce il profilo di questo provvedimento. Accanto all’iniziativa governativa, il Senato ha registrato in Commissione la presenza della proposta n. 1251 "Legge quadro in materia di riordino dei cicli di istruzione" presentata dal sen. Fiorello Cortiana e altri, un esempio della visione dell’Ulivo nell’iter che la discussione ha avuto in Commissione. Un iter condotto dal Presidente della Commissione, sen. Asciutti, al quale diamo atto della sua attenzione al ruolo del Parlamento, e che si è compiuto anche grazie all’atteggiamento rigoroso e costruttivo dei gruppi di opposizione.

Onorevoli Senatori, noi valutiamo negativamente la proposta del Governo perché vogliamo dare un’altra prospettiva al sistema di istruzione del nostro Paese, quella dell’Europa dalla quale questo disegno di legge decisamente ci allontana.

Vi è bisogno di rafforzare il sistema nazionale di istruzione e tra i punti da rafforzare indichiamo innanzitutto l’autonomia che è il nuovo paradigma culturale del sistema di istruzione, con la quale si è aperta un vera e propria fase costituente.

La sperimentazione annunciata dal Ministro alla fine di luglio e avviata con il D.M. 100 del 18 settembre 2002 si è inserita nell’iter del presente provvedimento, con il chiaro intento di accelerare l’intervento del Governo alla vigilia del nuovo anno scolastico, in assenza dell’approvazione della legge delega. Un tentativo di aggiramento dell’iter parlamentare. Una invadenza nell’autonomia delle istituzioni scolastiche.

Una sperimentazione modesta, come è sotto gli occhi di tutti, nata nella precarietà, scarsamente rappresentativa della realtà scolastica italiana.

Sul fondamento dell’autonomia, che l’Ulivo vuole consolidare e rafforzare, cinque sono le nostre priorità che vediamo colpite e disattese nell’intervento del Governo: (1) la scuola dell’infanzia e la sua generalizzazione, il profilo educativo e organizzativo della scuola elementare nel ciclo lungo con la scuola media; (2) l’innalzamento dell’obbligo di istruzione e l’integrazione del curricolo tra i 14 e 16 anni; (3) la formazione continua anche in rapporto all’occupazione; (4) l’investimento sul personale docente; (5) uno straordinario investimento di risorse.

(1) La scuola dell’infanzia italiana, statale, comunale, paritaria, ha conosciuto una linea coerente e continua che l’ha portata a prestigiosi riconoscimenti internazionali.

Il disegno di legge in esame tocca questo originale equilibrio storico, istituzionale ed educativo e lo modifica in un senso gravemente negativo.

L’idea dell’anticipo è un’idea gravemente svalutativa nei confronti della scuola dell’infanzia, che potrebbe venire reimmessa in una visione assistenzialistico-sociale dalla quale si è faticosamente affrancata e che potrebbe, a sua volta, costituire la premessa per una definitiva uscita dal sistema dell’istruzione per entrare, con un mutamento di rotta dagli imprevedibili confini, nell’ambito dei servizi alla persona nel quadro delle competenze degli Enti locali.

Di fronte a questa proposta le famiglie sono lasciate sole, nell’incertezza, certe soltanto di una cosa: restano le liste di attesa che non consentono a tutti i bambini italiani la possibilità di accedere alla scuola dell’infanzia.

Noi sappiamo, come ci esorta a pensare la Sen. Rita Levi Montalcini, che l’investimento sull’intelligenza dei bambini nei primi anni di vita è la base per affrontare la nuova sfida intellettuale dell’Europa.

Questa è la nostra proposta: estendere in tutto il territorio nazionale la scuola dell’infanzia come strumento per l’uguaglianza delle opportunità. Allo stravolgimento della scuola dell’infanzia si accompagna lo stravolgimento della scuola elementare, bene evidente nella sperimentazione avviata: la cancellazione, insieme ai moduli, di trent’anni almeno di innovazione. Si reintroduce, dopo decenni, l’insegnate unico – tutor – sorta di tuttologo che esautora i colleghi delle responsabilità educative e dei rapporti con le famiglie. Il team di cui si parla è l’opposto di quello sperimentato nella scuola elementare perché manca di pariteticità, di collegialità, di corresponsabilità.

(2) L’ipotesi di riforma anticipa di molto anche il momento delle scelte che i ragazzi dovranno fare circa il proseguimento degli studi. L’OCSE raccomanda l’orientamento "progressivo", il Governo ripropone l’orientamento precoce! L’invio precoce alla formazione professionale non è una risposta di fronte al futuro dei giovani ma la rassegnazione del Governo allo stato delle cose. Non è neppure un riconoscimento della formazione professionale nella sua dignità di percorso formativo.

Anche i Paesi che vent’anni fa hanno affrontato il problema con l’istituzione del doppio canale formativo, che questo disegno di legge vuole introdurre in Italia, stanno riflettendo sul fallimento di soluzioni che troppo precocemente indirizzano i giovani esclusivamente verso la formazione, precludendo loro non solo l’acquisizione di un livello di competenze adeguato all’evoluzione della scienza e della tecnologia, ma anche la formazione di una "testa ben fatta", di capacità relazionali, di una coscienza critica che le stesse imprese riconoscono più necessarie della sola specializzazione professionale.

La riforma dell’Ulivo aveva trovato una soluzione con i curricoli obbligatori e integrati nel biennio dopo la scuola di base.

Di tutto si può discutere in materia di cicli. E forse se ne è discusso anche troppo. Ciò che non è possibile accettare è la soluzione scelta dal disegno di legge che ha alla base una visione arretrata dei processi formativi.

(3) Del tutto assente dal provvedimento è il tema della formazione continua per la quale noi proponiamo invece un grande piano di investimento che sia parte dell’impegno del Paese per l’occupazione, per il Mezzogiorno, per la ripresa dello sviluppo.

(4) Anche il personale della scuola, della cui formazione si parla all’art. 5 del disegno di legge, fattore decisivo nella strategia di un Paese sull’istruzione, è pesantemente colpito dall’intervento del Governo. Una buona scuola la fanno gli insegnanti. E i dirigenti. Ridare un ruolo forte ai docenti deve essere una priorità. Rimotivarli deve essere la priorità. E invece il Governo riesce a scoraggiarli definitivamente. Anziché impiegarli e riconvertirli per più estesi e continui obiettivi di istruzione e formazione nel nostro Paese, il Governo riduce pesantemente i posti, operando tagli ovunque, compreso il personale di sostegno per l’integrazione scolastica dei portatori di handicap.

Il disegno di legge riporta i docenti e i dirigenti scolastici indietro di dieci anni.

Formazione universitaria, aggiornamento e periodi sabbatici, organico funzionale, contratto: sono per noi gli obiettivi essenziali che l’azione del Governo dovrebbe darsi. Il riconoscimento del ruolo degli insegnanti porta con sé il riconoscimento del ruolo degli studenti e del ruolo delle famiglie, componenti fondamentali della scuola sostanzialmente ignorati dal Governo.

(5) Dunque: autonomia, ruolo dei docenti, generalizzazione della scuola dell’infanzia, elevamento dell’obbligo di istruzione in una visione integrata con la formazione professionale, formazione continua degli adulti sono per noi i temi essenziali di una strategia di investimento sull’istruzione che questo disegno di legge lascia del tutto ai margini.

La prova decisiva delle vere intenzioni del Governo sono le risorse che non vediamo. Senza di esse qualsiasi disegno di riforma si affloscia. Resterà sulla carta.

E’ quanto si evince all’art. 7 di questo disegno di legge. Il meccanismo generale di copertura del provvedimento, con riferimento alle norme di delega è integralmente imperniato sul rinvio agli strumenti finanziari della sessione di bilancio. Oggi sappiamo che la Finanziaria 2003 non prevede risorse per questa riforma, anzi opera tagli pesantissimi sulle spese di gestione e su quelle future di investimento. Si vedano le tabelle A, B, C.

Si tratta di un’indubbia forzatura del vincolo costituzionale di copertura delle leggi di spesa, di cui all’articolo 81, quarto comma, della Costituzione. Secondo l’impostazione avallata dalla Commissione bilancio, dunque, l’intera riforma dell’istruzione proposta dal governo dovrebbe essere valutata come poco più di un insieme di norme meramente programmatiche, che delineano una sorta di "provvedimento-manifesto" privo di contenuto giuridico rilevante.

Noi, invece, proponiamo un piano straordinario di investimento sull’istruzione, che vogliamo vedere nella prossima legge Finanziaria, e un aggancio organico al PIL delle risorse per la scuola.

Onorevoli Senatori, questo disegno di legge non va incontro alla scuola italiana, la quale non ha chiesto né l’anticipo, né la riduzione dell’obbligo, né la sperimentazione, né il taglio delle classi, né l’aumento degli alunni per classe. Non lo hanno chiesto le famiglie italiane.

È contrario agli interessi delle nuove generazioni, agli interessi del Paese. È tutto sotto il segno meno: riduce l’offerta formativa, toglie l’obbligo di istruzione, taglia istituzioni scolastiche, personale, risorse, autonomia, mette ai margini i più deboli. Toglie certezze, peggiora gli standard della scuola pubblica, rende più insicuro il futuro della scuola. Con la richiesta di delega si sottrae al dibattito e toglie spazio al Parlamento. Pretende di cambiare la cultura della scuola. La scuola italiana è più avanti di questo disegno di legge. Non di rado la scuola è più avanti delle leggi, più ricca grazie alle sfide che ha affrontato, più aperta alle differenze, più forte contro le disuguaglianze.

La cultura della scuola italiana è una cultura costituzionale, alla quale è estraneo l’approccio privatistico e aziendalistico. La scuola sa che deve essere efficiente, che deve produrre risultati. Lo sa e lo sa anche fare. La cura del Governo invece la colpisce duramente, anche e proprio nella sua efficienza.

Mentre questo provvedimento attraversa il Senato, e in attesa del suo approdo alla Camera dei deputati, la scuola e la società civile discutono del loro futuro.

Noi difendiamo questo futuro. Con la nostra opposizione a questo disegno di legge, un’opposizione sui contenuti, sulle finalità, sui metodi, senza sconti perché alto e rigoroso è il profilo della nostra proposta.. Una proposta per l’oggi e per i prossimi anni. Una proposta che intende misurarsi con i grandi obiettivi dell’innovazione piuttosto che fermarsi alla difesa dell’azione del centrosinistra negli anni che sono alle nostre spalle. Una proposta che dice al Governo di fermarsi, di sgombrare il campo, di mettere da parte la delega, il disegno di legge, una sperimentazione che quasi non c’è. Si cambi radicalmente l’impostazione politica: si investa sull’autonomia, si mettano a disposizione risorse, si rispetti la cultura della scuola italiana e il suo radicamento sociale. La strada imboccata dal Governo porta il sistema fuori rotta. Sono pericolose le leggi il cui pensiero è debole. Se si prosegue così si rende irrilevante il senso dell’esperienza culturale e civile della scuola italiana. Così non si è in Europa, si porta l’Italia lontana dalla sua storia e dal futuro europeo che le appartiene.

È necessario darsi un obiettivo comune: "non uno di meno". Scommetta il Paese sulle sue nuove generazioni, scommetta sulla scuola. Perché il punto non sono le riforme, e neppure la scuola in sé; ma come potranno continuare a vivere le generazioni future. È questo che chiedono le famiglie, che chiede l’Italia. Una scuola per tutti. Governare significa affrontare le cose reali, non ridurre la realtà a finzione, a comunicazione massmediatica.

L’Ulivo è pronto, non teme il confronto. L’Ulivo pensa che questo sia il momento per rilanciare nel paese una grande stagione di rafforzamento e di innovazione nella scuola. L’Ulivo ha indicato con questa relazione di minoranza le cinque priorità che riteniamo indispensabili perché il sistema di istruzione e di formazione non rimanga ai margini, tagliato fuori dal progresso e dalle nuove conoscenze. L’Ulivo è con la scuola, è con il Paese convinto che un’Italia che sa è un’Italia che vale. Nell’Europa e nel mondo.

 

 

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