Benvenuti: “La Storia di Portella è da riscrivere”

Il regista del controverso “Segreti di Stato” spiega il suo impegno per ristabilire la verità sull’eccidio del 1° maggio 1947
Non strage di mafia ma politica

di Simonetta Robiony

"La Stampa", 30 agosto 2003

 

Lo ripete, lo ripete con maniacale ossessione, Paolo Benvenuti il motivo per cui ha voluto, tanto tempo dopo, tornare con il suo film “Segreti di stato” sulla strage del primo maggio 47 a Portella della Ginestra che provocò 11 morti e 27 feriti ufficialmente riconosciuti più un imprecisato numero di altri più lievi, tra la folla riunita per un comizio nel giorno della festa del lavoro. “Vorrei che questo mio film suscitasse negli storici italiani l'iniziativa di riscrivere quelle pagine, affermando una volta per tutte che non fu la banda di Salvatore Giuliano a provocare quell’eccidio, ma che quella fu la prima strage di stato della nostra repubblica, una strage voluta dal governo democristiano di allora, con l'appoggio dei servizi segreti americani e del Vaticano, in chiave anticomunista”. E questo, spiega ancora Benvenuti, non solo per ristabilire una verità storica ma anche perché le sei vittime tuttora in vita, e magari anche gli eredi di quelli che non ci sono più, possano ricevere finalmente dallo Stato un degno risarcimento. Operazione ardita, visti i tempi eterni con cui in Italia vanno perfino i risarcimenti delle assicurazioni, figurarsi quelli che prevedono di far luce su uno dei casi più controversi e più intricati della nostra storia recente.

Per suffragare la sua tesi, una tesi - ribadisce il regista - che non ha la pretesa di aver sciolto ogni dubbio. Benvenuti è partito da molto lontano, consultando prima di tutto ciò che Danilo Dolci aveva raccolto sull'argomento, poi i documenti non più secretati della Commissione parlamentare antimafia, gli incartamenti del processo di Viterbo depositati al tribunale di Roma, infine, grazie alla decisione del presidente Clinton, gli archivi dei Servizi strategici di Washington. “Ma il materiale era talmente ricco, complicato, inestricabile che non sapevo come trasformarlo in un film, nonostante avessi promesso a Danilo Dolci prima della sua morte che questo film sarei riuscito a farlo”.

A sciogliere il nodo è stata sua moglie, la sceneggiatrice Paola Baroni, che s'è fatta raccontare ogni cosa decidendo, quindi, di far girare il racconto intorno al personaggio dell'avvocato di Gaspare Pisciotta, il braccio destro di Giuliano, protagonista del processo di Viterbo, considerato fino ad oggi, contrariamente alla versione ufficiale, il vero colpevole dell'assassinio di Giuliano ma ucciso, a sua volta, in carcere. Ė l'indagine dell'avvocato, una indagine che il legale compì realmente senza avere però a disposizione le carte che gli storici possono oggi consultare, a fare, perciò, da perno all'intero film. Un film che non riesce a raccontare l'Italia di allora, i moti contadini per la terra, la lotta politica assai aspra tra democristiani e comunisti, la divisione di Yalta del mondo in due blocchi, ma usando la metafora del gioco di carte, fa un lungo elenco di nomi che a diverso titolo, a suo dire, sapevano che Portella fu una strage di stato.

Il solo vivo, tra tanti ormai scomparsi, è Giulio Andreotti e in sala, qua alla Mostra, quando viene pronunciato il suo nome il pubblico ride: sempre lui, possibile? Assai arduo seguire Benvenuti nelle mille spiegazioni che fornisce, citando referti medici e percorsi balistici, alla tesi secondo cui furono gli uomini della Decima Mas di Valerio Borghese a sparare con un lancia-granate sulla folla quel primo maggio, perché Giuliano amava la sua gente, voleva che la Sicilia diventasse l'ennesimo stato degli Stati Uniti, e a Portella era andato solo per far fuori Li Causi, all'epoca il capo del PCI nell'isola.

Resta, a suffragarla, la presenza al Lido dello storico Nicola Tranfaglia che promette di farsi promotore tra i suoi colleghi di una revisione della ricostruzione dei fatti, e quella di Cristina La Rocca che allora aveva nove anni, fu portata in fin di vita all'ospedale di Palermo, vive tuttora con piccole schegge metalliche tra cuore e polmone, non ha avuto una lira per il danno subito e dice: “Mia madre ha sempre sostenuto che Salvatore Giuliano rubava ai ricchi per dare ai poveri: sulla gente lui non avrebbe mai sparato. Io ero piccola, troppo piccola per capire, tanto che al processo, vedendo avvocati e magistrati vestiti di nero, mi ricordo che chiesi se erano a lutto per qualcuno”.

Come ha già fatto in “Confortorio” o in “Gostanza da Libbiano” Benvenuti ha chiesto ai suoi attori di recitare senza immedesimarsi nel personaggio, in ossequio alla lezione appresa con il teatro popolare del “Maggio” toscano con i canoni brechtiani. E Antonio Catania, David Coco, Aldo Puglisi, Sergio Graziani e Francesco Guzza hanno rispettato benissimo il suggerimento. Quanto alla polemica dallo storico Giuseppe Casarrubea, offeso per non esser stato citato, Benvenuti chiarisce, leggendo un paio di lettere, che si è trattato di un equivoco: lui aveva pensato che Casarrubea non volesse esser nominato avendo in corso un fastidioso processo sulla stessa materia, l'altro ha ritenuto di esser stato dimenticato. Il nome di Casarrubea tornerà, quindi, nei titoli del film. Intanto, a riprova che la strage di Portella della Ginestra è una tragedia insoluta, Benvenuti più che al suo progetto su Caravaggio, pensa a un nuovo film sulla morte di Salvatore Giuliano, non per far concorrenza a quello magnifico di Rosi ma perché anche su questo ha trovato elementi che scagionerebbero Pisciotta.