Discussione del disegno
di legge 3387, Relatore per la minoranza On.
Titti De Simone
Delega
al Governo per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle
prestazioni in materia di istruzione e formazione
professionale
Camera dei Deputati - 20/02/03
Titti
De Simone, Relatore di minoranza
Signor
Presidente, signor rappresentante del Governo,
onorevoli colleghi, dai primi passi, tutto il
percorso relativo agli interventi nel settore
scolastico compiuti da questo Governo ha visto
agire i suoi rappresentanti e questo esecutivo in
un totale sprezzo del ruolo del Parlamento, senza
alcun coinvolgimento del mondo della scuola, sul
quale ricadrà il delicato compito di dare
attuazione a questa riforma.
La
scelta di uno strumento come quello della delega
per intervenire e modificare le norme generali
sull'istruzione si inserisce perfettamente in
questo contesto. Sarebbe stato auspicabile
inserire un intervento legislativo in materia di
istruzione in un ampio ed aperto dibattito che
coinvolgesse realmente i diretti protagonisti
interessati, cioè il mondo della scuola.
Di
fatto questa delega ha sottratto alla potestà
parlamentare una materia di estrema importanza per
un paese democratico, in quanto risulta essere
estremamente ampia ed indeterminata nella
definizione dei confini degli interventi che
verranno successivamente previsti con i decreti
attuativi.
È
alla forma, ma la forma è essa stessa sostanza,
che si rivolge la nostra prima forte e netta
critica. Una delega estremamente ampia dal punto
di vista della materia, ma anche dal punto di
vista dell'intervallo di tempo previsto per la sua
attuazione; in effetti, il Governo non soltanto
prende 24 mesi, due anni, per adottare i decreti
legislativi relativi, ma prevede anche un
ulteriore termine di 18 mesi in cui si riserva la
possibilità di modificare i decreti legislativi
eventualmente già emanati sulla base della stessa
delega legislativa, andando, in questa previsione,
anche oltre la fine dell'attuale legislatura. In
realtà, con il ricorso alla delega, il Governo
manifesta soltanto la volontà di agire nella
totale discrezionalità, sottraendosi
all'espressione di un voto di merito e lasciando
al Parlamento soltanto il compito di esprimere un
semplice parere di congruità, peraltro non
vincolante, sui decreti legislativi.
Il
disegno di legge delega si inserisce in un
contesto di attacchi ai diritti, al sistema
dell'istruzione, come al lavoro, come alla
previdenza e, come si evince già dal titolo,
rivendica per lo Stato soltanto lo spazio dei
livelli minimi, cancellando in tal modo risorse ed
energie già in movimento.
La
genericità della terminologia non deve trarre in
inganno: essa trova compiuta definizione alla luce
dei numerosi provvedimenti e della elaborazione
che ha portato a questa iniziativa di legge. Ciò
a cui si tende non ha nulla a che vedere con
individuazione dei nuclei fondanti delle
conoscenze, questi sì essenziali. Tutto spinge
per l'appunto in direzione di una forte riduzione
dei contenuti, del tempo e della qualità
dell'istruzione, che dev'essere garantita a tutte
e a tutti, come dice la nostra Costituzione.
Ci
sembra evidente quale sia il modello sociale di
organizzazione del sistema scolastico che sottende
la proposta avanzata da voi: nulla a che fare con
l'idea del sapere come formazione critica,
dell'educazione e dell'istruzione come un diritto
di cittadinanza e ad oggi, con la legge sulla
devoluzione, si potrebbe dire che non ha nulla a
che fare anche con l'idea di unicità del sistema
scolastico su tutto il territorio nazionale.
Non
una scuola che sia il luogo della relazione fra
soggetti attraverso la quale si esplica e si
sviluppa il processo formativo ed educativo del
singolo; al contrario, una scuola ridotta al
minimo, una scuola piegata alla cura dei
particolarismi, della quale viene esaltato
l'aspetto confessionale e di parte.
Il
disegno di legge del Governo, - è ormai chiaro -,
tende a sganciare l'amministrazione pubblica
centrale da qualsiasi responsabilità che non sia
meramente di indirizzo; tende a spingere il
sistema verso la privatizzazione, a considerare la
scuola come una merce che può essere acquistata
dalle famiglie, sulla base delle disponibilità
economiche, e a considerare l'istruzione, non come
un diritto, ma come un bene di consumo.
Una
scuola che non è più un diritto della persona,
ma diventa un servizio a domanda individuale che
viene organizzato sul modello aziendale:
gerarchizzazione e competizione tra gli
insegnanti, mercificazione del sapere. Una scuola
completamente subalterna al mondo del lavoro, come
si può vedere espressamente dalla previsione
della possibile alternanza scuola-lavoro già a 15
anni che, di fatto, abbassa il limite legale da 15
a 16 anni previsto per il lavoro minorile.
Nelle
idee di istruzione e di sapere del Governo
l'impresa diventa luogo formativo, il che la dice
lunga sul concetto di sapere, di apprendimento, di
cultura e di scuola che si vuole affermare. I
soggetti sapranno fin dall'inizio quale posto è
stato riservato per loro sulla base del censo, del
luogo di nascita, dell'estrazione sociale e del
livello culturale della famiglia di appartenenza.
L'introduzione di una precoce canalizzazione tra
formazione e istruzione, oggetto di una scelta da
operare già a 12 anni -12 e 5 mesi per chi opera
l'anticipo -, significa indirizzare verso
un'opzione di apprendimento debole le fasce più a
rischio dell'utenza scolastica, cioè quegli
studenti che appaiono meno motivati, meno sicuri,
meno preparati. Nei fatti, opererà una sorta di
selezione naturale, che funzionerà più a monte
rispetto all'esito finale dell'insuccesso e
dell'abbandono. Ci saranno studenti di serie A e
di serie B, il cui curriculum sarà già
contrattato in anticipo, determinando in tal modo
un impoverimento dell'apparato culturale di base e
della strumentazione critica, componenti
essenziali della coscienza civile che la scuola
dovrebbe considerare oggetto essenziale della
trasmissione del sapere. La scissione sociale dei
destini formativi è base di un disegno classista
che voi state portando avanti, che favorisce pochi
e mette nell'angolo i più, che favorisce le
famiglie ricche e istruite.
L'obbligo
scolastico come principio giuridico viene abolito
e si trasforma in un diritto-dovere di cui si può
fruire. Riteniamo estremamente grave e pericoloso
che il Governo introduca nel sistema una modifica
costituzionale con una legge ordinaria. L'obbligo
scolastico previsto dal secondo comma
dell'articolo 34 della Costituzione diventa
diritto-dovere del cittadino: una formulazione
debole che snatura il principio originario per
farlo assurgere nel campo dei servizi alla
persona.
Inoltre,
l'abrogazione della legge n. 9 nel 1999 - che
aveva innalzato l'obbligo scolastico a dieci anni,
pur prevedendone una prima applicazione a 9 -
riconduce l'obbligo scolastico agli 8 anni
precedenti, riportando il paese indietro di anni.
L'Italia è il primo paese occidentale che prevede
una riduzione dell'obbligo scolastico.
Non
è dato sapere quali siano le motivazioni sul
piano pedagogico che abbiano fatto propendere per
la soluzione dell'anticipo. Sembra solo di
trovarsi di fronte ad un puro espediente tecnico,
escogitato con l'unico scopo di rendere
praticabile il traguardo dei 18 anni di età come
soglia di uscita dal percorso scolastico. Da varie
parti questo obiettivo è stato giustificato con
la necessità di adeguare il nostro paese alla
maggior parte degli altri paesi industrializzati,
nei quali la formazione secondaria - e, di
conseguenza, quella universitaria - si conclude in
età più precoce. Si dimentica che l'assetto dei
sistemi scolastici nei vari paesi è frutto di
processi molto lunghi, determinati da peculiari
contesti culturali, economici, produttivi e
sociali, senza contare che la durata formale del
percorso scolastico degli studenti italiani spesso
non ha riscontro nella durata reale, a fronte di
gravi fenomeni di dispersione scolastica, cioè di
evasione dell'obbligo, di abbandoni, di selezione.
Bisognerebbe quindi, più che lanciarsi in
spericolate acrobazie ingegneristiche,
interrogarsi su come contrastare efficacemente
questi fenomeni che - è bene ricordarlo -
colpiscono sempre le classi sociali più deboli.
Nel
quadro della proposta di sistema scolastico
delineato dal progetto governativo è evidente che
l'anticipo non contempla alcuna considerazione dei
tempi e dei bisogni dei bambini e delle bambine.
Si vuole proporre una visione familistica, che
finisce con l'assegnare alla scuola il compito di
assecondare e proseguire l'azione educativa delle
famiglie. Una visione miope, poco attenta alla
realtà, che non coglie l'importanza, anche sul
piano educativo, dell'affidamento da parte dei
genitori delle bambine e dei bambini ad un luogo
eminentemente pubblico, in cui la pluralità di
modelli educativi familiari viene portata a
sintesi in un progetto educativo fondato su valori
condivisi.
Quello
che si persegue, invece, è l'addestramento dei più
piccoli, la preparazione della futura massa di
lavoratori flessibili, la totale subordinazione
del mondo della scuola alla produzione e
all'economia, senza contare il fatto di
fondamentale rilevanza che le iscrizioni
anticipate comporteranno situazioni tali per cui,
in una stessa classe, si potranno trovare bambini
con differenze di età anche di 20 mesi, che sono
davvero tanti a quell'età e che
comprometterebbero la possibilità di svolgere un
lavoro serio.
Riteniamo
che si inserisca nel contesto generale di attacco
al mondo del lavoro, ai lavoratori ed alle
lavoratrici, anche la parte relativa al
reclutamento degli insegnanti, per i quali si
esplicita ormai il progetto della chiamata
diretta.
La questione del reclutamento degli insegnanti e
della loro relativa formazione appare troppo
complessa per essere affrontata e risolta con lo
strumento della legge delega, che prevede, tra
l'altro, una modificazione del sistema e che, per
di più, rimanda a successivi decreti delegati la
definizione articolata del sistema stesso.
Non
condividiamo la presenza nel testo della legge di
elementi che prefigurano un'indebita interferenza
in materie riservate alla contrattazione tra le
parti, come avviene, invece, nell'articolo 5.
Sappiamo, infatti, che dietro l'apparente
neutralità di termini quali «valorizzazione
professionale» si celano ipotesi di
stratificazione degli insegnanti, con interventi
sullo stato giuridico e sulla retribuzione:
questioni, per l'appunto, non disponibili per il
legislatore.
La
legge finanziaria per il 2003 e gli interventi
legislativi di questo Governo hanno dimostrato
tutta l'intenzione di proseguire nella politica di
disinvestimento e di dequalificazione della scuola
pubblica, inaugurata da questa maggioranza fin dal
suo insediamento e perseguita con determinazione
degna di miglior causa. Lo stesso si può dire per
quanto sta accadendo sul terreno del rinnovo
contrattuale del comparto scuola, dove si sconta
l'assoluta inadeguatezza degli stanziamenti
economici rispetto alle richieste di equiparazione
dei livelli retributivi degli insegnanti italiani
a quelli europei avanzate da tutte le
organizzazioni sindacali del settore.
Riteniamo,
quindi, sbagliato introdurre nella delega elementi
di questo tipo e, allo stesso tempo, ribadiamo che
il Governo avrebbe tutti gli strumenti per
intervenire sul piano economico, anche se
dubitiamo fortemente che il suo vero interesse sia
quello di «valorizzare la professionalità» dei
docenti.
Il
personale docente e non docente della scuola
attende da tempo ben altre riforme: soprattutto,
quella di un riconoscimento anche sul piano
economico del loro ruolo sociale e culturale;
riconoscimento che non può più essere
procrastinato nel tempo e che preveda certezza
delle norme e rispetto dei diritti acquisiti.
Pensiamo, infatti, anche alla politica condotta
rispetto ai precari storici della scuola. Non
aiuta certo il continuo intervento teso a
sconvolgere i criteri e le modalità di formazione
e di reclutamento dei docenti, le quali
determinano, invece, incertezza, insicurezza e
preoccupazione.
Nel
tempo, la scuola, come spazio educativo e
formativo, si è modificata: dall'obiettivo
minimalista di insegnare a leggere, a scrivere e a
far di conto, è diventata territorio di
pluralismo, luogo della conoscenza intesa come
sviluppo delle capacità di accedere agli
strumenti al fine di ampliare, di approfondire, di
affinare le capacità, di costruire abilità e
competenze, di accrescere i saperi.
La
scuola italiana, con le sue energie, è riuscita a
progredire sul piano qualitativo ed a rendere
pratica quotidiana i valori ed i principi dettati
dalla Carta costituzionale. Solo quando le riforme
hanno valorizzato le spinte positive al
cambiamento che venivano dalla società si sono
avuti risultati positivi che hanno lasciato tracce
persistenti. È accaduto negli anni sessanta con
la riforma della scuola media unica, che ha
accompagnato la crescita culturale e sociale del
paese; nel 1974, con la legge degli organi
collegiali, che ha avviato una straordinaria
stagione di partecipazione democratica; pochi anni
dopo, veniva stabilito il diritto dei disabili ad
essere integrati nella scuola e non sono
assistiti; nel 1990, infine, la riforma della
scuola elementare. Tappe fondamentali, quelle
appena elencate, di un processo di crescita che,
con questo disegno di legge delega, come con tutti
gli altri provvedimenti varati dal Governo, si
vuole definitivamente arrestare per riportare la
scuola italiana indietro di quarant'anni!
Noi
pensiamo, invece, che questa scuola vada difesa ed
ulteriormente migliorata, che essa debba
diventare, ancora di più, la scuola dei saperi,
la scuola che permetta a tutti ed a tutte di
potere, anche autonomamente e singolarmente,
continuare ad espandere, ad affinare e ad
arricchire le proprie conoscenze, una scuola che
si proponga l'innalzamento del livello generale di
istruzione, il luogo in cui ci si riconosce uguali
e differenti, plurali e singoli, liberi nella
possibilità di toccare saperi diversi e di
integrarli criticamente, per una società più
ricca dal punto di vista culturale e più
democratica.
In
questo senso, riteniamo sia necessario che la
scuola resti il luogo dell'incontro e della
considerazione, su basi paritarie, con il
riconoscimento delle diversità e delle differenze
tra singoli, dei soggetti fra loro altri. Se le
differenze diventano motivo di discriminazioni e
si affermano e si esplicano già dalla
programmazione scolastica, come voi prevedete, è
certo che non inviteremo i giovani e le giovani a
considerarsi, essi stessi, soggetti portatori di
diritti inalienabili.
La
declinazione delle finalità che si intendono
perseguire attraverso un intervento legislativo
organico e complessivo sul sistema scolastico non
può che partire, a nostro giudizio, dalla
riaffermazione della funzione istituzionale che la
Costituzione assegna alla scuola. Pensiamo che sia
sbagliato ipotizzare un sistema che si preoccupa
unicamente di offrire pari opportunità ai giovani
e che non si ponga programmaticamente l'obiettivo
di rimuovere gli ostacoli di ordine economico,
sociale e culturale che impediscono, soprattutto a
chi proviene dagli strati sociali più deprivati,
di raggiungere i più alti livelli di istruzione.
Ci
sembra importante sottolineare la necessità della
valorizzazione delle persone e del rispetto delle
differenze e delle identità di ciascuno. È un
richiamo forte ai principi costituzionali, quello
che noi lanciamo al Parlamento, di cui la scuola
pubblica italiana degli ultimi quarant'anni è
diventato luogo di pratica concreta e principale
punto di garanzia.
Pensiamo
che il presupposto indispensabile anche per
l'inserimento nel mondo del lavoro sia il
raggiungimento di adeguati, alti, livelli
culturali; con le proposte emendative presentate
lo abbiamo voluto sottolineare. L'idea che noi
sosteniamo è quella dell'estensione dell'obbligo
scolastico fino al diciottesimo anno di età e
della conclusione del ciclo secondario, come già
oggi avviene, ordinariamente il diciannovesimo
anno di età, ben sapendo, ovviamente, che perché
questo obiettivo sia realizzabile si rendono
necessari adeguati interventi di sostegno
all'effettivo esercizio del diritto
all'istruzione, anche sul piano economico e delle
riforme sociali. Vogliamo affermare il carattere
unitario del ciclo secondario, contro l'ipotesi di
separazione dei percorsi scolastici in due
distinti e separati percorsi: quello
dell'istruzione e quello della formazione. Per
questo proponiamo di raggruppare sotto una
denominazione unica tutti gli istituti, evitando,
anche nelle formulazioni linguistiche, l'odiosa
discriminazione tra tipologie di istituti ai quali
corrispondono, inevitabilmente, destini sociali
differenziati.
Prevediamo
la definizione di un sistema nazionale di
educazione e di istruzione per affermare una
concezione del sistema scolastico nazionale
diversa e contrapposta rispetto al vostro disegno
di legge. (...)
Pensiamo
che la scuola debba avere un carattere fortemente
unitario. Gli aspetti principali della nostra
proposta sono chiari; li presenteremo domani nel
corso del dibattito parlamentare attraverso i
nostri emendamenti. Il carattere nazionale del
sistema scolastico; l'inserimento a pieno titolo
del segmento educativo costituito dalla scuola
dell'infanzia nel sistema nazionale (un punto per
noi assolutamente irrinunciabile). L'eliminazione
di ogni ambiguità nel rapporto tra istituzione e
formazione. Pensiamo che non possa esserci vera
preparazione al lavoro senza una adeguata
formazione sia culturale sia tecnico
professionale. L'inserimento degli asili nido nel
sistema di istruzione nazionale, l'introduzione
della seconda lingua già dalle elementari, oltre
quella madre, l'introduzione della seconda lingua
comunitaria nelle medie. Questo è il nostro
progetto alternativo alla vostra brutta riforma,
che scrive un modello di società attraverso un
modello di scuola. È evidente che il disegno di
legge delega - e concludo - in materia di
istruzione esprime chiaramente il progetto di
questa maggioranza per quanto concerne il ruolo di
uno dei settori più strategici per lo sviluppo
sociale, economico e culturale e civile del nostro
paese: la scuola, la scuola pubblica.
Di fronte a questa politica di
impoverimento, Rifondazione comunista ribadisce il
valore di una scuola finalizzata al massimo
sviluppo della persona, all'affermazione del
valore universale del concetto di diritto allo
studio, affinché sia garantito a tutti e a tutte
l'accesso al sapere nei suoi punti più alti e per
tutto l'arco della vita. Su questo terreno noi
crediamo che voi possiate essere battuti, nella
società, nel mondo della scuola. E crediamo che
potrete essere battuti attraverso un percorso di
riforma democratica dal basso che vogliamo
contribuire a costruire nel paese con la
partecipazione diretta di studenti ed insegnanti.
È una sfida che lanciamo a questo vostro brutto
progetto di società, a questo vostro orrendo
progetto di scuola. È un impegno che ci assumiamo
per il paese
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