19 marzo 2020
Nei primissimi tempi, quando il COVID-19 non aveva ancora questo nome, era un'epidemia solo in Cina e ce n'erano solo due o tre casi in Italia, l'informazione era corretta. La gente sapeva che si trattava di una malattia pericolosa e fortunatamente lontana da noi. Poi in Lombardia è scoppiata un'epidemia e non si è riusciti a confinarla. Il governo si è preoccupato che non dilagasse il panico, quindi ha detto chiaro e tondo (ricordo d'averlo sentito in TV) che se qualcuno avesse fatto allarmismo sarebbe stato perseguito penalmente. Le trasmissioni televisive si sono adattate con una prontezza ed efficienza da lasciare di stucco: nel giro di qualche giorno gli esperti che facevano sentire la loro voce in TV hanno esibito toni rassicuranti e parole in netto contrasto con quelle iniziali. In pochi giorni il COVID-19 è stato ridimensionato mediaticamente da malattia pericolosa a poco più che una banale influenza; i precedenti toni di allarme sono stati definiti immotivati e isterici. Ho assistito allibito a questo tragico passaggio da informazione a disinformazione, una disinformazione gravissima perché induce la gente a sottovalutare il pericolo e a non prendere le precauzioni necessarie. Non che non ci fossero esperti capaci e desiderosi di dire la verità, come il virologo Burioni (qui, qui e qui): semplicemente, non erano mai loro a venire intervistati.
Poi i morti hanno iniziato ad aumentare, gli ospedali del nord sono attualmente al collasso, non si sa piu' dove ricoverare i malati, ma gli stessi esperti continuano a minimizzare: dicono ancora che è più o meno come un'influenza e che il sovraffollamento ospedaliero è dovuto solo al fatto che gli ammalati sono troppo concentrati in un breve lasso di tempo anziché essere distribuiti nell'arco di tutto un anno. Non è vero neanche questo; non è quello il motivo dell'affollamento, come spiego nel seguito.
Qualcuno, come Burioni, cerca di fare chiarezza, ma molti lo fanno appellandosi più all'emozione che alla ragione (dicendo cose come "sono ricoverato in rianimazione, me la sono vista brutta") e la gente non sa a chi credere. Io quindi, nel mio piccolo, farò una cosa un po' diversa: a beneficio delle persone come me, meno emotive e più razionali, entrerò un po' nel tecnico e spiegherò per quali motivi certi esperti dicono che il COVID-19 è solo poco più che un'influenza, e poi spiegherò cosa c'è di sbagliato in quei motivi.
Perché il COVID-19 sarebbe poco più che un'influenza? Perché, oltre alla somiglianza dei sintomi (entrambi attaccano le vie aeree e possono arrivare a compromettere i polmoni, anche se la normale influenza lo fa indirettamente, uccidendo le cellule ciliate e favorendo l'insorgenza di polmoniti batteriche (peraltro curabili con antibiotici), mentre il COVID-19 attacca i polmoni di suo, fonte Burioni), ogni anno in Italia la comune influenza colpisce mediamente circa un decimo della popolazione (fonte), facendo dai 5 ai 25 mila morti (fonte). Dato che si è stimato che la mortalità del COVID-19 sia circa dell'1% (ci torno dopo), ecco che a parità di numero di ammalati il COVID-19 dovrebbe uccidere circa 60 mila persone (il calcolo è facile: l'Italia ha 60 milioni di abitanti, si divide per 10 per avere gli ammalati, poi di questo numero si prende l'1%). C'è poi una gran differenza tra gli oltre 20 mila morti di certe brutte annate influenzali (come la 2016/17, quasi 25 mila morti stimati) e i 60 mila del COVID-19? Quest'ultimo è solo un po' più mortale di una normale influenza.
Oltre a cio', c'è chi va ancora più in là: il COVID-19 finora ha fatto molti meno morti dell'influenza (oggi mentre scrivo siamo arrivati a 2978). E poi non sono davvero morti per il virus, sono morti con il virus, perché le persone morte avevano quasi sempre altre patologie, quindi come facciamo a dire che sono morti per il virus? Magari la causa principale della morte era un'altra.
E ora vi spiego perché questi esperti sbagliano.
Cominciamo dalla mortalità. Intanto non siamo ben sicuri di quale sia la mortalità del COVID-19. La mortalità è il rapporto tra numero di morti e numero di contagiati; purtroppo è difficile sapere quanti siano i contagiati. Quando l'epidemia va fuori controllo e fa grandi numeri, come in Cina e in Italia, è pressoché sicuro che solo una parte dei contagiati sia stata individuata; per questo la mortalità a Wuhan e in Italia sembra altissima. D'altra parte, un altra fonte di errore che spinge nel verso opposto è che mentre il morbo dilaga in modo esponenziale il grosso dei contagiati è recente e non ha ancora avuto il tempo di morire. La stima dell'1% è quindi molto approssimativa e credo che si basi sui pochi casi verificatisi nel resto del mondo in paesi che riuscivano, all'epoca, a confinare il contagio, facendo il tampone a tutti i potenziali contagiati e mettendo in quarantena tutti i positivi. Cercando un po' in rete si trovano stime molto diverse: ad esempio, "probabilmente circa o un po' meno dell'1%" (The Guardian), "circa l'1,4%" (StatNews), varie stime da 2% a 3.4% eseguite con metodi diversi (Worldometer). A complicare le cose, con il passare del tempo l'esperienza dei medici cinesi è andata migliorando e con la scoperta che alcuni farmaci mostravano un po' di efficacia la mortalità è andata diminuendo. Nel resto di questo breve testo userò come stima di mortalità l'intervallo 1-2%, portando dietro nei calcoli successivi tutta l'incertezza che comporta. Quindi ecco che la stima di 60 mila morti, tanto per cominciare, diventa un meno ottimistico "da 60 a 120 mila".
Capire quanti morti faccia la comune influenza è già più facile, ma non immediato. Le persone che i medici ospedalieri dichiarano morte per influenza sono poche centinaia l'anno in Italia. Quindi da dove viene quella stima di 5-25 mila morti? Viene da un'analisi statistica in cui si confronta l'andamento nel corso dell'anno delle ondate influenzali con quello del numero giornaliero di morti per tutte le cause. Si vede che quando c'è più influenza, muore un po' più gente, anche se queste persone non risultano ufficialmente morte d'influenza, ma magari di infarto, tumore, eccetera. Questo significa che quelle centinaia di morti dichiarati per influenza sono persone che l'avevano presa in forma grave, con complicanze, mentre quei 5-25 mila morti statistici l'avevano presa perloppiù in forma non grave (perché altrimento i medici l'avrebbero considerata la causa della morte) ma sufficiente a fiaccare l'organismo, rendendolo meno capace di resistere ad altre e ben più gravi patologie di cui soffrivano.
In sintesi: l'influenza provoca centinaia di morti per forma grave e qualche decina di migliaia per forme lievi che colpiscono persone molto vulnerabili. Cosa fa il COVID-19? Be', di lui non sappiamo rigorosamente nulla, possiamo solo stimare quanti morti fa per la forma grave: forse l'1%-2%. Quindi avremmo una stima di 60-120 mila morti per forma grave; non sappiamo ancora quanti morti farebbero le forme lievi perché l'analisi statistica si fa molto a posteriori.
Ecco quindi il primo errore: confrontare mele con pere, la mortalità palese per forme gravi di una malattia con quella statistica per forme lievi di un'altra. Sarebbe più onesto confrontare le stesse cose, solo che allora ci si accorgerebbe che, se l'influenza fa centinaia di morti per forma grave mentre il COVID-19 può farne 60-120 mila, evidentemente il COVID-19 è oltre cento volte peggio dell'influenza. Questo è il motivo principale per cui gli ospedali sono in tilt. Non è che il COVID-19 stia colpendo in modo concentrato in un periodo troppo breve, come è stato detto; finora (mentre scrivo) avrà contagiato alcuni millesimi della popolazione italiana, molto meno di quanto avrebbe fatto la comune influenza. È che è davvero centinaia di volte più pericoloso a parità di numero di infettati.
Ma uno può ancora ostinarsi a ignorare la questione della gravità, ignorare che essere ricoverato in rianimazione non è tanto bello anche per chi alla fine sopravvive, e guardare solo i numeri: i morti sono morti e il resto non conta. Personalmente non sono d'accordo, ma per amor di discussione lo concedo. Il problema è che i numeri non sono comunque quelli, per due motivi.
Il confronto tra le mortalità di COVID-19 e influenza riportato sopra è fatto ovviamente a parità di numero di infettati, ma non sarà questo il caso. L'epidemia di COVID-19, se non riusciremo ad arrestarla, colpirà certamente ben più del misero 9-10% della popolazione che l'influenza mediamente contagia ogni anno, perché non abbiamo anticorpi contro il COVID-19. Per quanto il virus dell'influenza muti un po' ogni anno, gli anticorpi rimasti nell'organismo dalle infezioni precedenti non diventano del tutto inefficaci, anche se questo varia molto da persona a persona (fonte Burioni). Inoltre, per l'influenza abbiamo il vaccino per le persone più a rischio. Ho sentito qualcuno stimare una percentuale di contagi da COVID-19 tra il 20% e il 70%; altri danno per scontato che si arrivi al 60-70%. L'aneddotica sembra confermare l'alta contagiosità del COVID-19; abbiamo tutti sentito storie di positivi che vanno in ospedale e contagiano al volo medici e infermieri. Supponiamo, e forse sono ottimista, che si infetti il 50% della popolazione. L'1-2% di 30 milioni di persone sono 300-600 mila, non 60-120 mila.
Ma l'1-2% è la mortalità della malattia ben curata. Dato che in caso di epidemia fuori controllo i casi gravi saranno più d'un milione e solo una piccolissima minoranza troverà posto in rianimazione, quella mortalità deve salire. Non sappiamo di quanto; mi pare ragionevole almeno raddoppiarla (i respiratori che gli ospedali stanno cercando di procurarsi serviranno bene a salvare una buona fetta degli ammalati, no? Altrimenti tanto varrebbe non curare nessuno), e si arriva già a 600 mila - 1,2 milioni di morti. E questi sono solo i morti per la forma grave; non stiamo contando quanti morti potrebbe fare la forma più lieve quando colpisce persone vulnerabili. Personalmente stimo che possa farne altri 50-100 mila, prendendo i circa 10-20 mila morti che fa la comune influenza e moltiplicando la cifra per 5 per la maggiore infettività. La mancanza di un vaccino dovrebbe aumentare ulteriormente la cifra, dato che l'influenza fa quei morti nonostante la disponibilità di vaccini per le persone a rischio; non abbiamo vaccini per il COVID-19. Facciamo cifra tonda (e ottimistica) e diciamo che siano almeno 100 mila morti in più; si arriva a 700 mila - 1,3 milioni di morti. È una stima molto incerta, più un ordine di grandezza che altro, e ancora moderatamente ottimistica. Per quanto ne sappiamo i morti potrebbero essere 300 mila come un paio di milioni, ma una stima anche approssimativa è sempre meglio di niente.
Ecco, anche tralasciando la sofferenza dei ricoverati e lasciando parlare solo i freddi numeri di morti, mi pare dura sostenere che il COVID-19 sia poco più che un'influenza.
E per la storia che i morti da COVID-19 sono morti con il virus, non per il virus? Francamente, mi sembra ridicolo. È semmai una cosa che si potrebbe dire dei 5-25 mila morti comunemente attribuiti all'influenza per via statistica, nonostante i medici ne considerassero la gran maggioranza come morta non per influenza ma per tutt'altro. I numeri di morti per COVID-19 di cui disponiamo non sono una deduzione statistica: sono i decessi constatati dai medici. Vogliamo davvero pensare che, se un paziente si ammala di COVID-19, viene ricoverato, le sue condizioni si aggravano, i medici lo mandano nel reparto rianimazione, lo intubano, lo collegano a un respiratore, nonostante questo il livello di ossigeno nel sangue (monitorabile con gli strumenti opportuni) cala e infine il paziente muore, possiamo dire che dato che aveva anche diabete e ipertensione non sappiamo di cosa è morto? Ma per favore! Questo è negare l'evidenza! Ci saranno anche i morti per forme lievi di COVID-19, come per l'influenza, ma non li stiamo rilevando. Mica si fa un tampone a chiunque muoia in ospedale di infarto, tumore o altro. Quand'anche si facesse, non farebbe molta differenza. Qual'è la probabilità di imbattersi per caso in un italiano che sta per morire per una qualunque patologia, diciamo entro un paio di settimane? Dato che in una vita di 80 anni ci sono oltre 4000 settimane, la probabilità che un italiano scelto a caso sia nelle sue ultime due settimane di vita è circa 1/2000 (lo 0,05%). Se i positivi al COVID-19 che sono morti fossero davvero morti d'altro, come qualcuno sembra pensare, la mortalità dell'1-2% sarebbe assolutamente inspiegabile, dato che solo lo 0,05% dei positivi morirebbe d'altro entro un paio di settimane. La cosa più assurda è che le persone che tentano di attribuire ad altre cause la mortalità palese da COVID-19 sono le stesse che accettano senza discussioni la mortalità "lieve", statistica, da influenza: doppiopesismo all'estremo, di cui probabilmente non si rendono neanche conto.