IL TEMPO E LA VERITA'
di Mariella Cruciani
Cinecritica, n. 22/23 Aprile, Settembre 2001
“Sarà Paolo Benvenuti, come
alcuni profetizzano, l’uomo di un solo film? O, invece, è nato un regista
disposto a preferire la traversata del deserto alle varie compromissioni del
consumismo?”. Così si interrogava, su un noto quotidiano, Tullio Kezich nel
1988, anno d’uscita di Il bacio di Giuda, primo lungometraggio del regista
pisano.
A distanza di tanti anni e con la riprova costituita da tre film (Confortorio,
Tiburzi, Gostanza da Libbiano), la domanda alla risposta di Kezich è ormai
certa: Benvenuti è un autore, e un uomo, puro e solitario, nemico giurato di
ogni tipo di accomodamento o cedimento rispetto al cosiddetto sistema.
La sua opera, coerente per stile e contenuto, nasce, come dichiara lui stesso,
dal bisogno “di raccontare le storie nascoste, quelle che i libri di Storia non
raccontano (…), le storie della classe dominata”. Al centro di ogni suo film
sono personaggi che lottano contro un potere destinato, comunque, a vincere.
Gli umili eroi di Benvenuti combattono, dunque, la loro battaglia, avendo come
unica forza la propria verità interiore, frutto di una dura e sofferta presa di
coscienza. Il cinema dell’artista pisano è percorso da una grande tensione
morale, che trova un perfetto corrispondente formale nella messa in scena,
sempre austera, quasi scarnificata. Una grande cura è riservata da Benvenuti
anche all’uso della parola e, soprattutto, del tempo. In proposito, egli stesso
afferma: “Io faccio un cinema che rende giustizia al tempo dei dominati e va
contro il tempo dei dominatori. Per questo il mio cinema disturba, non tanto per
le storie che racconto, per i contenuti che esprimo, ma per il tempo che uso nel
raccontare. Il tempo è la cosa più fastidiosa per certi distributori che si
dichiarano di sinistra e che, in realtà, vorrebbero che in Italia si facesse un
cinema all’americana”. Insomma, i film di Benvenuti sono poveri di mezzi ma
ricchi di cultura, figurativa e non, privi di didascalismi e moralismi, ma
pervasi da grande poesia e da un senso religioso dell’esistenza.
Già ne Il bacio di Giuda (1988), Benvenuti pone l’accento sul messaggio
rivoluzionario del Cristo dei vangeli canonici ed apocrifi: il regno da lui
annunciato è un regno di uguali, contro il quale i sacerdoti si difendono,
affermando che “pretendere che chi ha divida con chi non ha, significa negare il
valore di ciascuno”.
Cristo, come spiega Giuda a Nicodemo, in una delle sequenze più belle del film,
non è venuto per fornire facili risposte, bensì per spogliare l’uomo delle
proprie certezze, ponendolo di fronte a se stesso. In questo senso, l’invito a
tornare bambini va inteso come necessità di scrollarsi di dosso ogni
sovrastruttura ideologica per tentare di guardare se stessi, gli altri, il
mondo, con il candore e la libertà dei piccoli.
Benvenuti non si limita, però, a scoprire nel Vangelo la matrice di ogni
pensiero veramente libertario: con il successivo Confortorio (1992), mostra
anche come, dalla parola liberatrice di Cristo, sia nata, poi, una religione
istituzionale, cioè una vera e propria struttura di potere. Attraverso il
tentativo di conversione forzata di due giovani ebrei condannati, a Roma, nel
1736, per un furto all’impiccagione, il regista mette a fuoco le aberrazioni
della Chiesa di tutti i tempi. Senza dimenticare di evidenziare la paradossale
buona fede dei religiosi, i quali, di fronte alla rivendicazione, da parte dei
due, della propria identità religiosa e culturale, si domandano perché la grazia
del Signore non arrivi.
Tiburii (1996) si discosta solo apparentemente dai film precedenti: in realtà,
anche in questo caso, attraverso la narrazione di un delitto di Stato, Benvenuti
si confronta con il tema del potere e del suo esercizio. Il suo Tiburzi è un
eroe romantico che difende la Giustizia contro la legge. Non solo: se è vero che
egli viene assassinato barbaramente, tuttavia, per certi versi, sembra essere
lui stesso a mettere in piedi il “meccanismo” della propria morte. Nel terzo
atto di Tiburzi, il regista rappresenta, dunque, l’Ultima Cena di un uomo libero
che, analogamente al Cristo di Il bacio di Giuda, vuole decidere, non solo della
propria vita, ma anche della propria morte. Ritroviamo la fierezza e
l’indomabilità di Tiburzi in Gostanza, protagonista dell’ultima opera
cinematografica di Benvenuti.
Pur continuando la sua personale riflessione sul potere, con Gostanza da
Libbiano (2000), il regista affronta, per la prima volta, la sfida di portare
sullo schermo un personaggio femminile. E lo fa con una storia autentica,
un’attrice in stato di grazia (Lucia Poli), e con un’idea di base ben precisa:
la strega come incarnazione di una religiosità e di un sapere “altri”, rispetto
alla Chiesa e all’ordine maschile costituito. Monna Gostanza, sacerdotessa di
una religione misteriosa, disposta a farsi bruciare pur di non rivelare i suoi
segreti, risulta, infine, l’espressione di un femminile forte, intenso, moderno.
In definitiva, la Storia per Benvenuti è sempre, rossellinianamente, un
materiale da usare per capire l’oggi e il cinema un mezzo, secondo la lezione di
Jean-Marie Straub, per mettere ordine nelle cose dimenticate del passato.
In tempi di rimozione e revisionismo, si tratta, senz’altro, di un’operazione
culturale coraggiosa e degna di