LE GRAVI RESPONSABILITA’ DEL GOVERNO

NEI CONFRONTI DELLA DIRIGENZA PUBBLICA

 

 Editoriale n. 40  del 2 febbraio 2002

 

di Paolo Quintavalla

 

L’attuale Esecutivo si era proposto con grande enfasi durante la campagna elettorale come paladino delle istanze, delle ragioni e degli interessi della dirigenza pubblica, asserendo che essi erano stati conculcati e vilipesi dalla precedente gestione politica e amministrativa. Molti avevano sospeso il giudizio, in attesa di fatti coerenti con questo assunto. Ora, a distanza di otto mesi, è il momento di fare un primo bilancio della politica del Governo nei confronti dei dirigenti pubblici e di quelli scolastici in particolare.

Dobbiamo, purtroppo, rilevare tre macroscopici aspetti tutti di segno negativo:

Il primo e il secondo aspetto riguardano il passato recente, il secondo riguarda il futuro prossimo. Occorre esaminarli insieme perché sono collegati da un sottile filo di continuità.

 

Il tradimento delle promesse

 

La vicenda della famosa lettera del 30 aprile 2001 ormai è nota. I quattro Deputati responsabili del settore istruzione dei partiti della Casa delle Libertà promettevano ai D.S. italiani, in caso di vittoria della coalizione, l’allineamento retributivo con le altre dirigenze pubbliche. Per essere più credibili allegavano una tabella da cui si evinceva che per colmare lo scarto occorrevano circa 240 miliardi aggiuntivi per il Contratto. Da notare che questa promessa veniva solennemente avanzata “a nome del presidente Berlusconi” e che sarebbe stata “onorata” entro i primi cento giorni della nuova Legislatura. Da notare, inoltre, il tono della lettera tutto giocato sulla contrapposizione con la politica del centrosinistra: “noi invece…” vi daremo ciò che vi spetta, “noi invece…” riconosceremo il vostro ruolo ecc.

Sappiamo come è andata a finire: con un nuovo clamoroso tradimento delle promesse, agevolato in questo – bisogna ammetterlo per onestà intellettuale - dall’atteggiamento ambiguo e rinunciatario di una parte dello schieramento sindacale che voleva farci “battere il passo” e che minacciava la sollevazione dei docenti se fossero state soddisfatte le richieste dei dirigenti. In ogni caso, le responsabilità collaterali di certi sindacati non ci esimono dal rilevare la responsabilità fondamentale di questo Esecutivo che non ha mai nemmeno motivato il suo voltafaccia nei confronti della nostra categoria.

Questo Esecutivo non ha mai motivato nemmeno i ritardi incomprensibili, le divisioni tra i Ministri, le prospettive incerte fino all’ultimo, che hanno contrassegnato questi ultimi tre mesi di trattative contrattuali fino alla firma dell’accordo del 10 gennaio, alimentando ulteriore rabbia e frustrazione tra i D.S.

 

L’occasione sprecata degli Stati Generali

 

Il 19 e il 20 dicembre 2001 si sono svolti a Roma, tra contestazioni e vivaci polemiche, gli Stati Generali della Scuola. Poteva essere una preziosa occasione per aggregare, coinvolgere, ascoltare tutte le componenti della scuola italiana. Invece questo evento si è risolto in una passerella retorica senza interlocutori credibili e rappresentativi. Basti pensare che dal palco hanno potuto prendere la parola ben 5 rappresentanti degli studenti (diciottenni privi di esperienza che parlavano più a titolo personale che non a nome di qualche movimento definito) mentre non ha potuto parlare nemmeno un rappresentante dei dirigenti scolastici o del personale amministrativo.

La controprova è contenuta nel libro degli “Annali della Pubblica Istruzione” che raccoglie le relazioni dei vari soggetti agli Stati Generali e che con lodevole tempismo è pervenuto alle scuole dopo appena 20 giorni dall’evento. Sfogliando il libro ci si accorge di una evidente anomalia: esso raccoglie gli interventi di politici, studiosi, docenti, studenti, genitori ma manca assolutamente un qualsiasi intervento di un dirigente scolastico. Il libro, così come l’evento da cui deriva, aveva ed ha l’ambizione di rappresentare la scuola italiana nella sua completezza. Ma è credibile o minimamente concepibile una rappresentazione della scuola priva o privata della dirigenza? Se si è trattato di dimenticanza essa è del tutto imperdonabile, dopo tutta l’enfasi retorica del “preside manager” che in certi ambienti, da cui anche il Ministro attuale proviene, ha accompagnato l’istanza e la rivendicazione della dirigenza. Se si è trattato, invece, di consapevole esclusione allora il fatto è gravissimo perché colpisce direttamente e in modo ingiustificato proprio i protagonisti della innovazione, della riforma e della trasformazione del sistema scolastico. Nessun cambiamento significativo potrà mai avvenire senza il contributo dei D.S. oppure contro la loro volontà. Eppure proprio questo è avvenuto: la massima assise della scuola italiana si è svolta senza l’intervento dei dirigenti scolastici. Bene ha fatto l’ANP a protestare in modo vibrato per questa intollerabile esclusione. Ora è da sperare, nell’interesse della scuola nel suo complesso, che i prossimi sviluppi della politica scolastica italiana non avvengano contro la volontà dei suoi dirigenti. Anche se in questa direzione, purtroppo, inquietanti segnali si vanno moltiplicando e addensando all’orizzonte.

 

La prospettiva di limitazione dell’autonomia dei dirigenti

 

Sul progetto governativo di riordino della dirigenza pubblica (ex DDL 1696 approvato dalla Camera il 24.1.02 ora DDL 1152 Senato) si è acceso giustamente un vivace quanto allarmato dibattito.

Basta leggere lo scarno articolato per accorgersi, direttamente o in filigrana, che in caso di definitiva approvazione si verificherebbero le spiacevoli o negative conseguenze che seguono:

·        Verrebbe modificata la disciplina di conferimento degli incarichi. L’eliminazione del criterio della “rotazione” e della “valutazione dei risultati conseguiti” consegnerebbe i dirigenti alla totale discrezionalità del potere politico o degli alti dirigenti nel conferimento degli incarichi

·        Verrebbero azzerati gli incarichi già conferiti, alimentando a dismisura e in modo incontrollato la pratica del “sistema delle spoglie” che segue, normalmente, ad ogni elezione politica. Il possesso della tessera di partito o l’appartenenza all’area ideologica  farebbero fatalmente aggio sul possesso dei requisiti professionali a rivestire incarichi dirigenziali. Formalmente queste disposizioni si riferiscono ai dirigenti di prima fascia. Ma è evidente che il meccanismo si ripeterebbe, a cascata, anche per i dirigenti di seconda fascia. Queste considerazioni valgono indipendentemente dal colore politico dell’attuale o del futuro Esecutivo.

·        Per i dirigenti verrebbe abolita la contrattazione collettiva e si ritornerebbe al regime pubblicistico del rapporto di lavoro, precedente al D. Lgs. 29/93. In questo caso si interromperebbe il libero confronto e l’accordo pattizio tra le parti per ritornare alla riserva di legge e all’azione unilaterale e autarchica dell’Amministrazione nei confronti del dirigente, che sarebbe sempre più dipendente (dal potere politico) e sempre meno appartenente (in modo funzionale e con poteri di autonomia gestionale) all’Amministrazione. Nel caso specifico dei D.S. la norma inciderebbe pesantemente sul CCNL appena sottoscritto in quanto prevede la riduzione del tempo massimo degli incarichi da sette a cinque anni e la possibilità di revoca anticipata degli stessi, anche prima dei due anni.

·        La conseguenza inevitabile della fine della privatizzazione del rapporto di lavoro e della contrattazione rappresenterebbe anche la fine della separazione tra le funzioni di indirizzo politico e le funzioni di gestione amministrativa. La crescente limitazione dell’autonomia dei dirigenti, a fronte dell’inevitabile ingerenza del potere politico, sarebbe uno sbocco malinconico e prevedibile, con rischi pesanti per l’efficienza e l’efficacia della pubblica amministrazione. Il pericolo molto concreto è che, in questo modo, si apra nuovamente la strada a modelli gerarchici e discrezionali, a logiche di apparato, a sistemi  accentrati e burocratici che pensavamo di aver superato, che non rimpiangiamo e di cui francamente non sentiamo il bisogno.

·        L’arresto del processo di modernizzazione della P.A. e il ritorno al passato (ai provvedimenti amministrativi unilaterali, ai decreti di nomina, alla completa discrezionalità nella valutazione ecc.) porrebbe i dirigenti in una condizione di subalternità senza condizioni di fronte al potere politico che invaderebbe indebitamente anche il campo della gestione amministrativa, con la possibilità di erodere progressivamente, fino a svuotarla, la loro sfera di autonomia.

 

Contro questo progetto di riordino della dirigenza pubblica e contro le prospettive inquietanti e negative che si profilano hanno preso posizione netta e critica quasi tutte le forze sindacali. La CIDA, in particolare, ha confermato lo sciopero indetto per il 12 febbraio 2002 dei cinque profili dirigenziali più direttamente interessati al provvedimento (comparti dei Ministeri, della Presidenza del Consiglio, delle Agenzie fiscali, delle Regioni e degli Enti locali).  L’ANP ha confermato per la stessa data l'appuntamento per una giornata nazionale di protesta (con manifestazione a Roma) di tutti i dirigenti pubblici (e quindi anche dei D.S.) “che non si possono riconoscere in una disposizione che avrà pesanti riflessi per l'autonomia professionale di ciascuno di loro”.

E’ auspicabile che allo sciopero aderiscano in massa i dirigenti pubblici direttamente coinvolti e che la manifestazione di protesta abbia successo anche tra i dirigenti scolastici che ormai fanno parte a pieno titolo della stessa area professionale. Le prossime settimane saranno decisive per le prospettive e per l’evoluzione della dirigenza pubblica in Italia. Anche noi dirigenti scolastici ci saremo, impegnati nella consapevole difesa della nostra professionalità minacciata.