POSTFAZIONE
Ciò che traspare da questo testo di George Sand è la passione incondizionata e senza ombre per il teatro dei burattini. Una passione sincera e coinvolgente che è fatta di intimo divertimento e di sicura padronanza intellettuale degli aspetti materiali e spirituali dell’arte burattinesca. Tale dominio intellettuale permise all’autrice di cogliere e apprezzare peculiarità fino allora insospettate in questo genere di spettacoli.
Ci si svela dunque in quest’opera, da un lato, una George Sand inedita che, abbandonati gli ardori politici e sentimentali che l’avevano resa protagonista del romanticismo francese, si ripiega su una dimensione più domestica e pacificata. E dall’altro, una George Sand in cui l’impellenza della scrittura si applica a un soggetto raramente abbordato dalla cosiddetta cultura alta. La consapevolezza degli strumenti espressivi di questo teatro e la conseguente profondità di analisi, sono poi i caratteri di un saggio che proiettano Il teatro dei burattini di Nohant nella dimensione dell’unicum, se si esula dalla pubblicazione delle memorie di celebri marionettisti come Lemercier de Neuville, I. Ferrari, S. Obraszov e B. Baird, per non citarne che alcuni.
In precedenza molti erano stati gli attestati di stima di letterati e compositori per gli spettacoli di marionette, Yorick nella sua Storia dei burattini ne fa un accurato censimento, ma solo l’opera della Sand ha il merito storico di inaugurare tutta una nuova letteratura su questo argomento e quello culturale di gettare le basi per una comprensione più estesa di questa espressione artistica. A conferma di ciò, basta ascoltare l’autrice stessa dichiarare che la storia del teatro delle marionette è inscindibile da quella del teatro tout court, spazzando d’un solo colpo ogni dubbio sulla dignità o meno di questa particolare forma d’arte. Anzi, nelle riflessioni disseminate lungo il saggio riguardanti il rapporto fra il teatro d’attore e quello d’animazione (per utilizzare un’espressione d’oggi), è spesso quest’ultimo a spiccare, non solo per le simpatie – magari anche interessate – della scrittrice, ma soprattutto perché le marionette sono in grado di esprimere una certa superiore libertà. Una libertà che precorre i tempi e si esplica in una recitazione non accademica, in un tipo di allestimento che sembra anticipare il regista-demiurgo e soprattutto in un’autonomia dello spettacolo dalla lettera del poeta. Su quest’ultimo aspetto poi si può misurare tutta la novità teorica del discorso della Sand sul teatro come finzione: la finzione è l’essenza del teatro e la legge che governa l’azione sia delle marionette che degli attori. La distinzione fra le une e gli altri si riduce quindi solo a un fatto culturale. Con curiosa ed eloquente antitesi, l’autrice fa notare infatti che il “grande teatro” deve essere governato dal testo letterario, caratteristica che ne sancisce implicitamente il primato intellettuale, mentre nel “piccolo teatro” delle marionette è la scena a poter imporre le sue regole al dialogo. Il teatro delle marionette apre insomma sorprendenti prospettive all’arte scenica, che saranno consapevolmente sfruttate dai grandi riformatori del secolo successivo. E potremmo spingerci a intravedere, di fronte all’opera dei Sand a Nohant, addirittura una gustosa anticipazione di quelle ben note “aporie del XX secolo” che Meldolesi individua nell’esperienza di Copeau. Non sarebbe infatti scriteriato considerare le molte analogie culturali fra l’autrice romantica innamorata del teatro e l’irrequieto innovatore della scena teatrale europea: in entrambi si ritroverebbero un problematico rapporto con il testo e la riscoperta della civiltà teatrale legata alla Commedia dell’Arte.
Nella Sand tuttavia non vivono le lacerazioni della scena novecentesca e le intuizioni che esprime sono solo dei buoni propositi perché, come già detto, la sua idea ultima di teatro è assolutamente classica, convenzionale. A questo proposito si può leggere la Postfazione di G. Guccini a Il Castello delle Désertes - Ubulibri, 1990 - in cui l’autore individua significati, stimoli e limiti della ricerca teatrale compiuta dai Sand a Nohant.
In conclusione si può notare che, al di là dello sperimentalismo salottiero del loro teatro d’attore, importante per le ripercussioni sulla narrativa della romanziera e per la storiografia della Commedia dell’Arte, è nella pratica del teatro dei burattini che George e Maurice Sand fanno veramente l’esercizio entusiastico e compiuto di una nuova teatralità, della quale la scrittrice presenta i connotati con grande lucidità in quest’ultimo suo saggio.
Paolo
Sette