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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

NEWS 

 

 

Scuola, se l’Ottocento è di destra e il Novecento di sinistra

Corriere della Sera - 14 gennaio 2003

Mentre Berlinguer volle che un anno intero fosse dedicato al secolo scorso, ora su richiesta di An si dovrà dar più spazio al Risorgimento


Studiare il ‘900 sarebbe «di sinistra» e studiare l’800 sarebbe, invece, «di destra»? Per quanto assurdo in termini obiettivi, un interrogativo del genere rischia di avere un fondamento se dobbiamo giudicare da qualche commento che ha accompagnato le modifiche all’insegnamento della storia nelle medie inferiori, elaborate dal ministero dell’Istruzione nell’ambito della riforma dei cicli scolastici (riforma che attende ora, dopo il voto favorevole del Senato, quello della Camera). I nuovi programmi – resi noti in questi giorni nel sito del ministero – prevedono di togliere spazio allo studio del ‘900 nella terza media (ma lo stesso avverrà probabilmente nell’ultimo anno delle superiori) per fare posto all’800, in particolare al Risorgimento, accogliendo così – a quel che si è letto sulla stampa – una richiesta di Alleanza nazionale. Dall’opposizione si è invece gridato al pericolo che il XX secolo possa addirittura «scomparire dai libri di storia». Come tutti ricordano, nella passata legislatura il centrosinistra attribuì un grande rilievo alla storia del ‘900: il ministro Berlinguer dispose che lo si insegnasse nell’intero ultimo anno delle medie sia inferiori sia superiori.
Eppure non è così ovvio che la forte proiezione sulla contemporaneità sia sempre e comunque positiva. Uno storico autorevole come Gaetano Salvemini, mezzo secolo fa, metteva in guardia dai rischi insiti nell’insegnamento della storia troppo recente, che avrebbe fatto entrare nella scuola «le passioni della giornata». Non a caso, del resto, le dittature del ‘900 hanno sempre attribuito un grande rilievo alla storia recentissima: i programmi in vigore nell’Italia di fine anni ’30 disponevano che lo studio giungesse al 1936, cioè alla «proclamazione dell’impero». Nell’Unione Sovietica degli anni ’30 e ’40 il testo di storia più importante era quello che narrava le vicende del partito e della rivoluzione.

Di per sé non vi sarebbe dunque nulla di scandaloso nel modificare lo spazio riservato al ‘900 nei programmi scolastici. Potrebbe anzi servire a ridimensionare quell’eccesso di contemporaneità che caratterizza ormai il nostro modo di guardare al passato: attualmente in terza media, secondo i programmi ancora in vigore varati dal centrosinistra, è previsto si studi il solo ‘900, ciò che appare davvero sproporzionato in un ciclo scolastico che deve «coprire» in soli tre anni l’intera vicenda umana dalla preistoria a oggi. Vi sono manuali per i licei che, nell’ultimo volume, giungono fino all’anno immediatamente precedente la loro stampa, a fatti cioè per i quali è difficile quella trattazione distaccata che fa intrinsecamente parte della comprensione storica.
In realtà non è affatto detto che per capire tanti aspetti dell’Italia di oggi l’età dei Comuni, ad esempio, sia meno importante del ventennio fascista. Pochi anni fa un politologo americano, Robert Putnam, ha cercato appunto di mostrare come le zone della penisola in cui attualmente è più riscontrabile una cultura civica siano le stesse che videro il fiorire della civiltà comunale.
Insomma, vi potrebbe essere più di un motivo valido per limitare lo spazio che i programmi di storia delle nostre scuole concedono alla storia recentissima. Proprio per questo colpisce che l’unica motivazione resa nota, sia pure ufficiosamente, sia quella citata all’inizio: la richiesta in tal senso di Alleanza nazionale, quasi che al ‘900 «di Berlinguer» si voglia ora sostituire l’800 «di Fini».

Giovanni Belardelli

 

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