Scuola,
se l’Ottocento è di destra e il Novecento di
sinistra
Corriere
della Sera - 14 gennaio 2003
Mentre
Berlinguer volle che un anno intero fosse dedicato
al secolo scorso, ora su richiesta di An si dovrà
dar più spazio al Risorgimento
Studiare il ‘900 sarebbe «di sinistra» e
studiare l’800 sarebbe, invece, «di destra»?
Per quanto assurdo in termini obiettivi, un
interrogativo del genere rischia di avere un
fondamento se dobbiamo giudicare da qualche
commento che ha accompagnato le modifiche
all’insegnamento della storia nelle medie
inferiori, elaborate dal ministero
dell’Istruzione nell’ambito della riforma dei
cicli scolastici (riforma che attende ora, dopo il
voto favorevole del Senato, quello della Camera).
I nuovi programmi – resi noti in questi giorni
nel sito del ministero – prevedono di togliere
spazio allo studio del ‘900 nella terza media
(ma lo stesso avverrà probabilmente nell’ultimo
anno delle superiori) per fare posto all’800, in
particolare al Risorgimento, accogliendo così –
a quel che si è letto sulla stampa – una
richiesta di Alleanza nazionale.
Dall’opposizione si è invece gridato al
pericolo che il XX secolo possa addirittura «scomparire
dai libri di storia». Come tutti ricordano, nella
passata legislatura il centrosinistra attribuì un
grande rilievo alla storia del ‘900: il ministro
Berlinguer dispose che lo si insegnasse
nell’intero ultimo anno delle medie sia
inferiori sia superiori.
Eppure non è così ovvio che la forte proiezione
sulla contemporaneità sia sempre e comunque
positiva. Uno storico autorevole come Gaetano
Salvemini, mezzo secolo fa, metteva in guardia dai
rischi insiti nell’insegnamento della storia
troppo recente, che avrebbe fatto entrare nella
scuola «le passioni della giornata». Non a caso,
del resto, le dittature del ‘900 hanno sempre
attribuito un grande rilievo alla storia
recentissima: i programmi in vigore nell’Italia
di fine anni ’30 disponevano che lo studio
giungesse al 1936, cioè alla «proclamazione
dell’impero». Nell’Unione Sovietica degli
anni ’30 e ’40 il testo di storia più
importante era quello che narrava le vicende del
partito e della rivoluzione.
Di
per sé non vi sarebbe dunque nulla di scandaloso
nel modificare lo spazio riservato al ‘900 nei
programmi scolastici. Potrebbe anzi servire a
ridimensionare quell’eccesso di contemporaneità
che caratterizza ormai il nostro modo di guardare
al passato: attualmente in terza media, secondo i
programmi ancora in vigore varati dal
centrosinistra, è previsto si studi il solo
‘900, ciò che appare davvero sproporzionato in
un ciclo scolastico che deve «coprire» in soli
tre anni l’intera vicenda umana dalla preistoria
a oggi. Vi sono manuali per i licei che,
nell’ultimo volume, giungono fino all’anno
immediatamente precedente la loro stampa, a fatti
cioè per i quali è difficile quella trattazione
distaccata che fa intrinsecamente parte della
comprensione storica.
In realtà non è affatto detto che per capire
tanti aspetti dell’Italia di oggi l’età dei
Comuni, ad esempio, sia meno importante del
ventennio fascista. Pochi anni fa un politologo
americano, Robert Putnam, ha cercato appunto di
mostrare come le zone della penisola in cui
attualmente è più riscontrabile una cultura
civica siano le stesse che videro il fiorire della
civiltà comunale.
Insomma, vi potrebbe essere più di un motivo
valido per limitare lo spazio che i programmi di
storia delle nostre scuole concedono alla storia
recentissima. Proprio per questo colpisce che
l’unica motivazione resa nota, sia pure
ufficiosamente, sia quella citata all’inizio: la
richiesta in tal senso di Alleanza nazionale,
quasi che al ‘900 «di Berlinguer» si voglia
ora sostituire l’800 «di Fini».
Giovanni Belardelli
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