LA STREGA GOSTANZA: diario delle riprese
di Ilaria Bucciarelli
Ricerca e informazione sulla comunicazione di massa n. 135 marzo 2001

 

San Miniato, domenica 17 ottobre 1999 - Piazza del Popolo, via Angelica - ore 15,00
Piano sequenza dei soldati che entrano nella cappella.
Interno giorno.
Da totale a figura intera. Preceduti dal capo delle guardie e dalla scorta delle picche, Roffia, Costacciaro, e Porcacchi discendono velocemente per il vicolo angusto. Il Notaio li segue a qualche passo di distanza. Giunti dinanzi ad una porta, il gruppo si ferma: il capo delle guardie spalanca l'uscio, facendo entrare per primi gli armigeri.

Nella piazza è radunata una piccola folla. Alcuni soldati vestiti di tutto punto con lucide armature cinquecentesche attendono un segnale da qualcuno. Sono fermi e annoiati. Tra la gente, curiosi la maggior parte, si scorge un gruppetto più in vista. Deve essere quello delle autorità locali. Paolo ha pensato di fare una piccola festa di paese per il primo ciak. In realtà San Miniato sembra essere abbastanza indifferente all'arte del Nostro...

Via Angelica è un luogo molto suggestivo. Per il poco che ho potuto vedere, è una piccola via coperta a volte, stretta tra la chiesa dei Santi Jacopo e Lucia e il palazzo adiacente. Questa
era la strada che percorrevano anticamente i condannati a morte poco prima della forca, e su
questa via si affacciano tre piccole cappelle, che erano altrettante piccole stazioni di una breve via crucis, dove i condannati venivano rispettivamente confessati, comunicati e data loro l'estrema unzione.
In questo piccolo, suggestivo luogo si gira il primo ciak. Paolo è stato costretto a girarlo con un giorno di anticipo rispetto al piano di lavorazione poiché domani cominceranno i lavori di ristrutturazione della via.
"Sono stato costretto ad anticipare le riprese" spiegherà Paolo "perché altrimenti la Sovrintendenza avrebbe cominciato il fatidico restauro. E forse Via Angelica sarà tra breve trasformata in una pizzeria!".
 

Lunedì 18 ottobre - Piazza Duomo, cella al Miravalle - ore 10,00
Interno giorno.
"Totale dall'alto. Nella penombra della cella, Gostanza, seduta sul pancale, tiene il viso fra le mani, con i gomiti poggiati sulle ginocchia. Un raggio luminoso spiove da una finestrella e va a colpire la nuda parete alle sue spalle. Un rumore di chiavaccio scuote la donna dal suo torpore. La porta si apre fuori campo e una lama di luce rischiara il pavimento di terra battuta. Gostanza guarda sorpresa l'ombra che si avvicina. Mentre udiamo la porta richiudersi, il Vicario Roffia si ferma dinanzi alla prigioniera. Bisbigliando la formula latina del segno della Croce, il prelato benedice la donna che, a sua volta, si segna chinando il capo.

Si devono girare quattro inquadrature della scena VIII: un totale dall'alto per cui occorre un grandangolo (16 mm.) che non c'è; un campo medio e due primi piani, l'uno uguale all'altro (sono campo e controcampo). Il totale si girerà domani, poiché qualcuno dovrà andare a prendere l'obiettivo a Roma (in realtà questo totale non verrà utilizzato in questo punto del film, poiché, una volta girato, il risultato è stato di carattere espressionistico, con ombre molto lunghe e forti contrasti di luce, e non si lega alle inquadrature precedenti. Prenderà posto, forse molto più avanti).

Il mattino non promette niente di buono e infatti di lì a poco comincia a piovere. Questo ottobre piovoso e freddo credo sia cornice ideale alla storia e al paese. Realtà e finzione si sovrappongono e si ricongiungono.
In realtà la sceneggiatura prevede giornate di sole da cui sboccino inaspettati controluce. I problemi più grossi saranno con i fonici. I microfoni captano il rumore scrosciante di quello che nel pomeriggio diventerà un diluvio.
"Carino!" dice Paolo, "a quei tempi le celle erano umide". Il fonico ribatte che quello non è rumore di umido, timido gocciolio, ma vero e proprio scrosciare di pioggia. E fuori dalla grata, filtra il raggio da cinquemila watt di un sole artificiale, che è stato possibile far passare soltanto attraverso il foro in un muro esterno dell'albergo, praticato davanti ai nasi storti dei proprietari. E chi fa veramente le spese di tale ostilità e pare preoccuparsene molto è Mario Rossi, l'atletico aiuto-regista, attempato sanminiatese che ha svolto un lavoro veramente prezioso quando si è trattato di trovare le locations e le comparse.

Alla luce artificiale dei riflettori, scorgo Paolo, seduto, intento a guardare il monitor Sony che gli sta di fronte. Sta costruendo l'inquadratura e preparando il set assieme all'addetto alle riprese Stefano Bacci (fedele spalla, nonché ideatore del film, nonché allievo di Paolo da vecchia data), e al direttore della fotografia Aldo di Marcantonio. Attorno a loro si affanna Lillo, l'aiuto regista, sempre in corsa verso questo o quel luogo, con in mano di volta in volta documenti della produzione, foglietti sparsi, la sceneggiatura del film, la lista del pranzo, il vassoio con la colazione per tutti. Tecnici, macchinisti ed elettricisti sono tutti all'opera, salgono e scendono incessantemente con scatole, fari, cavi, pellicola, macchina da presa... Tra tutti i bellimbusti romani, spicca Cecco, l'anziano elettricista amico di Paolo nonché fiero contendente delle maestranze romane. "È lui che mi ha iniziato al cinema; lavorava agli stabilimenti "Pisorno" di Tirrenia e mi portava, insieme a mio padre, sul set dei film in lavorazione. Il cinema l'ho conosciuto così, dalla parte di chi ci lavora, e fin da quando ero piccolissimo", mi confessa sottovoce Paolo con una punta di orgoglio.
La mattina se ne va preparando il set. Si devono girare un totale di quattro inquadrature, ma il "totalone" dall'alto (in mancanza di un obiettivo 16 mm. che arriverà domattina da Roma) sarà girato domani. Non è possibile anticipare i tempi. Il generico è liquidato con la raccomandazione di farsi allungare la barba. Tecnici e attori si avvicendano nell'umidità della cantina, in un clima disteso ed amichevole.

"Alza... ecco, lì. Ecco, Marco, un pochino più verso di me... Verso la tua destra altrimenti si impallano... ecco... altrimenti mi si decentra tutta l'inquadratura." Questo è Paolo che garbatamente dirige e decide. Ha con i suoi (giovani) collaboratori un tono quasi paterno. Qualcuno parla, qualcun altro fa "Sshh!!". Paolo costruisce l'inquadratura con minuzia maniacale, millimetrica. Nessuna parola e nessun movimento, neanche il più piccolo è lasciato al caso, all'estro dell'attore. La precisione è di rigore, la geometria non ammette sbavature. Il film è una sorta di un tableau vivant, vivificato dall'ardore lampeggiante della splendida Lucia Poli.
Padre Valentino, vero Gesuita e vero maestro di teatro, grande amico di Paolo del dopo-Confortorio, assume in certi momenti le pose del predicatore enfatico e freddo. Facendo il segno della benedizione deve pronunciare le parole "Santa Madre Chiesa", e le carica di retorica, fuori luogo nel momento in cui conforta in buona fede la povera strega.
"Meno teatro, più amore!" suggerisce severo Paolo. "Non fare il gesto di benedire, è quello che ti porta fuori strada". Il gesuita non comprende che dopo molte prove. Non riesce a capire cosa voglia dire Paolo con quelle parole. Ma quando capisce, le sue parole balsamiche mi suscitano un moto di sincera commozione.

Mercoledì 20 ottobre - Coro della chiesa della Misericordia - ore 15,00
Si deve girare la scena XI, il primo interrogatorio di Gostanza da parte di Costacciaro.
L'attore che doveva interpretare Costacciaro è venuto a mancare all'ultimo momento. Paolo ha prontamente provveduto a sostituirlo. Ha chiamato Roma, domandando di spedirgli le foto di tutti i vecchi con la barba bianca reperibili sul mercato. Arrivavano i fax dalle agenzie, e ne sono passati molti. Improvvisamente, eccolo: è lui, un vecchio barbuto dal volto luciferino. È stato immediatamente scritturato, ma quando è arrivato a San Miniato non somigliava neanche un po' al volto intravisto per fax.
Paolo, dovendo far buon viso a cattivo gioco, si è dato da fare, ed ha cercato assieme all'attore un tono di voce ed un'espressione che si adattassero a Costacciaro. Ed effettivamente li ha trovati: una voce cavernosa, ed un modo di parlare con secchezza, mutuato dalla lunga esperienza nel cinema (ha quasi ottant'anni), nonché un occhio aggrottato e satanico. Quella sarà la sua maschera per interpretare Costacciaro.

La troupe cala a basso dalla cella a Miravalle. L'atmosfera è molto rilassata, in attesa di mettersi seriamente al lavoro. Entro nella chiesa, fredda non meno della cantina dei giorni scorsi. Fervono i lavori per preparare il nuovo set, ma siamo ancora in alto mare.
Circa la chiesa, recita un opuscolo che apparteneva "ad un Convento di monache Agostiniane. [...] Nell'unica navata, con tre altari, era collocata in origine una bella tavola del Quattrocento con l'Incoronazione della Vergine". Questa chiesa, in occasione del film, è stata trasformata in un tribunale. La scenografa, la simpatica Paolina, ha mascherato l'organo della Chiesa con pannelli in compensato, sui quali ha poi aggiunto uno stemma mediceo, sempre di legno scuro. L'effetto è qualcosa di imponente che sovrasta gli scranni degli ecclesiastici sui quali prenderà vita la scena.
La parte della chiesa interessata dalle riprese è stata dipinta di un grigio tenue, indistinguibile nel crepuscolo autunnale e piovoso dal bianco tenue della navata. Un grande crocifisso in legno pende mobile sopra le nostre teste, come sospeso nel vuoto della luce dell'arco da due invisibili, sottilissimi fili. I più indaffarati sono ancora gli scenografi. Si arrampicano sul ponte mobile, parlano, si affannano. Sono stati aggiunti dei portatorce alla parete sinistra del coro. Mario Rossi ha costruito con le sue mani (questo per dire del sincero affetto che lo lega a Paolo) uno scrittoio per il notaio, con tanto di calamaio e penna d'oca.

A San Miniato piove molto, ed è molto freddo. La troupe imbacuccata attende e parla.
Non si vedono ancora gli attori, i più coccolati. È del resto ancora molto presto, il set non sarà certamente pronto per stasera. Paolo e Stefano, fedeli alla loro collaborazione, stanno approntando le ultime, decisive modifiche alla sceneggiatura. Mi hanno chiesto un lapis.

Sostiene Mario (il padre di Paolo) che questo luogo è difficile da illuminare, ma che, una volta superato tale scoglio, tutto filerà liscio. Certo è che prima di domani mattina le riprese non cominceranno. Inizio a sentirmi di troppo. Si prova a spostare le panche, a bucare i muri, a coprire gli affreschi. Paolo è ancora impegnato con Stefano a "ri-scrivere", Aldo si aggira perplesso e parlotta con la moglie (che è anche assistente di produzione). La segretaria di edizione riordina i suoi fogli. Arrivano anche le strane sorelle dell'amministrazione, quella bella e quella che ride. Saranno veramente sorelle? Tirano fuori una cartella, e uno ad uno tutti i tecnici passano da loro e firmano. Non credevo che occorressero tante firme per fare un film. Ogni dieci minuti compare qualcuno con qualche foglio da firmare.
Paolo è calmo. La sua voce suadente, calda e profonda come al solito. Sta seduto ed osserva. È la sua peculiarità. Come si conviene ad un regista, il suo è un lavoro di osservazione, un lavoro di continua inquadratura. Guardando (e tossendo), sembra cercare una più profonda comprensione dello spazio e delle cose che ci vivono. Il suo è del resto un cinema di spazio, di plastica architettonica (e questo film, a suo dire, in particolare), di luoghi fisici più che di cose o di persone. Gli esseri umani si inseriscono in questo spazio astratto, diventando astratti essi stessi. Talora si smaterializzano fino alla pura forma, diventano parte di una composizione, di un luogo mentale che li include e li lega.

Lunedì 25 ottobre - Cappella della Misericordia - ore 11,00
Interno giorno, Sala delle Udienze.
Si gira la scena XI, l'interrogatorio di Gostanza da parte di Costacciaro.
La m.d.p. è collocata sulla scena; Costacciaro, di profilo, è in primissimo piano. Gostanza, composta, è trattenuta dalle catene e da due guardie.

Paolo e Stefano, appartati, programmano le inquadrature da fare e le costruiscono.
Si fanno alcuni ritocchi alle luci. Fuori dalla cappella sono stati piazzati tre fari da 5000 watt. La plastica delle inquadrature è tutta giocata sui chiaroscuri e i controluce, anche molto "spinti", creati dalle differenze di luce tra interni ed esterni. Azzardo anche un'ipotesi: l'interno-prigione, cupo e oppressivo, molto oscuro, si contrappone ad esterni molto luminosi, che sono metafora di una libertà perduta. In questo senso Gostanza fa sua - e la sublima - la lezione d'interni di Confortorio e quella "fordiana", di esterni, di Tiburzi.

Paolo costruisce una battuta con Lucia: "Qui voglio sentire la sensualità nello sguardo (da notare la metafora, poiché Gostanza nell'inquadratura è in realtà troppo lontana perché se ne possano vedere gli occhi). Qui voglio sentire la ragazza che scopre l'amore: "Lui usava con me" lo devi dire con un sorriso giovanile, non sforzato, fresco".
Ed ancora: "Troppa tristezza. Vorrei che queste battute le dicessi con più gioia, vorrei che crescesse e passasse il senso del piacere e del ricordo piacevole".
Gli attori recitano con volume e tono di voce, entrambi molto bassi. Costacciaro poi, parla come in una litania, quasi fosse un sacerdote che officia un rito.

Dialoghi.
Paolo: "Lucia è perfetta lì, è esattamente sulla croce".
Stefano: "Ma non è più sulla porta".
P: "È vero... allora spostala lievemente a destra... Ecco, ecco, così è perfetta...".
Aldo: "No Paolo, ora è tutta in ombra. O la mettiamo più indietro, o facciamo spostare la guardia".
P: "Sì, un po' più indietro. Aldo, sposta Lucia... no... così è troppo indietro. La voglio in PP. Si può segare un pezzetto di guardia? Basta poco, dieci centimetri".
Arriva lo scenografo con un lampadario in ferro arrugginito.
Sc: "Ti piace?".
P: (poco convinto) "Sì, va bene... ma deve funzionare. Ci voglio il fuoco dentro. Ci metti una tazza di metallo con dell'olio e lo fai bruciare".
P: "Ho un vuoto compositivo tra Lucia e la guardia... bisogna avvicinare la guardia... alza il cimiero... ecco... pelino... pelino... pelino... così!".
A: "Così però taglio il cimiero... possiamo tirare Lucia dieci centimetri più in là...".
P: "Ok... va bene... perfetto... Prova! Fermi tutti... azione!".

"Girati verso i cartelli!". Il tono che Paolo usa con Renzo-Costacciaro è di grande severità. "Stai fermo, Renzo, mettiti nella tua posizione. Renzo per favore stai fermo, segui me. Leggi la prima battuta in alto a sinistra" (legge) "Ora quella in basso a destra..." (legge) "Ok! È questa! Giriamone una. Silenzio. Motore".
Ciak: "11/61 - 1a!".
Fonico: "Stop! Questi parlano fuori e si sente tutto! Si sente più forte delle battute loro!".
P: "Renzo, cerca di essere più veloce. Renzo, mi devi ascoltare senza muoverti. Devi stare fermissimo! Sei in primissimo piano e se ti muovi è un casino! Pronti... silenzio. Motore...".
Fonico: "Partito!".
Ciak: "11/61 - 2a!"
P. "Azione!".

Mercoledì 27 ottobre - Piazza del Duomo, esterno cella - ore 15,00
Giornata di riprese poco fruttuosa. Al mattino si sono visti tardi, e hanno fatto ben poco. In compenso si è preparato tutto per il pomeriggio e i giorni a venire.
Siamo di nuovo all'hotel Miravalle. Finalmente il colonnino che sorregge il pesante cancello esterno è stato buttato giù. Al suo posto un piccolo percorso in terra battuta, che accompagnerà l'uscita di Gostanza da quella che dovrebbe diventare la cella (e che in realtà è la cantina in cui abbiamo girato il primo giorno). La porta che interessa Paolo è veramente bella. Porta la data 1562; sopra di essa la mole della Torre.
Sul perimetro della Piazza sono stati eliminati alcuni alberi che davano fastidio alle riprese. Altri sono stati potati. È questa una giornata particolarmente difficile per le condizioni climatiche. I capricci atmosferici disturbano anche il cinema. Abbiamo un ottobre con temperature da giugno, nebbie e afa. Il tempo cambia in continuazione, passa dalla nebbia, al sole, alle nuvole con grande rapidità. Proprio per questo occorre calibrare la m.d.p. in continuazione: al mattino c'era la nebbia, e la macchina è stata preparata per la nebbia, nonostante non fosse prevista in sceneggiatura. Quando finalmente era tutto pronto per girare, ecco che esce il sole. E non andava più bene la m.d.p. Così si è dovuto aspettare le nuvole che andavano e venivano. Poi alla fine il tempo si è stabilizzato in un sole primaverile. Tutto da rifare. L'uscita dalla cella di Gostanza non si potrà fare: le ombre sono troppo accentuate, e sul bianco e nero diventerebbero qualcosa di inguardabile. Si rimanda tutto a domani.

Sul più bello, la scoperta.
La cella in cui viene sistemata la m.d.p. per filmare la porta che si chiude fu effettivamente una cella. Le pareti, nonostante successive mani di calce, conservano ancora oggi disegni ed incisioni di quegli antichi detenuti. E soprattutto un disegno ha destato l'interesse di Paolo: un volto di donna con cuffietta e velo, posto di tre quarti. Somiglia veramente molto alla nostra Gostanza.
Assieme a Stefano, ci mettiamo a leggere le scritte ancora leggibili, incise sulla parete.
Eccole: "Quando un giudice o vicario si salva l'anima si chiuda l'inferno già che sa pure che condannaste il figlio di Dio alla morte".
Ed ancora: "Ognuno contempli la pianta gradita frutto di vita per chi la cercò - viva la croce". Quest'ultima scritta è compresa tra due inquietanti disegni, che sono i simboli della Passione di Cristo (la Croce con i due flagelli pendenti, le tenaglie, il martello e la spugna).
La scoperta mobilita per un attimo tutta la troupe. Solo gli instancabili scenografi continuano imperterriti il loro lavoro. Mario (padre) fotografa il volto di donna incorniciato dal velo e dalla cuffia.

Scopro che le riprese di un film sono, per i tre quarti buoni, composte di lunghe attese.
Ci apprestiamo a girare la V/33 - 1a, ossia la porta della cella che il secondino apre per far uscire Gostanza.
Piano ravvicinato frontale.
Interno giorno. Sul nero udiamo il rumore di un chiavistello che viene tirato. Una macchia di luce quadrangolare irrompe da una finestrella. Uno sbirro si affaccia a spiare. Poi lo sportellino di legno viene chiuso e un secondo e più violento rumore di chiavaccio precede lo spalancarsi della porta verso l'interno della cella. Lo sbirro si fa da parte.

De Carolis apre per prima cosa lo sportellino che sta sopra la porta. Si tenta di farglielo aprire in modo che non si veda il suo volto, ma che nella cella entri pura luce.
Date le condizioni della porta questo non è possibile. Stefano cerca ogni possibile soluzione, compresa una cordicella, ma ci si deve accontentare che quando si apre lo sportellino appaia anche un po' del volto di De Carolis.
Proseguendo nella scena, l'ometto dovrà aprire tutta la porta, in modo che il buio della cella venga inondato dalla luce dell'esterno. A questo punto, camminando all'indietro per un metro e mezzo circa, dovrà soffermarsi un attimo in controluce, scuotere per tre volte le catene.
"Più rapido, più veloce nei movimenti, ed anche più professionale, come se ogni giorno tu facessi questi gesti". Queste sono le uniche indicazioni (a parte quelle precisissime sui tempi e i gesti da compiere) che Paolo dà al suo attore.

Paolo dà buone le prime due, una delle quali ha anche le campane.
A questo punto si smonta per girare una scena sulle scale: l'arrivo di Costacciaro a San Miniato, proveniente da Firenze. I macchinisti hanno già montato il dolly. Gli scenografi corrono per mascherare i moderni corrimano della scalinata.
Sta facendo buio, e probabilmente, nonostante che questa scena vada girata al tramonto, non ce la faremo a finirla. Come al solito la cura per costruire l'inquadratura è minuziosa.
Ore 18,20: mentre gli scenografi continuano il loro lavoro, si fa una prova carrello.
Renzo-Costacciaro, vestito da francescano, fa il suo ingresso sul set. Paolo è preoccupato per questo suo attore, ed anche poco cortese. Si dimentica continuamente le cose e le battute. Forse è l'età, forse il carattere.
A Renzo: "Voglio vedere un passo stanco perché vieni da Firenze. Su quel pianerottolo dovrai fermarti!".
Panoramica+dolly+carrello: si riprende la salita di Costacciaro fino alla Piazza del Duomo, e il suo ingresso in Piazza. È tutto bellissimo. Ma il dolly è troppo piccolo (3,70 m). Non ci si fa a fare la panoramica della piazza e a filmare il frate che l'attraversa. L'inquadratura manca completamente di respiro: sale, sale cercando l'ampiezza e la luce della Piazza, ma non la trova. Che fare?
I macchinisti propongono: "Qui ce vole lo skykinner! Eh Pa', quello è 11 m". Paolo accetta con entusiasmo, altrimenti tutta l'inquadratura sarebbe da modificare, probabilmente da ripensare in toto, visto che così proprio non funziona. Si fa chiamare Rean, il produttore. Si deve telefonare alla "Ciak" a Roma e farsi mandare lo skykinner entro giovedì al più tardi. Da sabato infatti il giardino si riempirà di bancarelle per la "Sagra del tartufo". Con gran gioia dei sanminiatesi, dei vigili, e dei cineasti.

Giovedì 28 ottobre - Atrio della scuola - ore 16,00
È accaduta una cosa singolare, e Paolo mi informa come al solito con tempestività, quando si tratta di "coincidenze", che confortano la sua tesi sulla realtà della strega.
Preparando al mattino lo studiolo Roffia per le riprese della prossima settimana, ha scoperto, tra i molteplici affreschi della stanza, accanto ad una Vergine con Bambino, un angelo che travasa dell'acqua, da un'ampollina piena d'acqua ad una piena di vino.
Poiché quello studiolo doveva ospitare una scena in cui il Vicario del Vescovo annusa i preparati di Gostanza, ha subito cambiato la scena, in base alla nuova scoperta, facendo apparire l'affresco all'interno dell'inquadratura.
Ora funziona così: Roffia è inginocchiato (a destra della stanza) e volta le spalle all'affresco (a sinistra della stanza). Si volta intenzionato a guardare la Madonna ma, mentre guarda, la soggettiva si sposta dalla Vergine fino sull'angelo con le ampolline. Come ispirato da questo, il religioso si avvicina allo scaffale che raccoglie i preparati e le ampolle di Gostanza, le annusa ed esce.
Non contento delle coincidenze, Paolo vuole per il film un'ampolla uguale a quella del quadro. Sa che ce n'è una così al Museo del Vetro di Gambassi, cittadina non distante da San Miniato, teatro dei malefici di Gostanza.

Giovedì 28 ottobre - Cella del Miravalle - ore 21,00
Scena V/32.
Esterno notte.
Piano ravvicinato dal basso.
Dianora, rannicchiata su un davanzale chiuso da una grossa inferriata, è illuminata da un taglio di luce lunare. La bimba osserva attenta la scena. Udiamo, fuori campo, il rumore dell'uscio della cella che si chiude e del chiavaccio che si serra. I passi degli sbirri si allontanano nella notte fino a scomparire. Silenziosamente, la bimba si aggrappa alle sbarre e vi si accosta il più possibile col viso; poi, contenendo il volume della voce come in un gioco, chiama la nonna.
Poco a poco, l'immagine della bimba alla finestra si dissolve in un lento fondu.
Forte taglio di luce sulla finestra, posta in maniera centrale all'interno dell'inquadratura, benché inquadrata di taglio.

ScenaV/31.
Gostanza accompagnata in cella dai due secondini.
Campo medio molto dall'alto. Sull'immagine nera del fondu, si schiude poco a poco il disegno a quadrati dell'ombra di un pesante cancello di ferro. Udiamo il rumore del cancello che viene aperto e, infine, scorgiamo, dall'alto, tre figure che attraversano il cortile in diagonale: un secondino con la lanterna precede Gostanza, attardata ed affaticata dalla tortura e dal peso dei ceppi. Un secondo sbirro chiude la fila. La m.d.p. segue i tre in panoramica fino all'angusta porticina di una cella. Una tenue luce lunare illumina la parete della porta del carcere, dinanzi alla quale i tre si fermano. Lo sbirro con la lanterna si china ed entra nel pertugio antistante la porta. Lo udiamo tirare il pesante chiavaccio e sospingere l'uscio all'interno; poi lo vediamo retrocedere e farsi da parte. Gostanza, chinando la testa, entra nella cella.

Obiettivo 40 (si è passati da un 32 ad un 40, poiché la m.d.p. è posta molto in alto, al secondo piano dell'edificio, esattamente sopra la finestra dov'era rannicchiata la bambina. Secondo Paolo, il 32 faceva sembrare troppo distaccato il punto di vista della bambina, che è in realtà più vicina alla nonna. Almeno così appare dall'inquadratura precedente).
Gli scenografi hanno provveduto ad approntare un falso cancello di ferro battuto (in realtà legno compensato), che proietta la sua ombra minacciosa sul cammino di Gostanza. La parte sovrastante il cancello, perché nell'ombra risulti in muratura, è stata coperta con un telone nero.

Anche questa scena è all'apparenza piuttosto semplice. L'unico inconveniente, intervenuto a complicare leggermente le cose, è il fatto che nel momento in cui valicano il muretto, le tre persone che compongono la piccola processione, devono tenersi molto radenti ad esso, perché altrimenti escono di campo. Non è facile far capire questo concetto agli attori.
I movimenti sono pochi, ma costretti in spazi così angusti, che non possono assolutamente mancare di precisione, meno che mai leggermente sbagliati. Ogni singola inquadratura è in Benvenuti una sorta di piccola - perfettissima, ed in sé compiuta - macchina immaginaria, in cui nessun margine è dato al caso, o all'estro del momento.
Stefano prova a suggerire una leggerissima correzione orizzontale del movimento della macchina da presa, in modo da facilitare il passaggio degli attori attorno al muretto, ed evitare che escano di campo, fosse anche per un solo momento. Paolo storce il naso. Tale correzione, anche se risparmierebbe molte prove, sciuperebbe irreparabilmente la purezza e la perfetta simmetria del suo movimento di macchina: dal basso verso l'alto-stop-dall'alto verso il basso. Si decide di spronare gli attori e stimolarli ad uno sforzo, ma non compromettere "la purezza del linguaggio cinematografico".
Si fa un fondu d'apertura senza bandiere, poiché altrimenti Paolo non sa come cominciare la scena.
Le riprese sono rovinate da innumerevoli rumori (automobili, campane, ubriachi) e impieghiamo fino oltre mezzanotte per avere una scena decente. Paolo è esasperato e la dà buona, ma non è soddisfatto. Andiamo tutti a letto assonnati ed infreddoliti, ma niente affatto contenti.

Martedì 2 novembre - Studiolo Roffia, sala del Consiglio Comunale - ore 15,00
Scena VII /40A.
Da particolare a totale (carrello a precedere). Il fondu si apre sui tondi vetri colorati della finestra bifora. Nella stanza, udiamo una porta che si apre e dei passi che si avvicinano. Entra in campo, in controluce, la silhouette di Roffia: questi apre i battenti della finestra, spalancandoli, ed esce di campo. Mentre scorgiamo lo splendido paesaggio collinare illuminato dalla fredda luce mattutina, udiamo Roffia armeggiare fuori campo con vasetti e bottiglie. Dopo un momento, il religioso riappare davanti alla finestra con un fiaschetto di vetro in mano. Lo solleva per osservarlo in trasparenza, poi lo riabbassa, lo apre con cautela e se lo avvicina alle narici; poi lo capovolge tappandone la bocca con il polpastrello, in modo da saggiarne la viscosità tra le dita. Richiuso il fiaschetto, il Vicario si muove verso di noi. La m.d.p. lo precede carrellando indietro, rivelando così l'elegante studiolo in tutta la sua lunghezza. Il prelato posa il recipiente tra i materiali sequestrati a Gostanza, si pulisce le mani con un panno e viene verso la m.d.p. che, nel frattempo, ha proseguito lentamente a retrocedere. Il vicario esce dall'inquadratura, si sente il rumore della porta che si chiude.

Lo studiolo del Vicario Roffia è stato ricavato nella non grandissima Sala del Consiglio Comunale di San Miniato, riccamente affrescata, ospitata all'interno del Palazzo Comunale.
Il Palazzo Comunale "sorge agli inizi del 1300 come Palazzo dei Signori del Popolo, ma solo in parte, all'interno, conserva l'architettura e le decorazioni originarie. Notevole l'armoniosa Sala del Consiglio, con affreschi della fine del Trecento, di tarda scuola giottesca. Vi sono inoltre dipinti e scolpiti i vari Podestà".
La finestra da cui l'inquadratura nasce, si affaccia su uno splendido paesaggio collinare toscano: "La Toscana ha un paesaggio ancora intatto e io voglio fotografarlo prima che muoia. L'anno prossimo tutto questo non ci sarà più. Lì ci sarà un'autostrada". (Paolo, fin dai tempi del Maggio di Buti, è ossessionato dall'idea di fotografare le cose un attimo prima che scompaiano per sempre).

P: "Stefano, non hai la sensazione che Roffia sia troppo lontano?".
S: "Certo, ma è chiaro che privilegiamo la finestra piuttosto che lui".
P: "Padre Davanzati, prima avevi fatto un lavoro più curioso quando alzavi la bottiglia. Mantienilo".
Aldo propone un controluce più netto, ponendo Roffia più centrale, all'interno della bifora.
Ogni inquadratura di Paolo è costruita a partire da una suggestione luminosa e/o plastica. In questo caso è certamente questa finestra bifora che si spalanca sul paesaggio, e lascia filtrare la luce che dilaga nella stanza. La bifora ha ipotecato tutta l'inquadratura, e occupa una posizione perfettamente centrale al suo interno.
Di nuovo a Padre Davanzati: "Ti devi fermare di più su quel famoso gradino per dare tempo alla macchina di allargare. Altrimenti esci di campo. Per il resto i movimenti erano ottimi, molto belli, molto veri, solo che sei uscito di campo".

Lo scenografo è pronto dietro quinta con un piccolo cencio con cui far pulire le mani a Padre Davanzati.
P: "Stefano, ma tu sei convinto di questo carrello indietro diritto? Se si facesse in diagonale? Per avere da una parte la Madonna e...".
S: "No, no! Ma che Madonna! Ti si distorce tutto e poi il quadro non è leggibile".
Si gira.
P: "Stop! Ottima!".
Fonico: "Paolo, ne facciamo un'altra per averne almeno una con il suono pulito?"
P: "Ok. Per me era buona ma..."
S: "E, per inciso, per me, come movimento di macchina, era meglio quella di prima. Era dritta come un fuso. Questa invece traballava".
P: "Ok. Rifacciamo velocemente la scena poiché sta per scendere la luce. L'unica cosa: Padre Davanzati: quando sei davanti alla finestra fai dei movimenti netti e precisi; ne bastano tre, ma che siano quelli".

Ed infatti ormai c'è poca luce, non ce la facciamo a girare le inquadrature di Gostanza. Lucia è stata pronta per tutto il giorno e non ha girato niente. Queste inquadrature sono rimandate a domani. Per adesso si girano soltanto i dettagli di Padre Davanzati. Nell'ultima inquadratura, il percorso era molto accidentato e forti sono i timori di Stefano che la m.d.p. abbia traballato. Stefano guarda nuovamente la ripresa, rendendosi conto che c'era una giusta intuizione sulla panoramica, che tuttavia non è stata sviluppata.

Si girano adesso i dettagli:
40/1: soggettiva di Roffia sulla Madonna: il Vicario si volta per guardare l'affresco con la Madonna e si accorge dell'angelo che travasa l'acqua in vino.
40/2: natura morta più mano: Roffia tocca una delle ampolle di Gostanza che sono disposte sul mobile, coperte da un panno.

Stefano gira in completa solitudine l'inquadratura 40/2. Il monitor è spento.
Per ciò che riguarda la 40/1 il discorso è più complesso. Essa si ricollega alla 40, che è stata girata al mattino. La 40 altro non è che il controcampo di questa soggettiva, ossia Roffia che guarda l'affresco della Madonna, e, scortovi l'angelo, volta la testa per guardarlo meglio.
L'idea iniziale di Paolo, partorita pochi giorni fa dopo aver scoperto l'esistenza dell'angelo, era che la soggettiva si aprisse sull'immagine della Madonna e andasse successivamente a cercare l'angelo. Secondo Stefano, non si può fare tale movimento, altrimenti interviene una ripetizione, come se un momento dopo, si rivedesse in una sorta di replay lo stesso movimento.
Si spezza allora l'inquadratura in due parti: una prima parte sulla Madonna (la m.d.p. è ferma); una seconda parte sull'angelo + carrello a stringere ("Pe' bimbi scemi", ossia a sottolineare l'immagine dell'angelo dalle ampolle).
Si cerca una luce, dopodiché si cerca di isolare l'angelo dal resto dell'affresco. Il problema che sorge è però un altro. Il trepalle, sul quale fino adesso è stata montata la m.d.p., si usa con focali larghe, con obbiettivi venti oppure ventiquattro, altrimenti l'inquadratura balla. Per isolare l'angelo nell'insieme del quadro è stato montato sulla m.d.p. un quaranta e poi addirittura un cinquanta, ed infatti l'inquadratura ballava. Il risultato era inguardabile. La macchina sentiva ogni buca, ogni piccolo dislivello del terreno e l'inquadratura era tutta completamente mossa. È stato necessario montare il binario, pur essendo molto tardi. Si fa prima un totalino con il cinquanta: è la 40/1 bis.

Mercoledì 3 novembre - Studiolo Roffia, Sala del Consiglio Comunale - ore 11,00
Scena III/9: Gostanza giura per la prima volta sulla Bibbia (inquadratura ampiamente modificata rispetto all'originaria sceneggiatura).
Interno giorno.
Obiettivo: 32.
Distanza della macchina da terra: 1,80 m.
Da figura intera a dettaglio (piccolo dolly su carrello a precedere). Il religioso alla finestra ci volge le spalle. L'abito talare ed il suo portamento rivelano l'autorevolezza del suo alto ufficio. Il notaio, da destra, alzandosi dallo scrittoio, gli porge un libro. Mentre il prelato avanza verso di noi, la m.d.p. scende sulla sua mano protesa che sorregge, ormai ferma in primissimo piano, un antico Vangelo. Dopo alcuni istanti, la mano pallida della donna si accosta al frontespizio del libro e vi poggia sopra la palma aperta. La donna giura. Quando la mano si ritrae dal libro e a sua volta scompare, restiamo per un attimo come sospesi nel nulla.

Totale dello studiolo, che riprende il motivo della bifora già visto il giorno precedente. La finestra è aperta sul paesaggio grigio, la luce corretta con gelatine trasparenti.
L'inquadratura è stata in un primo tempo costruita sulla Bibbia, che, poggiata sull'angolo del tavolo del notaio, andava ad occupare lo spazio esattamente al centro dell'inquadratura. In un secondo momento, per questioni sceniche di movimento, si è preferito farla consegnare a Roffia dal notaio.
La diagonale del tavolo, confluisce nell'angolo a sinistra in basso dell'inquadratura; la tacchetta del centro deve essere esattamente sulla gamba del tavolo.
Una volta così minuziosamente costruita l'inquadratura, Paolo esclama: "Ecco, ora inchiodate la macchina da presa!!". E poi: "Si è spostata l'inquadratura. Stefano, ti avverto, si è spostata di tre millimetri l'inquadratura! La Bibbia era più in punta. E poi aprite di più la finestra. Ho bisogno del righino - della finestra completamente aperta si legge solo un rigo nero che corre parallelo al limite destro dell'inquadratura - nero a destra, e che sia un po' più largo. Lele così non mi significa nulla".
S: "Facciamo che è lui a passare il Vangelo a Roffia".
P: "Sì, appena Valentino viene indietro, Lele gli porge il Vangelo".
Ora sul fulcro dell'inquadratura viene a trovarsi il notaio nel momento in cui consegna la Bibbia al Vicario Roffia.
Provano.
P: "No! Ci siete stati troppo! Voglio capire meglio che Lele va a chiudere la finestra, e poi si vede che non chiude. Dovete indugiare meno. E poi, tu, Valentino, devi stare più dritto, parallelo alla finestra, come abbiamo fatto a Pisa", dove hanno girato il controcampo di questa scena, in cui si vede, dall'esterno, Roffia alla finestra che guarda una bambina giocare nella piazza sottostante.
Provano. L'inquadratura termina con un dett. della Bibbia, sulla quale si posa la mano di Gostanza, che entra in campo dalla sinistra in basso, e si posiziona esattamente al centro dell'inquadratura.
Quando è ormai tutto pronto, comincia a piovere. Non si può girare. Ci sono volute quattro ore per preparare tutto il set, costruire l'inquadratura e fare le prove. E poi non si può girare, perché la pioggia si sentirebbe e nell'inquadratura girata a Pisa non c'era pioggia; e poi la pioggia cade sulle gelatine alla finestra bagnandole. Il nervosismo aleggia.

Si cambia scena. Si gira il totale dell'interrogatorio di Gostanza.

Scena III/13.
Interno giorno.
Campo lungo. Il Vicario Roffia, appoggiata la bacchetta alla parete, ricopre gli oggetti con il velo nero. Poi, ripresa la bacchetta, torna verso la donna. Con questo movimento rivela, sul fondo della stanza, presso la finestra, un uomo seduto allo scrittoio intento a verbalizzare l'interrogatorio. È il notaio Vincenzo Viviani.

Inquadratura costruita su una diagonale che dall'angolo a destra in basso (Gostanza seduta), sale fino all'alto a sinistra (notaio seduto al tavolo che scrive). È bilanciata al suo interno, e divisa esattamente a metà, dalla solita bifora e da Padre Davanzati, che, esattamente a metà tra Gostanza e il notaio, diventa il fulcro dell'inquadratura, il punto focale della scena, colui che in quel momento ha il potere di decidere concentrato nelle proprie mani. È lui l'ago della bilancia. La mano di padre Davanzati con la bacchetta, quando parla a Gostanza, viene a trovarsi esattamente nella croce.
Obiettivo 20

Provano.
P: "Lucia, ottimo. Ma tutta la scena deve essere più liscia, senza teatro. Anche tu Valentino: devi essere severo ma non arrabbiato, non devi alzare il tono di voce. E Lucia devi essere austera nella prima parte, poi però diventare confidenziale, e poi ritornare austera sul finale. Sono soltanto due i passaggi, i cambiamenti di stato d'animo".
Per quello che sto riuscendo a recepire, il lavoro che Paolo porta avanti con gli attori è teso a raggiungere l'essenzialità della recitazione, senza alcun fronzolo o forzatura, ed a costringerla entro limiti precisi di toni e volumi bassi, che talvolta debordano nel sussurro puro e semplice.
È buona già la prima, a parte alcune imprecisioni di memoria.
P: "Stavolta però me ne fate un'altra più sottotono, Valentino non alzare la voce. Severo, ma non alzare la voce. La tensione deve essere interiore, non esteriore. E tu, Lucia, hai degli scatti di velocità che non vanno bene. Cerca di non farli. Altrimenti non si capisce nemmeno cosa dici".
I fonici mettono un radiomicrofono a Gostanza, seduta, immobile.
Il microfonista segue soltanto Padre Davanzati.

Venerdì 5 novembre - Cappella del Loretino - ore 15,00
Scena XVI/83 bis (l'83 è stata modificata).
Interno giorno.
Da piano medio a piano ravvicinato. Ingresso di Gostanza scortata dalle guardie nella sagrestia adiacente la Cappella del Loretino. Giunta presso una tenda da cui provengono delle voci, Gostanza accosta l'orecchio per ascoltare.
Obiettivo: 32

Chiesa del Loretino: "Costruita alla fine del secolo XIII. Alle pareti affreschi di tarda scuola giottesca ispirati alla vita di Gesù Cristo. Di un artista senese del Trecento - Conte di Lello Orlandi - l'elegante cancello in ferro battuto che divide la Cappella in due parti. All'altare pregevole icona lignea dorata del Cinquecento".
Nel vuoto della sagrestia troneggia la copia della trecentesca Madonna di Cigoli, gentilmente messa a disposizione del film dal prete di Cigoli. Aleggia su di essa l'ombra dreyeriana di una fantomatica porta con inferriate. Simboli di prigionia onnipresenti.
Al fianco sinistro della Madonna, la porta di legno scuro che aprendosi lascia intravedere la profondità del corridoio dal quale entrano nella stanza le guardie che scortano la strega. Sulle pareti del corridoio si intravedono le bacheche lignee degli albi comunali.
Paolo, nel costruire l'inquadratura, vuol avere ben chiaro dove arriva l'anta sinistra della porta, che è del resto a filo con il margine sinistro dell'inquadratura. Chiede a Stefano di arrivare al margine dell'anta con la macchina da presa. Dal nostro monitor non si riesce a distinguere bene i contorni, poiché sono tutti neri.
Risolto il problema della porta, ci si sofferma sulle bacheche.
P: "Stefano, cosa ne pensi delle bacheche?".
S: "Le bacheche ci spezzano il muro bianco".
P: "Se si levano le bacheche si vede molto bene il disegno di Aldo, la grata sul muro".
Effettivamente si tolgono le bacheche. In un primo momento, il muro candido del corridoio fa un effetto molto bello, di ambiente di coercizione, col suo fulgido bianco tagliente. Poi viene proiettato su esso il disegno delle sbarre del fantomatico cancello, proprio come porta su di sé la Madonna. Concettualmente non è possibile che l'ombra sia la stessa che si proietti sia sulla statua che sul muro, ma simbolicamente, la ridondanza è un effetto stilistico di grande suggestione.
P: [riferendosi alla nuova sistemazione con l'ombra delle grate] "Vuoi mettere, rispetto a prima! Se vuoi lasciamo l'ultima bacheca... anzi no... leviamole tutte. Il disegno diventa più essenziale. Aldo, se vuoi puoi abbassare la luce, ma questo disegno mi piace molto".

Provano il movimento.
P: "Lucia, devi essere più inclinata con la testa, così prendi luce anche sul volto!".
A: "Ma non è bello. Vedi che solo il naso prende luce?".
Lucia si inclina in modo diverso.
P: "Non ci deve essere aria tra Lucia e l'armatura di sinistra. Sono le armature che danno i riferimenti! Aldo, l'ombra nel corridoio si può ritoccare? Si può fare più alta, in modo che la diagonale vada a battere nell'angolo a sinistra in alto?".
In tal modo la diagonale dell'ombra viene a coincidere con la diagonale dell'inquadratura.
Paolo si fa dare un pezzetto di carta e cerca (con metodo tipico del pittore) di tracciare una linea immaginaria sul monitor, prolungando la diagonale dell'ombra fino al centro del mirino dell'inquadratura.
Si prova di nuovo, poi si gira e vengono bene quasi subito. D'altro canto il movimento è abbastanza semplice. Paolo usa ripetutamente il foglietto, cercando proporzioni e distanze fra le cose. Invita infine Stefano a spostare la macchina da presa verso sinistra "di un centimetro e mezzo".
Infine esclama soddisfatto: "La quarta era perfetta! Sembrava fatta col calcolatore!".

Scena XII/71: Cappella del Loretino
Da totale a figura intera dal basso.
Una porta si spalanca rumorosamente nel buio. Un manipolo di armati irrompe nella stanza facendosi luce con numerose lanterne. Gli uomini, avanzando verso di noi, si fermano davanti ad una preziosa cancellata in ferro battuto. Il capo degli sbirri apre il cancello con le chiavi. Due dei suoi uomini, con uno spintone, gettano una donna al di qua del cancello. La donna, perdendo l'equilibrio, cade. Il cancello viene serrato e il drappello si allontana uscendo dalla stanza. Quando la porta della cappella viene richiusa, la m.d.p. si muove in panoramica a cercare la donna. Questa, distesa sul pavimento, fissa con occhi sbarrati la porta dalla quale sono usciti gli sbirri. Vediamo una giovane contadina la cui bellezza è stata precocemente consunta da una vita di stenti. Dopo pochi attimi, la giovane si mette in ginocchio e si volge mostrandoci la nuca. La m.d.p., seguendo quello sguardo, si solleva rivelando la presenza di un prezioso altare dorato, al centro del quale troneggia una statuetta lignea della Vergine. La giovane sconosciuta, giungendo le mani, prende a recitare sommessamente l'Ave Maria. Alla fine della preghiera l'immagine si oscura nel fondu.

Fuori, in strada, i soliti due fari da 5000 watt proiettano l'ombra nella cappella.
Al posto della consueta statua della Madonna del Loretino (copia della Madonna nera di Loreto), troneggia nell'archetto una statua in legno della Vergine, molto bella, anche se non molto imponente.
Nella coro della Cappellina, Aldo ha posto una candela accesa, solitaria su un piedistallo.
Paolo non è affatto convinto di questa candela, e più volte la guarda, la fa spostare, la fa spegnere, poi riaccendere, ecc.
Una candela, secondo Paolo, non è giustificata. A parere di Aldo invece ci sta bene. Dopo molti ripensamenti, infine, si decide di lasciare la candela, accesa nel posto in cui l'aveva originariamente messa Aldo.
Dopo le prime, difficili, prove del movimento di macchina, gli animi di tutti cominciano a tendersi.
P: "Non vi chiedo virtuosismi allucinanti!".
S: "No, immagino che operatori con trent'anni di esperienza sulle spalle la farebbero più velocemente".
P: "Il fatto è che non può che essere perfetta. O è perfetta o è perfetta!".
Poi, nel generale silenzio, si eleva la preghiera della donna disperata alla Vergine....
P: "Se nel silenzio sale questa preghiera alla Madonna, mi sembra altissimo...".

Lunedì 8 novembre - Cappella del Loretino - ore 16,00
Scena XV/82: interno giorno.
Obiettivo: 20
M.d.p. in picchiata inquadra il movimento delle guardie schierate sull'attenti ed armate di picche. Il capo delle guardie si fa sulla soglia ed entra, precedendo di qualche passo i tre religiosi ed il notaio. L'armigero, raggiunta la cancellata che divide la navata dal vano presbiteriale, la apre, introduce i quattro e richiude il cancello, rimanendo all'esterno.
Si sente il rumore del portone della Cappella che si chiude.

La m.d.p. è collocata a quattro metri di altezza circa, su un balconcino che domina la navata della Cappella.
Lele entra, percorre la navata tra le due file di armigeri schierati, supera il cancello in ferro battuto. La m.d.p. lo segue e si alza fino ad inquadrare l'altare nella sua completezza. L'ombra di Lele occupa tutta la lunghezza della navata.
La cosa più significativa, ed anche la più difficoltosa della scena, è il movimento in sincrono delle guardie schierate sull'attenti. Il movimento, che proveremo più e più volte, deve essere all'unisono, e molto, molto vigoroso e preciso.

Scena XVII/90: Gostanza e Lisabetta al Loretino.
Interno giorno.
Semitotale in controcampo. Davanti alla preziosa cancellata in ferro battuto che separa il presbiterio dalla navata, Lisabetta osserva Gostanza che sta a testa bassa. Il capo delle guardie apre il cancello, afferra la giovane per un braccio e la conduce verso l'uscita della cappella, fra due file di armigeri. Sul fondo, udiamo la porta aprirsi e richiudersi con tonfo cupo. Roffia entra di spalle e si rivolge a Gostanza. Parla. A capo chino, Gostanza non risponde. Il suo sguardo è assente. La m.d.p., avanzando lentamente, la isola in primo piano. Solo allora Gostanza parla sommessamente. Poi solleva lentamente lo sguardo.
Piccolo carrello avanti.
Obiettivo: 24

P: "Lucia, usa le mani. Voglio sentire le mani".
L: "Forse è meglio se questa la faccio come più astratta e trasognata, più astratta dalla sofferenza, come già morta. Nell'altro caso ero più sofferente, e più vera".
La girandola della attrici che Paolo aveva pensato per la parte ha visto partecipare da Vanessa Redgrave a Alida Valli, per poi fermarsi su Lucia che con il suo recuperabile accento, dà alla pellicola quel tanto di toscanità così necessaria e presente nella storia. Del resto, degli attori originariamente pensati per le parti rimangono soltanto lei e Padre Davanzati. Cambiamenti più recenti hanno sconvolto il volto del film in profondità.

Sabato 20 novembre - Tabaccaia alla Catena, stanza della Tortura - ore 12,00
Scena VI/36.
Interno giorno.
Figura intera. Di fianco alla grande finestra chiusa, Padre Porcacchi ci volge le spalle. Sembra teso, contratto. L'indistinta litania che bisbiglia ci fa immaginare i grani di un rosario che non vediamo. Roffia, sopraggiungendo alle sue spalle, gli bisbiglia qualcosa. Sobbalzando appena, il giovane frate solleva una mano senza voltarsi e la agita nervosamente in segno di diniego. [...] Il reverendo Roffia si rivolge ai carnefici puntando la bacchetta verso l'alto. [...] Poi si avvia al suo scranno, fuori campo. Sinistri cigolii di carrucola e sommessi lamenti ci fanno intuire che Gostanza viene calata. Il giovane frate, sempre di spalle, dopo un lungo momento di immobilità e di preghiera, sospira a fondo, si volta ed esce di campo, a capo chino, con in mano il suo rosario.
Obiettivo: 24

La finestra, ancora una volta, ha ipotecato tutta l'inquadratura. Non è tuttavia centrale, come ci si potrebbe aspettare, bensì leggermente spostata verso destra, rispetto all'asse centrale dell'inquadratura.
Il giovane Porcacchi, almeno per ciò che posso cogliere dal pessimo monitor, non è niente più che una silhouette nera che si staglia sul chiarore del vetro opaco. Roffia, da fuori campo, entra in campo dal centro in basso e percorre l'asse verticale dell'inquadratura, fino a giungere alla finestra, vicino a Porcacchi.

Finalmente, dopo una settimana che mi era stato chiesto di non salire sul set, sono tornata al mio amato ruolo di osservatrice del lavoro altrui. Siamo quasi al termine delle riprese, e le tensioni all'interno della troupe sono sempre più forti.
Si sommano problemi di ogni genere, sindacali, di salute (Paolo è molto malato), meteorologici (è piovuto moltissimo e una gru con sopra un faro si è impantanata), stanchezza dopo oltre un mese di duro lavoro, Lucia che nelle scene più impegnative ha chiesto che nessuno fosse sul set, tranne le persone strettamente necessarie. È una conclusione di riprese un po' sofferta. Paolo è molto teso, e i rapporti con la troupe risentono di questa tensione.
Ieri gli ho parlato. Generalmente mi chiama quando mi vuol dire qualcosa che secondo lui è importante per la mia tesi. Ieri mi ha raccomandato di evidenziare il fatto che il momento delle riprese è quello in cui si ha la possibilità di lavorare con minuzia e agio su ogni singolo "mattoncino" (inquadratura) che andrà a comporre il film. Ma chi tiene le fila di tutto, chi deve orientarsi tra tutti questi mattoncini, conservando il respiro della totalità, l'armonia e il ritmo dell'intero film, ecco, questi è il regista. Ciò implica per lui, via via che il materiale girato aumenta, una crescente tensione interiore, un sempre maggiore bisogno di concentrazione, una sorta di incessante possessione, che lo porta ogni giorno di più ad astrarsi dal resto della troupe, anche ad essere sgarbato, impaziente.

Le riprese, cercando di colmare un piccolo ritardo, si concludono lunedì 22 novembre.

1 Questa e le successive citazioni provengono dalla sceneggiatura tecnica del film, ancora intitolato, nel maggio 1999, La strega Gostanza