MANIFESTAZIONE NAZIONALE DI PROTESTA
“Per un dirigente pubblico
professionalmente autonomo e
responsabile nei confronti del cittadino”

Roma 12 febbraio 2002 – Cinema Barberini

 

Intervento di GIORGIO REMBADO
Presidente Federdirigenti funzione pubblica/CIDA

        

Fonte: Sito web ANP – 12 febbraio 2002

        La Manifestazione di oggi si propone due obiettivi, uno immediato ed un altro di lunga durata o, per meglio dire, permanente. Il primo è quello di promuovere un'azione di contrasto a livello politico-sindacale nei confronti del ddl 1052 sul riordino della dirigenza statale, attualmente in discussione al Senato, nelle parti in cui il disegno indebolisce l'autonomia della funzione dirigenziale; il secondo è quello di assumere comune e piena consapevolezza del fatto che la compressione del ruolo dirigenziale anche in un solo settore comporta l'inevitabile conseguenza di un analogo contraccolpo su tutti gli altri profili dirigenziali a qualsiasi altro livello o settore di attività appartengano.
        E' per questo che alla Manifestazione di oggi, accanto ai dirigenti ministeriali più direttamente colpiti, partecipano i loro colleghi sia pubblici che privati, certo anche per portare loro una solidarietà categoriale non generica o formale, ma soprattutto per dare un contributo, ciascuno dalla propria angolazione ed esperienza, alla definizione di una cultura e di una identità professionale unitarie. Sarebbe pertanto riduttivo considerarla la Manifestazione del dirigente dei ministeri, mentre è più corretto viverla ed interpretarla come la Giornata del dirigente pubblico o – meglio ancora - del dirigente tout court.
        Accanto a questa c'è un'altra precisazione da fare, di carattere ancor più generale. Noi siamo convinti del fatto che solo un dirigente preparato, tecnicamente attrezzato ed intellettualmente autonomo possa adempiere alle sue responsabilità, che per di più, nel campo delle Pubbliche Amministrazioni, si riferiscono direttamente al funzionamento e alla qualità dei servizi, oltreché alla tutela degli interessi del cittadino, senza possibilità per quest'ultimo di scegliere nella maggior parte dei casi l'interlocutore. La soddisfazione dei suoi bisogni quindi può essere garantita in primo luogo dalle qualità professionali del dirigente, dal suo equilibrio e dalla sua capacità di rispondere alla comunità che si avvale della sua opera anziché di dipendere dalle cordate partitiche appartenenti a questo o a quello schieramento. C'è un nesso pertanto indissolubile tra l'autonomia del dirigente e la sua affidabilità pubblica da un lato e gli interessi collettivi dall'altro, che fa sì che il problema oggi in discussione sia da considerare di carattere generale, tanto da esorbitare i confini della tutela peraltro doverosa degli interessi categoriali.

        Il disegno di legge sopra citato invece va nella direzione opposta, tende a ricondurre sotto lo stretto controllo politico la gestione e a fare del dirigente un fedele quanto acritico esecutore della volontà del Governo, trasformandone il profilo da responsabile dell'azione amministrativa ed organizzativa a parafulmine in caso di errori anche a lui non imputabili.
        Due sono principalmente gli interventi che permettono di conseguire un tale riprovevole risultato: la riduzione della durata degli incarichi e l'azzeramento degli stessi per i dirigenti generali con un effetto a cascata sugli altri dirigenti.
        Nel primo caso la durata massima degli incarichi viene portata a cinque anni per i dirigenti di seconda fascia e a tre per quelli di prima fascia e viene al contempo eliminata quella minima, con una conseguente forte precarizzazione della funzione del dirigente, rispetto alla situazione oggi esistente. Nessuno vuole ritornare alla logica del “posto fisso” o dell'incarico a vita, perché in una moderna organizzazione il principio della rotazione risponde ad una duplice esigenza, ad una di parte datoriale ad avere sempre energie nuove e motivate e ad un'altra vista dall'angolazione del dirigente ad essere messo nelle condizioni più favorevoli per allargare le proprie competenze professionali. Ciò non toglie però che un ricambio troppo frequente ed una durata limitata nell'incarico possano essere di ostacolo al raggiungimento dei risultati prefissati e che la durata massima ulteriormente ridotta per i dirigenti generali non risponda ad un quadro di razionalità, se non all'esigenza tutta di parte di tenere sotto stretta sorveglianza la gestione degli stessi con la minaccia di un mancato rinnovo e del conseguente fallito raggiungimento del periodo di almeno cinque anni utile a transitare definitivamente dalla seconda alla prima fascia.
        L'azzeramento degli incarichi poi ai dirigenti di prima fascia, sia pure limitatamente alla prima applicazione della legge, ancorché non corrisponda al cosiddetto spoil system, come è già stato autorevolmente sostenuto, dal momento che viene applicato in costanza di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, è egualmente eversivo rispetto ai principi del nostro ordinamento, che si fonda sulla separazione del potere di indirizzo, attribuito agli organi di Governo, da quello di gestione, la cui responsabilità fa capo al dirigente. E del resto un tale assunto altro non è se non la traduzione del principio di imparzialità dell'amministrazione, solennemente sancito dalla nostra Costituzione insieme a quello del buon andamento dei pubblici uffici. A tale riguardo basterebbe citare la recentissima ordinanza della Corte Costituzionale (11/2002), che su questo punto almeno dice una parola di assoluta chiarezza, richiamando il rispetto di tali principi (imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione) quali limiti invalicabili dalla discrezionalità del legislatore.
        La soluzione introdotta dalla Camera in prima lettura per gli incarichi attribuiti ai dirigenti di seconda fascia, sottoposti ad una verifica da parte di una commissione nominata dal Ministro, apparentemente più morbida, è invece egualmente da censurare perché corrisponde ad un azzeramento mascherato o, per meglio dire, ad una forma di mobbing legalizzato, in quanto sottopone il dirigente non già ad una valutazione tecnico-professionale dei risultati raggiunti, ma piuttosto ad un riscontro della sua contiguità politica con la maggioranza che esprime il Governo. Analogamente appare inaccettabile l'ipotesi avanzata nel protocollo sottoscritto dal Governo e da CGIL/CISL/UIL la scorsa settimana - proprio per questo motivo da noi rifiutato – che fa riferimento alla facoltà per l'Esecutivo di un avvicendamento tra le funzioni di “line” e di “staff”, che altro non è se non riproporre in una veste psicologicamente più presentabile la stessa soluzione al problema. Del resto qualsiasi soluzione di mediazione, e persino una esclusione di questa fascia dirigenziale da interventi impropri, fino a quando restasse in piedi l'azzeramento senza obbligo di motivazione per i dirigenti generali, non porrebbe al riparo i dirigenti di seconda fascia da provvedimenti censurabili, dal momento che i loro incarichi dipendono dagli stessi dirigenti generali che resterebbero sotto la minaccia di una mancata conferma nell'incarico precedentemente ricoperto o in altro equivalente. Il nesso fra le due posizioni è inscindibile ed il principio dell'autonomia della funzione dirigenziale viene leso, qualsiasi siano le modalità individuate.
        Ma - si dice e nessuno di noi lo nega - il precedente Governo ha nei fatti infranto tale principio e ha attribuito incarichi di alta responsabilità secondo una logica fiduciaria fino allo spirare del suo mandato. Sarebbe troppo facile obiettare che gli errori dei precedenti Governi non giustificano comportamenti identici da parte di quello in carica, che, tra l'altro, tende a rappresentarsi come un Esecutivo che ispira la propria azione ad una forte discontinuità con il passato. Per parte nostra aggiungiamo che non potremo tollerare atteggiamenti revanscistici sulla pelle dei dirigenti e che, se oggi abbiamo sospeso lo sciopero della categoria per poter continuare ad essere interlocutori al Senato nella battaglia parlamentare tendente alla sostanziale modifica del ddl, saremo pronti in caso di necessità a ricorrere ad azioni sempre più incisive per evitare che un principio di civiltà giuridica, teso a salvaguardare l'autonomia dirigenziale nell'interesse del cittadino appartenente a qualsiasi schieramento politico, venga calpestato.
        E' del resto compito di un Sindacato davvero indipendente qual è il nostro non sottostare a logiche rispondenti ad interessi di questa o quella bottega politica, ma adeguare la propria azione alla più efficace tutela degli interessi delle categorie rappresentate e alla valorizzazione della qualità dei servizi offerti al cittadino, che rappresenta la prima finalità di chi ne assume, senza indebiti condizionamenti, la responsabilità.
Vogliamo però, al tempo stesso, oltrechè svolgere la nostra funzione di denuncia, essere anche sempre portatori di proposte e pertanto, in alternativa all'ipotesi dell'azzeramento sopra contestata, riteniamo si possano studiare soluzioni diverse. Tra queste segnaliamo l'agevolazione al pensionamento attraverso l'utilizzo dell'istituto della risoluzione consensuale prevista dall'art. 27 del CCNL della dirigenza dell'area 1, cui afferisce anche quella dello Stato. E' questo un istituto importante ma impraticabile per mancanza di risorse. La nostra proposta pertanto è quella di dare copertura all'applicazione dello stesso con una soppressione fino al 50 % dei posti resi vacanti dall'attuazione del medesimo istituto. Tanto nell'ipotesi del Governo quanto in quella da noi avanzata si tratterebbe di una soluzione transitoria, applicabile una tantum, col vantaggio a favore della nostra di non violare i principi costituzionali e al tempo stesso di trovare soluzioni concordate con i singoli dirigenti che non ledano l'autonomia negoziale e che vadano anche nell'interesse delle Amministrazioni di avere strutture più agili senza aggravio di spesa.

Altre sono le disposizioni del disegno di legge sulle quali continuiamo ad esprimere il nostro dissenso. Una è quella che si riferisce alla soppressione del ruolo unico e alla riesumazione dei ruoli delle singole Amministrazioni. Noi siamo tra quelli che hanno criticato il precedente Governo per l'uso distorto che fece dell'istituto, servendosene come strumento di discriminazione per i dirigenti scomodi anziché come mezzo di valorizzazione delle esperienze maturate e delle competenze consolidate da parte dei dirigenti. Ciò ci consente però di esprimere una forte preoccupazione per il ritorno al passato, con l'inevitabile conseguenza della eliminazione di uno strumento che favorisca la mobilità del dirigente da una Amministrazione all'altra, perché riteniamo che una tale possibilità sia di stimolo all'arricchimento professionale e di sprone, anche nell'interesse generale, a conseguire risultati sempre più apprezzabili da parte di tutti. Non vogliamo passare dal Ruolo unico, che era diventato un ghetto, a tanti ghetti quali possono con facilità diventare i ruoli delle singole Amministrazioni e perciò proponiamo che al posto del Ruolo unico sia istituito l'Albo dei dirigenti pubblici, allargandone i confini a tutte le Amministrazioni, Enti e Aziende, in modo tale che la permeabilità tra un settore e l'altro di attività sia finalmente possibile, nell'interesse anche in questo caso sia del singolo per la migliore valorizzazione quanto della parte datoriale pubblica ad avere l'opportunità di scegliere i suoi dirigenti in un bacino più vasto. Del resto mal si concilia lo spirito di questa proposta governativa con quello che fin dal titolo dovrebbe informare l'intero disegno di legge, dichiaratamente teso a “favorire lo scambio di esperienze e l'interazione tra pubblico e privato”. Non credo sia sostenibile per un problema innanzitutto di credibilità promuovere la mobilità tra pubblico e privato e la maggiore permeabilità degli incarichi presso enti e organismi internazionali o addirittura presso Stati esteri, quando si torna ai compartimenti stagni dei ruoli dei singoli Ministeri. A meno che non si voglia sostenere che il travaso di esperienze sia augurabile solo tra un ufficio statale ed un'azienda privata oppure uno Stato estero, ma sia da evitare tra la direzione di un ufficio pubblico e l'altro, tra un Ministero ed un Ente Locale, ad esempio.
Altro motivo di dissenso manifestiamo sulla introduzione dell'area della vicedirigenza, della quale in primo luogo contestiamo la modalità istitutiva, l'averne cioè demandato la costituzione alla contrattazione, anziché avervi provveduto direttamente con lo strumento legislativo, fatto salvo, ovviamente, il rinvio alla contrattazione successiva per quanto attiene alla disciplina della materia. Ma, soprattutto, contestiamo alla proposta del Governo l'aver, anche in questo caso, guardato indietro ad una logica solo statocentrica, prendendo in considerazione posizioni lavorative solo ministeriali e non facendo perno sulle funzioni da valorizzare ma solo sulle qualifiche burocratiche.
La nostra proposta, invece, tende ad istituire per legge l'area di contrattazione autonoma dei quadri e quella dei professionisti, per valorizzare tutte quelle figure ad alto contenuto di professionalità che debbono essere individuate in ciascun settore o comparto di attività, senza esclusioni ingiustificate (valga per tutti il caso della scuola) e tenendo conto della necessità di uscir fuori da rigidità e griglie burocratiche o da paletti, quale quello di aver svolto funzioni delegate dal dirigente, che non rendono giustizia ad una categoria più variegata di quella rientrante nelle posizioni C2 e C3 previste dalla norma.

        Concludo con un invito ai colleghi dirigenti – anche a quelli fuori da questa sala per il tramite dei presenti - ad alzare la testa, a non subire con rassegnazione l'esito di un dibattito parlamentare ancora largamente da effettuare e pertanto tutt'altro che scontato.
        Sono in gioco per tutti i dirigenti contrattualizzati, come pure per i Prefetti e per i Diplomatici, l'autonomia della loro funzione e perciò stesso la loro dignità personale e professionale.
        Dobbiamo tutti avere la percezione che la nostra è una battaglia nell'interesse della collettività e assumere l'impegno ad allargare questa consapevolezza al di fuori delle nostre file.
        Dobbiamo far capire all'opinione pubblica che un dirigente irresponsabile, subordinato agli interessi di questo o quel partito di Governo, privo di strumenti di gestione, valutato non già per le sue capacità ma per il suo conformismo non giova certo alla comunità che ha bisogno di una pubblica amministrazione sempre più efficiente e disponibile nei confronti di tutti.
        C'è bisogno di pensare ad uno Statuto del dirigente, non solo come strumento di tutela nei confronti dello straripamento dei politici, ma come garanzia in funzione dei diritti del cittadino. Noi siamo pronti a lavorarci e diamo la nostra disponibilità a quanti fossero interessati.
        Al Governo e al Parlamento chiediamo la disponibilità ad un ripensamento complessivo sui punti del ddl richiamati, convinti come siamo che le battaglie sui principi debbano essere affrontate con coraggio, al di fuori degli interessi di bottega.