L'Italia dei misteri

da: digilander.libero.it

 

 

Nel primo film tricolore in Concorso a Venezia 60, il regista punta il dito contro l’Italia dei Misteri. Tutti gli stati del mondo conservano segreti più o meno scottanti. E forse uno dei periodi in cui se ne concentrano di più è proprio il dopoguerra, quando il mondo, ancora sconvolto, sussultava, pagando ancora tributi di sangue e paure alla ricerca di una nuova identità. I segreti di stato hanno da sempre appassionato gli storici e la letteratura: i primi frugano archivi e scoprono documenti, i secondi raccontano le scoperte e possono avanzare ipotesi. Ma quando i segreti di stato arrivano al cinema? Paolo Benvenuti, primo italiano in concorso, non è andato per il sottile: prende il massacro di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, cui si era avvicinato grazie ad una conversazione con il sociologo Danilo Dolci sette anni orsono - la sua fonte informativa - e senza dar spazio a congetture tenta (meglio ripeterlo, tenta) una ricostruzione il più attendibile possibile (ossia vera) dei fatti prima, durante e soprattutto dopo la strage (11 morti e 27 feriti). La curiosità nasce dalla morte poco chiara del bandito Giuliano - che ne fu dichiarato responsabile - e di quella altrettanto sporca del compagno Pisciotta, avvenuta nel carcere di Palermo nel 1954. Benvenuti, avvezzo ai processi (il precedente lavoro, Gostanza da Libbiano ne raccontava uno per stregoneria ai tempi dell’Inquisizione) presuppone inesorabilmente che il cinema sia una materia artistica uguale alle altre, che può essere gestita nell’immobilità di una pagina o di un dipinto o nello scorrere crudo di un dialogo. Per cui, trattando in modo completamente anti-cinematografico il suo “segreto”, usa un linguaggio narrativo al limite dell’astrazione: didascalia, parola, descrizione, immagine (fissa, anche il fumetto può servire). Ma il cinema deve raccontare la storia non come fosse un manuale scolastico. Esulando, poi, dall’interpretazione critica dei fatti (competenza di chi ha in mano i materiali storiografici), il film creerà sicuramente dibattiti accesi: tutti gli apparati dello Stato, e molte delle realtà politiche ed istituzionali dell’Italia di allora, sono tirati in ballo da Benvenuti con l’accusa di correità (comprese, naturalmente, l’America e la Chiesa), svelata attraverso l’espediente di un gioco di carte che molto ha il sapore di quello usato recentemente in Iraq. Nulla di male per un cinema che è sempre, per sua natura, contagiato dalla fiction. Molto di preoccupante per chi non la ammette. Benvenuti, se voleva instillare dubbi, ha ottenuto l’effetto opposto. Speriamo che non faccia cadere anche nella trappola – oggi più che mai pubblicitaria – della polemica. Farebbe male a tutti.