GOSTANZA, IL CORPO DELL'ANIMA
Conversazione con Paolo Benvenuti
di Goffredo Fofi
Gostanza da
Libbiano, il film di Paolo Benvenuti che il Teatro di Roma presenta in anteprima
al Teatro Argentina narra, sulla base delle minute degli interrogatori, un
processo per stregoneria che si svolse a San Miniato al Tedesco alla fine del
1500. Senza aggiungere una sola parola ai verbali originari del processo, il
film ricostruisce i fatti lasciando allo spettatore il compito di tirare le
proprie conclusioni. A differenza di tanti altri film che sono stati realizzati
sulla stregoneria e sull¹Inquisizione, questo ha il pregio di non calcare la
mano sulla presunta crudeltà degli inquisitori i quali sono presentati come
religiosi in buona fede che agiscono in vista del bene delle anime, avendo a
disposizione, sia sul piano culturale, sia su quello giuridico strumenti molto
più rozzi di quelli che sono in uso ai nostri giorni. Collocandosi nella scia
dei capolavori realizzati dai grandi maestri del cinema del passato (come Dreyer
e Bresson), il film rende vivo il documento storico mediante una ricostruzione
precisa della realtà ambientale (le riprese sono state effettuate nei luoghi,
rimasti intatti, dove si sono svolti i fatti) e un alto livello di credibilità
raggiunto dagli interpreti. Goffredo Fofi ha incontrato per noi Paolo Benvenuti.
Dei quattro lungometraggi che hai girato, con un' autonomia produttiva e
registica notevole, ben tre hanno un soggetto di tipo religioso: uno è sul
rapporto di Gesù con Giuda, un altro su un processo ai danni di un gruppo di
ebrei romani e quest¹ultimo, Gostanza da Libbiano, ricostruisce un processo per
stregoneria nella Toscana di fine Cinquecento. Da dove nasce questo interesse
così forte verso i momenti di tensione e contrapposizione
religiosa, sia interni alla fondazione delle religioni sia nel conflitto tra
società e fede?
I tre film di soggetto religioso formano una trilogia, che io ho amato
definire a suo tempo un trittico pittorico con un assunto interno: il primo, che
io considero la pala centrale, è Il bacio di Giuda, un soggetto in cui mi
interessava mettere a fuoco, attraverso un¹analisi trasversale, la parola
liberatrice del Cristo dei Vangeli canonici e apocrifi. Da questa parola
liberatrice che non dava delle risposte, ma che ha posto domande fondamentali
sulla natura del rapporto fra l¹uomo e il proprio esistere successivamente è
nata una religione istituzionale. Questo passaggio ha determinato la nascita
della Chiesa, ovvero di una struttura di potere. Con il Processo agli ebrei e il
processo a Monna Gostanza, che costituiscono le due pale laterali del trittico,
mi interessava mettere a fuoco le aberrazioni della Chiesa, avendo individuato
negli ebrei e nelle donne due identità culturali emblematiche, nemiche deputate
dell¹Istituzione. Questo progetto di trilogia risale ormai ad una quindicina
d¹anni fa, si è poi chiarificato negli anni man mano che incontravo i soggetti
giusti ed è ora giunto a compimento.
La stregoneria è stato un tema affascinante per molti registi, ma ha anche
prodotto tante opere di grande superficialità. Tu sei andato alla fonte, agli
atti del processo, ma hai anche usufruito di una coscienza del problema che è
molto contemporanea, grazie al femminismo, alla storia delle scienze e ad una
serie di acquisizioni che consentono, in questo secolo, un punto di vista molto
più complesso su questo tema. La vecchia contrapposizione fra un positivismo
socialista, ateo e antipapale e una demonizzazione letterale di certi fenomeni
sociali e sessuali operata dalla Chiesa impediva una reale comprensione del
problema; qual è il tuo retroterra culturale e in che modo la tua visione
personale si inserisce in questo dibattito?
Non mi sono posto affatto il problema di un retroterra culturale. Il mio
approccio è stato essenzialmente emotivo: mi sono innamorato di questo testo tra
le cui righe ho sentito la presenza di un femminile forte, intenso, molto
moderno. Io sono stato spesso accusato di essere un regista misogino; da molti
anni avevo in mente di confrontarmi col femminile e questo testo mi offriva la
possibilità di farlo in maniera molto profonda. Tuttavia, nel momento in cui mi
sono posto il problema del femminile, ho capito che la prima cosa da fare era
affrontarlo dentro di me, vivere un¹esperienza intima che mi faceva anche un po¹
paura intraprendere a cinquant¹anni. Per fortuna ho avuto l¹appoggio della mia
compagna Paola, che ha capito la difficoltà di questo passaggio. Del resto si
trattava di una tappa indispensabile, senza la quale non avrei potuto affrontare
il rapporto con un¹attrice, tirare fuori da lei il suo femminile e dialogare con
esso. Si è trattato del lavoro più grosso che ho fatto per la preparazione del
film. In questo scavo io e Paola abbiamo lavorato insieme anche sull¹analisi dei
miei film precedenti, sul perché io avessi affrontato sempre temi maschili e,
nel momento in cui comparivano delle figure femminili, le avessi trattate in
maniera così superficiale. Mi sono accorto, ad esempio, che i miei film hanno un
rapporto di tipo maschile con lo spettatore, sono un po¹ come quel padre che
mette il figlio piccolo su un albero e gli dice: ³Ora arrangiati, scendi da
solo², usando una forma pedagogica rigida, che una madre non accetterebbe mai. I
miei film sono così: lo spettatore è lasciato solo e deve trovare autonomamente
le coordinate dentro le mie storie. Capire che avrei potuto sforzarmi di
prendere per mano lo spettatore e accompagnarlo affettuosamente come una madre
dentro il film è stato un passo importante. Lavorando sulla sceneggiatura di
Gostanza con questo spirito, togliendo i passaggi più ostici, ho sviluppato una
sensibilità che oggi chiamerei di tipo femminile, materno. L¹altro aspetto
riguardava più direttamente la sessualità, non più di penetrazione ma di
accoglienza. Per capire questo passaggio mi è stato molto utile riflettere sul
mio film precedente, Tiburzi, che solo apparentemente non c¹entra nulla con
Gostanza e, così facendo, ho ripescato nella memoria la grande lezione di
Rossellini che, quando ho avuto la fortuna di stargli accanto, mi aveva detto:
³Lascia perdere le sceneggiature preconfezionate, cerca di aprirti alla realtà e
di sentire cosa la realtà ti sta dicendo. Se riesci a sviluppare questa
sensibilità, farai grandi cose². Quest¹esperienza sono stato costretto a farla
proprio con Tiburzi perché, andando a girare nella Maremma senza sapere prima
cosa avrei trovato quel giorno quali colori, quali condizioni climatiche ero
costretto a dover decidere all¹improvviso quello che dovevo fare, a costruire la
sceneggiatura sul campo. Un modo di lavorare completamente diverso da quello di
Confortorio, per il quale ogni scena e ogni inquadratura era stata
precedentemente pensata a tavolino. In questo affidarsi esclusivamente alla
propria sensibilità ho individuato la capacità femminile di accogliere piuttosto
che di penetrare. Forte di tutti questi elementi, ho capito come avrei dovuto
girare il film e ho affrontato Monna Gostanza, disponendomi ad accogliere la
ricchezza espressiva del personaggio.