Misteri d’Italia

Un trionfo in sala per lo sconvolgente film di Benvenuti che riapre il caso della strage di Portella della Ginestra

di Natalia Aspesi
"la Repubblica", 30/08/2003

 

 

VENEZIA -- Un giallo così fosco potrebbe sembrare più Forsyth o Follett che realtà, ma ieri il pubblico giovane era in piedi, ad applaudire per dieci minuti, stordito e ferito, Segreti di Stato, di Paolo Bienvenuti, lo   sconvolgente primo film italiano in concorso che, alla luce dei nuovi documenti, riapre il caso della strage di Portella della Ginestra avvenuta durante il comizio del 1" maggio 1947, e getta una luce ancora più tragica e losca sulla Sicilia e sull'Italia di allora, quando, dopo la fine della seconda guerra   mondiale   e agli inizi della guerra fredda, i poteri forti dovevano decidere il nuovo assetto mondiale. Davvero la morte di quegli undici poveri  braccianti comunisti e il ferimento  di  ventisette altri disgraziati, fu programmato da un intreccio apparentemente assurdo di trame militari, politiche, religiose,    maliose, con tutti gli apparati di servizi segreti italiani, americani e vaticani, allo scopo di arrestare per sempre l'avanzata in Italia dei socialcomunisti, che alle elezioni regionali siciliane, dieci giorni prima della strage, avevano vinto con più del 30 per cento? «Mi sembra ci sia molta fantasia», dice elegantemente da Roma Giulio Andreotti, la cui fotografia, nel film, appare nell'intrico allarmante di un labirinto di persone legale in qualche modo a quei tragici fatti.

Ė una specie di gioco delle carte che fa il personaggio del Professore, in realtà Giuseppe Montalbano, radiato nel ‘57 dal PCI "per indisciplina", cioè per aver rivelato il nomi dei presunti mandanti della strage: è un gioco che collega Borghese ad Angleton, capo dei servizi segreti americani in Italia, Angleton al cardinal Montini, al capomafia Rimi, al ministro Aldisio, al ministro degli interni Scelba, a Mattarella, a don Suirzo, a Calderon, dei servizi segreti americani, a Donovan collaboratore di Truman, al principe Alliata, a De Gasperi...

Certo, per lo spettatore è un angoscioso stordimento, il troppo pare troppo anche a chi sa che ne succedono, anche oggi, di tutti i colori. Ma siccome il senatore Andreotti ha classe e non si stupisce di niente, assicura che comunque il film andrà a vederlo, mentre il ministri Giovanardi, un tempo appartenerne “quella DC” che nel film fa pessima figura, senza averlo visto, fa fuoco e fiamme rivendicando “il diritto di disprezzare questo modo subdolo di ingannare il pubblico sprovveduto”. Comunque Giovanardi era piccino, in quel sanguinoso 1947, mentre Andreotti era già qualcuno e oggi, con la sua formidabile memoria, ricorda “un infuocato dibattito tra Sceiba e Li Causi (allora responsabile del PCI siciliano) sul perché nessuno del partito comunista fosse andato a festeggiare il 1° maggio in Sicilia. Un quesito mai chiarito dai comunisti».

Frase strana, perché Segreti di Stato tra l'altro ipotizza che Salvatore Giuliano, anticomunista feroce, era a Portella non per sparare ai suoi amici braccianti che lo veneravano, ma per rapire e uccidere li Causi, ingombrante vincitore delle elezioni regionali, per ordine dei servizi segreti: misteriosamente, Li Causi all'ultimo momento decise di non andare. Perché Scelba (mollo indiziato nel film) sì arrabbiò tanto? Perché la presenza dell'onorevole comunista avrebbe evitato la strage, cosa improbabile, o perché a quella strage era sfuggilo?

Pensando ai premi, ci si chiede che effetto potrà fare questo film scabro, tagliente e freddo sino a creare ansia, ai membri stranieri della giuria, che sapendo poco dei nostri misteri, potrebbero scambiarlo per un thriller demenziale. Dice Benvenuti: «Ringrazio il direttore della Mostra che ci ha regalalo questa grande vetrina: un eventuale premio potrebbe essere un altro incentivo per costringere gli storici e poi i politici a modificare quella prima grande menzogna di Stato, l'inizio di quella strategia della tensione in funzione anticomunista che stava allora insanguinando la Grecia e che poi si sarebbe ripetuta stranamente negli anni '70, da noi, quando la sinistra era di nuovo in crescita. Se finalmente, come sognava Danilo Dolci, si avesse il coraggio di accertare la verità e trasformare quella che viene definita una strage di banditi in strage politica, come effettivamente fu, ai superstiti, cinque persone ormai anziane, potrebbe essere resa quella giustizia che aspettano da 56 anni, anche con un risarcimento economico».

Una di queste persone, Cristina la Rocca, è qui, modesta e dignitosa, a ricordare: «Avevo nove anni ed ero lì col papà, mi parevano fuochi d'artificio quei colpì, invece uno mi fece sanguinare nel petto, e il babbo per portarmi in fretta all'ospedale, finì che morì d'infarto. Mi portarono anche al processo a Viterbo, con tutti quei giudici in lutto e io glielo dissi. Salvatore ci voleva bene, non ci avrebbe mai sparalo». La signora La Rocca ha ancora, tra cuore e polmone, una scheggia di granata, arma che la banda di Giuliano non aveva e che invece era in dotazione ai reduci della X Mas assoldati dai servizi segreti americani.