I
CAVALIERI DELL’ANDIS E L’ETICA IDEALE
Fonte: sito web ANDIS - 23 marzo
2003
Durante
la presentazione del codice etico da parte dei
rappresentanti dell’Andis, mentre i relatori
presentavano i risultati del proprio lavoro, e
facevano alcune considerazioni in merito alle
ragioni per cui avevano sentito l’esigenza di
dotarsi di un codice etico, mi sentivo sempre più
coinvolto ed interessato rispetto agli argomenti
che erano stati introdotti quali, l’etica
pubblica, la necessità di formare l’uomo e il
cittadino rispetto al bene comune.
Uscivo
da quest’incontro soddisfatto e stimolato, nel
vedere che questi valori erano patrimonio di molti
e soprattutto che si desiderava realizzarli nel
mondo della scuola. Nel tornare a casa durante il
tragitto in auto però qualcosa cominciava a farsi
largo nei miei pensieri, tra un sorpasso ed una
frenata, si faceva sempre più presente
un’immagine che durante l’incontro non aveva
avuto modo di manifestarsi, l’immagine
dell’eroe, di una tavola rotonda di re Artù ove
i rappresentanti dell’Andis, sguainando la spada
dell’Etica prendevano su di sé un compito molto
difficile. Di fronte ad un mondo oscuro, dove la
politica sia nazionale sia internazionale soffoca
e reprime i valori naturali, e non guarda al bene
comune, l’Andis si riprometteva di andare
"contro tendenza."
Non
c’è si badi bene, in quest’osservazione
alcun’aggressione o svalutazione nei confronti
di chi ha saputo creare e produrre, con fatica ed
impegno, un codice etico e quindi non c’è nulla
di strano se attraverso questi interventi
s’intendeva delineare un percorso che mettesse
in evidenza un aspetto ideale (l’etica pubblica)
al quale ispirarsi per portare avanti al propria
strada. L’uomo ha sempre avuto bisogno di ideali
cui guardare e in cui credere, ma un conto è
mettere l’ideale al servizio dell’Io altro è
identificarsi con quell’ideale ritenendo
d’essere colui che lo rappresenta.(il mito
dell’eroe)
L’ideale
è un potente motore, che mette in movimento
energie inimmaginabili, ma è anche una trappola
che può bloccare e incatenare quelle stesse
risorse che prima aveva liberato e questo accade
nel momento in cui ci si identifica in esso.
Allora non è più qualcosa di "altro"
da me che rappresenta una meta, un obiettivo, ma
io sono quell’ideale che devo rappresentare nel
mio agire.
L’ideale
assume così una valenza assoluta, e l’assoluto
per sua natura rifugge la complessità del
pensiero, poiché si esprime prevalentemente
attraverso idee semplici e lineari, ma potenti,
che sono sempre esposte attraverso una
contrapposizione netta e inequivocabile: da una
parte l’impero del bene dall’altra quello del
male, da una parte la dittatura di Saddam
dall’altra la libertà di Bush. O sei con me o
contro di me. Questo è l’ideale nel momento in
cui ci si identifica e ci si con-fonde in lui.
Se
non c’è una certa distanza tra Sé e l’ideale
si finisce per fare la fine di Icaro che si bruciò
le ali poiché si era avvicinato troppo al sole.
Da qui la necessità di ricorrere al pensiero e
soprattutto alla "fatica di pensare" che
si contrappone alle idee monolitiche, univoche,
semplici, che sono espresse nell’ideale: "Per
la pace, senza se e senza ma" recita uno
slogan pacifista, che non lascia alcun dubbio,
rispetto alle devastanti conseguenze che potrebbe
avere, visto che sono negati quei "se" e
quei "ma" che avrebbero salvato Icaro
dall’avvicinarsi troppo al sole.
La
mia impressione è che i rappresentanti dell’Andis
abbiano risvegliato e configurato un ideale
dell’etica pubblica che va verso l’assoluto e
che si discosta e si allontana nettamente da
quella "fatica di pensare" che era stata
menzionata all’inizio della conferenza, quale
strumento elettivo per affrontare il complesso e
difficile mondo dell’etica.
L’esempio
dell’automobilista che uscendo dal parcheggio
tampona un auto in sosta, racchiude, nella sua
lineare semplicità, questo rischio. Il
comportamento etico da assumere, rispetto a questo
esempio è quello di lasciare un bigliettino con
il proprio numero di telefono per riparare al
danno fatto, anche se pochi, veniva detto, in
realtà lo fanno.
Tuttavia
se entriamo più nello specifico ed andiamo ad
esaminare alcune variabili che entrano in gioco in
questo esempio, cercando di renderlo più
complesso e meno lineare, allora vediamo come la
situazione si complica.
Introduciamo
le seguenti variabili:
L’automobilista che tampona l’auto in
sosta non conosce il proprietario
dell’auto danneggiata e si allontana senza
lasciare i propri dati personali;
L’automobilista che tampona l’auto in
sosta conosce il proprietario dell’auto
danneggiata e si allontana senza lasciare i
propri dati personali;
L’automobilista che tampona l’auto in
sosta non conosce il proprietario
dell’auto danneggiata e lascia i propri dati
personali;
L’automobilista che tampona l’auto in
sosta conosce il proprietario dell’auto
danneggiata e lascia i propri dati personali;
(vediamo
solo alcuni possibili esempi)
a)
L’automobilista teme che la propria
compagnia di assicurazioni non paghi il danno;
L’auto danneggiata è una Ferrari e
l’automobilista proprietario di una Fiat Tipo
ritiene che il danneggiato abbia abbastanza soldi
da pagarsi la riparazione;
L’automobilista ha fretta poiché sta
portando la figlia in ospedale che sta molto male;
L’automobilista e rischia di arrivare in
ritardo all’appuntamento con la propria ragazza
che ha minacciato di lasciarlo se anche questa
volta arriverà in ritardo;
b)
L’automobilista riconosce che il
proprietario dell’auto danneggiata aveva,
qualche mese prima, rigato la sua auto con la
bicicletta;
Il proprietario dell’auto danneggiata è
il nuovo compagno con il quale si è messa la
moglie dell’automobilista da quando si sono
separati;
Il proprietario dell’auto danneggiata è
il collega di lavoro che ha sempre ritenuto idioti
coloro che fanno un danno alle auto in sosta e
lasciano poi il proprio numero telefonico;
Il proprietario dell’auto danneggiata ha
affittato l’appartamento nel quale vive
l’automobilista e nonostante questi gli abbia
detto che ha un figlio gravemente ammalato e di
aspettare ancora un anno per lo sfratto, il
proprietario dell’auto danneggiata non ha voluto
sentire ragioni;
c)
L’automobilista si sente in colpa perché
durante la settimana non ha fatto ancora nessuna
buona azione e forse è il caso che cominci a
farlo;
L’automobilista teme di essere scoperto
e di subire delle conseguenze;
L’automobilista pensa che facendo in
questo modo darebbe l’esempio e altri potrebbero
poi fare come lui;
d)
Il proprietario dell’auto danneggiata è
una bella ragazza che l’automobilista non è mai
riuscito a contattare e lasciare i propri dati
potrebbe rivelarsi una buona occasione per farlo;
Il proprietario dell’auto danneggiata è
quella del principale dell’azienda nel quale
lavora l’automobilista;
Il proprietario dell’auto danneggiata è
un caro amico conosciuto da molto tempo e che lo
ha aiutato in momenti difficili;
In
tutti questi esempi, e molti altri ancora, qual è
il comportamento etico più corretto, se mai sia
"corretto" usare questo termine? Ma
soprattutto può il comportamento etico essere
separato da una serie di ragioni intime che
finiscono per interessare la persona nel momento
in cui deve prendere una decisione? O possiamo
pensare che queste ragioni non devono essere
tenute in considerazione poiché il comportamento
etico è al di sopra di tutto e di tutti? O che
comunque debba essere automatico?.
Forse
qualcuno potrebbe anche pensare (la fatica di
pensare) che è inutile fare tutti questi
ragionamenti visto che ciò che è importante è
l’esempio e tra chi scappa e chi lascia il
proprio recapito telefonico è certamente
preferibile, mille volte, il secondo.
E
allora, è un comportamento etico quello di fare
qualcosa perché altri danno l’esempio?
Come
si vede le domande sono molte e le risposte
potrebbero essere altrettante, e non, secondo un
modo lineare di pensare, una sola che va bene
sempre e comunque.
La
ricerca di un comportamento etico, che non sia
"ideale", finisce allora per rifrangersi
in un gioco interminabile di specchi che ne
moltiplicano le prospettive finendo per dare
l’impressione che tutto ciò conduca ad una
cultura relativistica in perpetua deriva, ove
l’unico dato certo è la natura dell’uomo, con
le sue contraddizioni, le sue ipocrisie, la sua
creatività.
Del
resto il comportamento etico non è un articolo di
fede, ma uno strumento di conoscenza che sfugge ad
ogni forma di indottrinamento, e conduce invece
alla visione del proprio limite rispetto ad una
verità che si annuncia nel suo allontanarsi, come
diceva un antico proverbio taoista: "Cercare
la verità è come stanare un ladro, nascosto
nella foresta, picchiando forte su un
tamburo."
Se
l’etica riguarda l’uomo, che è alla base di
ogni potenzialità, allora bisogna partire dalla
premessa che ognuno di noi si
percepisce in cammino lungo una strada, che è
sempre in trasformazione e mai compiuta e questa
via, fatta di esperienze, paure ed emozioni, di
immagini, di pensieri, di intuizioni, di costrutti
razionali non può mai diventare un modello con
caratteri universali, se non contraddicendo il
principio stesso della sua costituzione.
Dr.
Ezio Ciancibello
Psicologo-Psicoterapeuta.
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