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Sito telematico dedicato all'informazione, al confronto, al dibattito sui problemi connessi con il primo CONTRATTO DEI DIRIGENTI SCOLASTICI – a cura del D.S. Paolo Quintavalla  in servizio presso la Direzione Didattica 3° Circolo di Parma - In Rete dal maggio 2000 –

 

 

 

 

Commento sul disegno di legge 

di riforma degli Organi collegiali

Sito web ADI - Associazione Docenti Italiani - marzo 2003

L’ADi riconosce che il disegno di legge, eliminando la prescrittività di alcuni organi, costituisce un primo parziale tentativo di snellire il governo delle istituzione scolastiche  e ritiene che affidare alle scuole l'individuazione e la definizione degli organismi più funzionali ai propri progetti educativi possa favorire il passaggio da una collegialità ritualistica ad una sostanziale. Eliminare la prescrittività, d'altro canto, non significa abolire ad esempio i consigli di classe (come si dice), ma più semplicemente non imporli, e non imporre, qualora li si voglia riattivare, i modi e i tempi entro cui erano stati confinati  da leggi e contratti. Starà all’autonoma capacità organizzativa dei docenti darsi, senza rigidità di vincoli aprioristici, la possibilità di organizzarsi al meglio, di uscire dalle secche dei  ritualismi, di ricercare modalità di lavoro che favoriscano la costruzione di una vera “comunità professionale”. Aumentare le possibilità di scelta significa accrescere l'autonomia delle scuole.

Ciò premesso rileviamo:

  1. Una questione preliminare: il mancato rispetto del nuovo art.117 della Costituzione. Secondo il nuovo articolo 117 della Costituzione, lo Stato, in materia d’istruzione, può solo definire le norme generali” e i “principi fondamentali”. La restante potestà legislativa è trasferita alle Regioni, fatta salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche. L’articolo 1 comma 2 del presente disegno di legge richiama tale norma, specificando che “Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, terzo comma, della Costituzione. Le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano esercitano la propria potestà legislativa nel rispetto dell’autonomia delle istituzioni scolastiche”. Dovremmo pertanto trovarci di fronte a un  testo di “principi fondamentali”, ossia di concetti generali che si pongono a fondamento delle successive norme. Ma proprio qui nascono i primi problemi. Si può considerare  un “principio fondamentale” la disposizione che definisce dettagliatamente la composizione del Consiglio della scuola in 11 membri minuziosamente individuati? Si può considerare un “principio fondamentale” l’indicazione meticolosa della composizione del “nucleo di valutazione”? E ancora può considerarsi un principio fondamentale la formulazione puntuale di tutti i compiti del Consiglio di scuola? Queste domande potrebbero continuare. Ma non basta. Se su queste disposizioni interverranno ulteriori leggi regionali, come la Costituzione prevede, ci si chiede cosa rimarrà all’autonomia delle scuole (costituzionalmente garantita!) se non l’indicazione del colore delle calze e dei calzini degli 11 membri del Consiglio.  Purtroppo il dibattito sull’autonomia stenta a decollare, sia nell’uno che nell’altro schieramento politico. E’ invece, a nostro avviso, di fondamentale importanza perché si inserisce in una vicenda più complessa e preannuncia la fine del modello di scolarizzazione e alfabetizzazione messo a punto in questi ultimi secoli nel mondo occidentale. Occorre che si diffonda la cultura dell’autonomia, e insieme ad essa l’opposizione a qualsiasi progetto che la mortifichi, nella fattispecie non solo molti aspetti di questo disegno di legge, ma anche la legge delega di riforma della scuola, nonché il progetto di nuova revisione costituzionale varato dal Consiglio dei Ministri nel dicembre 2001, il quale  affida la “gestione degli istituti scolastici” alle Regioni. Se saranno le Regione a gestirli, non saranno più, sicuramente, autonomi!

  2. Non si sono fatti fino in fondo i conti con i limiti e i fallimenti degli Organi Collegiali del 1974.  Questo disegno di legge non analizza e non trae fino in fondo le conseguenze del fallimento degli attuali organi collegiali, del progressivo svuotamento della partecipazione dei genitori e degli studenti (le peripezie dei capi d’istituto per accalappiare qualche genitore da  eleggere nei vari consigli è cosa nota, così come è nota la caduta verticale dei votanti). Noi chiediamo invece che si prenda con coraggio atto che la gestione partecipativa anni ’70 è conclusa. Pur non sottovalutando il fatto che in tutti i Paesi europei gli organi di governo della scuola vedono la partecipazione di genitori e studenti, riteniamo che la nuova ricerca di soluzioni debba in primo luogo fare i conti con la nostra vissuta esperienza e con una spassionata analisi dei fallimenti che abbiamo registrato . Noi riteniamo che a genitori e studenti vada assegnato un ruolo sostanziale più importante e meno ritualistico. Devono essere garantite loro tutte le possibili autonome forme di aggregazione e di associazione all’interno della scuola e fra scuole, devono essere assicurate loro tutte  le opportune strumentazioni, comprese le tecnologie informatiche, per facilitare i contatti e la comunicazione, deve essere garantita la disponibilità della scuola al confronto, all’ascolto e alla tempestiva valutazione delle loro richieste e/o rimostranze. Riteniamo però che vada anche  con chiarezza  dichiarato che la responsabilità del governo della scuola è di coloro che, dirigente scolastico, operatori della scuola e Ente locale, di essa rispondono in modo continuativo e lo devono fare di fronte alla società, non solo a chi, in un momento specifico della propria vita, frequenta o entra in contatto con la scuola.

  3. Va affermata ed esplicitata l’esigenza di un’adeguata organizzazione tecnico scientifica fondata anche su specifiche e certificate competenze dei docenti. Un efficace gestione della scuola deve poter contare non solo su un dirigente scolastico adeguato e qualificato, ma su una leadership professionale  dei docenti, capace di sostenere  le complesse esigenze delle scuole autonome, in primo luogo quelle culturali. Ciò significa che assieme alla  responsabilità del dirigente scolastico va affermata anche quella di una competente fascia della docenza (comprendente anche  la figura del vicario) che costituisca un vero e proprio sviluppo di carriera. Vale la pena di ricordare che i dirigenti scolastici sono diventati tali attraverso una legge, la L.59/97 istitutiva dell’autonomia scolastica, e che quella stessa legge stabiliva che lo sarebbero diventati in connessione con l’individuazione di nuove figure professionali del personale docente”(art. 21 comma 16). E’ dunque tempo che siano istituite queste ”figure professionali”, per non lasciare al solo dirigente la gestione della scuola. I “contenuti e le specificità” di queste figure, vanno individuati, come è stato per la dirigenza, attraverso strumenti legislativi.  Il modo d'intervenire più appropriato è una ridefinizione dello stato giuridico che tenga conto delle nuove funzioni che gli insegnati sono chiamati a svolgere nella scuola dell'autonomia. E' interessante notare che l'attuale stato giuridico risale ai Decreti delegati del 1974, esattamente come gli organi collegiali che si stanno cambiando.

  4. La questione valutativa e i “ Nuclei di valutazione del funzionamento dell’istituto. Nella prospettiva dell’autonomia, ossia della “scuola del progetto”, la questione valutativa diventa centrale. Non si può progettare senza valutare, né si può diffondere fra i docenti l’etica della responsabilità se non si stabiliscono rigorosi strumenti e qualificate modalità di valutazione dell’attività educativa. Ciò premesso, occorre però distinguere con chiarezza due processi. Il primo, interno alla scuola e strettamente connesso alla progettazione curricolare e didattica, che si esplica sia nella valutazione degli apprendimenti sia come autovalutazione dei docenti, sia come autoanalisi di istituto . Queste valutazioni competono agli insegnanti e agli apparati  tecnico scientifici liberamente individuati e costituiti dalla scuola. E sono strumento indispensabile di miglioramento. Il secondo che dovrebbe sostanziarsi in una valutazione istituzionale affidata ad organismi o agenzie esterne alla scuola, altamente qualificate e competenti, debitamente accreditate e in collegamento con l’INVALSI. Come è avvenuto  in tutti i Paesi, dove all’autonomia delle scuole è corrisposta l’assunzione da parte dello Stato o delle Regioni della responsabilità della valutazione dell'efficacia e dell'efficienza del servizio erogato dalle singole istituzioni autonome. Riteniamo, pertanto, che l’ibrido “Nucleo di valutazione del funzionamento dell’istituto”, composto da un genitore “Garante”, da un docente e da un esterno deciso dal Consiglio di scuola, sia non solo strumento inefficace, ma anche concettualmente sbagliato e come tale da eliminare.

  5. Le modalità e le sedi per la valutazione collegiale degli alunni devono essere definite dal Collegio dei docenti. C’è ambiguità nel testo su chi debba decidere le sedi collegiali idonee per la valutazione degli alunni. Noi riteniamo che esse debbano essere esplicitamente lasciate alla responsabilità decisionale del collegio e vadano collegate all’attività di progettazione.

  6. Da organi di partecipazione a organi di servizio: l’attività svolta va retribuita. L’ipotesi da noi formulata è quella di organi non di partecipazione “politica”, ma  di servizio a sostegno dell’autonomia. In questa impostazione, che richiede professionalità e specifiche competenze, il lavoro svolto in questi organi deve essere  retribuito.

 

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