CONFORTORIO
di Tullio Masoni
Alphacentauri n. 2 ottobre 1993
In questi tempi di magra un film come "Confortorio" dovrebbe
spiccare con la luce del diamante; invece no, alla penuria si aggiunge la
distrazione e così nessuno lo distribuisce, nessuno lo vede e pochi - più
fortunati che volenterosi - ne parlano. Il suo autore, Paolo Benvenuti, è
abituato alla marginalità; ha cominciato come pittore e grafico per poi
dedicarsi all'immagine animata realizzando video di ricerca, cortometraggi e,
prima del presente, un altro film dalla vita difficile: "Il bacio di Giuda". C'è
anche un importante incontro con Straub-Huillet nella sua esperienza; risale al
1974, quando ha fatto l'assistente alla regia per "Moses und Aaron". "Confortorio"
racconta la "macchina della pietà di una istituzione forte, autoritaria,
ideologicamente inflessibile" (Volpi), a cui si contrappone una presa di
coscienza, cioè la sola forza che, in casi del genere, può toccare ai deboli.
L'istituzione è quella papalina nella Roma del XVIII secolo, i deboli sono due
ebrei denunciati per furto dai loro stessi correligionari. Come funziona la
"macchina della pietà" ? Con la pressione ecclesiastica che vorrebbe salvare i
due sventurati dalle fiamme eterne inducendoli, nel corso della notte che
precede l'impiccagione, a convertirsi. La vicenda che Benvenuti ricostruisce è
realmente accaduta, anzi è ampiamente documentata da una ricerca che Simona
Foà ha condotto negli archivi segreti del Vaticano. Pur costantemente ispirato
dalla pittura e della stessa molto debitore, "Confortorio" vive in forma
perfettamente autonoma, cioè ricava dagli incontri linguistici nei quali viene
a trovarsi il giusto alimento per finalità sue proprie. Come le immagini di
apertura alludono a Dreyer per subito andare oltre - quella ruota dentata in
primissimo piano che evoca gli strumenti di tortura della "Jeanne D'Arc" o del "Dies
irae", ma poi si rivela un ingranaggio di orologio, segnatempo, e perciò
simbolo del dramma notturno a cui assisteremo - così i rinvii a Piranesi,
Caravaggio, al Seicento barocco o a Rembrandt, spostano subito l'idea sulla
scenografia e il teatro. Ecco dunque che la pittura, sia essa filtrata
nell'immagine in movimento o intesa come raffronto statico e contrappunto, ci
viene proposta come deposito storico e immaginario; ora omologo, ora dissonante
rispetto al meccanismo. In altre parole, nel "tempo unico" che la terribile
notte di "Confortorio" impone anche allo spettatore, è possibile avvertire un
tempo delle immagini, una loro diversa durata. Ciò stabilito, ossia dopo aver
trattato il proprio mondo pittorico secondo la "solubilizzazione" di cui parlava
Bazin, il regista lavora a una manipolazione lucidissima dello spazio;
prospettive lunghe ma virtuali, schiacciamenti che, ottenuti con riprese
dall'alto, sortiscono effetti di astrazione, carrelli "esplorativi" della
superficie e della profondità. L'esito sintetico della pittura che trascorre
nella scena e nelle sue convenzioni come variando sul tema dello spazio chiuso,
omologa in chiave filmico-drammaturgica ciò che stava nelle premesse: la storia
vera e documentata, il caso esemplare di intolleranza. O, per dirla
diversamente, organizza una macchina, per descriverne un'altra. Grande
risultato, a mio avviso, che dimostra la possibilità di un cinema povero di
mezzi ma ricco di cultura e di senso morale, qualora si sappia guardare oltre il
proprio naso e i propri vizi. La macchina estetica con la quale Paolo Benvenuti
sa spiegarci quella della pietà ( cioè dell'intolleranza e dell'oppressione)
mi fa pensare per un momento alle tante "trovate", ai tanti "giocarelli"
tecnologici sui quali va misurandosi l'affanno dell'arte odierna. "Confortorio"
non risolverebbe alcun problema ma, chissà, forse aiuterebbe a guardarsi
intorno con più inquietudine.