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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

 

Io, ultimo maestro ho un´idea morale della scuola"

 

Corriere della Sera - 19 febbraio 2003

 
"Di alcuni alunni non ho mai visto il padre in 5 anni"

Claudia Riconda

Paolo Piccioli, lei è una mosca bianca.
«In quanto uomo e maestro di scuola?».
Sì. In Italia siete quattro su cento alle elementari. Nelle materne addirittura cinque su mille. Nella sua scuola?
«Tre maestri e trenta maestre, qui alla Vittorio Veneto. Nettissima minoranza».
Si è chiesto perché?
«Basta guardare le nostre buste paga».
Lei quanto guadagna?
«Mille e duecento euro al mese. Ma lavoro da venticinque anni. Sono entrato nella scuola a 20, ne ho 46».
Solo una questione di soldi?
«No, c´entrano anche le ambizioni. L´uomo che cerca potere, carriera, successo, non sceglie di fare il maestro. Un mestiere impegnativo, che ti gratifica sì, ma su un piano completamente diverso. Non certo quello della carriera».
Lei perché l´ha scelto?
«Per un ideale. Speravo di poter dare una mano a cambiare il mondo. Cominciando dai bambini. Ma erano gli anni ´70, tutto un altro clima».
Pentito?
«No. Nonostante tutto, no. Però le frustrazioni pesano. Questo svilimento continuo del nostro ruolo, l´accanimento del governo contro la scuola pubblica. Ora che invece sarebbe il momento giusto».
Per cosa?
«Per contrastare lo strapotere della tv e i modelli di comportamento e i non-valori che passano da lì. Toccherebbe a noi maestri arginarli, proporre valori alternativi, e invece ci spuntano le armi».
Che effetto fa lavorare in mezzo a tante donne?
«Non faccio differenza tra uomini e donne, ma tra persone».

Però sui bambini l´effetto c´è. La Lega dice che tutte queste maestre sono un handicap per la crescita.
«Un handicap addirittura! Diciamo che sarebbe meglio avessero figure di riferimento diverse anche a scuola. Femminile e maschile».
Talvolta non ci sono neanche a casa. Padri assenti, o poco presenti nella vita dei figli.
«E che si fanno vedere raramente a scuola. Di alcuni alunni non ricordo di aver mai incontrato il padre in cinque anni di colloqui scolastici».
Finisce che il maestro diventa un babbo.
«In effetti, sì. Per qualche bambino io rappresento qualcosa di più di un maestro. Gli può scappare di chiamarmi babbo».
E questo la mette in difficoltà?
«E´ bene mantenere l´equilibrio. Il maestro è il maestro. Certo, se i padri passassero più tempo con i figli non ci sarebbe confusione di ruoli».


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