PROGRAMMI E DEVOLUTION
La
legge Bossi sulla devolution è …
incostituzionale? Diciamo che esiste un errore
tecnico-legislativo che potrebbe inficiarne la
applicazione.
Questo
è il mio parere, confortato da quello di alcuni
esperti consultati.
Da
una lettura attenta infatti del testo del ddl n.
1187 (la famosa modifica all’art. 117 già
modificato dal centro-sinistra) approvato
recentemente dal Senato, si evidenzia un errore
tecnico-giuridico, apparentemente solo
terminologico e non visibile a chi non mastica di
normativa scolastica, ma secondo me importante,
che rischia di rendere inapplicabile l’intero
articolo: la legge in sostanza andrebbe
modificata, pena la sua nullità, almeno in una
parte non di poco conto. Mi scuso per le
argomentazioni tecniche, ma altrimenti non si
capirebbe il senso di quanto affermo.
Il
testo approvato,come si sa, si compone di sole 11
righe e recita:
"Le
Regioni attivano la competenza legislativa
esclusiva per le seguenti materie:
omissis
c)
definizione della parte dei programmi scolastici e
formativi di interesse specifico della Regione
omissis"
Ora
si dà il caso che l’espressione "programmi
scolastici" sia sbagliata in quanto i
"programmi scolastici" non esistono più
nella normativa (e un po’ meno nella prassi
didattica) a partire almeno dalla L. 59/97 (legge
Bassanini) e dalle norme derivate. Infatti, nel
D.P.R 275/99 (quello famoso che introduce nei
fatti l’autonomia scolastica) essi sono stati
sostituiti dai "curricoli"; e la
sostituzione non è semplicemente terminologica,
come dimostrerò.
Infatti
all’art. 8 del suddetto DPR (Definizione dei
curricoli) si dice che il Ministero
"definisce a norma dell’art. 205 del D.Lgs.
297/94 .. per i diversi tipi e indirizzi di
studio:
gli
obiettivi generali del processo formativo
gli
obiettivi specifici di apprendimento
relativi alle competenze degli alunni
le
discipline e le attività costituenti la
quota nazionale dei curricoli e il relativo monte
ore annuale
l’orario obbligatorio annuale complessivo dei curricoli
comprensivo della quota annuale obbligatoria e
della quota obbligatoria riservata alle
istituzioni scolastiche (sottolineature
mie) ecc.
Non
si parla mai di "programmi scolastici"
che infatti si intendono superati. Quando parliamo
di "programmi scolastici" ci riferiamo
nel parlare corrente (e anche nel modo di
esprimersi giornalistico) all’elenco dei
contenuti o degli argomenti costitutivi di una
"materia" o disciplina: i programmi di
storia, i programmi di matematica, tanto per
intenderci. Fino a qualche anno fa infatti era lo
Stato a fissare i "programmi" (nei Licei
sono ancora adesso in vigore i Programmi Gentile
del 1923!) e le Scuole dovevano adeguarsi.
Dal
1999, come dicevo, lo Stato ha attribuito tale
facoltà alle Scuole, limitandosi a fissare
"obiettivi" e "standard", ma
non entrando nei "contenuti". Infatti,
sempre nel D.P.R. 275/99 all’art. 4 si dice
"Le istituzioni scolastiche … concretizzano
gli obiettivi nazionali in percorsi
formativi… " vale a dire che
i "programmi" li fa la Scuola sulla base
delle indicazioni del Ministero.
Quelli
che normalmente e impropriamente chiamiamo i
programmi Berlinguer/De Mauro o gli stessi
Programmi Moratti non esistono come
"Programmi" bensì come
"Indicazioni nazionali" o "Piani di
studio personalizzati" e se li andiamo a
leggere si riferiscono a "obiettivi di
apprendimento" per le singole discipline
senza più indicare i "contenuti" (anche
se nei Piani di studio Moratti a dire il vero si
tenta di ritornare proprio ai contenuti,
ufficialmente abrogati).
In
sostanza lo Stato fissa gli obiettivi generali e,
a livello disciplinare, definisce i vari tipi di
scuola, il quadro orario (quello che si definisce
il "piano di studio") dei vari
indirizzi, indica i "profili di uscita"
(e questi devono essere rispettati su tutto il
territorio nazionale) mentre affida alle Scuole i
"percorsi formativi" ossia i
programmi delle singole discipline.
Ciò
in linea non solo con il discorso
sull’autonomia, ma anche con gli indirizzi
prevalenti nell’odierna pedagogia e didattica.
In sostanza:
NIENTE PIU’ PROGRAMMI NAZIONALI - questo è un dato ormai acquisito nella normativa
(nella prassi didattica non sempre, anche perché
dal 1999 il Ministero non ha ancora ufficialmente
enunciato gli obiettivi e gli standard come
previsto dal DPR 275/99).
Tornando
quindi alla modifica del 117 proposta da Bossi,
come fanno le Regioni a riservarsi una "parte
dei programmi scolastici", visto che essi non
esistono più? Esiste la "parte" del
nulla? Avrebbero dovuto dire tutt’al più
"la parte dei piani di studio" o del
"quadro orario" o più esattamente della
"quota di curricolo" che come si
è visto è distinta in "quota
nazionale" e "quota locale" (per il
momento riservata alla Scuole e domani, chissà,
alle Regioni, anche se con l’emendamento
Bassanini introdotto al Senato, "salva
l’autonomia delle Scuole", non si sa come
va a finire: quota nazionale, quota regionale e
quota delle Scuole? Mah! vedremo).
Quello
che resta comunque certo è la imprecisione dei
termini usati nella legge, il che, a mio parere,
come dicevo all’inizio, rende la stessa
inapplicabile. Cosa farà ora l’opposizione?
Lascerà perdere, visto che neanche loro si sono
accorti della cosa, o prenderà la palla al balzo?
Ciò
che mi meraviglia è che con tanti esperti in
legislazione scolastica (nella maggioranza e
nell’opposizione) nessuno si sia accorto della
cosa.
P.S.
Chi scrive avrebbe voluto dire queste cose nel
corso della trasmissione "Ballarò" alla
quale era stato invitato martedì scorso (il
giorno prima dell’approvazione della legge in
Senato) ma non gli è stato consentito dal
conduttore "per ragioni di tempo"!
Prof.
Pasquale D’Avolio
Dirigente
Scolastico Istituto comprensivo di Arta- Paularo
(UD)
Referente
Regionale ANDIS
(Associazione
Nazionale Dirigenti scolastici)
|